Il mio “Papa Benedetto”

Quando questa pagina del diario vedrà la luce, molto probabilmente il cardinale camerlengo si sarà già affacciato dal terrazzo della basilica di San Pietro annunciando alla folla: «Habemus Papam!».

Sulle dimissioni di Papa Benedetto, umile e coraggioso, non s’è detto tutto, ma più di tutto. Con l’immenso mondo degli addetti all’informazione oggi suonano superflui e scontati i pensieri di un povero diavolo di cristiano come me, eppure sento dentro il bisogno di mettere in ordine nel mio spirito tanti pensieri, spesso confusi, che mi sono nati dentro in occasione di queste “dimissioni”, nonostante tanti giornalisti abbiano già molto intrattenuto con le loro analisi, spesso acute ed intelligenti e, più spesso, gratuite e non giustificate e talvolta impertinenti e faziose.

Io ho sempre voluto bene a papa Benedetto, non solo per motivi di fede, perché per me, come per ogni cristiano, il Papa rappresenta “Il dolce Cristo in terra” – come lo definì santa Caterina da Siena, la persona che nel passato, ormai remoto, lo supplicò di tornare da Avignone a Roma, sua sede naturale.

Ho amato papa Benedetto per la sua fragilità, per il suo italiano stentato, per essere stato un papa tedesco che, nonostante tutto, si portava in qualche maniera addosso le colpe del suo Paese. Ho amato papa Benedetto per la lucidità, l’intelligenza e la costanza con le quali ha messo in guardia il mondo da quel nemico subdolo ed esiziale qual è il relativismo.

Ora amo ancor di più papa Benedetto perché, con la sua scelta nobile e coraggiosa, ha favorito in maniera decisa l’ingresso della Chiesa nei ritmi, nel respiro e nel cuore della società moderna liberando il papato, ma soprattutto il Vaticano, da quella cornice di sacralità che sa di passato, immettendo la vita della Chiesa nel corso di una normalità umana, rendendola evangelicamente “lievito” immerso nella “pasta” dell’umanità del nostro tempo.

Confesso sommessamente agli amici che a me non dispiacerebbe e soprattutto non mi mancherebbe il rispetto, la devozione e la fede nel ministero del Papa, se un giorno potessi vedere il successore di San Pietro vestito in clergyman, magari con una crocetta bianca sul bavero della giacca nera o su fondo grigio scuro.

Il Papa è Papa non perché porta addosso vesti fuori moda, pronuncia formule incomprensibili, ma soltanto perché crede alla Parola di Dio e cerca di testimoniarla il più fedelmente possibile con la sua vita.

Voglia di primavera

La Bibbia, molto giustamente, ci invita a lodare e ringraziare Dio anche per il ghiaccio, la neve e per ogni tempo. La Bibbia, come sempre, ha ragione perché ogni fenomeno proprio delle diverse stagioni ha una sua funzione specifica e quanto mai valida per l’equilibrio dell’ecosistema e forse anche perché non apprezzeremmo sufficientemente la bellezza di certe stagioni se non avessimo provato l’asprezza di certe altre.

A me, confesso, è molto più facile la lode per la primavera, dolce e sorridente, piuttosto che per l’inverno aspro e pungente. Io sogno con tutto il mio essere i colori freschi e tenui della primavera, il tepore del suo sole sorridente, il risveglio della natura che, vezzosa e bella, comincia lentamente a vestirsi a festa. Ho sempre la cara sensazione che la primavera sia una “carezza” di Dio che mi invita ad avere fiducia e a credere nella vita e nel domani.

In questi giorni ho appena visto spuntare nelle aiuole del “don Vecchi” dei teneri ed arditi piccoli germogli verdi di tulipano, nonostante la neve residua di questo inverno che non si rassegna a lasciarci. Quando ho scoperto nel prato, che ogni giorno si fa più verde, una primula gialla sorridere, timida si, ma ardita, col suo giallo oro e ho scorto questi germogli che fra poche settimane diventeranno una tavolozza variopinta dei colori più vivi, ho avuto quasi un sussulto di gioia interiore e di ebbrezza aspettandomi presto un mondo vestito a festa, ma soprattutto nel constatare che molto probabilmente il Signore intende farmi avere il regalo così prezioso della primavera, nonostante la mia “verde” età e le mie miserie.

Io amo l’arte, la musica, i volti puliti e sorridenti dei nostri bambini e la bellezza soave delle nostre donne, splendidi doni di Dio, ma amo altrettanto l’alba, il tramonto, il sole e le stelle e l’incanto della primavera che ogni anno fa da cornice, quanto mai appropriata, alla Resurrezione di Cristo.

Chi ho votato

Quando sarà stampato il numero de “L’incontro” che riporterà questo mio diario il risultato delle elezioni sarà ormai un lontano ricordo. Se questa pagina fosse uscita prima delle elezioni non avrei fatto questa confidenza, perché convinto che un sacerdote, pur avendo il dovere di dare voce alla democrazia e di offrire il suo contributo personale alla comunità, per il ruolo che esercita in essa, non deve approfittarsi della sua posizione, ma deve rispettare fino in fondo la scelta elettorale dei propri concittadini.

Il mio voto vi dico che è stato estremamente tormentato; ci ho pensato quanto mai e mi è stata quanto mai difficile la decisione. L’obiettivo che mi ha guidato è stato quello di sempre: rendere più degna, libera e serena la vita dei miei concittadini, soprattutto preoccupato di fare il bene delle persone più fragili: vecchi, poveri, extracomunitari, persone meno dotate. Ho fatto la mia scelta non a cuor tranquillo, ma solamente perché dovevo, alla fin fine, contrassegnare il simbolo di un partito escludendo gli altri, anche se avrei desiderato mettere assieme il meglio di ogni schieramento, riconoscendo che ognuno aveva qualcosa di valido.

Aggiungo ancora che, dati tutti questi miei dubbi, proprio per questo comprendo e rispetto tutti coloro che sono giunti a conclusioni diverse dalla mia e spero che sia la Divina Provvidenza, che è la sola che sa preventivamente quello che è giusto e che soprattutto sa “scrivere il meglio anche sulle righe sbagliate”, saprà trarre il bene da queste elezioni.

Eccovi il risultato del mio tormentone elettorale: convinto che Bersani, nonostante i suoi trascorsi delle Botteghe Oscure, sia una persona per bene e pure la sua squadra, tutto sommato, non sia male, perché composta da persone di cultura, sensibilità e tendenze diverse, ho votato per Monti. Lo ritengo persona competente, onesta, stimata e soprattutto con i piedi per terra, un politico che persegue una economia di mercato che, pur con tutti i correttivi di ordine sociale e solidale, è quella che produce la ricchezza da poter dividere, e perciò penso che Monti potrà essere complementare a Bersani.

Ho votato Monti perché, oltre alla competenza economica che oggi, data la crisi, è di capitale importanza, ha prestigio internazionale e, non ultimo, credo che sia un garante per quei valori di fondo per i quali il laicismo quanto mai diffuso e trasversale non garantisce il nostro Paese.

Aggiungo che mai e poi mai dirò all’altare cose del genere, là tenterò di offrire la Parola di Dio che è verità certa ed assoluta, ma agli amici penso di poter fare questa mia confidenza.

Pensieri “in congelatore”

La gente è buona con me. Se penso che fra le migliaia di persone che ogni settimana leggono “L’incontro” (ne stampiamo cinquemila copie ogni settimana) finora non ce n’è stata una sola che mi abbia detto: «Don Armando, lei è in ritardo sul tempo con le sue riflessioni»! Mi pare questo un atto di immensa gentilezza.

Le mie riflessioni sulla vita, quando va bene, sono in ritardo almeno di un mese ed oltre. Perché? Non è che pensi e reagisca a scoppio ritardato, anzi la mia emotività è rapida, anzi immediata. Il mio ritardo sul tempo, però, è dovuto a tre motivi diversi.

Il primo è tecnico. La filiera attraverso la quale il settimanale vede la luce è laboriosa e lenta: giornalisti che hanno mille altre occupazioni; inserimento in computer e correzione dei testi (li fa una signora che ha casa, marito, figli e nipoti); impaginazione da parte di almeno quattro tecnici (che hanno una loro occupazione e quindi nel dopocena compongono un pezzetto per ciascuno e poi lo assemblano); suor Teresa che “traduce” il tutto in striscioline con cui io compilo il menabò; ricorrezione dei testi ed infine il capotreno, signor Giusto (che si occupa di mille e una cosa) che inserisce le foto. Poi c’è la stampa, la piegatura e la distribuzione. Vedete quindi che il percorso è lungo e tortuoso!

Seconda cosa: io sono vecchio e, per la mia età, sono sovraoccupato; ho anche il limite che se mi trovo all’ultimo momento senza aver buttato giù i miei pensieri, mi paralizzo e vedo buio davanti a me.

Terzo: sono convinto che ciò che “ha consistenza” non teme il passare del tempo. Il prof. Angelo Altan, mio insegnante in liceo, ci diceva che lui, per scelta, leggeva “Il Gazzettino” almeno una settimana dopo la sua uscita perché così le notizie si decantavano e vedeva subito quello che valeva la pena leggere.

Quindi “confesso a Dio e a voi fratelli” che le cose stanno così e perciò non mi è proprio possibile fare altrimenti. Gli argomenti che tratterò questa settimana sono tutti abbastanza lontani e già abbondantemente “bruciati” per i mass media normali. Però vi dico, in confidenza, che io non mi sono mai preoccupato e non voglio preoccuparmi dell’opinione pubblica, della moda, dei ritmi dei mass media; io desidero confrontarmi con la mia gente sulla vita e su quello che vi accade, sperando così di offrire un piccolo contributo perché ognuno ne possa trarre qualcosa di utile e vantaggioso. Tutto questo non mi costa fatica e per di più non mi par poco.

I cattolici in politica

Come tutti, ho tentato di seguire la breve ma intensissima campagna elettorale. I nuovi “mezzi di comunicazione sociale” oggi ci permettono di avere informazioni di prima mano in diretta da parte delle “menti pensanti” dei vari schieramenti politici. Devo confessare che, tutto sommato, mi ha fatto piacere notare un confronto, sia pur appassionato e duro, su problemi reali e concreti piuttosto che discussioni sui “massimi sistemi”, come avveniva un tempo quando imperavano le ideologie.

Qualche tendenza precostituita di fondo è emersa ancora, però non in maniera così determinante come ai vecchi tempi, quando destra e sinistra rappresentavano una lettura assoluta della vita sociale in tutte le sue manifestazioni, anche le più neutre ed insignificanti per uno schieramento politico.

C’è stata qualche incursione della gerarchia ecclesiastica sui “valori irrinunciabili”, m’è parso però che sia caduta nel vuoto perché, fortunatamente, è un po’ venuta meno quella contrapposizione di un tempo e prevale finalmente in tutti la volontà di una ricerca, seppur faticosa, di un accordo attento sulle motivazioni ideali degli altri, desiderosa di non imporre e sopraffare chi è orientato in maniera diversa.

Quello poi che mi ha fatto particolarmente piacere è stata la constatazione che i politici di matrice cattolica, seri e di spessore, sono ormai spalmati in tutti i gruppi presenti nella competizione elettorale e che, tutto sommato, sono riusciti con il loro stile e la loro sensibilità ad ammorbidire i rapporti e ad evitare dure contrapposizioni di carattere ideologico che hanno spesso poco a che fare con le problematiche reali della nostra gente.

Con questo non nego che vi siano stati talvolta rigurgiti di passato, comunque negli schieramenti più consistenti e responsabili m’è parso di notare moderazione e rispetto per le coscienze e m’è sembrato ancora che i cristiani militanti nella politica attiva abbiano finalmente un ruolo estremamente positivo, mentre immediatamente dopo la dissoluzione del partito dei cattolici pareva che non si potesse sperare quello che è poi avvenuto.

I problemi che sono sul tavolo sono enormi e di ogni genere però, a mio modesto giudizio, sembra che anche grazie a questa presenza di cristiani nei principali schieramenti, sia possibile votare l’uno o l’altro partito senza mettere in difficoltà la propria coscienza e senza tradire i propri convincimenti di carattere morale e religioso.

Io non ho per nulla la presunzione di poter valutare cose di così grande rilevanza, però confesso che ho sentito un respiro di libertà per me e anche per chi pensa diversamente da me.

Positivo accordo

Proprio in quest’ultimo tempo, grazie alla mediazione del dottor Blascovich, che è uno dei responsabili della “messaggeria” che distribuisce “L’Incontro” alla sessantina di postazioni presso le quali, fin dai primi giorni della settimana, è reperibile regolarmente il nostro periodico, si è giunti ad un concordato fra la redazione di “Comunità e Servizio”, che è la testata della rivista della parrocchia di San Giuseppe di viale San Marco e quella nostra. Il patto sancisce che “Comunità e Servizio” sarà esposto in una delle chiese del cimitero e “L’Incontro” sarà esposto nell’ultima chiesa di viale San Marco, che ha come santo protettore San Giuseppe.

Non nascondo che questo accordo mi ha fatto molto piacere perché dovrebbe sempre potersi trovare un punto di incontro anche se ci fossero stili ed indirizzi diversi, piuttosto che chiudere la porta al confronto, che è sempre un fatto positivo ed arricchente per tutti.

Questa volta la cosa è stata certamente possibile perché il parroco di San Giuseppe è una persona intelligente ed aperta al dialogo, ma soprattutto perché quella comunità esprime un “foglio parrocchiale” che ha un suo stile, una linea redazionale e dei contenuti, mentre questi accordi non si realizzano mai quando ci sono parrocchie con “bollettini” pressoché insignificanti, perché poveri di contenuti e malandati nella loro strutturazione. In questi ultimi casi è più che evidente che i relativi responsabili non riescono a sopportare “la concorrenza”.

Le due “riviste”, “Comunità e Servizio” e “L’Incontro” hanno poi in comune la rubrica “Il diario”: il primo di un giovane parroco zelante e pio, con uno stile affabile e conciliante, il secondo che porta il riflesso di un vecchio prete, quale io sono, angoloso, critico e particolarmente sensibile alle problematiche sociali e al confronto religioso.

Sono convinto che sia ai parrocchiani della parrocchia di San Giuseppe che ai fedeli del cimitero farà certamente bene cogliere la vita spirituale vista sia da destra che da sinistra, anche se questi termini sono assolutamente impropri. Il confronto farà bene perché chi vive la religiosità nell’intimo della sua coscienza avrà giovamento nello scoprire l’altro lato della medaglia e a chi è abituato a cogliere l’aspetto orizzontale della sua fede, farà bene cogliere anche quello verticale.

A parte il fatto che in tutti gli ambiti in cui vivono cristiani ci sono persone che per natura o per scelta prediligono una o l’altra chiave di lettura della religione, è cosa buona che ognuno possa conoscere e valutare il pensiero di chi non condivide il suo modo di ragionare, infatti il poter cogliere l’altro lato della medaglia, ossia di chi la pensa diversamente è sempre positivo ed arricchente!

Tardi, ma in tempo

Ormai sono giunto alle ultime pagine del volume di Andrea Tornelli: “Carlo Maria Martini, il profeta del dialogo”. Confesso che ho scoperto, con enorme piacere e nello stesso tempo con altrettanta amarezza, di non aver conosciuto il cardinale di Milano, questo grande testimone cristiano del nostro tempo, mentre era ancor vivo.

Già scrissi, più di una volta, del sussulto di sorpresa quando ho letto dai giornali alcune espressioni che mi sarei aspettato di cogliere dalle labbra di un prete contestatore o della teologia della liberazione, piuttosto che da un cardinale di Santa Romana Chiesa quale fu il cardinale Martini. Personalità di primo piano nel campo della biblica e vescovo della più numerosa ed importante diocesi d’Europa, scrisse frasi come questa: “La Chiesa è in ritardo sulla società civile almeno di 200 anni”, oppure “Ci sono prelati e vescovi che per motivi di carriera si defilano, non prendono posizione”, o ancora “Solamente nel rispetto della libertà delle coscienze crescono cristiani veri”, o perfino “Il dialogo e il confronto con i non credenti è assolutamente necessario per purificare e rinsaldare la nostra fede”.

Dapprima ebbi il sospetto che queste frasi fossero state estrapolate dal contesto del suo pensiero da parte dei laicisti. Ora però, che ho letto fino in fondo il volume di cui parlavo, che riporta il suo pensiero, piuttosto che la sua vita, sono ben conscio dell’onestà intellettuale, della schiettezza, seppur delicata e rispettosa, di Martini, che seppe prendere posizioni ben decise su problematiche che, a parer suo, hanno bisogno ancora di studio, di riflessione, di rielaborazione. Il cardinal Martini ha sempre detto, magari sommessamente, la sua, sui problemi della fede, della morale, dell’economia, del dialogo interreligioso e dell’attuale cultura.

M’è venuta voglia di scorrere l’indice del volume per riscoprire come egli abbia guardato in faccia tutti i problemi del nostro mondo e della nostra Chiesa, senza mai dimostrarsi un cattedratico onnisciente, ma manifestando con onestà i suoi dubbi, le sue perplessità, i suoi distinguo e perfino le sue non condivisioni del pensiero dominante.

Voi, miei amici, non potete immaginare quanto mi abbia fatto bene, mi abbia donato una sensazione di liberazione e di conforto, venire a sapere che per i miei dubbi, i miei rifiuti e le mie perplessità potevo finalmente non sentirmi un ribelle, un apostata, ma solamente uno che vive la condizione esistenziale da persona onesta.

Il cardinal Martini l’ho conosciuto tardi, ma fortunatamente non troppo.

Forse non ho sbagliato

Qualcuno, di cui non m’è dato sapere il nome, m’ha fatto avere una pagina di “Panorama” così simpatica ed interessante, almeno per me, che mi prendo la libertà di pubblicarla, così come sta, ne “L’incontro” del aprile 2013. Prima le caricature e poi il titolo dell’articolo che le accompagna, mi hanno quanto mai incuriosito ed ora dico il perché!

Il foglio della rivista riporta i volti di una decina di personaggi noti, con il cappellone e il fazzoletto tipici degli scout e l’articolo enumera una serie di altri personaggi assai noti nella categoria di quelli “che contano” nel panorama del nostro Paese.

Vengo al motivo del mio interesse particolare per questo discorso. Io sono diventato assistente degli scout fin dal 1954, quando allora ero prete di primo pelo, del gruppo 32° dell’Asci nella parrocchia dei Gesuiti a Venezia. Mi è parso subito di capire che il metodo scout era valido, aveva presa nel mondo giovanile e perciò rappresentava, a livello pastorale, un ottimo strumento da usare.

Quando fui trasferito a Mestre, mi accorsi che della “folata” di scoutismo ch’era sbocciata anche a Mestre con la liberazione, era rimasta ben poca cosa: due squadriglie a San Lorenzo, altrettante in via Piave e poco di più a Carpenedo. Sarà forse un altro peccato autoreferenziale di cui spesso mi si accusa, però col mio arrivo e soprattutto con la collaborazione dell’attuale novantenne Nino Brunello, che allora era giovane sposo con due bambini piccoli, abbiamo fatto esplodere la primavera scout.

Per fare un esempio, quando lasciai San Lorenzo nel 1971, in parrocchia si contavano tre reparti, tre branchi, un noviziato e due clan di maschi ed altrettanti di ragazze. Tentammo poi di seminare, talvolta con positivo risultato, lo scoutismo in molte altre parrocchie di Mestre con monsignor Giuliano Bertoli, allora assistente provinciale, del quale sono divenuto ben presto vice assistente. Fui tra i pochi preti che si lasciarono coinvolgere in questa avventura, tra il sospetto e l’indifferenza dei “colleghi”. Quando sono uscito, nel 2005, dalla parrocchia di Carpenedo, essa contava su più di 200 ragazzi scout.

Ora vengo ad apprendere che la “seminagione” dei preti che hanno creduto in questo movimento, sta raccogliendo risultati eccellenti. Almeno da quanto pubblica “Panorama” gli scout “riusciti a livello nazionale” sono sparsi su tutto l’arco politico e questo mi fa felice perché i pochi assistenti scout non hanno tentato di far crescere “sagrestani”, ma uomini che scelgono di servire.

Da quei pochi che ho riconosciuto, tra quelli segnalati dalla rivista: Renzi, Giletti, Pisapia, Passera, Ambrosoli, La Russa, ecc., credo che tutto sommato siano rimasti fedeli all’ideale del servizio al prossimo. Questo non è proprio poco!

Il Dio di Ruini

Più di quarant’anni fa, al tempo in cui ci fu una grossa emigrazione di operai dal sud al nord Italia, perché allora le fabbriche del nord “tiravano” e assumevano manodopera anche poco qualificata, partecipai ad un convegno che si tenne a Gallarate su questo argomento. La salita di cristiani del meridione in Piemonte, Lombardia e pure nel Triveneto ponevano infatti anche problemi di ordine pastorale. Mentalità, tradizioni e stili religiosi del sud emotivo e caldo, finivano per mal conciliarsi con una certa compostezza e freddezza dei cristiani del settentrione.

A questo dibattito partecipavano preti sia del sud che del nord, per cercare di capire da parte nostra la sensibilità religiosa del meridione e vedere come innestarla nelle strutture e nella sensibilità delle nostre comunità. Ricordo che di fronte ai discorsi di un prete di Napoli che menzionava le confraternite, le feste patronali e i riti tipici del meridione, un lombardo sbottò in una battuta tagliente: “Pensa, reverendo, che il vostro Dio assomigli al nostro?”.

In questi ultimi tempi sto leggendo, con tanta fatica e tanto lentamente, un grosso volume – 300 pagine – del cardinal Ruini, che ha come titolo: “Dio”. In questo recente volume il cardinale, che è stato fino ad un paio di anni fa il presidente dei vescovi italiani ed un diretto collaboratore del Papa, affronta tutte le problematiche che la cultura contemporanea sta elaborando nei riguardi dell’esistenza di Dio.

Confesso che questo testo difficile ed ostico mi incuriosisce, ma non mi fa bene, tanto che sono propenso a lasciarlo perdere. Ruini tenta di confutare tutte le posizioni degli oppositori della Chiesa attuale con argomentazioni arzigogolate, macchinose, irrequiete e talora stravaganti, almeno per me che sono persona di mediocre cultura e di grande semplicità interiore. Da questo volume vien fuori un Dio incerto e pieno di ammaccature. Mi riesce difficile, anzi rifiuto con decisione certi discorsi intellettuali, tali che arrivano ad affermare “cogito ergo sum” (penso e quindi sono). Io sono molto più vicino al famoso entomologo Faber che afferma, quasi in maniera paradossale, ma efficace quanto mai: “Io non credo perché semplicemente vedo Dio nel Creato”.

Ho l’impressione che il mio Dio sia meno misterioso e soprattutto meno problematico di quello di Ruini.

Quanto volontariato!

Una decina di anni fa ho avuto modo di ascoltare una conferenza di un responsabile a livello nazionale delle associazioni di volontariato. E’ stata, la sua, una relazione esaltante perché l’oratore, ben documentato, ha sciorinato una serie di dati sui gruppi di volontariato di ispirazione religiosa, ma pure su quelli di estrazione laica. Questo signore ci ha trasmesso la sensazione che il volontariato fosse il fiore all’occhiello della società italiana.

Da un punto di vista quantitativo non ebbi nulla da obiettare, anche perché non ero in grado di avere dati certi, però a livello qualitativo purtroppo non potevo condividere la certezza che il volontariato nel nostro Paese raggiungesse un livello di eccellenza perché, per esperienza personale, quello lombardo e piemontese è molto serio, mentre quello Veneto e dell’Italia centrale, passabile, pur con molti limiti, e quello del sud Italia piuttosto scadente, sia a livello numerico che qualitativo.

Di recente poi ho avuto modo di leggere da più parti che il volontariato, da tempo, ha avuto un certo affanno, soprattutto a livello numerico (perché questo è il dato più facilmente verificabile e quindi più certo).

Tuttavia, soprattutto da quando si è cominciato a parlare di elezioni, il fenomeno di chi avverte le deficienze e i bisogni della nostra società e il relativo dovere di accorrere al “capezzale dell’ammalato”, pare abbia avuto un sussulto di coscienza e di buona volontà. In queste ultime settimane durante le quali si stavano stilando le liste dei candidati alle varie amministrazioni dello Stato, ho potuto notare una corsa quanto mai affollata, che spesso è sfociata in una lotta accanita, per poter avere un posto nel salvataggio del nostro Paese.

Io sono in cammino veloce verso i novant’anni, ma in questo secolo non ho mai visto tanto desiderio di servire il prossimo e di offrire il proprio tempo e le proprie capacità perché i cittadini più poveri abbiano maggiori attenzioni, perché gli operai lavorino meno e guadagnino di più, perché l’amministrazione dello Stato sia più sana e meno costosa, perché finalmente in Italia regni la giustizia, la pace, l’uguaglianza e la libertà, tanto che mi dispiace quasi di stare per andarmene in Paradiso proprio quando questa schiera di volontari impegnati a ben governare la “polis” stanno per trasformare questa “valle di lacrime” in un nuovo e migliore paradiso terrestre!

A dire il vero mi pare che litighino un po’ troppo, si diano gomitate troppo frequenti e colpi bassi a non finire. Ma che cos’è tutto questo di fronte “all’età dell’oro” che stanno per offrirci? E di farlo per di più in maniera disinteressata, accontentandosi dello stipendio delle badanti e non ambendo ad una pensione superiore a quella sociale?

Fortunate le giovani generazioni che possono fruire di un volontariato così numeroso e disinteressato!

La morte del “barbone”

Nota della Redazione: ricordiamo che i gli appunti di don Armando risalgono a diverse settimane fa.

La notizia della morte per assideramento di un “barbone” su un pontile dei vaporetti in Riva degli Schiavoni ha impegnato tre colonne della cronaca di Venezia de “Il Gazzettino” e quattro righette su una sola colonna il giorno dopo. La cosa credo che sia stata ritenuta di poco conto se la si confronta con i titoloni su quattro cinque colonne dedicate alla campagna elettorale con tutte le problematiche suscitate dall’immensa folla di candidati che stanno dandosi gomitate senza esclusioni di colpi per riuscire ad ottenere la possibilità di “servire il Paese” e di offrire le loro “soluzioni miracolose”.

Il cronista ebbe ben poco da scrivere perché a chi può interessare la notizia che un “barbone” è morto di freddo in una notte senza stelle a Venezia? Credo che siano stati ben pochi i lettori della cronaca nera che si siano posti la domanda su che cosa ci fosse dietro quegli indumenti stracciati e sporchi e sullo squallore di quella morte solitaria sull’imbarcadero e meno ancora quelli che si siano chiesti che cosa si possa e soprattutto si debba fare perché queste cose non avvengano più, non tanto perché non sono convenienti per la bella Venezia e controproducenti per il turismo, ma perché non è degno di una città civile e di una Chiesa di discepoli di Cristo che un figlio di Dio viva e poi muoia così come fosse una bestia indecorosa e abbietta.

Il pensiero che questo decesso miserevole sia avvenuto quasi a ridosso delle belle, luminose e calde liturgie natalizie, mi rattrista e mi avvilisce maggiormente e di primo acchito mi è venuto da rivolgermi ai veneziani e a tutti coloro che fanno soldi con i milioni di turisti perché ci offrano un milione, e forse uno e mezzo di euro, per costruire un ostello per i senzatetto.

Noi della Fondazione siamo pronti a mettere a disposizione la superficie e, in collaborazione col Comune, a gestire una struttura del genere. Nel villaggio dell’accoglienza degli Arzeroni ci starebbe bene una simile struttura, magari un alberghetto di classe uno alla francese con una stanzetta monacale ma essenziale, pulita e decorosa, per ogni senzatetto. I cittadini potrebbero acquistare dei buoni alloggio del costo di pochi euro per darli ai poveri che chiedono l’elemosina, piuttosto che offrire loro denaro del quale essi non sempre fanno buon uso.

Non mi si dica che le parrocchie di Mestre non potrebbero assumersi questo onere! Se chi è deputato a gestire la carità dei quattrocentomila cattolici della diocesi veneziana avesse un progetto ben lucido e la volontà di dare alla carità la stessa importanza della messa e del catechismo e il coraggio di proporlo in maniera seria, nel giro di un anno al massimo l’operazione potrebbe andare in porto, per poi pensare per il prossimo anno ad un altro progetto solidale.

Tanti fratelli quanti sono gli uomini della nostra terra

Credo che per una legge di natura e per tradizione antica l’uomo sia istintivamente portato a difendere e aiutare le persone del suo sangue e della sua famiglia. Questa è certamente una legge sapiente che il buon Dio ha infuso nel cuore dell’uomo. Lo stesso comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso” codifica che l’amore deve riguardare soprattutto quelli che sono più vicini, quelli con i quali si hanno contatti più costanti, perché è facile affermare di amare uomini con i quali non si può avere nessuna dimestichezza e nessun rapporto. Tutto questo però non autorizza a trascurare chi non è della propria famiglia, del proprio clan e del proprio Paese.

Qualche giorno fa mi è capitato di rileggere il brano del Vangelo in cui l’evangelista rferisce che mentre Gesù era impegnato all’interno di una casa a parlare del Regno, qualcuno lo avvertì che “sua madre e i suoi congiunti” lo aspettavano fuori dalla porta. Al che Egli rispose: «Chi è mia madre e chi sono i miei parenti se non quelli che (forse occasionalmente) mi stanno ascoltando, interessati al mio discorso sul progetto di vita?».

Oggi, in un mondo globalizzato in cui la Terra, a motivo dei mezzi di comunicazione di massa, è diventata un “villaggio”, questo discorso diventa più di sempre vero ed attuale. Però sono ancora pochi quelli che lo sanno tradurre in regola di vita ed in esperienza personale.

Penso che Raoul Follereau abbia vissuto questa dimensione dell’amore quando affermò: «Io ho a questo mondo tanti fratelli quanti sono gli uomini e le donne che abitano questa terra» e poi, coerentemente, spese tutta la sua vita per la salvezza dei lebbrosi del mondo intero e pregò: «Signore non permettere che io tenti di essere felice da solo».

Oppure penso al giovane scout Guy De Larigaudle che avendo notato il manifesto di una bellissima attrice, protagonista di un film in programma nei cinema di Parigi ed avendo pensato che dietro quei grandi occhi suadenti e ai bellissimi capelli platinati c’era certamente un cuore di donna con i suoi drammi, entra in una chiesa, ringrazia Dio per tanta bellezza e prega perché la faccia essere felice.

Ascoltare seriamente il messaggio di Gesù sull’amore, comporta anche avere queste convinzioni e questi comportamenti.

Gesu’ a nozze

Quest’anno spero proprio che il mio sermone a commento delle Nozze di Cana abbia fatto centro. Durante la predica c’è stata un’attenzione perfino superiore a quella ottima che registro ogni domenica nella mia “cattedrale fra i cipressi”.

La mia chiesa, che a molti dà l’impressione di una calda ed intima baita di montagna in cui si trovano cari e vecchi amici, è quanto di meglio un prete possa sperare. A me il buon Dio ha fatto questo splendido dono, per cui lo ringrazio cento volte al giorno. Per un vecchio prete che si avvia velocemente verso la novantina, che è conscio dei limiti di sempre e pure di quelli aggiunti dall’età, incontrare ogni domenica una comunità così cara ed attenta, è quanto di meglio un sacerdote possa desiderare. Però devo ammettere che talvolta, in particolare, la parola di Dio sembra calarsi come una dolce carezza che scalda il cuore e che aiuta a sentire quanto il buon Dio ci vuole bene e quanto sia bello camminare tenendoci per mano verso la Terra Promessa.

Già dal momento in cui ho cominciato a riflettere sul sermone da tenere fui avvolto da un’ebbrezza interiore che spero di aver trasmesso ai miei fedeli, così da aiutarli a fare una bella esperienza religiosa come dovrebbe avvenire ogni domenica.

Il sermone si è sviluppato su questi tre argomenti:

1) Gesù, con la sua partecipazione a nozze, abbraccia anche gli aspetti più festosi della vita. Ho notato da sempre, con perplessità, che la religiosità dei cristiani mostra sempre qualche reticenza e preoccupazione nei riguardi della felicità, dell’amore e del sesso. Ho capito finalmente fino in fondo che Gesù non la pensa così, infatti disse: «Sono venuto perché abbiate la gioia e la vostra gioia sia grande». Non bisogna temere, anzi dobbiamo godere appieno delle cose belle della vita, perché esse sono un vero e grande dono di Dio.

2) Gesù comincia la serie dei miracoli apparentemente con un “miracolo superfluo”, non strettamente necessario, e quindi ho riflettuto con la mia gente che anche i nostri involucri multicolori che avvolgono certi aspetti della vita hanno la loro importanza, che non si devono guardare con superiorità, ma anzi usare abbondantemente.

3) Gesù dona non solamente del vino, ma dell’ottimo vino, anche quando avrebbe potuto offrire un vinello da supermercato. La carità va fatta e va fatta bene, senza tirchierie, senza musi lunghi, ma spontaneamente e gioiosamente e con generosità.

A pensarci bene questi discorsi non sono quanto mai impegnativi, ma sembrava, quando li ho fatti nella predica, che i fedeli avessero scoperto l’America, tanto si è abituati, nel pensare comune dei credenti, alla legnosità, al negativo e alla paura del bello e di ciò che rende felice e gioiosa la vita.

La Marini

Ho confidato, anche nel passato, il mio sconcerto nell’apprendere che i giovani di oggi praticamente rifiutano il matrimonio.

Quando ho letto che anche nel patriarcato di Venezia ormai i matrimoni celebrati con rito civile superano di gran lunga quelli religiosi, sono stato pressoché interdetto, perché fino a trent’anni fa si contavano sulle dita di una mano quelli civili.

Ora, non so se per la moda, per paura di un vincolo stabile, per motivi economici, per rifiuto dei corsi prematrimoniali obbligatori o per assoluta indifferenza religiosa, stanno diventando mosche bianche i giovani che si sposano in chiesa. Ma da quanto ho potuto capire attualmente sono entrati in crisi anche i matrimoni celebrati in Comune da qualche funzionario munito di fascia tricolore.

L’ultima moda sembra essere quella della convivenza. Purtroppo constato che “saltano” in ugual misura sia quelli religiosi che i civili, ed ugualmente le convivenze. Anche le unioni nuziali e quelle similari sembrano galleggiare su “valori liquidi” estremamente mobili e di nessuna consistenza.

In una situazione del genere venire a sapere che una ragazza un po’ attempata e che non ha brillato proprio per moralità, si è sposata in chiesa, dovrebbe fare enormemente piacere ad un vecchio prete come me che, anche in queste cose, si rifà fatalmente al suo “piccolo mondo antico”. Invece no! Quando una mia fedele, avanzata negli anni – ma non troppo – mi ha chiesto: «Non ha letto, don Armando, che la Marini, quella dei film erotici di Tinto Brass, si è sposata?», ho risposto di no, perché certo io non leggo mai queste notizie di cronaca (non so se definirla rosa o nera). Lei soggiunse, scandalizzata ed indignata: «S’è sposata, e in Vaticano!» (penso abbia voluto dire “in San Pietro”, madre di tutte le chiese). E poi, con un affondo finale: «Dio sa quanto avrà pagato!».

Io devo essere l’ultimo a scandalizzarsi per la “pecorella smarrita” o per il “figliol prodigo”, però penso che un po’ di discrezione per queste cose e per questi personaggi ci vorrebbe proprio! Con tante chiese che si trovano ovunque, quel prete che l’ha preparata al sacramento nuziale penso che avrebbe potuto suggerirle di entrare in chiesa in punta di piedi e senza l’abito bianco.

Spero tanto che non c’entrino i soldi, però credo che il buon Orazio abbia ancora ragione, quando afferma che “ci sono certi limiti al di qua e aldilà dei quali non c’è il giusto”. Ora non vorrei proprio apprendere che ci sia anche di mezzo un vescovo o, peggio ancora, un cardinale!

La preghiera di un “miscredente”

Un magistrato in pensione, in onore della sua cara e calda amicizia, spesso mi passa libri, dischi e films che egli intuisce che mi possono interessare quanto mai. Essendo questo signore ormai in pensione, dopo essere stato presidente per il tribunale dei minori a Venezia e avendo perduto la sua cara consorte un paio di anni fa, si dedica ora alla lettura, alla musica e all’amato sport della bicicletta.

Laureato alla “Cattolica” di Milano, questo magistrato ha acquisito un sottofondo culturale di notevole spessore, che aggiorna costantemente seguendo la produzione letteraria contemporanea che affronta tematiche sociali e religiose, vedendo film di contenuto elevato e, nello stesso tempo, vivendo la vita religiosa con grande semplicità. Io, come con tutti, gli dedico poco tempo, ma egli, con grande discrezione, mi rende partecipe della sua ricerca spirituale.

Qualche settimana fa mi ha passato una bella preghiera, che pubblico in questo numero de “L’Incontro”, e con fare un po’ sornione mi ha chiesto che, dopo averla letta, gli facessi sapere chi io ritenessi ne fosse l’autore. Ho letto con particolare attenzione questa preghiera; notai che non aveva nulla del lagnoso che spesso hanno le preghiere, anzi intuii, specie nel finale, un lieve sapore critico per la religiosità ufficiale e di maniera.

Tentai, pur sapendo che non era credente e che si era suicidato, di attribuirla a Primo Levi, sapendolo un uomo che ha sperimentato tutta la meschinità dell’uomo sadico e prepotente. Sennonché il mio amico, con un altro sorriso sornione, mi disse che l’autore era Voltaire, il pensatore laico del secolo dei lumi. Al che obiettai: «Ma Voltaire non era ateo?». Il magistrato mi chiarì: «No, Voltaire era anticlericale, non ateo!». Capii subito che il pensatore francese ne aveva ben donde per essere anticlericale, dopo il comportamento dell’alto – ma anche del basso – clero dei suoi tempi.

Riflettei a lungo e seriamente su questo argomento, arrivando ad una conclusione quanto mai amara per chiunque, soprattutto per un prete quale sono io: l’anticlericalismo, piuttosto che un segno di areligiosità o di ateismo, credo che lo si debba considerare segno di una ricerca e di un bisogno di una religiosità autentica. Il discorso si farebbe lungo e triste su questo argomento; per ora mi limito a tentare di trarne le conclusioni per quanto mi riguarda.