La preghiera di un “miscredente”

Un magistrato in pensione, in onore della sua cara e calda amicizia, spesso mi passa libri, dischi e films che egli intuisce che mi possono interessare quanto mai. Essendo questo signore ormai in pensione, dopo essere stato presidente per il tribunale dei minori a Venezia e avendo perduto la sua cara consorte un paio di anni fa, si dedica ora alla lettura, alla musica e all’amato sport della bicicletta.

Laureato alla “Cattolica” di Milano, questo magistrato ha acquisito un sottofondo culturale di notevole spessore, che aggiorna costantemente seguendo la produzione letteraria contemporanea che affronta tematiche sociali e religiose, vedendo film di contenuto elevato e, nello stesso tempo, vivendo la vita religiosa con grande semplicità. Io, come con tutti, gli dedico poco tempo, ma egli, con grande discrezione, mi rende partecipe della sua ricerca spirituale.

Qualche settimana fa mi ha passato una bella preghiera, che pubblico in questo numero de “L’Incontro”, e con fare un po’ sornione mi ha chiesto che, dopo averla letta, gli facessi sapere chi io ritenessi ne fosse l’autore. Ho letto con particolare attenzione questa preghiera; notai che non aveva nulla del lagnoso che spesso hanno le preghiere, anzi intuii, specie nel finale, un lieve sapore critico per la religiosità ufficiale e di maniera.

Tentai, pur sapendo che non era credente e che si era suicidato, di attribuirla a Primo Levi, sapendolo un uomo che ha sperimentato tutta la meschinità dell’uomo sadico e prepotente. Sennonché il mio amico, con un altro sorriso sornione, mi disse che l’autore era Voltaire, il pensatore laico del secolo dei lumi. Al che obiettai: «Ma Voltaire non era ateo?». Il magistrato mi chiarì: «No, Voltaire era anticlericale, non ateo!». Capii subito che il pensatore francese ne aveva ben donde per essere anticlericale, dopo il comportamento dell’alto – ma anche del basso – clero dei suoi tempi.

Riflettei a lungo e seriamente su questo argomento, arrivando ad una conclusione quanto mai amara per chiunque, soprattutto per un prete quale sono io: l’anticlericalismo, piuttosto che un segno di areligiosità o di ateismo, credo che lo si debba considerare segno di una ricerca e di un bisogno di una religiosità autentica. Il discorso si farebbe lungo e triste su questo argomento; per ora mi limito a tentare di trarne le conclusioni per quanto mi riguarda.

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