Quando la semente trova il terreno buono…

Da tanto tempo raccolgo, tra le letture che vado facendo, passi, preghiere e riflessioni che contengono pensieri molto pregnanti e scritti in maniera incisiva tanto da creare un impatto di pensiero e di emozioni a chi gli capita di leggerli.

Dieci anni fa ho pubblicato un volume in occasione dell’anno santo “Il duemila con Dio”. Nel testo ho riportato per ogni giorno uno di questi pezzi di pensiero espressi con parole ricche di poesia e di impatto.

Ora da un paio di anni raccolgo questi messaggi forti per l’opuscolo mensile che andiamo pubblicando con l’editrice de “L’incontro” grazie ad un gruppetto di meravigliosi collaboratori.

Mi spiace che per carenza di mezzi e di una rete distributiva riusciamo a pubblicare un numero limitato di copie, ma spero che già la ricerca e la pubblicazione possano essere una semente che trova un terreno buono e renda il trenta, sessanta e magari il novanta per cento.

A questo proposito ricordo un pezzo che aveva come titolo “La preghiera del pagliaccio”. Questo povero diavolo, che non avendo cultura e formazione religiosa, diceva: “Signore, io non ti so pregare, sono umile e povero so solamente giocare con le palline, un gioco di destrezza!” Così alla sera pregava il buon Dio facendo rimbalzare le palline colorate verso il cielo e le raccoglieva con abilità. Qualche settimana fa il mio pensiero è ritornato alla preghiera del giocoliere, avendomi donato un marmista la pila dell’acqua santa e il bellissimo tabernacolo.

Più di trent’anni fa sposai una coppia di ragazzi, a quanto mi ricordo non mi sono sembrati molto devoti e troppo propensi a fare il corso per fidanzati. Poi come sempre li persi di vista. Essi sono riemersi dalle nebbie di un lontano passato, in occasione della nuova chiesa del cimitero per regalarmi la pila dell’acqua santa e il tabernacolo. Lui fa il marmista, lei la segretaria dell’azienda. Hanno però fatto il tutto con tale entusiasmo e tale tenerezza che credo che neppure un Te Deum da pontificale possa eguagliare la consistenza dell’opera che hanno regalato per la chiesa e il cuore con cui l’hanno fatto!

Dio è padre di tutti e parla a tutti, non solo agli intellettuali!

Qualche giorno fa ho letto una volta ancora la risposta di Gesù al dottore della legge, che chiedeva quali fossero le verità portanti del pensiero biblico e quindi di Cristo. La risposta è stato chiara, anzi lapidaria: “Il primo precetto è: ama Dio con tutta la tua intelligenza, il tuo cuore e la tua volontà” e il secondo è complementare al primo: “ama il prossimo tuo come te stesso, su questo poggiano tutta la legge e i profeti!” Ho letto mille e mille volte questo passo evangelico però ogni volta che mi capita di ritrovarlo ne provo gioia, anzi ebbrezza.

Queste parole di Cristo mi riconfermano ogni volta nella convinzione che Cristo ha predicato un messaggio, per tutti, e quando ha seminato i germi del cristianesimo ha inteso di fondare una chiesa di popolo e non un piccolo ghetto per bigotti. Sono letteralmente infastidito per i corsi, gli aggiornamenti, le scuole teologiche, bibliche, patristiche nelle quali tutto diventa complicato, macchinoso e astruso. Credo che se riusciamo a far passare con forza queste due verità predicate da Gesù come essenziali ed assolute, ci libereremo finalmente da una congerie di ragionamenti astrusi, difficili e inconcludenti.

Non mi pare però di trovare troppi consensi tra i miei confratelli ed anche tra molti cristiani impegnati!

Il difficile, il complicato e le alchimie teologiche mi pare che oggi vadano per la maggiore ed abbiano un fascino irresistibile tra gli azzeccagarbugli della chiesa! Mi conforta però un fioretto della vita del papa contadino Giovanni XXIII che ho letto da qualche parte. Dicono che appena eletto Papa Giovanni un sacco di personaggi di chiesa, prelati e teologi, si sono presentati a lui per far conoscere i loro meriti nella chiesa. Questo non mi scandalizza perché siamo tutti poveri uomini.

Comunque un quasi famoso teologo di cui ricordo il nome, ma non lo cito per carità cristiana ed anche perché l’episodio potrebbe essere non vero, regalò al Papa una pila di volumi; tutta la sua produzione teologica. Si dice che il Papa semplice, buono e saggio avrebbe osservato: “E dire che tutti questi volumi sono contenuti nel Padre nostro!”

Dio è padre di tutti e credo voglia parlare a tutti e non solo ad un piccolo numero di intellettuali.

Quel dialogo inatteso mi ha ricordato l’importanza di ammettere gli errori

Anche un intervento chirurgico è regolato da una liturgia particolare, di preparazione, di attese tecniche e poi di esecuzione.

Mentre attendevo l’inizio dell’intervento, ho avuto modo di chiacchierare con uno dei tecnici che si occupava del computer e delle registrazioni. L’inizio di questo colloquio, in questo ambiente particolare, è stato del tutto occasionale.

Questo operatore mi chiese il nome, io risposi alla domanda, poi quasi per istinto o per abitudine, aggiunsi “Don Armando Trevisiol” e lui prontamente in tono tra il bonario e il faceto: “Non penserà d’avere un trattamento particolare dato che è prete?”

In sincerità non m’era neanche passata per la mente una simile considerazione, mi ha sempre infastidito il comportamento mieloso nei riguardi dei preti, semmai in quel momento m’aspettavo un po’ più considerazione per la mia veneranda età.

Con questa battuta di avvio cominciò una conversazione di una ventina di minuti che prestissimo divenne cordiale, perché mai ho avuto l’intenzione né la volontà di difendere l’indifendibile sui comportamenti della chiesa. Anche la chiesa è fatta di poveri uomini!

Quel tecnico era certamente un ragazzo colto e documentato, pur non essendo aspro nei miei riguardi odorava però una cultura radicale!

Cominciò col citare lo Stocchiero, un vecchio libro di settanta, ottanta anni fa circa il comportamento pastorale dei sacerdoti. Estrapolando sentenze, norme e tradizioni di un prete vecchio e per di più padovano, era facile chiosare in maniera sorniona e canzonatoria i comportamenti suggeriti! Mi era difficile ribattere anche perché in una posizione scomoda e con la bocca impastata dall’anestesia.

Però quel ragazzo non aveva tutti i torti quando diceva che ci scandalizziamo del comportamento dei musulmani con le loro donne; quando settant’anni fa era così anche per le nostre donne!!

Infine ho preso atto che non aveva tutti i torti, difendere sempre e comunque la chiesa è uno dei peggiori mali che le si possa fare, si diventa integralisti e clericali, è meglio confessare sempre debolezze e peccati!

Quell’augurio prima di partire per la “battaglia”

Nota della redazione: don Armando questa battaglia l’ha affrontata., qui leggiamo i suoi scritti dei giorni dell’intervento. Raccomandiamo a lettori e amici di continuare a sostenerlo con la preghiera!

Mi ritrovo in ospedale con prospettive non eccessivamente rosee.

“La bestia” che per sette anni i medici dell’Angelo hanno combattuto sul terreno della vescica, s’è rifugiato in una posizione per lui più favorevole, in un rene. I medici padovani hanno studiato un attacco diretto per demolire in maniera radicale il rifugio, nella speranza che lo scontro frontale risulti positivo e non vi siano sortite alla talebana su altre zone.

Sono soletto nella clinica urologica vicino a Sant’Antonio in quel di Padova. I miei crucci nascono sì dal fatto che l’impresa non sarà troppo facile, ma soprattutto nell’avvertire che finisco di disturbare tanta gente, perché, pur non essendo Padova ai confini del mondo, è sempre un viaggio raggiungere mediante l’intrico caotico di strade, l’istituto della clinica padovana.

Io poi che non amo il telefonino, sia per trasmettere che per ricevere, provo maggiori difficoltà di altri. Nella mia camera ho modo, invece, di constatare con quale disinvoltura e continuità gli altri tre inquilini mantengono i contatti con parenti ed amici.

Per quanto riguarda l’aspetto di fondo, specie quando sono stato posto tra i marchingegni della piastra operatoria mantenendo la padronanza solamente di una parte di me a causa dell’anestesia, un paio di volte mi è capitato di pensare: “Sono giunto all’inizio della fine!”

Sono però molto sereno, temo solamente le notti interminabili e l’immobilità fisica. Molte volte ho ripetuto dentro al mio cuore “nella tue mani, Signore, metto la mia vita” e “Sia fatta la tua volontà!”
Sarebbe sciocco sperare un domani diverso da tutti.

Prima che il chirurgo cominciasse il suo lavoro, mi han chiesto la data di nascita: così che i miei 81 anni li ho festeggiati immobilizzato sul tavolo operatorio con l’augurio del chirurgo, dei tecnici e degli assistenti.

Però è stato pur bello sentire l’augurio di tutti!

Ho riscoperto il cuore del Padre nelle parole di don Mazzolari!

Don Mazzolari ebbe dei grossi guai dalla gerarchia ecclesiastica per il suo volume di commento sulla parabola del prodigo.

Da quei tempi, nei quali era rimasto ancora nella gerarchia qualche piccolo residuo della lontana “sacra inquisizione”, che poi di sacra non aveva proprio nulla, n’è passata dell’acqua sotto quei ponti, motivo per cui se affermo che mi trovavo e mi trovo d’accordo con don Mazzolari non credo di passare alcun pericolo, poiché ora don Mazzolari è una delle bandiere più fulgide delle testimonianze delle quali la chiesa ormai si vanta quanto mai!

La lettura che don Mazzolari fa della parabola inquadra sì l’amara avventura del minore, la meschinità e l’egoismo del più grande, ma soprattutto mette a fuoco l’amore del Padre che dimostra un amore che a pensarci bene quasi ti provoca le vertigini.

Confesso che da quando ho letto il commento della parabola fatto dal prete della bassa padana, quasi mi sento in colpa perché mi pare d’aver presentato un Dio piccolo, intrigante, preoccupato fin troppo delle beghe delle sue creature, angusto nei giudizi, preoccupato di non essere sminuito ed infangato dalla miseria degli uomini.

La scoperta del cuore del Padre è stata per me quasi una folgorazione sulla via di Damasco.

Ora so che posso tuffarmi sereno e sicuro nell’amore del Padre come in un oceano accogliente d’amore che mi satura di luce, di bellezza e di bontà.

Anche oggi ci sono le potenzialità per costruire un mondo nuovo!

Io sono sempre stato un gran sognatore, mi sono sempre prodigato con tutte le mie risorse perché convinto che sia possibile un mondo diverso e migliore.

Ricordo quasi con un’ebbrezza interiore d’aver partecipato in Piazza San Marco, appena terminata la guerra, ad un discorso di Padre Lombardi, il gesuita che predicò quasi una crociata che aveva come obiettivo “un mondo migliore”.

A quel tempo ero poco più che adolescente e il discorso di questo grande oratore mi entusiasmo al punto che mi pareva che ormai fossimo giunti all’alba di questo sognato “mondo migliore”.

Continuai sempre a sognare nuovi orizzonti per la chiesa, per la società, per la scuola, per i giovani, per le parrocchie per tutte quelle realtà con le quali via via sono venuto a contatto.

Ora mi sono appoggiato su certi uomini di chiesa ora sulle proposte ideali di certi politici ora sulle piccole comunità che ho incontrato e che ho visto crescere come per miracolo, ma sempre ho trovato materiale per accendere il sogno.

Sempre mi è parso che le realtà umane che incontravo scout, azione cattolica, maestri cattolici, gruppi spontanei del ’68, parrocchie ecc. avessero al loro interno delle potenzialità che bastava fossero riattizzate, curate con amore perché fiorissero!

Credo ancora che sia sempre così; gli uomini hanno bisogno di fiducia, di entusiasmo, di amore di incoraggiamento! Non penso più che le riforme fatte a tavolino con norme, leggi, possano cambiare il mondo.

Ho l’impressione invece che pure oggi anche le istituzioni più vecchie, più sorpassate nel tempo possano rinascere come arabe fenici se incontrano uomini di buona volontà, seri, corretti, entusiasti ed un po’ folli che le sollecitino e facciano sprizzare la scintilla che hanno dentro di sé, ma sempre ci vuole la buona volontà, il coraggio e la scelta di spendersi tutti per un ideale positivo.

Un funerale povero a Mestre, città sempre più disumana…

Cristiano, il capoufficio della Veritas della direzione del cimitero, mi ha chiesto di accompagnare alla sepoltura la salma di uno sconosciuto che dopo essere stato parcheggiato per lungo tempo nei frigoriferi delle celle mortuarie, si congedava dalla città in cui è vissuto con un “funerale di povertà”

Ho chiesto se ci fosse stato qualche parente o qualche amico. La risposta è stata pronta e malinconica; “Nessuno! ha dei parenti, ma non ne hanno voluto sapere perché temevano di dover pagare qualcosa”.

La mattina era gelida il vento del nord sferzava i cipressi, le lapidi e i nostri volti nel cimitero quasi deserto.

Ci avviammo con la bara dei poveri trasportata su un carrello di ferro spinta da quattro necrofori in tuta da lavoro e gli scarponi infangati dal terreno melmoso del campo. Io davanti con la stola viola, dietro la bara Cristiano, il dirigente che non manca mai di accompagnare i poveri al sepolcro.

La terra era franata motivo per cui l’escavatore dovete rifare la fossa, poi la preghiera e la sepoltura.

Fui edificato dal contegno particolarmente dignitoso dei seppellitori, alla mia benedizione, cosa insolita, tutti si segnarono devotamente e poi presero le vanghe per coprire di terra benedetta la bara del fratello che si accomiatava tanto poveramente.

Sembrava che il mistero della morte di una persona sola in una città spesso anonima ed indifferente ai drammi dell’individuo, colpisse particolarmente la coscienza e il cuore di queste persone umili ma sane che percepivano la tristezza dell’indifferenza di un mondo disposto a beneficiare dell’apporto di tutti, ma che rimane sordo di fronte al dramma della persona. Ritornai in chiesa a chiedere al Signore che accogliesse benevolmente il figlio che ritornava a casa solitario, e lo ringraziai per la calda e semplice testimonianza di umanità che avevo colto in Cristiano e nei suoi quattro dipendenti, umani e fraterni in una città che di giorno in giorno diventa sempre più disumana.

Ebrezza e paura nel proporre il messaggio di Dio

Qualche settimana fa illustravo ai fedeli che gremivano la mia chiesa tra i cipressi che gli ebrei chiamavano le loro assemblee religiose: “Sacra convocazione”

Facevo questa premessa alla riflessione domenicale per ribadire che quando il Signore convoca il suo popolo lo fa sempre perché ha qualcosa di importante da suggerire ai suoi figli, qualcosa che Egli sa che essi ne hanno bisogno per vivere una vita più bella e più degna.

Continuavo poi la premessa, dicevo che sempre il buon Dio ha anche qualcosa di buono da donare loro per aiutarli a trascorrere una settimana più serena.

Il Signore di solito convoca nella mia nuova chiesa un’assemblea molto numerosa, tanto che già qualcuno deve seguire la messa fuori delle “mura” del nuovo edificio.

Ogni domenica avverto quindi nel mio animo l’enorme responsabilità di mettere a disposizione di Dio la mia povera voce, ma soprattutto il mio spirito come strumento che Dio sceglie per comunicare con il suo popolo.

Non so quanto tremasse la parola di Mosè quando faceva la stessa funzione che oggi è chiesta a me e ad ogni sacerdote. So però che Mosè come Geremia, quasi protestavano con Dio, il primo perché non aveva una parola calda e scorrevole, perché balbuziente, il secondo perché si sentiva troppo giovane per avere pensieri capaci di trasmettere la sapienza e l’amore di Dio.

Il compito che Dio mi affida settimanalmente l’avverto come un compito che da un lato mi da un’ebbrezza infinita per le proposte splendide di Dio, dall’altro lato una preoccupazione ed un’angoscia profonda per la mia inadeguatezza ad un compito così sublime.

Durante la settimana mi dedico a scoprire in anticipo il dono che il Signore mi pare voglia fare ai suoi figli e lo sento sempre e lo scopro immensamente importante per la gente che amo e che vorrei aiutare in tutti i modi perché è tanto cara con me e mi edifica ogni domenica con la sua compostezza, la sua fede e la carità verso questo povero vecchio prete!

Politici al Don Vecchi

Il mio diario è sì un diario di incontro, di sensazioni e di riflessioni che nascono nel mio animo in un giorno ben determinato, con l’impatto con fatti e situazioni, ma questo giorno è solamente un giorno anonimo non contrassegnato da una data precisa. Motivo per cui a chi capitasse di leggerne il contenuto, ben difficilmente può far riferimento ad un giorno in particolare. Può darsi quindi che qualcuno possa scoprire che il riferimento ai fatti non coincida al momento in cui il periodico esce fresco di stampa, può quindi verificarsi che quando vedrà la luce questa pagina, ciò di cui parla sia totalmente superato.

In queste ultime settimane, il don Vecchi è stato visitato da tantissimi aspiranti ad amministrare la municipalità, il Comune o la Regione, forse spinti anche dalla mia pubblica dichiarazione che la nostra struttura rimaneva aperta ed accogliente a qualsiasi cittadino che intendeva candidarsi alla guida di suddette realtà.

A tutti io ho tentato di fornire informazioni adeguate dei bisogni e delle attese della categoria di cittadini che abitano al Centro: anziani autosufficienti o quasi, di condizioni economiche ultramodeste.

E’ mia viva speranza che chi ha preso coscienza diretta della situazione se ne ricordi quando sarà al governo della città. In questa occasione ho avuto anche modo di confrontare le campagne elettorali alle quali ho partecipato nella mia giovinezza a quella attuale.

Un tempo c’erano grandi tensioni sociali, proposte, ideali , orientamenti, scelte di fondo, grandi utopie!

Ora invece qualche progetto concreto, qualche soluzione di problemi esistenti, ma nulla più.

Mi è parso di avvertire un grande grigiore in cui tutti i colori, le proposte e i progetti si stemperavano tanto da non riuscire più a comprendere la matrice.

Dall’ospedale dell’Angelo alla città del Santo

Il medico che segue le vicende alterne della mia salute, dopo aver preso visione della Tac che mi è stata fatta a Villa Salus qualche giorno fa, mi ha consigliato la clinica universitaria di Padova perché nell’ospedale all’Angelo, che tutti hanno affermato essere un ospedale di eccellenza, non ci sono attrezzature adeguate al mio caso e alla mia età.

Sono stato profondamente ammirato dall’umiltà, dall’onestà e dalla saggezza di questo medico. Avevo letto nel recente passato qualche notizia al riguardo, delle carenze tecniche e di personale del nostro nuovo ospedale, ma non ci avevo fatto tanto caso, sapendo che è sempre tanto facile criticare.

Io più volte ho manifestato pubblicamente la mia ammirazione per il nuovo ospedale, per la bellezza architettonica, per la sistemazione a verde della grande e piacevolissima hall d’accoglienza e per la funzionalità del tutto. Però già in passato ero rimasto un po’ perplesso quando la stampa cittadina denunciava la fuga di ottimi sanitari a motivo che l’organizzazione ospedaliera non li supportava adeguatamente di mezzi tecnici.

Ora però che m’è toccato di fare un’esperienza diretta il problema si è manifestato in tutta la sua cruda realtà.

Nella clinica padovana, ho trovato un affollamento ed un ritmo tanto convulso, fortunatamente pèrò mi ha accolto un giovane primario, che a detta di tutti è un eccellente professionista, il quale mi ha ricevuto con cordialità e simpatia, mi ha inquadrato il problema e mi ha indicato il percorso che intende seguire.

Ora, sono come sempre nelle mani di Dio, ma anche dell’uomo che ha scelto per darmi una mano!

Una nuova battaglia

Nota della redazione: don Armando questa battaglia l’ha affrontata., qui leggiamo i suoi scritti antecedenti l’intervento. Raccomandiamo a lettori e amici di continuare a sostenerlo con la preghiera!

Gli americani hanno voluto ricordare l’avvenimento che diede una svolta decisiva nella guerra degli alleati contro il 3° Reich, cioè lo sbarco in Normandia con un film grandioso che è stato intitolato “Il giorno più lungo” A ragione fu dato questo titolo perché nelle 24 ore dello stesso sbarco, si svolse un dramma bellico ed umano così intenso e di così grande portata da sembrar che il tempo normale non lo potesse contenere.

La notte che si è conclusa con il suono della sveglia alle 5,30, come ogni giorno, è stata per me la notte più tormentata e certamente la più lunga della mia vita.

Ieri sera il medico ha letto il dischetto della Tac che ho subito qualche giorno fa mostrandomi che “la bestia” come l’ha chiamata il servita padre David Maria Turoldo, che io mi ero illuso d’aver sconfitto mediante la chemioterapia, non era stata uccisa definitivamente, si era soltanto ritirata in un posto del mio organismo strategicamente più difficile da combattere e più nevralgico per la mia esistenza.

Mi sono accorto nella veglia notturna agitata ed insonne, che le mie difese psicologiche ed ascetiche erano ben più fragili di quanto non immaginassi, tanto che la notizia ha riportato in prima linea le tematiche fondamentali della vita, del presente e del dopo.

Le risposte teoriche racimolate con tante letture e tante meditazioni sono risultate sì importanti ma fragili a livello esistenziale.

Ora comincia una nuova battaglia che fatalmente devo affidare a soldati di ventura quali sono i medici, io starò a vedere e semmai a rafforzare il fronte interno con la preghiera e l’abbandono nel Signore pur avvertendo, ma questo dovevo saperlo da sempre, che se anche vincessi un’altra battaglia la guerra per me e per tutti è perduta!

La rivoluzione della solidarietà per costruire il mondo nuovo!

Fin da bambino ho sentito parlare di frequente di rivoluzioni che avrebbero finalmente sistemato il mondo in maniera definitiva e giusta.

I primi ricordi risalgono alla mia infanzia di balilla, allora si parlava della rivoluzione fascista. Più grandicello mi ha investito la rivoluzione franchista e quella opposta, la repubblicana, poi presi coscienza della rivoluzione per antonomasia, quella dei soviet, la rivoluzione d’ottobre che sembrava proprio dovesse espandersi nel mondo intero. Dopo di allora ho cessato perfino di prendere nota del nome delle rivoluzioni, da Mao a Peron, da Ataturk ad Hitler ……….di rivoluzioni ne sono avvenute per tutti i gusti!

Fortunatamente per me e per l’umanità esse sono tutte miseramente fallite e tanto esse sono state più grandi e più estese, tanto più grande è stato il tonfo del cumulo infinito di rovine provocate da esse. In tutta questa porzione di secolo XIX° e XX°, l’unica che è rimasta in piedi è stata la rivoluzione di Cristo, quasi sempre incruenta, pagata col sacrificio dei suoi adepti piuttosto di quello dei suoi avversari, come avviene sempre, non troppo rumorosa e poco appariscente , essa accompagna ed irradia la vita del singolo e della società aiutandola a sognare e a vedere un mondo nuovo ed una vita più solidale.

In questo ultimo scorcio di tempo, a dire il vero, sono sempre più interessato a quell’aspetto particolare di questa grande rivoluzione pacata, incruenta e gentile che comunemente è chiamata solidarietà. Credo sempre di più che nella misura in cui si educheranno le coscienze a condividere, ed essere solidali, a pensare che solo aiutandosi si trovano soluzioni e pace, si realizzerà in maniera quasi impercettibile, ma vera, il mondo nuovo.

Sto ritornando bambino quando sognavo percorrendo il rettilineo sull’argine del Piave che da Eraclea porta a San Donà, spingendo i pedali per raggiungere il punto dell’orizzonte in cui il cielo e la strada si congiungevano.

Ora so che potrei pedalare anche per un millennio senza raggiungerlo, ma so ancora che questo sogno m’aiuta ad andare avanti!

Quando arriva il tempo di decidere…

L’ultimo mestiere che io avrei potuto fare è il diplomatico. Credo che il diplomatico debba osservare, tacere, dire senza dire, arrotondare gli spigoli delle parole e delle argomentazioni, sorridere, inchinarsi, chiudere in cassaforte le sue intenzioni, le sue reazioni, i suoi convincimenti, attendere, far buon viso a cattivo gioco, trastullarsi nei salotti parlando di mille facezie lasciando fuori dalle dimore dorate i problemi veri, le sofferenze e le attese della gente.

In questo ultimo tempo, di fronte a qualche difficoltà, che avevo tentato di risolvere con qualche cambiamento marginale, c’è stata una reazione imprevista come se io mi trastullassi con dei cambiamenti capricciosi e poco motivati.

Siccome ci tenevo quanto mai, che con le realtà che mi sono vicine, vi fossero rapporti non solo cordiali, ma anche amichevoli e collaborativi, ho tentato con tutte le mie forze di pazientare, di dimostrare che non volevo danneggiare alcuno, ma nel contempo risolvere qualche problema interno che gli altri non potevano conoscere nè avere elementi per redimere. Poi forse per la mia assoluta mancanza di risorse diplomatiche, ho dovuto dire con franchezza “Qui il capo sono io e solo io ho la facoltà di decidere, piaccia o non piaccia!”

Mi è costato ma l’ho dovuto dire! Le mie gatte me le pelo io!

Non ho la pretesa di essere né il migliore, né il più saggio e neppure ho l’arroganza d’essere l’unico a saper fare il mio mestiere. Sono disposto a mettermi da parte al più piccolo cenno e in qualsiasi momento e di lasciare la barra ad un altro capitano, ma finchè rimango al posto di comando le decisioni le prendo io, assumendomene ogni responsabilità. Così ho sempre fatto e così continuerò a fare piaccia o non piaccia.

Io non ho stima alcuna di chi rimane in balia dei consigli e non ascolta la sua coscienza.

Con la concorrenza migliora anche il trasporto dei defunti

Fino a l’altro ieri gestiva il trasporto dei defunti una impresa, che aveva subappaltato dalla Vesta, suddetto servizio. Normalmente l’impresa era definita municipalizzata in quanto il Comune solamente aveva la prerogativa di poter occuparsi del trasporto dei defunti.

Non ho mai capito bene come andassero le cose. Molto probabilmente ci guadagnava la Veritas senza sporcarsi le mani avendo il solo merito di procedere al subappalto, ci guadagnava di certo chi in realtà faceva il servizio e più ancora di certo ci perdeva il Comune dovendo ogni anno ripianare un bilancio malconcio e scriteriato con somme rilevanti.

Arrivò una legge che abolì la privativa del Comune essendo ormai lampanti che i comuni non sanno gestire, sono sempre in perdita e fanno malissimo ogni cosa a cui mettono mano. Nonostante questa legge si andò avanti per anni con una tiritera di rinnovi dell’appalto, finalmente anche l’ultimo anello della catena è fallito!

Ora ogni singola impresa si arrangia per conto proprio, come avrebbe dovuto avvenire fin dal principio se una certa sinistra non fosse infatuata per una gestione pubblica che sempre e in tutti i campi è onerosa e scalcinata.

Da un po’ di tempo a questa parte sto accorgendomi che il regime di concorrenza affina il servizio: necrofori con divisa, ingaggiati e corretti, senza problemi per sollevare il cofano come invece avveniva un tempo.

Ora poi si è arrivati a delle “liturgie” specifiche che riescono perfino a sorprendermi, quelli di una agenzia rimangono impietriti sull’attenti accanto al feretro finché non esce il prete per la messa, quelli della Caritas hanno aggiunto il segno di croce contemporaneo prima di lasciare il feretro per la funzione.

Tutto questo diventa il segno della validità del libero mercato e l’ulteriore condanna del collettivismo dell’utopia marxista!
E’ poco, ma meglio di niente?

La politica non è un tema da evitare

Mio fratello don Roberto, che ancora una volta sento il bisogno di affermare, essere un prete veramente capace ed un parroco quanto mai valido, ha scritto sul suo settimanale che non desidera che gli aspiranti amministratori del Comune e della Regione si facciano conoscere in parrocchia in occasione delle elezioni e perciò li dispensa anzi li invita a non bussare alla porta della parrocchia. Con tutto l’affetto e il rispetto che nutro per mio fratello parroco, la penso in maniera diametralmente opposta.

Sono convinto infatti che la politica sia in se stessa una cosa nobile e degna, offrirsi e lavorare per il bene comune è un ottimo impegno, confrontarsi su progetti e sui programmi mi pare non solamente giusto ma anche doveroso. Se poi qualcuno obietta che ci sono persone che si servono della politica per fare i loro interessi privati, che ci sono persone ambiziose, persone assolutamente partigiane, persone per nulla preoccupate del bene comune, ma solo interessate alla poltrona, non ho nessunissima difficoltà ad ammetterlo. A questo mondo è sempre stato che ci sono persone ignoranti, furbe, disoneste, montate, superficiali, incapaci di riconoscere i propri limiti, ma ciò non avviene solamente negli aspiranti amministratori pubblici e nei politici, ma anche tra i preti, i magistrati, gli avvocati e via di seguito.
Questi sono i limiti della nostra umanità perciò non credo che si debba pretendere dagli altri ciò che noi non riusciamo a fare.

E’ vero che mi pare che in questo nostro particolare frangente la classe politica appare molto scadente, corrotta, carrieristica, litigiosa e faziosa, quella che poi si dice di ispirazione cristiana mi pare alla deriva e che non sia per nulla riscattata dalla batosta di tangentopoli, ma è altrettanto vero che quella laica di destra e di sinistra vada meglio, anzi!

Sono d’accordo col Papa che auspica una classe politica di giovani cristiani più ricca di valori e di ideali e meno compromessa.