“Peritis in arte credendum”

Presso la gente che frequento non ho riscontrato una grande considerazione per il direttore della Ulss 12 di Mestre, il dottor Antonio Padovan.

Dicono che è di destra, e per qualcuno, che si attarda su vecchi schemi politici ormai sepolti da un pezzo, la “destra” rappresenta la reazione, il male, i padroni, la conservazione, mentre la “sinistra” pare che debba rappresentare “il sole dell’avvenire” i poveri, la difesa degli operai… in una parola il bene!

Io non conosco bene questo signore, anche se ho avuto modo di parlare più di una volta con lui. Di certo è di poche parole, molto sbrigativo. A mio parere è un timido, ed io ne so qualcosa di questa caratteristica!

Quando però questo signore mi mostra il biglietto da visita coll’immagine dell’ospedale di Mestre, mi levo tanto di cappello e tutte le critiche altrui scompaiono come per un colpo di spugna.

Qualche giorno fa, di primo mattino, quando faccio per conto mio la rassegna stampa a mio uso e consumo, sono stato colpito dal titoletto. “La lettera” e quindi dal titolo quanto mai stuzzicante, “I pazienti impazienti”.

Lessi tutto l’articolo anche se conteneva un rimando a pagina IX cosa che solitamente non gradisco fare.

Le argomentazioni del direttore della Ulss erano quanto mai logiche e stringenti, e valide le conclusioni in cui si denunciavano le conseguenze pesanti a livello economico e gestionale.

Viviamo ormai in un mondo di sapientoni in cui ognuno vuol dire la sua e quanto più e stupido tanto più vorrebbe pretendere dagli esperti del mestiere di adeguarsi alle sue attese, altrimenti si ricorre all’avvocato o fa causa.

Già venti secoli fa a Roma s’era giunti a questa conclusione “Peritis in arte credendum” bisogna prestar fiducia agli esperti del settore!

Di certo questo non è un principio assoluto, ma un po’ di maggior umiltà, pazienza, fiducia e moderazione, non farebbe male.

Una lettura frettolosa di una pagina di internet o della Treccani non possono sostituire anni ed anni di studio e di ricerca!

Promesse, dichiarazioni e guadagni

Più volte ho sentito dire, dall’assessore Vecchiato e dallo stesso sindaco Cacciari, che l’amministrazione comunale aveva scelto di circondare di un polmone verde il nuovo ospedale e coerentemente avevano osteggiato la mia richiesta di costruire una struttura per i familiari dei degenti del nuovo ospedale di eccellenza qual’è l’Angelo in un terreno che un privato interessato mi offriva.

Avevano quindi abbracciato la soluzione di darmi prima 10.000 metri di superficie, poi 5.000 per una piccola struttura che rispondesse a questa esigenza. Infine le cose sono andate diversamente; mi si è offerto l’intervento dell’Ulss che avrebbe fatto prima, avrebbe pagato tutto e soprattutto avrebbe inserito questo piccolo intervento in un progetto globale rispondente alle varie esigenze della sanità.

Benissimo!

Poi sono successe altre varianti e proposte, che non sempre sono riuscito a seguire e meno ancora a comprendere.

Quello che invece constato con i miei occhi è che l’ospedale con i pochi campetti verdi che lo circondano sembra un fortino assediato; a sud, a nord, a ponente e a levante stanno sorgendo fabbricati in ogni dove, in barba alle solenni dichiarazioni dei vari protagonisti della vita sociale della nostra città.

Stamattina poi, un piccolo imprenditore, di tutt’altro settore, si occupa infatti di defunti, mi ha informato con molto entusiasmo che a giorni aprirà una specie di foresteria a due passi dall’ospedale con 18 posti letto e spera di fare affari d’oro. Mi parlava infatti di settanta, ottanta euro alla notte.

Io sono felicissimo che in tanti rispondano alle esigenze create dal nuovo ospedale, che tutti guadagnino; sono invece angosciato al pensiero della povera gente che viene da Alghero o da Messina, nella speranza che l’oculistica o la toracica, facciano il “miracolo” al loro congiunto e che oltre all’angoscia per il male debbono accollarsi anche quella di un posto letto.

Mi viene spesso il ricordo della mia povera mamma e di mia sorella che una quarantina di anni fa in una contingenza simile, avendo chiesto una pensione da pochi soldi, finirono per passare una notte d’angoscia e d’inferno in un asilo notturno di Milano!

Io non conosco gli stipendi dei nostri amministratori, però sono assolutamente certo che superano di gran lunga quelli dei disperati del sud.

Due medici splendidi

Questa settimana la reputo, per me, una settimana molto fortunata perché ho avuto modo di incontrare, mediante i mass-media, due splendide persone.

L’incontro mi ha procurato una profonda ed incontenibile gioia interiore, tanto che ho sentito il bisogno di scattar loro una “foto” e di inserire i loro volti in quello splendido volume incompiuto che ha ancora tantissime pagine bianche su cui stampare i volti e le storie.

Mi riferisco al tante volte citato “I santi e i testimoni della porta accanto”.

Io conservo nel cuore ed ogni tanto presento ai miei amici i volti e le storie dei grandi profeti del nostro tempo, quali: don Mazzolari, Martin Luter King, don Gnocchi, don Milani, il dottor Swaitzer e tanti altri, ma mi sono altrettanto cari e amati i “profeti”, i “santi” e i testimoni vivi della mia città.

Alcuni sono talmente luminosi per cui sono accettati come tali e degni di ammirazione per tutti, altri li tengo per me perché la politica o l’indirizzo ideologico talvolta possono creare divergenze di valutazione.

Oggi voglio indicare ai miei concittadini due medici; la bella figura del professor Menegaldo, scomparso qualche settimana fa, primario del reparto di oncologia del Policlinico S. Marco, una splendida figura di sanitario, capace professionalmente, ma ancora più valido a livello di umanità. Spero che qualcuno, che l’ha conosciuto da vicino, voglia incorniciare questa figura esemplare di medico che amava i pazienti e si è speso per loro.

La televisione poi ci ha presentato un altro grande medico, di cui l’ospedale dell’Angelo e Mestre possono andare orgogliosi, il professor Vittorino Pagan, che in questi ultimi giorni ha fatto un autentico miracolo di bravura operando un tumore. Alla bravura professionale universalmente riconosciuta si aggiunge una umanità affettuosa, partecipe, calda e generosa.

I giornali ogni giorno ci parlano di tanti manigoldi e truffatori tanto da farci pensare che a Mestre non ci siano cittadini probi, capaci e generosi che meritano l’attenzione e la riconoscenza di tutti noi, mentre ci sono e sono veramente grandi.

Quante critiche verso il nuovo ospedale di Mestre!

Almeno due volte alla settimana mi reco all’Angelo per portare “L’incontro”. Molto spesso mi capita di andarci dopo aver letto “Il Gazzettino” in cui ogni giorno pare che si scopra una delle piaghe d’Egitto nel nuovo ospedale. Le piaghe d’Egitto, pur essendo gravi e micidiali si sono fermate a sette, mentre pare che per la stampa e per i mestrini, le piaghe del nuovo ospedale non siano sette ma siano settanta volte sette: il parcheggio, i ticket che devono essere adoperati almeno due volte nell’entrata e due nel ritorno per aprire le varie sbarre, il caldo e il freddo sul ballatoio, le infiltrazioni d’acqua, gli ambulatori piccoli, la carenza della segnaletica e mille altre deficienze che il quotidiano snocciola ogni giorno, quasi con ebbrezza, avendo una comoda e facile miniera di notizie di cronaca grigia da poter utilizzare senza tanta fatica e fantasia di cercare altrove.

Dicono che sia un malcostume degli italiani e dei veneti quello di piangersi addosso e di vedere solamente gli aspetti negativi delle realtà in cui viviamo.

Forse l’aver sognato da tanto un nuovo ospedale, l’averlo desiderato perdutamente, ha creato in me il bisogno e l’ebbrezza di vederne soprattutto gli aspetti positivi a cominciare dalla viabilità comoda e scorrevole, alla possibilità di un parcheggio sempre disponibile, all’ingresso in cui hai l’imbarazzo della scelta per salire: ascensori, scale con pochi gradini, scale mobili, al paesaggio dolce e morbido quasi ti trovassi in Umbria, al giardino pensile vera oasi verde, agli ascensori veloci, alle sale d’aspetto accoglienti, con servizi igienici ad ogni angolo.

Mi pare che tutto sia bello e funzionale!

Non nego che ci sia pure un qualche inconveniente, ma credo che si troverà modo di sistemarlo!

Può darsi anche che io abbia fatto amara esperienza al don Vecchi degli inconvenienti di una nuova struttura, comunque credo che tali inconvenienti siano ben piccola cosa di fronte a tanta bellezza e a tanta efficienza.

Una volta tanto lasciamo alla sinistra e ai sindacati il gusto di dire sempre e solamente male del mondo da cui sono mantenuti!

“Quanto sono costato oggi alla comunità?”

Nota: don Armando ha scritto questo appunto qualche settimana fa.

Oggi ho dovuto assoggettarmi ad un altro esame clinico.

Nonostante la mia apparenza perfino troppo florida, tanto da crearmi qualche problema di sovrappeso, un male subdolo da parecchi anni sta minacciando la mia salute. Noi occidentali straprivilegiati nei riguardi dei popoli poveri di tre quarti del mondo, finiamo per avere perfino una vita più lunga grazie agli esami che monitorano lo stato della nostra salute e gli interventi medici che riequilibrano carenze e storture.

L’esame urologico non è semplice, dura più di un’ora ed impegna direttamente un medico, un tecnico radiologico, un’infermiera professionale, indirettamente tutta l’organizzazione amministrativa ed impegna delle macchine ultramoderne che costano centinaio di milioni. Quindi soltanto questo esame costa un patrimonio!

Nonostante continui a sentire critiche e lagnanze nei riguardi del nuovo ospedale io ne rimango entusiasta.

Anche oggi se mi rifacevo alle esperienze pregresse dell’ospedale vecchio, non posso che concludere che l’ospedale dell’Angelo è una reggia in rapporto alla topaia dell’Umberto I°.

Ma quello che ho pensato stamattina, mentre il macchinario era manovrato dalla regia di comando al sicuro dalle radiazioni, non riguarda solamente l’ingiustizia permanente tra i popolo del Nord e del Sud del mondo, già questo è un problema che mi pesa sulla coscienza, ma questo è un problema grosso nei riguardi del quale ho poche possibilità di intervento.

La domanda che invece mi sono posto durante i sessanta minuti di immobilità sul lettino bianco manovrato a distanza, è questa: “Quanto sono costato oggi alla comunità?” Certamente centinaia di euro! E quindi mi è venuta coerente la conclusione: “Io ho il dovere di ripagare la comunità per questo dispendio di forze e di denaro nei riguardi di questo povero vecchio prete ottantenne!

Proposito: tenterò di farlo impegnando tutto il mio tempo e le mie energie residue per il bene della società che mi riserva tante attenzioni e mi sta prolungando la vita!

Con quale faccia questa gente si presenterà alle elezioni?

Talvolta ti arrivano delle notizie che non solamente ti stupiscono, ti fanno arrabbiare, ma ti provocano indignazione e nausea verso una classe di amministratori e di politici che, in occasione delle elezioni si offrono ai concittadini per risolvere i problemi e per soccorrere i deboli.

Mi è capitato di leggere su “Il Gazzettino” una di queste notizie e il giorno dopo di leggere pure una replica che l’ha ribadita e spiegata con ironia e sarcasmo.

La notizia riguarda la vicenda de “Il Samaritano” la sognata struttura di accoglienza per i familiari poveri dei duemila pazienti che ogni anno sono accolti nell’ospedale di Mestre, benché provenienti da altre regioni d’Italia.

Finora abbiamo tentato di provvedere col Foyer S. Benedetto, ma attualmente esso è inadeguato e decentrato. Il sindaco mi aveva promesso 5000 metri quadrati di terreno ed io con la mia squadra ci saremo impegnati a costruire la struttura con l’aiuto di Dio e della città.

L’estate dello scorso anno è intervenuto il dottor Padovan, responsabile della ULSS, che alla presenza del sindaco e della Regione, propose di farlo a spese del suo ente e che l’avrebbe costruito prima di noi. Cominciarono a passare i mesi senza che nulla accadesse, ci furono illazioni positive dei giornali, telefonai a Padovan che mi rispose laconicamente alla Garibaldi: “Stiamo lavorando!”.

Chiesi ad un amico giornalista di fare un’indagine, pareva che si trattasse solamente che la ULSS aspettava di incassare i soldi della vendita dell’Umberto I° e dell’ospedale al Mare, per poter cominciare. Però una telefonata del dottor Micelli prima ed un incontro con l’assessore ai lavori pubblici, dott.ssa Fincato, mi misero una pulce all’orecchio.

Finché non giunse la notizia bomba firmata dal giornalista esperto sulle vicende dell’ospedale dell’Angelo, dottor Maurizio Danese, che afferma che il Comune (centrosinistra) vuol fare lui il Samaritano perché la ULSS (centro destra) risulterebbe troppo brava di fronte all’opinione pubblica vicina alle elezioni.

Il Comune non ha soldi per la chiesa del cimitero e quei pochi che ha li sta spendendo per quella porcheria che è il piazzale del cimitero e per il “ghetto” per Sinti.

Dire che questo è ignominioso è il meno che si possa dire, forse vergognoso è più adeguato.

Sto attendendo con quale faccia questa gente si presenterà alle elezioni!

Una soluzione che non mi convince per l’ospedale dell’Angelo

Credo che la mia esperienza e la mia marginale collaborazione al servizio pastorale nei riguardi degli ammalati del nuovo ospedale siano definitivamente terminate.

In verità, da come erano impostate le cose, pensavo che la fase di transazione e di provvisorietà sarebbe durata molto più a lungo. Invece la soluzione è arrivata improvvisa, dall’oggi al domani, anche se del definitivo mi sembra non ne abbia neanche l’ombra.

Un sacerdote polacco, in Italia per motivi di studio e con una destinazione ben precisa è stato pregato di coprire per un anno la funzione di sacerdote assistente religioso nel nuovo ospedale.

La soluzione a me non convince per nulla, tutto mi fa pensare che essa sia una toppa, forse nuova, forte, intelligente e generosa, però sempre una toppa in un vestito talmente lindo e leggero, da ricordarmi il monito evangelico che mette in guardia da soluzioni del genere e che invita a metter il vino nuovo su otri nuovi.

Non voglio però minimamente imbarcarmi su discorsi del genere che riguardano il governo della chiesa e dei “generali” che predispongono le strategie pastorali; io sono vecchio, io non centro e se ho un ruolo è quello di pregare, soffrire e semmai riflettere a voce alta o con la penna.

Mentre mi fa riflettere e soffrire il fatto che il clero mestrino non si sia fatto carico di questo problema, così delicato ed importante e rimanga alla finestra a guardare, come capita per la cultura, l’arte, lo sport, la politica, il mondo del lavoro, la scuola e i mass-media, rinchiudendosi nel fortino della sacrestia, del catechismo e della liturgia.

So che lo Spirito Santo arriva improvviso e forte, solamente mi piacerebbe avere tempo per vederlo arrivare e squarciare le mura del cenacolo!

Speranze per la presenza cristiana all’ospedale dell’Angelo

Il buon Dio è un grande artista ed un insuperabile architetto di uomini; ha pensato proprio a tutto!

Io ho ottanta anni e dovrei pensare soprattutto al tramonto e al passaggio della frontiera; eppure mi accorgo che un istinto profondo mi porta ancora a sognare, a far programmi, a progettare nuove avventure.

Questo fermento interiore forse sorretto solamente da speranze e da illusioni, mi aiuta però a non ripiegarmi in me stesso e a non ridurmi a passare il tempo tra la poltrona ed il letto.

Ho terminato da poco l’ultima avventura dell’ospedale; è stato un servizio modesto, parziale e limitato nel tempo e dalla volontà del responsabile, di questo settore pastorale, ma questa esperienza mi ha posto nella condizione di constatare le magnifiche e splendide prospettive che la chiesa veneziana ha anche in questo momento storico apparentemente poco favorevole alla proposta religiosa.

D’istinto la mia mente ed il mio cuore hanno cominciato ad elaborare progetti, linee pastorali, orizzonti per la pastorale della sofferenza.

Sono convinto che ci sono ancora delle splendide possibilità di lievitare cristianamente anche questo luogo della prova. Due mesi sono pochi e soprattutto offrono ancora meno possibilità quando il tuo compito è limitato da indicazioni precise, però credo che i sedici numeri del periodico “L’Angelo” abbiano aperto un varco, abbiano fatto sentire una presenza, abbiano offerto parole e sentimenti per dialogare con Dio.

La cappella con la sua splendida collocazione, la S. Messa vespertina, le due stanze annesse, un numero abbastanza consistente di volontari di salda matrice cristiana, potrebbero accendere una presenza cristiana calda e vitale, punto di riferimento per ammalati, medici, infermieri e familiari.

Credo che ci siano tutti i presupposti per un’azione di evangelizzazione efficace e costruttiva. Io avrei anche sognato che il giovane e il vecchio clero di Mestre si fossero fatti carico, con un po’ di buona volontà, anche di questo settore così delicato e significativo, ma andrà anche bene se il nuovo giovane sacerdote straniero potrà coagulare persone ed opportunità per realizzare il Regno anche in questo piccolo mondo della prova e della sofferenza.

Come finì il mio incarico all’ospedale dell’Angelo

Date le premesse, pensavo che la mia supplenza all’Angelo sarebbe durata molto più a lungo, invece una telefonata e poi una visita di mons. Pistollato, ha messo improvvisamente fine al mio servizio a part-time presso il nuovo ospedale.

Fin dal primo momento il responsabile diocesano, per la pastorale nel mondo della sofferenza, aveva tracciato con molta precisione dei limiti molto precisi e stretti al mio servizio.

Dovevo dir messa e semmai dare l’estrema unzione a qualche ammalato “già morto” nella sostanza.

Forse questa preoccupazione del monsignor della Caritas si rifaceva alla sua esperienza di giovane prete a Carpenedo e alle mie affermazioni, ribadite più di una volta, che desideravo collaborare su un progetto serio e condiviso, mentre per ora all’Angelo non c’era neanche l’ombra di tutto questo e si navigava a vista, sperando che il tempo potesse in qualche modo portare delle soluzioni. Più volte ho pensato che se anche mi avessero chiesto di guidare questo servizio, cosa che credo non sia passata per l’animo di alcuno dei miei capi, sarebbe stato assolutamente un azzardo imbarcarmi in un’avventura così impegnativa e difficile a ottant’anni di età.

Fare il prete oggi, predicare il Regno e testimoniare il messaggio di Cristo, in un mondo secolarizzato e pochissimo interessato ai problemi religiosi, è particolarmente difficile, farlo in ospedale, quando ci sono preoccupazioni per la sopravvivenza e carenza di serenità, diventa ancora più tragico.

Forse è per questo che ritengo che lo staff che si occuperà della pastorale in ospedale, dovrà essere particolarmente coeso, impegnato, serio e generoso.

Spero proprio che il giovane prete, che arriva da un paese lontano e ancora ricco di fede possa riuscirci.

Piazza maggiore e il futuro di Mestre

Nota: don Armando ha scritto queste righe alcune settimane fa durante un breve ricovero all’Ospedale dell’Angelo.

Mentre tento di ammazzare il tempo ogni tanto alzo le testa da “Piazza maggiore”, il giornale dal grande formato della Comunità di San Lorenzo, perché il mio sguardo attraversi la grande vela di vetro dell’Angelo, accarezzi leggermente i prati verdi che fanno da cornice al nuovo ospedale e si spinga più in là dove inizia la nostra città.

Sono entusiasta nel vedere come si coniuga la città descritta nell’interessante periodico del Duomo; il ricordo caro che porto nel cuore  della città in cui ho vissuto molti anni della mia prima esperienza pastorale e il domani prospettato per quella, che fino ad un paio di decenni fa, era descritta Mestre come la città dormitorio.

D’istinto sono portato a pensare che le lontane radici di questo sforzo di coniugare il destino civile con quello cristiano siano state poste a metà del secolo scorso quando mons. Vecchi cominciò la sua “rivoluzione”: la fine di parrocchie autarchiche per impiantare la chiesa di Mestre, la ricerca di dialogo tra i gruppi ecclesiali col segretariato della gioventù ed una crescita culturale con respiro cattolico mediante il Laurentianum.

Io c’ero, e fui partecipe cosciente e pieno di speranza di questo inizio di tempi nuovi.

Ora leggendo con calma “Piazza maggiore” in una stanza linda e spaziosa nell’ospedale dell’Angelo, ospedale che è pure una pietra miliare avanzata di questo percorso verso il domani, sono più che certo che don Fausto, il ragazzino di un tempo, che ho incontrato più di mezzo secolo fa sulla fondamenta delle Zattere ai Gesuati, ha preso ben saldo in mano il testimone e lo sta portando avanti con intelligenza, sicurezza e decisione.

Sono così felice nell’apprendere come mons. Bonini dialoga con la città e i suoi amministratori, scruta ed interpreta il domani ed irradia di contenuti religiosi la ricerca e l’azione pastorale, che se non avessi la mia veneranda età, mi metterei a sua disposizione per condividere la bella avventura cristiana in questo contesto ricco di attese e di prospettive!

La gente non vuol fare i mestieri che richiedono sacrificio

Finora l’Angelo l’ho conosciuto soprattutto dal lato estetico. Ripeto per me il nuovo ospedale è una delle sette o nove meraviglie del mondo, di cui vado fiero.

Prima di questo ultimo ricovero, ho ammirato il paesaggio collinare che lo circonda, i cipressi che mettono in rilievo il verde dei prati e l’incrocio armonioso delle strade, l’entrata solenne, il giardino pensile che ti fa sentire in una isole delle Hawaii, la cappella in cui celebro da più di due mesi, le celle mortuarie, ma non mi ero reso conto dell’immensità della struttura e della sua estrema funzionalità, checché ne dicano i critici di turno e i politici che per quarant’anni hanno speso in sovrabbondanza soldi e chiacchiere. Ora ho sperimentato da dentro il disegno e la disposizione intelligente per rendere più efficiente la struttura e per risparmiare sul personale.

Credo che noi dobbiamo andar fieri circa la sanità a Mestre: pulizia estrema, abbondanza e nitidezza nella biancheria, efficienza nel corpo infermieristico, competenza ed umanità in quello medico.

Cibo vario, abbondante e buono, strumentazione d’avanguardia.

Ho potuto, per onestà, notare due fattori, non dico negativi, ma che fanno pensare.

Il primo, si chiede al personale di lavorare sodo, credo che tra l’altro si sia studiata la struttura in modo tale per cui gli operatori non possono rintanarsi e perder tempo. Ricordo che molti anni fa un infermiere mi tolse la flebo dicendomi: “Don Armando questa notte la lascio riposare” e il mattino dopo un suo collega mi confidò che nella nottata avevano fatto una splendida spaghettata!

Non credo che all’Angelo sia facile ripetere questa impresa!

La seconda che il personale infermieristico è composto solamente da giovani donne, belle, con belle divise premurose finché vuoi, ma solo donne. Pare che i giovani disertino questo lavoro perché non sufficientemente retribuito, fatto di turni, di riposi collocati nei tempi meno appetibili. Per le retribuzioni non dovrebbe essere difficile ovviare a questa difficoltà, ma per quanto riguarda il sacrificio la cosa è certamente più impegnativa.

In Italia bisogna, a mio parere, avviare una rivoluzione culturale perché non è possibile che non ci sia più chi vuol fare il panettiere, l’apprendista, l’artigiano solo perché richiede sacrificio. Se le cose andassero ancora così, vorrebbe dire che la decadenza è ormai fatale!

I cittadini a cui dobbiamo rispetto

Nell’ultimo, fortunatamente breve, soggiorno all’Angelo ho condiviso la bellissima stanza con ogni confort, ben diversa da quelle in cui avevo soggiornato nel vecchio Umberto I°, con due anziani signori.

Il primo di questi colleghi di “sventura” non ho fatto quasi in tempo a conoscerlo, primo perché siamo rimasti insieme poco più di una mezza giornata, secondo perché tra un letto e l’altro esce dalla parete una tenda linda a cannocchiale che divide la stanza in due parti e ti garantisce una privacy quasi completa.

Col secondo però le cose sono andate un po’ meglio anche se la notevole sordità del compagno e quella parziale mia, non hanno reso facile il dialogo.

Il collega era un vecchietto arzillo di 87 anni, mi pare, con un figlio ingegnere ed una figlia affezionatissima al papà che l’ha seguito in quei giorni con tanto amore.

Credo di non fargli torto raccontando la sua storia perché lo faccio solamente per ammirazione.

Richiamato in guerra, il 9 settembre 1943, si trovò la caserma circondata dai tedeschi, i quali lo spedirono in carro bestiame, in cui non riuscivano neanche a sedersi, nella Germania del nord. Pesava 75 chili quando fu internato in un lager e quando fu liberato dai russi, poco più di 30.

Tornato a casa nell’ottobre del ’45, fu assunto alla Sava di Marghera ove lavorò per ben 40 anni; messo in pensione lavorò altri 20 anni “in nero” per costruirsi la casa e far studiare il figlio ingegnere.

Fece il muratore, curò i giardini ed ogni altro lavoro che gli capitava, comperandosi un lotto di 500 metri di terra e costruendovi una casetta ove vive felicemente, con la moglie, curando l’orto, leggendo il Gazzettino, in un rapporto affettuoso e caro con la moglie, figli e nipoti.

Se avessi stima nelle onorificenze chiederei a Napolitano perlomeno il titolo di commendatore per questo cittadino e se fossi il titolare del ministero del lavoro, gli concederei la croce al merito per i 40 anni di lavoro in bianco e più ancora per i 20 in nero.

Questi sono i cittadini probi a cui dobbiamo rispetto e riconoscenza altro che i tanti fannulloni dell’Alitalia e dei relativi sindacati che sono la vergogna del nostro Paese!

La chiesa veneziana e l’ospedale dell’Angelo

Nota: don Armando ha scritto questa riflessione prima che don Robert Skrzypczak fosse chiamato a curare in forma permanente la chiesa e l’assistenza ai malati nel nuovo ospedale.

Ieri ho sentito il bisogno di tessere l’elogio del nuovo ospedale e dello staff che lo ha progettato, delle imprese che hanno realizzato la grande opera, che non ho difficoltà a definire storica, di chi ne ha organizzato il finanziamento e l’esecuzione.

Da quanto ho sentito, si vuol fare dell’Angelo un ospedale di eccellenza e perciò, pian piano, si assumeranno professionisti di primo piano.

Come cittadino, almeno per una volta, sono soddisfatto.

L’ospedale però è destinato al recupero fisico, e perché no, anche spirituale dell’uomo.

L’ospedale dovrebbe essere destinato al recupero e al restauro di tutto l’uomo, almeno di quanto è umanamente possibile.

Affermato tutto questo, deve quindi operare all’interno di questa poliedrica struttura, uno staff di operatori religiosi di eccellenza per cogliere il momento favorevole per una proposta religiosa quanto mai seria ed attenta del momento propizio per riordinare lo spirito, per recuperare la coscienza del bisogno di Dio, per incentivare la consapevolezza del dono della vita, per ringraziare, chiedere perdono al Signore, e per rilanciare il desiderio di vivere la proposta cristiana in maniera degna e coerente.

La società ha offerto a Mestre una struttura meravigliosa, temo però che la chiesa veneziana stia contribuendo per quanto la riguarda, in maniera assolutamente inadeguata e carente.

Pur essendo le porte dell’ospedale spalancate, la chiesa non sta dando un volto riconoscibile, vivo efficiente a Cristo Gesù nel nuovo ospedale.

Ci sono, pare delle speranze, finora però la risposta a questa attesa è assolutamente manchevole.

So che a qualcuno o a molti dispiacerà questa mia affermazione però credo sia un dovere che questo vecchio prete diventi coscienza critica e dica apertamente che il nuovo ospedale esige molto di più e di meglio dalla chiesa veneziana, ed aggiungo che, volendolo questo è assolutamente possibile!

“Chi è in mare naviga e chi è a terra critica!”

Questo tempo, a livello pastorale, è caratterizzato dal “servizio” che mi sono offerto di compiere nel nuovo ospedale.

Sto vivendo degli stati d’animo che tento di analizzare, ma che non sempre mi è facile definire.

La struttura dell’ospedale dell’Angelo è veramente stupenda. Non credo di avere aggettivi adeguati per apprezzare l’architetto che l’ha progettato, le maestranze che l’hanno realizzato in così poco tempo ed il manager che ha messo assieme così tanti e diversi finanziatori, e portato avanti una organizzazione così complessa ed impegnativa a livello di progettazione, di esecuzione e di finanziamento.

Quando leggo sui giornali le critiche, talvolta aspre, per presunte o vere carenze, per qualche disagio o per qualche difficoltà provo un senso di indignazione.

Sono gli inetti e gli incapaci che solitamente diventano critici provetti.

Ricordo che una trentina di anni fa scrissi un articolo mordace affermando, che come un tempo si mettevano le lapidi su certi edifici pubblici con i nomi dei benefattori che avevano concorso nell’edificazione dell’opera, così auspicavo che nel vecchio Umberto I° si apponesse una lapide con i nomi dei politici ed amministratori, di tutti coloro che avevano concorso a vanificare il progetto di un nuovo e più adeguato ospedale.

L’ospedale dell’Angelo è veramente superbo, è collocato in un paesaggio che presto diverrà da sogno e solamente a pochi giorni dall’inaugurazione è estremamente efficiente.

Le critiche sono ingiuste, ignobili, e frutto di menti inette.

Monsignor Vecchi, più propenso a fare che a parlare, diceva citando un proverbio marinaro “Chi è in mare naviga e chi è a terra critica!”

Una volta tanto che possiamo essere orgogliosi di qualche nostro amministratore e di una qualche struttura degna, apprezziamola e non diventiamo meschini a cercare le pulci!

Una testimonianza edificante all’ospedale

Mi sono reso disponibile, prima e dopo la messa dell’Angelo, di amministrare i sacramenti della penitenza, dell’Eucarestia e dell’Unzione agli ammalati o per dare una parola di conforto o di una benedizione a qualche paziente che ne avesse fatto richiesta.

La suoretta dell’ospedale mi aveva chiesto l’altro giorno di dare gli “olii santi”, come si diceva un tempo, ad una anziana signora che era degente in un determinato reparto.

Appena smesse le vesti liturgiche dopo la celebrazione, stavo prendendo il vasetto dell’olio santo, allorchè due signori, piuttosto preoccupati, mi chiesero di andare subito a dare una benedizione alla loro mamma che, a loro dire, stava per morire.

Dissi che non appena avessi evaso la richiesta precedente sarei andato immediatamente da loro. Mi parvero preoccupati per questo ritardo ed insistettero perché andassi subito dalla loro mamma. Se non che pian piano capii che la loro pressante richiesta e quella della suora riguardavano la stessa paziente.

Andai con sollecitudine e di buon grado. In una stanzetta linda, appartata, che si affacciava sui prati verdi, in cui è immerso l’ospedale, c’era una cara nonnetta, accanto a lei due figli affettuosi, una nuora ed un nipote. Dissi due parole di preparazione prossima, ma non ce n’era bisogno perché lei era pronta e tutti gli altri partecipi al sacro rito, quasi desiderosi che io purificassi e vestissi a festa la loro mamma perché potesse presentarsi pulita, in ordine e bella al cospetto di Dio. Rimasi tanto edificato per la fede di questa cara donna e per quella che aveva trasmessa ai suoi cari, tanto che le domandai che mi tenesse un posto per me lassù accanto a Dio.

Mi sorrise e mi benedisse. Forse ora ha già messo un giornale nella sedia accanto alla sua perché questo povero vecchio prete non debba stare a lungo in piedi ad attendere.