Le mie esperienze sul mondo della sanità sono fin troppo frequenti. Non ne ho terminata una che già la successiva è alla porta.
Non ritorno sulle esperienze pregresse, perché sono fin troppe. Sento però di dover mettere qualche riga di nero su bianco sull’ultima, su quella, purtroppo, ancora in corso. Lo faccio soprattutto per fare una giusta e doverosa riparazione.
Più volte, nel mio vagabondaggio sulle pagine di questo diario, ho accennato alla delusione che da un paio di anni sto provando in merito al nuovo ospedale. “L’Angelo” è certamente la più bella struttura architettonica della nostra città. Il nuovo ospedale di Mestre è magicamente bello, nella sua collocazione fra le collinette trapunte dai giovani cipressi e i laghetti, piccole perle d’acqua. E’ bello per la sua struttura ardita, ma nello stesso tempo rasserenante, perché coniugata in maniera magistrale col cielo, col verde delle piante. Offre un’atmosfera calma ed intima.
Nonostante questo, però, s’è attirato e sta ancora attirandosi critiche a valanga. Non sto qui, per carità patria, ad enumerarle. Ce n’è una però, una dominante assoluta, incontrovertibile: l’affollamento e le attese al pronto soccorso. Io ne sono testimone perché, due volte la settimana, ci vado per portare “la buona stampa”.
Qualche giorno fa ci sono andato una volta ancora non da visitatore ma da paziente. Una caduta da vecchiaia mi ha costretto a rivolgermi al pronto soccorso dell'”Angelo”. Ho atteso un quarto d’ora, sono stato visitato da un giovane medico, preparato, cortese, che ha fatto la sua diagnosi, ha chiesto un consulto di un collega neurochirurgo per implicazioni alla spina dorsale, altro professionista preciso e puntuale, m’hanno fatto una schermografia. Tutto l’apparato formato da medici, infermieri, tecnici e portantini mi è parso scorrevole, efficace e puntuale. Finita la trafila è arrivata l’ambulanza con i volontari della croce verde, persone simpaticissime e semplicemente meravigliose, che con cura ed attenzione a non frantumare la mia fragilità, m’hanno deposto sul mio letto.
Posso affermare che nulla, proprio nulla si sarebbe potuto far meglio e più velocemente. Certamente c’era, assieme a me, un’altra quarantina di “infortunati” che attendevano tutto quello che era stato fatto a me. Mi rimane il dubbio che tanta premura sia stata dovuta al fatto di essere un raccomandato di ferro per gli appoggi su cui posso contare e sulla mia “fama”. Questo però è solo un mio dubbio!