Da “L’INCONTRO” – 20 maggio 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum
Essendo il periodico principalmente a carattere monografico, il tema di questa settimana è quello di leggere, prepararsi e mettere le premesse per il futuro. Comunque sono molte le digressioni da questo tema.
L’articolo di fondo è scritto da Franco Marchiori delle Acli, associazione che ha svolto un’indagine su quelle che sono le tendenze della nostra società.
Mi pare poi di dover dar voce a mons. Bonini che dedica il suo articolo al Patriarca Cè, in occasione del quarto anniversario della sua morte. Sono molti i bollettini parrocchiali di Mestre che hanno dedicato riflessioni su questo Patriarca che, a distanza di tempo dalla sua morte, appare in tutta la sua ricchezza umana e spirituale.
Degli altri articoli segnalo quello di Luciana Mazzer che contrappone le caratteristiche e i valori consolidati delle precedenti generazioni con la “liquidità”, il disorientamento e la superficialità nei quali è immerso il mondo giovanile.
Bello e ricco di speranza è pure lo scritto di Federica Causin, piacevoli ed interessanti come sempre pure gli articoli di don Sandro Vigani sulla “pratica delle rogazioni” e di Sergio Barizza sul nuovo porto di Marghera.
don Armando
L’opinione
Prepararsi per tempo
di Franco Marchiori
Le Acli provinciali di Venezia hanno svolto uno studio sui cambiamenti demografici e sociali Evidenziate le misure da adottare per garantire la tenuta futura del sistema di welfare
Un timore diffuso
di Alvise Sperandio
La parola “futuro” è sempre più sinonimo di preoccupazione, invece che di opportunità. A temere il domani sono i giovani, che troppo spesso pagano l’impossibilità o la fatica di avere lavori stabili e giustamente retribuiti. Ma anche le generazioni di mezzo e gli anziani (tali sono considerate dall’lstat le persone con più di 65 anni, il che pare ormai anacronistico) che, mentre assistono all’incremento progressivo dell’aspettativa di vita (80,6 anni per gli uomini e 85,1 le donne, ad oggi), si chiedono se la quantità sarà accompagnata anche dalla qualità. “Andremo mai in pensione?”; “Di che assistenza sanitaria potremo godere?”, sono alcune delle domande più ricorrenti di chi svela le proprie inquietudini sul domani. Le Acli hanno condotto un’analisi molto interessante a partire dalle interviste effettuate su 100 associati e dai dati elaborati dalla ricercatrice Valeria Benvenuti. Viene confermato il clima generale di paura per cui si assiste a una tremenda difficoltà di guardare avanti con fiducia e con ottimismo, sentimenti minati alla radice dalla crisi esplosa da un decennio.
Potranno le future generazioni contare su un sistema di welfare? La risposta a questa domanda è dolorosa: no o, comunque, al massimo solo in parte. Questo è l’allarme che come Acli di Venezia e soprattutto, come Federazione Anziani e Pensionati ci sentiamo di lanciare pensando ai giovani di oggi che saranno gli anziani di domani. L’allungamento della vita media, l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della natalità apre il dibattito sulla responsabilità, sull’equità e sulla solidarietà nei confronti delle future generazioni. Nel volume intitolato Welfare Intergenerazionale che abbiamo appena pubblicato si afferma che il rischio che correranno i nostri giovani sarà proprio quello di un progressivo indebolimento del “Primo welfare”, ossia dei canali pubblici tradizionali di intervento, come ad esempio la pensione, a favore di un maggior peso del “Secondo Welfare”, cioè di quei canali privati che si affiancano a quelli pubblici. Ci troveremo di fronte a una forte disparità tra le persone, tra coloro che potranno permettersi formule integrative e coloro che non ne avranno accesso. Basti pensare che nell’arco di una generazione vi sarà una riduzione delle pensioni pari al 30%. Ecco perché sulla previdenza occorre promuovere fin da subito una cultura del risparmio nei confronti dei giovani, per renderli consapevoli di doversi attivare quanto prima per crearsi una previdenza complementare. Bisogna pensare che, a fianco delle riforme pensionistiche, è necessario fare anche politiche occupazionali serie a favore dei giovani per ovviare a quei vuoti contributivi creati dalla loro discontinuità lavorativa; politiche familiari perché senza giovani non si possono pagare le pensioni per il futuro; politiche migratorie inclusive per sostenere la natalità e contrastare l’invecchiamento progressivo e ineluttabile della popolazione. Ci troviamo di fronte a fattori che cambiano e che, proprio per la loro diversità ed estrema mutevolezza, occorre governare con una visione di lungo periodo. È giusto cercare oggi le soluzioni per oggi, ma ancora più giusto, proprio per rispondere ai criteri universalistici e di responsabilità intergenerazionale sanciti dalla nostra Costituzione, mettere in campo misure che abbiano effetti sul nostro domani.
(*) segretario provinciale Fap Acli
Il punto di vista
Un Patriarca santo
di don Fausto Bonini
Sono passati quattro anni dalla morte del Cardinale Ce, alla guida della diocesi per 23 anni Ricordandone lo stile e il ministero episcopale si dovrebbe cominciare a ragionare di santità
La sensazione di essere prediletti
Siccome in questi giorni ricorre il quarto anniversario della morte del Patriarca Marco, avvenuta il 12 maggio del 2014, sono andato a ricercare in internet le tappe più importanti della sua vita. Con mio grande stupore l’ho trovato nella rubrica “Santi e beati”. Sì, proprio così! Allora, mi sono detto, perché non cominciamo a parlare della santità del nostro vecchio Patriarca, noi preti, soprattutto, che abbiamo avuto modo di condividere con lui un lungo percorso di vita sacerdotale, dal 1978 al 2002. Ventiquattro anni di sacerdozio sostenuti e amati da un Patriarca “santo”. Quando lo avvicinavi, ed era facilissimo farlo, ti sentivi sempre un prediletto. Ma il bello era che tutti si sentivano dei prediletti e non soltanto noi sacerdoti. La santa Madre Teresa di Calcutta diceva che “la santità vera consiste nel fare la volontà di Dio con il sorriso” e dal Patriarca Marco c’era sempre e per tutti un sorriso, anche quando aveva motivo di essere preoccupato o arrabbiato. E sempre Madre Teresa diceva che “l’umiltà è l’inizio della santità”.
Una persona umile e sempre sorridente
Il sorriso e l’umiltà. Così ce lo ricordiamo il vecchio e amato Patriarca Marco: buono, umile e sorridente. Per quel che mi riguarda personalmente non posso non ricordare due sfide che mi ha lanciato e che hanno lasciato un segno nella mia vita di prete. La prima, dopo qualche mese dal suo arrivo a Venezia, quando mi chiamò e mi disse se potevo interessarmi degli studenti universitari fuori sede suggerendomi di prendere contatto con le suore del Canal-Marovich che avevano degli spazi disponibili. Ne è nata la Casa studentesca Santa Fosca. Poi tante altre iniziative: la Messa di inizio Anno Accademico per la prima volta, il suo annuncio della Pasqua nell’Aula magna di Ca’Foscari, le visite frequenti agli universitari di Santa Fosca. Insomma, un’attenzione particolare a questo mondo. La seconda sfida, quella delle comunicazioni sociali. Mi chiese di andare in pensione dall’insegnamento appena possibile e di dedicarmi a tempo pieno alle comunicazioni sociali della Diocesi: Ufficio diocesano delle comunicazioni sociali, Gente veneta, Radio Carpini San Marco e Telechiara. E qui ho fatto esperienza diretta della sua grande umiltà. Non amava apparire, non amava le telecamere, non voleva che si parlasse troppo di lui. Mi diceva spesso: “Don Fausto, meno parli di me, meglio è”.
I due amori del Patriarca Marco: Venezia e i suoi sacerdoti Concludo citando due frasi del suo Testamento spirituale: “Il Signore mi ha avvolto con la sua gratuità, lo lo ringrazio e lo benedico. Venezia è sempre stata per me un grande dono: l’ho amata e sono stato riamato al di sopra di ogni mio merito. Venezia è stata veramente la mia casa e la mia famiglia”. E poi confessa il grande affetto avuto per i suoi preti: “Ho amato molto i miei sacerdoti: hanno portato anche il peso dei miei limiti. Ho ringraziato il Signore per il loro amore”. Non vi pare opportuno cominciare un discorso sulla santità di quest’uomo di Dio che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e di amare?
La riflessione
Fatiche quotidiane
di Luciana Mazzer
Senza dubbio di smentita, mi sento di affermare che la mia generazione è stata più fortunata, non solo rispetto a quelle che l’hanno preceduta, ma rispetto a quanti stanno vivendo oggi i loro anni giovani A noi, nati nell’immediato dopoguerra, furono risparmiati orrori e dolori che ogni conflitto porta con sé. Dopo gli studi, c’era subito il lavoro. Contemporaneamente, ideali, fermenti, confronti, a cui partecipammo numerosissime, anche noi ragazze. Perseguimento di intenti, a cui, per molte di noi, non posero fine né matrimonio né maternità. Era un’Italia in piena trasformazione, dove lavoro, economia, istruzione consentivano, come mai prima, a tutti, e in special modo ai giovani, aspettative e speranze salvo rarissime eccezioni, nel reciproco rispetto fra i vari, diversi interlocutori. Pensando ai nostri giovani, provo rammarico, grande dispiacere, per il molto di cui, volenti o nolenti, sono defraudati. La mancanza di lavoro, lo svilimento e la passività che ne derivano non possono certo essere di stimolo. La perdita di valori morali non fa che aggravare uno status già difficile che, a troppi, rende vero tormento il quotidiano. Per loro, guardare al futuro con speranza è difficile, se non impossibile. Aspetto irragionevole ed inaccettabile, esaltato e praticato da molti giovani è, oggi come non mai, la violenza. Rabbia, crudeltà, vigliaccheria, ignoranza riempiono come terribile veleno il nulla che devasta queste creature. Fattori assecondati da leggi esageratamente permissive, assolutamente antieducative. Eppure sono molti i giovani che reagiscono alla rassegnazione, adattandosi, perseverando, sacrificandosi. In questo, gioca un ruolo determinante la famiglia, nonni compresi. Figure tanto amate dai nipoti, non dobbiamo cedere o recedere davanti a ragionati veti, sconsigliate scelte, proprio in virtù dell’amore che proviamo gli uni per gli altri. Grazie anche all’input di noi anziani, le famiglie dovrebbero pensare e adottare il più giusto modo di amare i figli. Molti dei quali già uomini. Il ruolo educativo di noi anziani non viene mai meno. Per noi credenti, la medicina, il sicuro rimedio, la sicura speranza è e rimane l’amorosa Presenza. Quando, come ora, siamo traditi proprio da uomini e realtà preposti a sostenerci, quando il quotidiano è difficile per noi o per quanti amiamo, facciamo nostre le parole di Pietro: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Perseveranti, consapevoli che solo da Lui giungono aiuto, forza, speranza vera.