Attualmente il parroco o il sacerdote viene chiamato assai raramente dalle famiglie che hanno in casa un moribondo.
Da giovane prete non erano infrequenti le chiamate notturne per impartire l’estrema unzione.
Oggi la stragrande maggioranza dei fedeli muore in ospedale ed anche là il sacramento è impartito ormai quando il moribondo è fuori di coscienza. Solamente la visita frequente agli ammalati, e soprattutto agli infermi, permette una preparazione dolce e serena a ricevere i sacramenti del perdono.
Nella mia lunga vita di sacerdote, più di mezzo secolo, tutto impegnato nella cura pastorale, frequentemente ho impartito questo sacramento della misericordia di Dio, ma alle spalle del sacro rito c’era sempre stata una lunga frequentazione ed un rapporto divenuto col tempo assai amichevole e ricco di fiducia e di affetto.
Porto un bellissimo ricordo di certi incontri fatti sulla soglia dell’eternità, di grande soavità interiore e ricchi di fede e di speranza. Oggi i preti prediligono l’amministrazione “in batteria” dell’olio degli infermi, soluzione che mi lascia alquanto perplesso perchè corre il grosso pericolo di essere anonima, formale e mai calibrata sulla personalità del moribondo.
Qualche giorno fa la moglie di un ex parrocchiano mi ha chiesto di rispondere al desiderio del suo congiunto di ricevere il segno del perdono e dell’amore di Dio.
L’estate scorsa avevo amministrato il sacramento del commiato a suo cognato, ch’era stato mio alunno al Pacinotti e certamente era stato edificato per la compostezza, la serenità e l’abbandono fiducioso nelle braccia paterne del Padre.
Oggi volle anche lui seguirne l’esempio alla presenza della sua adorata e splendida consorte, sono stato veramente sorpreso come un cristiano, senza troppe conoscenze ecclesiali, sapesse affrontare il mistero della morte illuminato e sorretto dalla fede e da una forte saggezza e coraggio umano.