Ebrezza e paura nel proporre il messaggio di Dio

Qualche settimana fa illustravo ai fedeli che gremivano la mia chiesa tra i cipressi che gli ebrei chiamavano le loro assemblee religiose: “Sacra convocazione”

Facevo questa premessa alla riflessione domenicale per ribadire che quando il Signore convoca il suo popolo lo fa sempre perché ha qualcosa di importante da suggerire ai suoi figli, qualcosa che Egli sa che essi ne hanno bisogno per vivere una vita più bella e più degna.

Continuavo poi la premessa, dicevo che sempre il buon Dio ha anche qualcosa di buono da donare loro per aiutarli a trascorrere una settimana più serena.

Il Signore di solito convoca nella mia nuova chiesa un’assemblea molto numerosa, tanto che già qualcuno deve seguire la messa fuori delle “mura” del nuovo edificio.

Ogni domenica avverto quindi nel mio animo l’enorme responsabilità di mettere a disposizione di Dio la mia povera voce, ma soprattutto il mio spirito come strumento che Dio sceglie per comunicare con il suo popolo.

Non so quanto tremasse la parola di Mosè quando faceva la stessa funzione che oggi è chiesta a me e ad ogni sacerdote. So però che Mosè come Geremia, quasi protestavano con Dio, il primo perché non aveva una parola calda e scorrevole, perché balbuziente, il secondo perché si sentiva troppo giovane per avere pensieri capaci di trasmettere la sapienza e l’amore di Dio.

Il compito che Dio mi affida settimanalmente l’avverto come un compito che da un lato mi da un’ebbrezza infinita per le proposte splendide di Dio, dall’altro lato una preoccupazione ed un’angoscia profonda per la mia inadeguatezza ad un compito così sublime.

Durante la settimana mi dedico a scoprire in anticipo il dono che il Signore mi pare voglia fare ai suoi figli e lo sento sempre e lo scopro immensamente importante per la gente che amo e che vorrei aiutare in tutti i modi perché è tanto cara con me e mi edifica ogni domenica con la sua compostezza, la sua fede e la carità verso questo povero vecchio prete!

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