Efficienza e bellezza

Io sono molto orgoglioso che Mestre, il brutto anatroccolo di Venezia matrigna, abbia finalmente un ospedale che s’impone da un punto di vista architettonico ed estetico. “L’Angelo” è forse l’unica struttura costruita nel dopo guerra che colpisce chi è dotato di un pizzico di gusto estetico.

Mi piace la torre Maya che si offre allo sguardo dello spettatore nel contesto della nostra bella campagna senza però incombere su di essa, mi piace la collinetta verde con i suoi piccoli cipressi affusolati che sembrano pungere l’orizzonte, mi piace anche l’interno dell’ospedale così accogliente e riposante. Entrando l’impatto che se ne riceve è ben diverso da quello che si prova in un nosocomio dove l’odore pungente di disinfettanti ti colpisce sgradevolmente e dove non puoi fare a meno di notare il trascinarsi delle anime stanche dei pazienti. Il nostro ospedale offre la sensazione di un giardino ben curato, riposante per gli occhi e per l’anima. L’Angelo poi ogni giorno si presenta come nel giorno dell’inaugurazione: squadre di dipintori rinfrescano continuamente le pareti, i giardinieri curano il giardino pensile e i prati mentre gli operatori ecologici raccolgono fino all’ultima cicca o carta di caramella abbandonata per terra dai soliti maleducati di turno.

Il governatore Zaia ha brontolato più volte contro la bellezza dell’Angelo ma Zaia è della scuola di Salvini, lo zoticone sboccato e volgare segretario della Lega. Sarebbe però giusto e doveroso che alla bellezza si accompagnasse anche l’efficienza e l’eccellenza dei professionisti che vi operano. Io, non sono in grado di esprimere giudizi perché non ne ho la competenza però, per quello che riguarda le mie esperienze personali, non posso dire che bene. Credo comunque che sia convinzione comune che la bellezza non guasti mai e se fosse accompagnata anche dalla bravura degli operatori sanitari saremmo vicini a quell’optimum a cui naturalmente tendiamo.

Il foyer dopo vent’anni

La Fondazione sta studiando come utilizzare il Don Vecchi 6, la nuova struttura degli Arzeroni che ormai è giunta al tetto, struttura destinata a dare una risposta alle criticità abitative. Dei nuovi sessantacinque alloggi, quindici si era ipotizzato di destinarli ai congiunti degli ammalati, provenienti da altre città, ricoverati negli ospedali mestrini. Questo progetto è nato più di vent’anni fa sotto il nome “Il Samaritano”. A quel tempo vi erano molti ammalati che dall’Italia meridionale venivano a Mestre per farsi operare dal prof. Rama e quindi il problema era quanto mai sentito.

Sapevo dell’esistenza di questa esigenza anche in altre città ma la goccia che mi ha spinto a questa scelta impegnativa fu un episodio di carattere familiare. Un mio nipote, nato con una malformazione cardiaca, dovette subire un intervento chirurgico a Milano e mia sorella che lo accompagnò in ospedale, dovendo trattenersi per qualche giorno, cercò un luogo dal costo contenuto. Seguendo il consiglio di una persona che la prese troppo alla lettera si ritrovò in un asilo notturno dove trascorse una notte da incubo fra i barboni. Mi detti tanto da fare che Cacciari mi affidò diecimila metri quadrati di un’area a ridosso dell’Ospedale dell’Angelo, sennonché il progetto di cura protonica, destinato a fornire terapie agli ammalati provenienti anche da altre regioni dell’Italia Settentrionale, finì nel nulla e l’Angelo, che doveva diventare un ospedale di eccellenza, non decollò.

Nell’attesa di realizzare il progetto, l’appartamento di Via Girolamo Miani con dieci posti letto più soggiorno e cucinotto, grazie ad alcune donne semplicemente meravigliose che lo condussero con stile più che familiare, per vent’anni funzionò egregiamente ad un costo di dieci euro a notte come casa di ospitalità che denominai “Foyer San Benedetto”. Ora esso pare più che sufficiente a rispondere alle esigenze attuali perciò la Fondazione mi ha affidato l’incarico di verificare se le quindici stanze della nuova struttura, destinate a questo scopo, sono ancora necessarie. Qualche giorno fa, per scrupolo di coscienza, mi sono recato a visitare il “Foyer” e, a parte le scale che mi sono sembrate come quelle del Campanile di San Marco, cosa di cui vent’anni fa non mi ero accorto, ho trovato l’ambiente pulito, ordinato, profumato di casa e soprattutto ho incontrato Teresa, la giovane donna che ora lo gestisce e che illumina la casa di freschezza e di umanità. Non solo non sono rimasto deluso ma sono ancora entusiasta di questa mia creatura.

32° edizione e sessantamila copie

Per grazia di Dio l’attività imprenditoriale dell’Editrice Carpinetum va a gonfie vele! Gli amici sanno che quella che noi, “per amor di Patria”, amiamo chiamare “Editrice L’Incontro”, sforna ogni settimana cinquemila copie del settimanale “L’Incontro”, cinquecento copie del foglio “Il Messaggio di Papa Francesco” che riporta il sunto delle omelie più significative del Sommo Pontefice, trecento copie del settimanale liturgico “Incontro domenicale della comunità cristiana con la Parola di Dio” e ogni mese duecentocinquanta copie del mensile “Sole sul nuovo giorno”.

Oltre a questi periodici, l’Editrice è alla trentaduesima edizione de “Le preghiere e le principali verità e norme cristiane” portando questo opuscolo, di sedici pagine in formato A6, a una tiratura di sessantamila copie, tiratura che è in continuo aumento in virtù della diffusione anche al di fuori della diocesi.

La fortuna di questo opuscolo pensiamo poggi sul fatto che riporta le preghiere del mattino e della sera, le principali verità di fede che oggi non si insegnano quasi più al catechismo e le norme fondamentali per la vita di un buon cristiano.

Attualmente la maggior richiesta ci proviene dall’ospedale dell’Angelo dove alcuni volontari, che prestano servizio all’interno dell’ospedale, offrono l’opuscolo agli ammalati. Molti degenti hanno dimenticato queste preghiere e, grazie all’opuscolo, hanno la possibilità di riscoprirle e di pregare trovando il conforto necessario a superare o almeno a sopportare il difficile momento che stanno vivendo. Se esistesse qualche forma di collaborazione con i responsabili della pastorale ospedaliera, l’opuscolo potrebbe diventare uno dei più facili ed efficaci strumenti di apostolato. Attualmente stiamo studiando e cercando di ottenere il permesso per collocare, sia a Villa Salus che al Policlinico, dei piccoli espositori per rendere ancora più facile l’offerta pastorale, che è pressoché l’unica che viene fatta nei nosocomi della nostra città.

Autonomia solidale

La cautela non è mai troppa in qualsiasi occasione e di qualsiasi cosa si stia parlando. Quando si è costruita la famosa “Torre Maya” che doveva diventare finalmente il nuovo ospedale – che poi con mia sorpresa si chiamò “L’Ospedale dell’Angelo” – scoprii che nel mondo imprenditoriale e dell’economia, fra i tanti modi per finanziare un’opera, c’è anche quello della “finanza di progetto”.

In realtà, quando si parla di questo tipo di contratto, lo si definisce con due parole inglesi, che per me che ho studiato solamente un po’ di francese durante la guerra, suonano come qualcosa di misterioso e di sorprendente. Comunque si tratta di una soluzione che permette di costruire un’opera grandiosa a buon mercato.

Il direttore della Ulss di allora, il dottor Antonio Padoan, presentò questo marchingegno finanziario come qualcosa di estremamente conveniente e risolutivo, anzi come qualcosa di prodigioso. Ora però che i cittadini hanno “licenziato” Galan, che era “la spalla” dell’ideatore dell'”Angelo”, sostituendolo con il governatore Zaia e che i rapporti tra Forza Italia e la Lega non sono idilliaci come allora, pare non solo che la soluzione di “finanza di progetto” non sia più per nulla conveniente, ma che sia perfino svantaggiosa e che l’aver costruito un’opera bella sia contro gli interessi della nostra società. Ho sentito almeno un paio di volte Zaia fare affermazioni del genere nei riguardi del nuovo ospedale.

La politica del nuovo governatore del Veneto pare più pragmatica, cosa comprensibile in un momento di grave crisi economica. Mi spiace però che il rifiuto del tipo particolare di finanziamento col quale s’è costruito l'”Angelo” finisca per stroncare anche l’architettura dell’unica opera di pregio che dall’ottocento in poi s’è costruita a Mestre.

Che l'”Angelo” sia costato tanto; che si sarebbe risparmiato facendo un debito con le banche, non discuto; però che si rifiuti l’unica struttura bella esistente a Mestre come una disavventura, mi dispiace davvero. Se dovessi accompagnare qualcuno che volesse visitare la nostra città, non saprei proprio dove portarlo se non a vedere la “Torre Maya” dell’Ospedale dell’Angelo. Col suo bel giardino pensile tra le dolci e leggiadre collinette trapunte di cipressi e i suoi due laghetti, è veramente bella.

Caro Zaia, lei avrà tutte le buone ragioni di questo mondo per risparmiare, però lasci stare questa unica “perla” tra le tante brutture e volgarità di Mestre, anche se fosse stata costruita da un dissennato sperperatore di pubblico denaro!

26.12.2013

L’uovo di Colombo

Mio padre, buonanima, specie da anziano, ritornava spesso sugli stessi argomenti. In questi giorni di caldo afoso, per associazione di idee, ne ho ricordato uno che mi spinge ad azzardare un suggerimento molto elementare alla direzione sanitaria dell’Ospedale dell’Angelo per risolvere l’annoso problema del sovraffollamento.

Premetto il raccontino piacevole ed arguto di mio padre. Diceva papà che Cristoforo Colombo, lo scopritore dell’America, era uno spirito arguto ed intelligente, e raccontava con dovizia di particolari il famoso aneddoto dell’uovo: «Colombo invitò alcuni amici a far stare in piedi un uovo posato verticalmente su un tavolo. Provarono tutti, ma inutilmente, l’uovo sbandava a destra e a sinistra nonostante ogni tentativo. Allora gli amici dissero a Colombo: «Provaci tu!” e Colombo, con fare disinvolto, schiacciò leggermente l’uovo, il guscio s’incrinò e l’uovo rimase in piedi fra la sorpresa di tutti».

Vengo all’annoso problema del pronto soccorso. Io mi reco in questo reparto dell’Angelo due volte la settimana per portare “L’Incontro” e lo trovo sempre sovraffollato. Recentemente hanno cambiato la sistemazione interna ed avendo distribuito in luoghi diversi i pazienti in attesa, sembra che ci sia meno gente, ma il problema rimane perché c’è sempre sovraffollamento e i giornali criticano questa situazione ormai endemica.

Pochi giorni fa incontrai Domenico, il caposala del reparto. Domenico è un ragazzo intelligente, pieno di buona volontà, intraprendente e brioso nell’eloquio. Gli chiesi come si potrebbe risolvere questo inghippo. Lui mi ha fatto un’intera lezione sulla dottrina su cui poggia l’accoglienza del pronto soccorso, mi parlò dei codici – bianco, verde e rosso -, del metodo adottato per scegliere i pazienti secondo la gravità: il famoso “triage” della precedenza data sempre al codice rosso che indica il maggior pericolo, e mi disse ancora che chi intasa il pronto soccorso sono i “codici bianchi”, ossia quei pazienti che vanno all’ospedale per uno starnuto, per una puntura di zanzara, pazienti che sono poi costretti ad attendere una, due, cinque ore e più.

Ora sono tentato di suggerire a questo brillante caposala e alla sua direzione la soluzione dell'”uovo di Colombo”. Se si attrezzasse un ambulatorio con un medico intelligente, spiccio e risoluto ed una infermiera di supporto e qui vi si avviassero i “codici bianchi”, ossia i malati immaginari o quasi e questo medico desse ad uno un punto, ad un altro un cerotto, ad un altro una pastiglia – magari placebo – ad un altro ancora una carezza, fissando al medico un tempo massimo per paziente dai tre ai cinque minuti, o si facesse con lui un contratto a cottimo – cinque euro per paziente, credo che “l’uovo starebbe in piedi con sorpresa di tutti. E finalmente il pronto soccorso diventerebbe pronto soccorso e non eterno soccorso.

14.08.2013

Un’esperienza positiva al pronto soccorso de L’Angelo

Le mie esperienze sul mondo della sanità sono fin troppo frequenti. Non ne ho terminata una che già la successiva è alla porta.

Non ritorno sulle esperienze pregresse, perché sono fin troppe. Sento però di dover mettere qualche riga di nero su bianco sull’ultima, su quella, purtroppo, ancora in corso. Lo faccio soprattutto per fare una giusta e doverosa riparazione.

Più volte, nel mio vagabondaggio sulle pagine di questo diario, ho accennato alla delusione che da un paio di anni sto provando in merito al nuovo ospedale. “L’Angelo” è certamente la più bella struttura architettonica della nostra città. Il nuovo ospedale di Mestre è magicamente bello, nella sua collocazione fra le collinette trapunte dai giovani cipressi e i laghetti, piccole perle d’acqua. E’ bello per la sua struttura ardita, ma nello stesso tempo rasserenante, perché coniugata in maniera magistrale col cielo, col verde delle piante. Offre un’atmosfera calma ed intima.

Nonostante questo, però, s’è attirato e sta ancora attirandosi critiche a valanga. Non sto qui, per carità patria, ad enumerarle. Ce n’è una però, una dominante assoluta, incontrovertibile: l’affollamento e le attese al pronto soccorso. Io ne sono testimone perché, due volte la settimana, ci vado per portare “la buona stampa”.

Qualche giorno fa ci sono andato una volta ancora non da visitatore ma da paziente. Una caduta da vecchiaia mi ha costretto a rivolgermi al pronto soccorso dell'”Angelo”. Ho atteso un quarto d’ora, sono stato visitato da un giovane medico, preparato, cortese, che ha fatto la sua diagnosi, ha chiesto un consulto di un collega neurochirurgo per implicazioni alla spina dorsale, altro professionista preciso e puntuale, m’hanno fatto una schermografia. Tutto l’apparato formato da medici, infermieri, tecnici e portantini mi è parso scorrevole, efficace e puntuale. Finita la trafila è arrivata l’ambulanza con i volontari della croce verde, persone simpaticissime e semplicemente meravigliose, che con cura ed attenzione a non frantumare la mia fragilità, m’hanno deposto sul mio letto.

Posso affermare che nulla, proprio nulla si sarebbe potuto far meglio e più velocemente. Certamente c’era, assieme a me, un’altra quarantina di “infortunati” che attendevano tutto quello che era stato fatto a me. Mi rimane il dubbio che tanta premura sia stata dovuta al fatto di essere un raccomandato di ferro per gli appoggi su cui posso contare e sulla mia “fama”. Questo però è solo un mio dubbio!

Un buco nell’acqua!

Il lunedì e il venerdì mi sento un po’ dipendente dalle Messaggerie venete, perché sono i due giorni in cui mi sono assunto il compito di rifornire di giornali “i chioschi” dell’Ospedale dell’Angelo. In assoluta autonomia dalla filiera della pastorale ospedaliera, e da essa inosservato ospite, porto centinaia di copie de “L’incontro”, de “Il sole sul nuovo giorno”, delle “Principali preghiere e verità della nostra fede” e del volume “L’albero della vita” che riguarda l’esperienza del lutto, letta dall’angolatura della fede.

Comincio col grande espositore posto sulla parete esterna della cappella, caricandolo per ben due volte la settimana delle variopinte copertine dei periodici dell’editrice de “L’incontro”. A me piace l’ordine e la simmetria, per cui l’espositore lo concepisco come una tela dipinta “alla De Chirico”. Passo poi al primo piano, ove scarico “la buona stampa” nei banconi vicini alle sedie in cui sostano i pazienti in attesa che il loro numero compaia negli schermi appositi per la visita.

Ormai ho acquistato il monopolio degli spazi, perché tutta la concorrenza laica e soprattutto quella religiosa è assolutamente scomparsa dalla scena; in verità quest’ultima non è mai stata purtroppo presente.

Infine scendo al tormentato ed affollato Pronto soccorso, ove carico un piccolo espositore. Quindi prendo la mia “Punto”, pago il biglietto, perché mi è stato concesso questo “favore”, ed imbocco la strada che passa davanti alla sempre deserta stazione ferroviaria. Alla prima svolta a sinistra non manco mai di dare un’occhiata al campo arato di fresco, ove doveva sorgere la struttura di accoglienza per i famigliari degli ammalati, a somiglianza di quanto avviene ad Aviano, Padova, Belluno e tanti altri ospedali d’Italia.

Povero “Samaritano”!, così l’avevo chiamato il progetto relativo.

Presto sul campo arato spunterà il granturco, ove Cacciari, Padovan, Vecchiato e tutta la “compagnia cantante” mi avevano promesso il terreno prima, e poi perfino la struttura costruita. Un’altra delusione della politica e dell’amministrazione civica veneziana! Tanto fu grande la Serenissima, altrettanto è piccola la Venezia dei nostri giorni. L’offerta furba e vuota di Causin è ora vuota ed incolta, quella di Cacciari è invece arata.

Guardando questi due appezzamenti dei miei sogni mi viene perfino da pensare che la delusione sia stata provvidenziale, perché pare che siano ormai così pochi gli ammalati che vengono da lontano, ma anche da vicino, che il “Samaritano” sarebbe un buco nell’acqua.

Spero che qualcuno curi l’”Angelo”!

Sono arrivato a Mestre nel pomeriggio di una fredda giornata di febbraio del 1956. Monsignor Da Villa, l’epico cappellano militare dei nostri soldati del fronte libico, mi aveva notato durante uno dei miei interventi liberi e appassionati, ad un incontro di preti e pensò che quel giovane prete irruente potesse andar bene per la gioventù di San Lorenzo, ove lui era parroco.

Quindi da più di mezzo secolo sono partecipe delle vicende del “borgo” che per tanti anni visse, quasi in torpore, ai margini della “capitale” e che dopo la guerra, quasi per incanto, si scoprì città: povera, poco importante, ma città!

Devo confessare che mi sono sempre lasciato coinvolgere dalle vicende di Mestre, mai sono stato alla finestra a guardare, ma sempre mi sono buttato nella mischia degli eventi. L’esser stato poi accanto e l’aver strettamente collaborato con don Vecchi, che tenne a battesimo la “nuova Mestre”, ha fatto si che io senta Mestre come la mia città e che l’ami profondamente.

Non so quanti decenni servano a Mestre per arrivare alla pienezza di vita cittadina come le consorelle: Padova, Vicenza e Treviso, ma sono convinto che perlomeno ora lo stia tentando.

Il nuovo ospedale credo che sia un tassello significativo di questa crescita. Sono orgoglioso della “torre maya”, della splendida collinetta trapuntata di cipressi, del laghetto e dello splendido giardino pensile, meno entusiasta delle vicende gestionali che la stampa denuncia un giorno si e un giorno no.

Il mio amore però mi rende esigente, tanto da non essere capace di temperare il mio sdegno quando mi accorgo che questa splendida impresa corre il rischio di fallire e di diventare una patacca. Mi reco due volte la settimana al “pronto soccorso” che in realtà è pochissimo “pronto” e forse altrettanto poco “soccorso”.

Ho letto e riletto che ogni anno ottantamila persone vi accedono, che c’è gente che vi si reca per un foruncolo o uno starnuto. Sta di fatto però che suonano come una beffa le corse a sirene spiegate delle ambulanze e poi le attese interminabili nelle affollate sale di attesa. Se la cosa si fosse verificata nei primi mesi, pazienza; ma ora pare sia un male endemico e che quindi ci sia assoluta necessità di un farmaco o di un intervento chirurgico d’urgenza, ma risolutivo!

Mestre di fiori all’occhiello non ne ha troppi, io mi sto dando da fare perché il “don Vecchi” resti tale, però spero che ci sia chi faccia altrettanto per il nostro “Angelo”!

I nostri periodici per la pastorale in ospedale

La rete della distribuzione de “L’incontro” è un po’ complessa e rimane misteriosa anche per me che ne dovrei essere il responsabile.

Di sicuro ci sono alcuni volontari che ritirano e distribuiscono in punti fissi una certa quantità di copie; talvolta poi, quando s’accorgono che sono esaurite, ritornano per un supplemento. Ma quanti ne portano via mi sfugge totalmente. Una gran parte di copie sono ritirate dalla chiesa del cimitero anche da volonterosi sconosciuti e vengono distribuite nei luoghi più impensati, secondo criteri suggeriti dalla loro sensibilità religiosa.

Io mi sono riservato di portare “L’incontro” all’Ospedale dell’Angelo, un po’ perché la quantità è davvero considerevole ed un po’ perché, pur avendone l’autorizzazione scritta a farlo dalla direzione, non vorrei che nascessero difficoltà; motivo per cui, due volte la settimana, il lunedì e il venerdì, rifornisco l’espositore accanto alla cappella e ne metto nei banconi dei ballatoi al primo piano. Ogni settimana, quindi, porto svariate centinaia di copie de “L’incontro”, del quindicinale “Coraggio”, del mensile “Il sole sul nuovo giorno” e del volumetto per l’elaborazione del lutto.

Debbo confessare che questo servizio mi fa sentire un po’ missionario in terre lontane e nello stesso tempo, mi dà la gioia profonda di far giungere ai duemila concittadini che vi vivono dentro, un segno del ricordo affettuoso della comunità ed un soffio del messaggio di Gesù.

Alcuni giorni fa ho appreso dalla stampa che finalmente è stato nominato un sacerdote quale assistente dell’ospedale, che si unirà al piccolo staff costituito dal diacono, dalla suora, dagli accoliti e dai numerosi volontari di matrice cristiana. Mi auguro che si trovi un’intesa per una sinergia ed una collaborazione per cui la pastorale in ospedale si avvalga di tutte le componenti che già danno la loro opera preziosa, ma che forse renderebbero meglio e di più se trovassero il coordinamento necessario.

Io sarei ben felice di dare voce, mediante i nostri periodici, ad ognuna di queste componenti, in modo che la proposta di speranza e di consolazione che sgorga dal Vangelo possa raggiungere ogni paziente ed ogni operatore sanitario.

Dubbi e timori sull’Angelo

Più di un amico o di un lettore de “L’incontro” mi ha fatto osservare che non capiva o non condivideva la mia ammirazione, per nulla nascosta, per l’Ospedale all’Angelo di Mestre. E’ vero che da un lato ero e sono ancora orgoglioso che finalmente a Mestre, città condannata ad essere un sobborgo e dormitorio – ora del turismo lagunare e, prima, dell’attività industriale di Marghera – si fosse finalmente fatto qualcosa di bello e da un altro lato mi rasserenava che la mia gente ed io potessimo contare su un ospedale di eccellenza come gli “addetti al lavoro” non perdono occasione di farci sapere.

Io frequento spesso l’ospedale, sia per motivi di ordine pastorale, perché due volte la settimana porto “la buona stampa”, sia per motivi di salute perché più di una volta sono stato ricoverato in questo ospedale per i guai che da qualche anno mi affliggono.

Da un punto di vista estetico la mia ammirazione non ha subìto crepa alcuna. La “piramide maya” dell’Angelo, l’oasi verde, ora più che mai rigogliosa ed accogliente, gli spazi di ampio respiro, l’entrata larga e funzionale che ti offre l’alternativa, ai soliti gradini, della scala mobile o del comodo ascensore, la collinetta verde trapunta di cipressi, il laghetto artificiale e il prato verde sempre ben rasato che sembra un soffice tappeto su cui posa delicatamente la struttura, mi pare facciano concorrenza ad un quadro del Pinturicchio. Tutto ciò continua ad incantarmi.

Dall’altro lato la stampa cittadina, che ogni giorno ti mette sott’occhio le scoperte, i primati, i risultati scientifici dei primari che vi lavorano, le eccellenze che si manifestano nelle varie divisioni, mi hanno sempre tenuto lontano e in posizione di rifiuto di certe voci malevole per l’angustia degli ambulatori, per il costo del posteggio, per la poca praticità delle “finestre”, per le critiche dei sindacati o per l’affollamento esagerato del pronto soccorso.

Ora però cominciano a far breccia certi dubbi per voci che non ci possono non preoccupare, quali la fuga dei primari o dei dottori più promettenti, la carenza della strumentazione, il mancato aggiornamento delle macchine. Queste voci, che spero siano solo critiche malevole, non mi possono lasciar tranquillo e cominciano col preoccupare anche me. Sono critiche che io non posso però verificare, ma il fatto che l’ospedale mi appaia come “il deserto dei tartari”, che i negozi non abbiano mai dentro un’anima viva, quando a Padova o il Ca’ Foncello di Treviso sembrano dei mercati brulicanti di gente, che senta a destra e a sinistra concittadini che vanno a farsi curare altrove, mi danno pensiero; mi spiacerebbe proprio scoprire che l’Angelo è una patacca e non un gioiello.

C’è chi cerca “aria di onestà, di ricerca appassionata di libertà interiore e di sano coraggio!”

Anche oggi, come faccio da quattro anni due volte la settimana, sono andato a portare nell’espositore vicino alla cappella dell'”Angelo” e nel grande ballatoio soprastante “l’oasi” verde, la produzione dell’editrice de “L’Incontro”.

Lunedì scorso avevo portato un migliaio di copie del settimanale, una cinquantina del volume “L’albero della vita” per l’elaborazione del lutto, una cinquantina di copie del libretto delle preghiere, un centinaio di copie di “Coraggio” ed una cinquantina del mensile “Sole sul nuovo giorno”.

Come avviene quasi sempre, non c’era più niente del grosso malloppo che avevo portato alcuni giorni prima.

Si potranno trovar fuori mille difetti e limiti della produzione letteraria della nostra editrice, ma non quello, e non è certamente poco, che le sue pubblicazioni non risultino gradite al pubblico della nostra città!

Sentivo in questi giorni che tutti i quotidiani, settimanali e mensili, anche a livello nazionale, subiscono un enorme calo, tanto che qualcuno è costretto a chiudere, mentre le nostre pubblicazioni, che certamente non competono con questi giganti della carta stampata, non solo non sentono questa crisi, ma sarebbero in costante aumento, se non fossimo trattenuti dalle difficoltà di carattere finanziario.

Una signora, qualche giorno fa, forse me ne ha dato un motivo credibile: «In quello che scrivete si avverte aria di onestà, di ricerca appassionata di libertà interiore e di sano coraggio!” Sono convinto poi che a questo si aggiunge che gli argomenti trattati non sono mai oziosi e marginali, ma vanno sempre al cuore della vita.

Gli acciacchi dell’Angelo

Il nuovo ospedale dell’Angelo mi è diventato un ambiente caro per molti motivi; perché spesso ne ho bisogno per i miei acciacchi, perché infermieri, medici e primari, sono sempre stati eccezionalmente premurosi e gentili nei miei riguardi, perché la struttura mi piace quanto mai, sia dal punto di vista funzionale che da quello estetico, infine e soprattutto perché il mondo della sofferenza credo debba meritare la più viva attenzione e disponibilità. Motivo per cui mi è causa di sofferenza quando leggo che i migliori medici se ne vanno, quando apprendo dalla stampa e da qualche confidenza che per motivi finanziari l’ospedale è in arretrato come strumentazione scientifica e perciò i medici sono costretti ad operare con strumenti tecnicamente superati mentre in città vicine non si bada a spese per avere una sanità all’avanguardia, soffro quando ho la sensazione che i vari comparti si muovano in maniera autonoma, non coordinandosi l’un con l’altro.

La mia preoccupazione diventa ancor maggiore quando tutto questo avviene nel settore dell’assistenza religiosa.

Il mio apporto attualmente avviene attraverso una serie di contributi a livello giornalistico. Due volte la settimana rifornisco, sempre a titolo gratuito, un espositore allestito, a questo scopo, e gli spazi della galleria d’attesa con 700-800 copie de “L’incontro”, ogni 15 giorni con altrettante copie di “Coraggio”, ogni mese con un centinaio di copie de “Il sole sul nuovo giorno” e sempre porto numerosissime copie di un opuscolo di preghiere e di un volume sulla elaborazione del lutto.

Credo che la catechesi e il messaggio cristiano passino all’Angelo soprattutto mediante questi veicoli, ma il tutto avviene in maniera solitaria, senza alcun coordinamento, senza strategia pastorale di sorta, mentre, a mio modesto parere, forse questo strumento è pressoché quasi l’unico a fare un discorso cristiano articolato e serio.

Talvolta ho la strana preoccupazione di essere quasi come il giapponese che non essendo stato informato che la guerra era finita, continuava ad essere un combattente solitario, ignaro che l’impegno cristiano forte e generoso è ormai terminato!

Non tutto è male nel nostro tempo!

Abbastanza normalmente l’opinione pubblica, ma anche noi cittadini, poniamo l’accento sugli aspetti negativi del nostro tempo, puntando il dito accusatorio sulle negatività dei nostri giorni.
Io, purtroppo, mi riconosco in questa categoria.

Non ci accorgiamo invece quasi mai di ciò che di positivo fortunatamente si può trovare, sia nella società civile, che nella chiesa.

Mi sono soffermato su questa costatazione, leggendo l’intervista che pubblico in questo numero de “L’Incontro”.

Il dottor Melazzini, oncologo di fama, colpito dalla Sla, afferma che piuttosto di soffermarsi su ciò che egli non riesce più a fare trova opportuno godere delle cose che riesce ancora a realizzare.

Il pensiero saggio di Melazzini, mi ha aiutato a leggere positivamente più di un aspetto nei miei rapporti con la chiesa e la società civile.

Qualche settimana fa uno dei miei ragazzi di un tempo, che ora fa il giornalista, mi ha messo in una posizione imbarazzante circa la delibera della regione che ha deciso di stipendiare i cappellani negli ospedali.

Forse io non mi ero espresso bene o forse lui ha interpretato male il mio pensiero per scrivere qualcosa di non scontato, comunque ne è venuto fuori che questo vecchio prete sempre bastian contrario, prima ha criticato le vacanze del Papa ed ora critica pure lo stipendio dei preti in cura d’anime in ospedale.

Io volevo solamente dire che ero un po’ deluso che tra i 200 preti e più frati che ci sono in diocesi non si sia trovato che qualcuno accettasse questo ministero così importante e delicato.

Per qualche giorno pensavo ad un intervento della curia nei miei riguardi, che mi dicesse che se il Patriarca ha firmato questo protocollo aveva le sue buone ragioni, mentre io avevo solamente una visione superficiale del problema.

Non è successo niente; ma mi sono chiesto se questo fosse accaduto cinque o sei secoli fa, cosa sarebbe successo? Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orleans fu mandata al rogo solamente perché si era messa i pantaloni e il Savonarola bruciato in piazza per delle affermazioni che ora sono usate per proclamarlo beato!

Andiamo! Non tutto è male nel nostro tempo! Talvolta si abusa della libertà di pensiero e di parola, comunque credo che sia immensamente meglio dell’inquisizione! Io sono ancora convinto che la storia dell’uomo stia percorrendo, nonostante tutto, un cammino ascensionale, ed io mi reputo veramente fortunato di vivere in questo tempo, altrimenti sarebbero stati guai!

Promesse, promesse e ancora promesse non mantenute per il Samaritano!

Qualche giorno fa una mia ex parrocchiana mi ha telefonato dicendomi che al marito, colpito nuovamente da un ictus cerebrale, avrebbe fatto molto piacere se gli avessi fatto una visita all’Angelo, il nuovo ospedale della nostra città. L’indomani della telefonata andai a far visita a questa cara persona che mi è sempre stata vicina con la sua simpatia e il suo affetto, durante tutti i 35 anni che sono stato parroco a Carpenedo.

Purtroppo le condizioni del paziente si erano talmente aggravate, per cui il conforto fu per sua moglie più che per l’infermo, ormai incapace di riconoscermi.

Comunque fu molto bello stare una mezz’oretta assieme, sentirci in famiglia ed avvertire sia la moglie, la zia presente, che io questo caldo affetto e questo clima di condivisione del dolore e della prova che pesava più sulle spalle della cara signora che su quello del marito, che praticamente era già entrato nella “vita nuova”.

Suddetta signora mi parlò anche del vicino di letto, un turista americano pure lui colpito da ictus mentre era in viaggio con sua moglie.

Il discorso portò la mia interlocutrice a chiedermi a che punto fosse il progetto del Samaritano, la struttura di accoglienza per la gente che giunge all’Angelo da lontano.

Gli risposi che purtroppo il progetto era ritornato in alto mare per i cattivi rapporti tra la Regione e il Comune, perchè sui pennoni di queste due realtà sventolano bandiere politiche diverse. Al che la signora aggiunse: “Sa, don Armando, la moglie di questo paziente alloggia nell’albergo, appena aperto qui vicino all’ospedale e paga 110 euro la notte, poi deve provvedere per il pranzo e cena”

Immediatamente mi si presentarono alla mente i volti di Cacciari, del Comune, Padoan dell’Ulss, Vecchiato assessore all’urbanistica, Fincato ai lavori pubblici, i loro progetti e le loro promesse. Forse sono ormai fuori dalla vicenda, perché un alto funzionario della Ulss è interessato ad affidare la questione di questo sogno ad una realtà a lui vicina.

Comunque ora che non ho più preoccupazioni per la chiesa, comincerò a premere sia per il Samaritano che per il don Vecchi di Campalto.

Con le elezioni vicine può essere non gradevole avere contro anche un vecchio prete, vecchio finché si vuole ma non stanco per impegnarsi per il prossimo!

Una città di cui essere orgogliosi

Io non brillo per obiettività, spesso mi accorgo di essere partigiano e di avere atteggiamenti, che pur non essendo dettati da motivi egoistici, non sempre hanno delle motivazioni razionali ben solide.

Vengo al motivo di questa confessione pubblica.

Mio cognato Amedeo, al chiudersi di una giornata passata serenamente, come tante altre con gli amici del don Vecchi, fu colpito improvvisamente da ictus che gli tolse immediatamente coscienza e che praticamente lo ridusse ad una vita puramente vegetativa.

Telefonammo al 118 e dopo una decina di minuti fu soccorso e portato all’Angelo. Andai il giorno dopo e lo trovai morente in una stanzetta linda, ordinata. Il primario l’aveva già visto e i medici stavano tentando le cure del caso, ma ben presto si capì che non c’era più nulla da fare.

Mia sorella e i miei nipoti lo assistettero giorno e notte per una quindicina di giorni più per un bisogno del cuore che per necessità od opportunità alcuna. L’Angelo è una struttura affascinante da un punto di vista architettonico, specie ora che le palme del giardino pensile si sono sviluppate in tutto il loro splendore, ma il servizio, la pulizia, la preparazione professionale dei sanitari, la premura e la gentilezza degli infermieri non è certamente da meno.

I miei quattro nipoti che lavorano nel mondo dell’aria, quali piloti, comandanti o tecnici di volo, sono stati ammirati e sorpresi di tanta efficienza e di tanta premura ed umanità, tanto da sentire il bisogno di ringraziare a voce e per iscritto dell’assistenza al loro padre durante i quindici giorni di degenza che lo separavano dalla morte. Fossero tutti gli uffici pubblici efficienti quanto il nostro ospedale!

A Mestre strade, piazze stanno decisamente migliorando: la città è certamente più ordinata e più bella. Speriamo che una volta conclusi i cantieri del tram possiamo finalmente provare anche noi un pizzico di orgoglio d’abitare in una città, che da periferia e dormitorio, sta diventando pian piano la sorella meno nobile, ma più efficiente di Venezia!