Cristiano, il capoufficio della Veritas della direzione del cimitero, mi ha chiesto di accompagnare alla sepoltura la salma di uno sconosciuto che dopo essere stato parcheggiato per lungo tempo nei frigoriferi delle celle mortuarie, si congedava dalla città in cui è vissuto con un “funerale di povertà”
Ho chiesto se ci fosse stato qualche parente o qualche amico. La risposta è stata pronta e malinconica; “Nessuno! ha dei parenti, ma non ne hanno voluto sapere perché temevano di dover pagare qualcosa”.
La mattina era gelida il vento del nord sferzava i cipressi, le lapidi e i nostri volti nel cimitero quasi deserto.
Ci avviammo con la bara dei poveri trasportata su un carrello di ferro spinta da quattro necrofori in tuta da lavoro e gli scarponi infangati dal terreno melmoso del campo. Io davanti con la stola viola, dietro la bara Cristiano, il dirigente che non manca mai di accompagnare i poveri al sepolcro.
La terra era franata motivo per cui l’escavatore dovete rifare la fossa, poi la preghiera e la sepoltura.
Fui edificato dal contegno particolarmente dignitoso dei seppellitori, alla mia benedizione, cosa insolita, tutti si segnarono devotamente e poi presero le vanghe per coprire di terra benedetta la bara del fratello che si accomiatava tanto poveramente.
Sembrava che il mistero della morte di una persona sola in una città spesso anonima ed indifferente ai drammi dell’individuo, colpisse particolarmente la coscienza e il cuore di queste persone umili ma sane che percepivano la tristezza dell’indifferenza di un mondo disposto a beneficiare dell’apporto di tutti, ma che rimane sordo di fronte al dramma della persona. Ritornai in chiesa a chiedere al Signore che accogliesse benevolmente il figlio che ritornava a casa solitario, e lo ringraziai per la calda e semplice testimonianza di umanità che avevo colto in Cristiano e nei suoi quattro dipendenti, umani e fraterni in una città che di giorno in giorno diventa sempre più disumana.