Una splendida dimostrazione d’amore

Normalmente tento di contattare personalmente i familiari dei defunti dei quali faccio il funerale. Non è certo mio costume tessere il panegirico del morto, perché tento sempre di inquadrare il commiato alla luce della fede e della speranza cristiana e soprattutto mi impegno che l’evento costituisca una breve catechesi sui “novissimi” ossia sulle ultime realtà: morte, giudizio e paradiso.

Quando celebro il funerale mi ricordo sempre una massima che papa Roncalli era solito ripetere quando era nostro patriarca a Venezia: “Ricordati delle ultime cose e non perirai in eterno!”. Gli uomini d’oggi non mi paiono molto interessati a queste grandi verità, ma ciò non mi scoraggia, anzi mi impegna ad una catechesi il più possibile convincente, perché non sono molte le occasioni che la vita mi offre per questo discorso. Ciò detto, è per me buona norma avere, seppure una minima conoscenza del “caro estinto” per non pronunciare parole improprie che rovinino l’opportunità di questo “momento di grazia”.

Normalmente tutti dicono del loro caro le stesse cose: era altruista, faceva del bene, non era praticante ma credeva a modo suo in un Supremo! Spesso sono discorsi frettolosi perché la gente del nostro tempo ha fretta di concludere presto “il tempo del lutto”. Talvolta però fortunatamente non è così, si avverte un dolore vero, una onesta ricerca, e vengono messi in luce i valori che hanno informato la vita del congiunto scomparso.

Qualche giorno fa una figlia che mi ha parlato con tanto affetto di suo padre e pensando di non riuscire a fornirmi uno schizzo esatto della personalità bella e positiva di suo padre, concluse il discorso dicendomi: “Me lo tratti bene, don Armando, mio padre!”. Come non sognare che avvenga sempre così. Purtroppo ciò avviene se non raramente, non molto spesso!

Uno scandaloso scaricabarile sui poveri!

Qualche giorno fa ho preso una solenne arrabbiatura per un motivo che ora non ricordo. Ho capito però da quel sintomo che era terminato il tempo della convalescenza e che ormai sto bene.

L’arrabbiarsi non è certamente segno di virtù, almeno per me, ma è un segno di buona salute.

Oggi ne ho presa una seconda e perciò credo ormai di essere fuori pericolo! Stavo andando a pranzo, quando m’avvertirono dalla segreteria che c’era un signore che mi voleva vedere; in verità chi era al telefono soggiunse che gli sembrava uno di quelli che “chiedono soldi”. Ci andai subito e nella hall del Centro incontrai una persona corpulenta che non avevo mai conosciuto, né visto.

Cominciò, come sempre, a girare per le larghe per descrivermi la sua situazione. Lo pregai d’essere conciso perché al don Vecchi mi sento un po’ come in convento, se uno non si presenta a tavola, è segno che non ne ha bisogno, o al minimo arrischia di trovare tutto freddo!

Siccome il mio interlocutore non cessava di fornirmi nuovi particolari, gli chiesi in maniera poco caritativa. “Ma posso sapere cosa vuole da me?”
Io però lo avevo già capito, voleva soldi. Al che tentai di ricordargli che aveva una parrocchia, che in città ci sono enti a ciò preposti.

Ma lui, imperterrito, vedendo di non aver ancora tanto tempo a disposizione mi disse che era stato il suo parroco a dirgli: “A Mestre non c’è altro che don Armando che ti può aiutare”. Quel parroco lo conosco fin troppo bene, non ha in parrocchia neanche uno straccio di organizzazione caritativa, è impegnato solamente ad assicurarsi una comoda vecchiaia.

Io sono pensionato Inps da 5 anni e soprattutto risparmio fino all’ultimo centesimo per il don Vecchi di Campalto!
Per chiudere gli dissi, mettendo mano al portafoglio “non gli posso dare che 5 euro” e lui “Magari 10”!

Ne diedi 10 malvolentieri, non tanto per quel povero gramo che ha imparato fin troppo bene il mestiere del povero, ma nei riguardi di quel confratello che da una vita fa lo scaricabarile e per di più si dice di sinistra!

Quell’incontro felice con un mio vecchio scout dell’Agesci Amerigo Vespucci

Nel pomeriggio mentre stavo riordinando le ceriere della chiesa succursale della mia minuscola “diocesi” ho incontrato Roberto Marroni, uno dei miei scout del reparto dell’Agesci Amerigo Vespucci, di cui sono stato per molti anni l’assistente.

Roberto stava accompagnando la sua vecchia mamma a visitare le tombe dei suoi cari.
La mamma è ancora un po’ più piccola di quanto la ricordavo, ma manteneva, nonostante la veneranda età di più di 90 anni, la sua calda parlata toscana. Il figlio Roberto lo stesso volto rotondeggiante, gli stessi occhi vivaci, e la calda umanità di un tempo.

Del ragazzino di 50 anni fa, capo squadriglia, delle “volpi” o dei “leoni” non ricordo più, erano cambiati solo i capelli, ora grigi, però la stessa personalità calda ed affettuosa.

Parlammo del più e del meno; lui si interessò della mia salute, io gli chiesi del suo lavoro e dei suoi figli. Roberto mi disse che era già in pensione “Non le pare che a 62 anni non meritassi un po’ di riposo?”

Per me, no, ma non glielo dissi perchè so di essere uno dei pochi stacanovisti, ormai fuori corso.

Mi fece però bene sentire, che si occupava della casa in montagna costruita e gestita dagli scout adulti per i “lupetti” i piccoli del movimento scout, poi memore dell’educazione puntigliosamente impartita dal suo vecchio educatore, soggiunse “Se ha qualcosa da darmi da fare, don Armando, sono ora disponibile”. Mi ha fatto molto bene sentire che lo “spirito della buona azione” e del “servizio” avevano ben attecchito ed erano ancora vivi e vitali.

La Festa del Lavoro

Quest’anno non c’era tanta gente alla mia messa del 1° Maggio, ma l’atmosfera era però di una dolcezza straordinaria. La splendida cornice della primavera, che si avverte tra i cipressi del camposanto, il clima di intimità universalmente avvertito per il calore delle basse capriate e della copertura del tetto della povera chiesa prefabbricata nelle regioni gelide e boscose della Romania, han fatto sì che la cinquantina di fedeli uniti attorno all’altare creassero una atmosfera di profonda partecipazione al divino mistero e di viva partecipazione alla festa del lavoro. Nella breve omelia sviluppai due concetti: il lavoro come contributo dell’uomo a far sì che la creazione offra il meglio di sé per rendere confortevole e bella la vita e il lavoro come servizio ai fratelli, ossia segno di fraternità concreta.

Tutto quello che noi fruiamo oggi è dono di creature del mondo intero, come il nostro lavoro può diventare segno di solidarietà per tutti quando è concepito e vissuto come servizio ai fratelli.

Mentre parlavo, i vecchi ricordi del primo maggio vissuti mezzo secolo a San Lorenzo, nella mia vecchia chiesa che s’affaccia su Piazza Ferretto, mi giungevano a dar calore e forza alle parole che tendevano ad esprimere la ricchezza del lavoro.

Cinquant’anni fa, nella piazza del partigiano ucciso dai fascisti, sembrava, tra il mare di bandiere rosse, di pugni chiusi e di discorsi che sapevano di lotta del proletariato contro le classi padronali, di essere alla vigilia della rivoluzione d’ottobre.

Quei cupi ricordi mi hanno aiutato a godere della festa e a pregare convinto che ci sia lavoro per tutti e che il lavoro sia festa e non lotta amara.

Le magagne dell’occidente

Mi capita spesso di leggere con stupore e tristezza, soprattutto nelle riviste missionarie, la massiccia percentuale di analfabetismo in molti Paesi del mondo.

Sono ancora troppo numerosi i popoli i cui membri non sanno né leggere e né scrivere, ma sono ancora di più quelli che soggiacciono a tradizioni tribali primitive, a tipi di religiosità inquinate dalla superstizione o da forme di fondamentalismo razziale che rendono la vita di milioni di esseri umani angusta, chiusa al progresso e impermeabile alla cultura, ma soprattutto alla civiltà. Sono lodevoli gli sforzi di certe organizzazioni internazionali, ma di fatto sono ancora estremamente inadeguate ad aiutare e vincere l’ignoranza, la superstizione, il fanatismo, l’arretratezza a livello sociale e sanitario.

Da questo punto di vista il panorama è veramente desolante, quando pensiamo ai paesi del terzo e quarto mondo, ma se riflettiamo onestamente neanche il nostro mondo occidentale non s’è liberato da tutti i limiti del sottosviluppo sociale e della subcultura.

Oggi anche nel nostro Occidente, tronfio delle proprie scoperte scientifiche, sono assai diffusi elementi che impoveriscono terribilmente la nostra presunta superiorità culturale.

Se analizziamo per bene la nostra società, non solo fanno capolino, ma talora appaiono dominanti aspetti assolutamente negativi quali: il razzismo, l’amoralità, la carenza di valori, l’esasperazione della ricerca del profitto, la carenza di solidarietà, l’esaltazione di deviazioni umane e sociali, la burocrazia imperante ed ottusa, un far politica solamente come strumento di potere e non di servizio ed una caccia esasperata di poltrone e via di questo genere!

Anche il nostro vecchio mondo è ben pieno di vergogne e di non piccole magagne!

Il volto del Signore si vede anche nell’Arte, non solo in “lodi” e “vesperi”!

Sono sempre stato un appassionato cultore d’arte. La pittura, la scultura ed ogni forma artistica mi hanno incantato e riempito di ebbrezza. Questo amore, che mi è stato trasmesso sui banchi del liceo da monsignor Vecchi, mi ha spinto a diventare anche un appassionato collezionista ed un promotore di ogni forma d’arte.

Mi pare che “La cella”, la galleria che ho aperto tanti anni fa alla base del campanile di Carpenedo, abbia ospitato finora quasi quattrocento e cinquanta mostre e l’attività ambiziosa a favore degli artisti di Mestre e del Veneto s’è sviluppata e cresciuta poi mediante le biennali d’arte sacra e gli incontri asolani, ai quali aderirono a decine e decine gli artisti della zona che finalmente scoprivano nella comunità cristiana un punto sicuro di riferimento e di confronto.

Non tutti i progetti sono andati in porto, ma comunque quel tempo è stato una bella stagione per me, per la parrocchia e per gli artisti con i quali s’era iniziato un dialogo di riconciliazione verso quella chiesa dalla quale essi avevano divorziato da ormai troppo tempo. Quella stagione in cui la comunità cristiana s’era aperta ai tempi nuovi mediante l’arte, la musica, le rassegne corali, lo sport, la comunicazione sociale con la stampa e la radio ha segnato anche un arricchimento di opere d’arte moderna. Il don Vecchi, che possiede solamente una parte delle opere d’arte disseminate in tutte le strutture parrocchiali, ma comunque possiede di certo la più grande galleria cittadina.

Ora pare che questo movimento abbia incontrato una battuta d’arresto, ma fortunatamente alcuni germogli nati da questo ceppo hanno cominciato a fiorire con alcune gallerie: “La piccola di Chirignago”, “La fornace” di viale don Sturzo, la “San Lorenzo” del Duomo e da ultimo la “San Valentino” del don Vecchi di Marghera.

Spero e prego che prima o poi qualche cristiano scopra finalmente che l’uomo del nostro tempo non può vivere solamente di “lodi” e di “vesperi” ma ha anche bisogno di vedere il volto del Signore anche in ogni espressione di bellezza e di poesia.

Il mio patrimonio sono i poveri

È arcinoto il racconto che ha per protagonista il diacono Lorenzo. La comunità cristiana a Roma era nata da poco, e già da subito essa aveva sviluppato la dimensione evangelica della solidarietà e dell’aiuto ai poveri. I responsabili della comunità avevano deputato il diacono Lorenzo ad occuparsi dei poveri che erano assai numerosi anche nella Roma imperiale. Lo spirito di carità che caratterizzava il vivere dei primi cristiani, infatti era identificato con la stupenda espressione: “Coloro che si amano”, forse le elargizioni ch’essi ricevevano dai fedeli e che a loro volta essi facevano, destarono l’avidità della burocrazia statale, mai sazia di denaro da incamerare e da sperperare, così che il prefetto intimò a Lorenzo di versare allo Stato i tesori della chiesa nascente. È arcinoto che dopo alcuni giorni Lorenzo presentò a suddetto funzionario una vera folla di miserabili.

Che bello il pensiero che i poveri siano il vero tesoro della chiesa, il segno delle sue scelte e della sua fede. È consolante che anche oggi vi sono dei “tesori” veramente splendidi sparsi qua e là nella chiesa di Dio, ma è anche purtroppo vero che vi sono molte comunità cristiane che a questo livello sono indigenti e talvolta miserabili, perché i poveri non sono più il loro patrimonio più prezioso.

A questo riguardo per grazia di Dio e per fortuna mi sento ricco ed orgoglioso di questo “patrimonio” prezioso, infatti non credo che ci siano parrocchie, organizzazioni ecclesiastiche ufficiali o Caritas di alcun genere in cui circolino i poveri a centinaia quanto al “don Vecchi”. Di questo sono veramente orgoglioso e felice!

Auspico moderazione e misericordia da parte di chi giudica la Chiesa

Nel numero di alcuni mesi fa dedicai al Papa la copertina e la didascalia de “L’Incontro”.
Sotto la foto del Papa, che sembrava solitario un po’ smarrito e indifeso scrissi come titolo “Povero Papa!”
Oggi mi verrebbe da ripubblicare la foto e con caratteri cubitali: “Povero Papa!”

La campagna mediatica su i preti pedofili, pare che debba riguardare solamente il Papa, quasi ne fosse Lui la causa. Credo che siamo tutti d’accordo che è una nefandezza turbare e profanare i ragazzi, che lo facciano poi anche certi religiosi è più che giusto l’aggravio della condanna, però mi sento di fare alcune osservazioni che credo doverose.

Primo: la percentuale di preti che si sono macchiati di questa ignominia mi pare veramente marginale in rapporto di ciò che avviene in famiglia, a scuola ed in altri settori di cui non si parla.

Secondo: vi sono altre perversioni quali ad esempio gli auspicati matrimoni omosessuali che rappresentano un’altra sporcizia morale che dovremmo perseguire con e uguale durezza e accanimento.

Terzo: non ritengo così obbrobrioso, come oggi si tende affermare quando responsabili dei sacerdoti che hanno sbagliato hanno tentato il recupero di chi ha mancato, con trasferimenti per non creare scandalo ulteriore che io, più di cinquantanni fa, sono stato chiamato improvvisamente a sostituire un prete che fù accusato di queste colpe e che aveva un largo seguito tra i giovani della parrocchia. So che il sacerdote si è recuperato, e so meglio ancora che i giovani, che ho ereditato non hanno subito “ferite” significative al riguardo.

Sono convinto che un po’ di moderazione e di misericordia non farebbe male anche in questo campo e non sarebbe male ricordare la massima di Cristo: “chi non ha peccati scagli la prima pietra!”

Forse se si parlasse con un po’ di forza credo che molti giornalisti sia al di là che al di qua dell’oceano e molti accusatori della carta stampata, o appartenenti a religioni o a culture diverse, dovrebbero chinare il capo ed abbandonare le pietre!

L’egoismo si scaglia contro la cittadella della solidarietà!

Uno dei bersagli preferiti dai cittadini, che pensano di aver motivi per lagnarsi dei servizi sociali e in generale del funzionamento di tutta la complessa organizzazione della vita di una città, sono gli amministratori e i politici in genere.

Io scopro di appartenere purtroppo a questa gente e a questo modo di reagire a disservizi o ai comportamenti e regole che non mi piacciono o che non condivido per motivi particolari.

In questi giorni, pur tardivamente mi pare di avvertire che tutto questo non è proprio assolutamente giusto che avvenga. Da un lato perché le sfaccettature della vita sociale sono pressoché infinite, e i modi di pensare altrettanto diversificati, ma soprattutto perché ogni volta che vengono toccati gli interessi veri o presunti o semplicemente le situazioni stratificate nel tempo, la valutazione del bene comunque passa all’ultimo posto ed emergono gli interessi personali, che praticamente pare escludano in partenza ogni senso di giustizia e di solidarietà.

Le mie perplessità sono nate dal fatto che l’annuncio del sogno di creare a Mestre “La cittadella della solidarietà” ha entusiasmato un giornalista de “Il Gazzettino” ed un responsabile Rai 3, persone però che hanno dato una valutazione meramente teorica all’iniziativa, ma che ha provocato la reazione immediata di un prelato che ha ritenuta scavalcata la sua autorità e di un cittadino, che abita nei paraggi del sito proposto per la sua realizzazione, che teme che venga turbata la pace di un quartiere privilegiato e che non esitava a denunciare “l’iniquo progetto” alla stampa, al sindaco, e perfino al nuovo governatore del Veneto e al Patriarca, tutte persone che per posizione sociale dovrebbero essere i fautori più convinti di un simile progetto.

Tutto questo è avvenuto solamente per la notizia di un sogno di un gruppetto di idealisti, però ciò può dare la misura di quello che avverrebbe se si cominciasse a calare a terra il sogno! L’egoismo è mille volte più pernicioso e radicato dalla magia, ma mentre questa è osteggiata dalla forze dello Stato, l’egoismo pare possa vivere indisturbato nella coscienza dei benpensanti!

Le battaglie si vincono se sono conformi alla volontà di Dio

Anche il più vecchio periodico della città si è allineato ai tempi nuovi: col formato tabloid e pagine su pagine a volontà!

Un tempo i giornali vecchi erano destinati alle funzioni di carta igienica e ad avvolgere cibi ed indumenti. Ora queste destinazioni sono sconsigliate, motivo per cui questo spreco di carta non trova più giustificazione per il cittadino medio che non può dedicare più di un quarto d’ora al giorno alla lettura del periodico.

Qualche giorno fa m’è venuto da riflettere sul costo e sulla destinazione della carta; oggi se ne spreca troppa per passare notizie di poco conto, che non fanno cultura, non educano ai valori civili e morali, e soprattutto non trasmettono assolutamente saggezza.

Questa riflessione è nata dal confronto delle quaranta pagine de “Il Gazzettino” tutte piene di futilità, di notizie inutili anzi dannose e le due paginette della Bibbia che ho letto durante la messa celebrata nel pomeriggio nella nuova chieda del cimitero.

La prima lettura era tratta dagli atti degli apostoli, un testo di duemila anni fa e riportava un breve discorso di Gamaliele, un maestro di Israele. Diceva Gamaliele ai colleghi del Sinedrio in rapporto alla loro proibizione fatta agli apostoli di non propagare la nuova dottrina che si rifaceva a Gesù: “Badate cari colleghi, se questa dottrina è di natura puramente umana essa si dissolverà in poco tempo come è avvenuto ad altre recenti iniziative del genere, ma se essa pervenisse dal Cielo è tutt’altra cosa, che non vi capiti di trovarvi a combattere contro Dio!”

Questi sono discorsi che contano, che rendono gli uomini più sapienti altro che il mare arruffato di chiacchiere de “Il Gazzettino”!

Il discorso conciso di Gamaliele mi sta mettendo in crisi.

Povero me se tentassi di portare avanti iniziative, sogni e progetti non conformi alla volontà di Dio, sarebbero queste battaglie perdute già in partenza!

I due principi alla base delle mie inizative sociali

Nel giro di una settimana mi è stato richiesto dall’Università della terza età prima e da RAI3 dopo un’intervista televisiva sui progetti e sulle strutture di solidarietà che mi stanno a cuore e di cui mi occupo attualmente. L’Università della terza età, alla fine di un corso si riproponeva di realizzare un servizio televisivo sul rapporto tra indigenza e solidarietà a Mestre, mentre RAI3 era interessata al progetto di cui la stampa aveva parlato; cioè della “cittadella della solidarietà” ossia di un luogo in cui si diano risposte concrete ad ogni tipo di bisogno: ostello, mensa popolare, emporio di vestiti, un'”Ikea” per i mobili, di arredo per la casa, un centro di distribuzione di generi alimentari e di supporti per gli infermi.
Tutto questo esiste già, anche se non completamente, presso il Centro don Vecchi, ma esiste in maniera sacrificata ed in ambienti inadeguati, mentre noi sognamo un centro pensato e realizzato con questa finalità specifica.

In ambedue queste occasioni gli intervistatori mi hanno chiesto il movente che mi spinge a queste “missioni impossibili” e dove trovare i mezzi economici per realizzarle. Sono felice di mettere a fuoco queste due questioni di fondamentale importanza.

Primo; è mia assoluta convinzione che l’essere cristiani comporta una fede forte e convinta in Dio ed una solidarietà concreta verso il prossimo. Mi pare che su questo punto Cristo sia stato chiaro; considero quindi un aborto cristiano la pretesa e l’illusione d’essere cristiani senza essere concretamente solidali verso il prossimo.

Secondo; l’impegno a sviluppare strutture e servizi di solidarietà non deve partire ed appoggiarsi sui mezzi che abbiamo a disposizione, ma sui bisogni che il prossimo ha. Questo l’ho imparato dal miracolo della moltiplicazione dei pani. Cristo quando disse agli apostoli: “Provvedete a dar da mangiare alla folla”, conosceva bene la situazione economica inadeguata dei suoi discepoli, ma conosceva ancor meglio la fame dei suoi ascoltatori.

Questi due principi hanno sempre sorretto le mie iniziative sociali, e questi due principi si sono sempre mostrati estremamente validi!

Una riflessione per gli ammalati

Qualcuno mi ha accusato di essere stato uno stacanovista, qualcuno ha supposto che lo sia per mettermi in mostra e risultare un protagonista, qualche altro, più benevolmente, ha addebitato il mio impegno al tipo di carattere e di temperamento affidatomi dalla natura e quindi dal buon Dio.

Oltre la questione della vita pastorale della chiesa del cimitero e quella dei Centri don Vecchi, ogni settimana curo l’uscita de “L’incontro”. Ogni 15 giorni, curo l’uscita del “Coraggio” il periodico degli infermi ed ogni mese del periodico “Sole sul nuovo giorno”, un brano di forte impatto emotivo e di pensieri per una meditazione quotidiana.

Perciò la mia mente è in costante movimento per cercare idee, verità, valori e chiavi di lettura della vita e delle problematiche connesse.
Tento di cogliere le verità e le risorse che nascono dalle esperienze che la vita mi offre per offrirle a mia volta ai lettori e ai miei concittadini.

L’ultima esperienza forte di queste ultime settimane è stata certamente per me il ricovero nella clinica universitaria patavina e dell’intervento che ho dovuto subire. L’impatto con queste due realtà è stato certamente forte ed ora, durante questa faticosa convalescenza, sto cogliendone soprattutto gli aspetti positivi per metterli semmai a disposizione del mio prossimo che fortunatamente potrebbe coglierne i lati positivi senza passare per la faticosa ed amara esperienza.

Vorrei scrivere un articolo per “Coraggio” per aiutare gli ammalati a leggere e beneficiare del rovescio della medaglia di un forzato ricovero in ospedale.

Le linee portanti di questo articolo potrebbero essere: 1) La presa di coscienza di quale dono meraviglioso sia la salute. 2) La bellezza nascosta ma vera della vita normale che spesso appare banale e scontata. 3) L’apporto e il ruolo insostituibile che giocano le persone che ci stanno accanto e la cui amicizia ed affetto diamo per scontati. 4) Il valore assoluto della solidarietà di tanti attori della vita sociale, che sola può risolvere le problematiche specifiche della malattia. 5) Il punto fermo rappresentato dalla fede, punto che emerge in tutta la sua ricchezza nel momento in cui l’individuo è più fragile e in balia di forze oscure e sconosciute. Spero che questa riflessione possa aiutare, soprattutto chi è ammalato, a far tesoro della sua esperienza faticosa e difficile!

Incontri sulla soglia dell’eternità

Attualmente il parroco o il sacerdote viene chiamato assai raramente dalle famiglie che hanno in casa un moribondo.
Da giovane prete non erano infrequenti le chiamate notturne per impartire l’estrema unzione.

Oggi la stragrande maggioranza dei fedeli muore in ospedale ed anche là il sacramento è impartito ormai quando il moribondo è fuori di coscienza. Solamente la visita frequente agli ammalati, e soprattutto agli infermi, permette una preparazione dolce e serena a ricevere i sacramenti del perdono.

Nella mia lunga vita di sacerdote, più di mezzo secolo, tutto impegnato nella cura pastorale, frequentemente ho impartito questo sacramento della misericordia di Dio, ma alle spalle del sacro rito c’era sempre stata una lunga frequentazione ed un rapporto divenuto col tempo assai amichevole e ricco di fiducia e di affetto.

Porto un bellissimo ricordo di certi incontri fatti sulla soglia dell’eternità, di grande soavità interiore e ricchi di fede e di speranza. Oggi i preti prediligono l’amministrazione “in batteria” dell’olio degli infermi, soluzione che mi lascia alquanto perplesso perchè corre il grosso pericolo di essere anonima, formale e mai calibrata sulla personalità del moribondo.

Qualche giorno fa la moglie di un ex parrocchiano mi ha chiesto di rispondere al desiderio del suo congiunto di ricevere il segno del perdono e dell’amore di Dio.

L’estate scorsa avevo amministrato il sacramento del commiato a suo cognato, ch’era stato mio alunno al Pacinotti e certamente era stato edificato per la compostezza, la serenità e l’abbandono fiducioso nelle braccia paterne del Padre.

Oggi volle anche lui seguirne l’esempio alla presenza della sua adorata e splendida consorte, sono stato veramente sorpreso come un cristiano, senza troppe conoscenze ecclesiali, sapesse affrontare il mistero della morte illuminato e sorretto dalla fede e da una forte saggezza e coraggio umano.

Ho donato due pietre preziose ai fedeli

Ai nostri giorni nessuno si illude di avere l’opportunità di scoprire un tesoro, al massimo può permanere solamente l’illusione di vincere all’enalotto, ma in questo caso uno non ha che da rimetterci! Tra i sognatori che sperano nel “colpaccio”, la stragrande maggioranza pensa che “il tesoro” consista nel denaro, o perlomeno in un posto di lavoro assai remunerato; sono purtroppo poche le persone convinte che anche il possesso di una speranza, di un valore, di una certezza possa costituire una vera fortuna per chi riesce ad appropriarsene.

Io sono proprio convinto che le cose stiano così perché rimane vera e saggia la preghiera biblica in rapporto ai beni materiali: “Signore non darmi né la miseria né la ricchezza, ma concedimi invece quello che mi è necessario per vivere.

Qualche giorno fa ha destato una certa sorpresa la mia affermazione durante la celebrazione della messa.

Dissi: “Oggi siamo in grado di offrire ad ognuno di voi due pietre preziose di immenso valore”. Avevo appena letto un pagina di San Giovanni e dopo aver affermato “Parola di Dio!” e chiuso il Vangelo, ho preso la parola per mettere cornice all’affermazione di Cristo appena letta di cui ero pienamente convinto che aveva dato ebbrezza al mio spirito.

Ecco le due splendide verità:
Prima. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”
Seconda perla preziosa: “Dio non ha mandato il figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui”.

Confesso che se avessi avuto 10.000 euro da offrire ad ognuno della trentina di fedeli presenti alla messa, non sarei stato più felice che l’offrire queste due perle evangeliche, che conoscevo già ma che ne riscoprivo la splendida bellezza.

Queste affermazioni sono veramente un tesoro!
Questa è la mia religione, questa è la religione che salva da una vita carica di tristezza, di povertà, di paura, di vuoto e di assenza di domani!

Cristo è venuto a dirci che ci ama comunque, e a rassicurarci che il suo mandato è quello di salvarci, e non di condannarci senza appello.

I fedeli mi hanno ascoltato attenti e partecipi, mi auguro che ne traggano tutte le conclusioni e si comportino in merito; io ho tutta l’intenzione di avvalermi di questa ricchezza!

C’è chi mi apprezza e chi no…

Temo che molti dei cosiddetti confratelli preti, pensino non favorevolmente nei miei riguardi.

Qualche tempo fa l’architetto Giovanni Zanetti, che sta seguendo tra mille difficoltà il progetto del Centro don Vecchi di Campalto, quasi a giustificare i ritardi in cui è incorso e volendoli addebitare alla burocrazia comunale, mi ha confidato con un certa aria che pretendeva comprensione per suddetti ritardi: “Sa don Armando, lei ha tanta gente che la stima e le vuol bene, ma altrettanta che la rifiuta e la osteggia!” Sono ben consapevole che le cose stanno così per molti degli aspetti della mia vita: non mi si perdona la mia insistenza nel portare avanti comunque e nonostante tutto la causa dei poveri, non si condivide la mia libertà di giudizio e talvolta il mio rifiuto nei riguardi di una religiosità formale, non si giudica di buon occhio il mio impegno nonostante l’età che ho raggiunto, non si giudica spesso favorevolmente il mio “diario” in cui non avallo sempre le posizioni cattoliche altrettanto non condanno sempre gli atteggiamenti e le tesi portate avanti dai laici, e non mi accodo all’opinione pubblica religiosa imperante.

Ci sono alcuni parroci che sono talmente diffidenti e in posizioni critiche da non permettere che “L’incontro” sia messo a disposizione dei fedeli nel banco della stampa delle loro parrocchie nonostante non chieda loro un centesimo e paghi tutti i costi in fatica e in denaro, mediante la mia piccola pensione e il contributo degli amici, non gravando in alcun modo sul bilancio delle parrocchie e men che meno su quello della Curia. Confesso che è un po’ duro andare avanti tra questa indifferenza e peggio ancora tra questa più o meno manifesta ostilità.

Fortunatamente ci sono cittadini che la pensano diversamente e lo manifestano gremendo letteralmente la mia chiesa e scrivendomi lettere come questa che oggi allego:

Non sono religiosa (non me ne vanto, penso anzi che chi crede ed ha fede possegga un qualcosa più di me). Leggo “L’incontro”, che trovo acquistando il quotidiano.
Con questa mia e-mail sento il bisogno di complimentarmi per il “Diario di un prete in pensione”.
Quando leggo mi lascio trascinare da un argomento all’altro, da considerazioni di vario tipo che, direi quasi quasi non scritte da un prete, tantomeno da un prete non più giovane….
Davvero, magari ci fossero tanti preti come lei. Diteglielo per favore. Grazie.