Ancora sulle persone di Dio prima che della Chiesa

Molti anni fa, quando ero cappellano a San Lorenzo, portavo frequentemente la comunione ad una signora anziana di Riviera 20 settembre, che non poteva uscire di casa per una infermità; era un’ottima persona e molto religiosa. Il marito mi apriva la porta con tanta cordialità e tanta deferenza, non partecipava però alla comunione della moglie, ma sembrava non solo connivente, ma felice delle pie pratiche della moglie e delle mie visite.

Col passare del tempo e l’aumentare della familiarità, mi prese la curiosità di sapere come la pensasse a livello religioso. Feci il furbo, pur essendo stato io sempre maldestro in certe cose, ed un giorno dissi a questo signore: «Dato che vengo a portare la comunione alla signora, mi costerebbe nulla portarla anche a lei, pur sapendo che lei può uscire di casa». Dapprima mi parve un po’ imbarazzato, ma mi disse poi con tanta bonomia e tanta umanità: «Mi dispiace, don Armando, darle questa delusione, ma io, pur avendo grande rispetto per la Chiesa, venerazione per il Sommo Pontefice (a quel tempo era Papa Giovanni XXIII) e pur essendo innamorato della spiritualità francescana, penso di non essere credente!»

Quel signore era un vecchio socialista che s’era battuto ai suoi tempi per il riposo domenicale dei lavoratori, per la giornata lavorativa di dieci ore e per tante altre cause per cui i socialisti erano impegnati, mentre i clericali pensavano alle funzioni religiose.

Rimanemmo amici, io l’ammirai per la sua autenticità e per il suo umanesimo. Non gli proposi mai di fare la comunione e meno ancora tentai di “convertirlo”. Lui era già convertito e pregava già con la sua onestà intellettuale, il Paradiso se l’era già guadagnato con la sua lotta per l’uomo.

Da allora ho sempre avuto un sacro rispetto, e quasi una venerazione, per quegli uomini che sant’Agostino chiamava “persone che Dio possiede e la Chiesa non possiede”.

Prediche non più lunghe di otto minuti!

Io leggo molto volentieri per bisogno e per necessità e sono dispiaciuto perché non riesco a dedicare alla lettura più tempo di quanto normalmente faccio.

La lettura mi tiene aggiornato sulle problematiche della società in cui vivo, sugli umori della gente e sul mutare costante della sensibilità e contemporaneamente mi mette al corrente sulle iniziative pastorali, sul modo di proporre il messaggio evangelico e mi è quanto mai stimolante per mettere a punto il mio pensiero, le modalità con cui intervenire per iscritto nella stampa e nei miei “sermoni” feriali e soprattutto domenicali.

Tempo fa ho pubblicato un trafiletto, che avevo trovato quanto mai interessante sul nostro periodico nell’intento di condizionare me stesso e i miei confratelli sacerdoti a tutto vantaggio della Parola di Dio e soprattutto del Popolo del Signore, che spesso deve sorbirsi dai suoi preti dei pistolotti che non finiscono più e che costituiscono una penosa penitenza.

L’articolo aveva come titolo “La predica valida è quella con tre c: ossia quando è corta, convinta, e convincente”.

L’altro ieri leggendo “Vita pastorale” una rivista rivolta soprattutto al clero, un articolo dal titolo un po’ sorprendente: “Il diavolo e l’acqua santa” in cui il sacerdote, che organizza da 25 anni la trasmissione da parte della radiotelevisione italiana le messe domenicali, afferma che la predica non deve superare gli otto minuti. Suddetto esperto diceva che questa era la prescrizione del Sinodo dei vescovi italiani; lui aggiungeva poi altre argomentazioni assolutamente condivisibili.

Ho immediatamente chiesto a suor Teresa quali fossero i miei tempi, lei m’ha risposto che sforo di 3-4 minuti! L’ho pregata quindi che d’ora in poi mi cronometri perché ho tutta l’intenzione di obbedire ai vescovi italiani!

Quelli che non vogliono i poveri nelle loro strade!

Molti anni fa, quando ancora facevo l’assistente della San Vincenzo cittadina, parecchie volte ricevetti le rimostranze dei residenti di via Querini perché ritenevano uno sconcio che in una strada del centro e signorile quale essa era ci fosse un continuo andirivieni di poveraglia! È purtroppo ben vero che spesso i poveri della mensa e del magazzino vestiti erano rissosi e disordinati, tanto che non era infrequente che fossimo costretti a chiamare la polizia, i vigili urbani o i carabinieri per ridurli a più miti consigli, ma purtroppo i poveri spesso sono così.

Qualche mese fa la stampa ha pure parlato di qualche disordine che i clienti della mensa dei frati creavano nei dintorni del convento dei Cappuccini che, fedeli all’esempio del poverello d’Assisi, s’impegnano per i poveri! D’altronde è la società che produce questi “rifiuti umani” e alla stessa società spetta quindi il compito di “smaltirli” nel modo migliore possibile!

Ricordo che suddetti residenti arrivarono a incaricare un avvocato perché imponesse alla San Vincenzo di spostare la mensa in periferia, perché essi non disturbassero una via signorile del centro.
La cosa svanì come una bolla di sapone e noi vincenziani continuammo a riparare i danni della società opulenta e dei consumi.

Dopo tanti anni la cosa si sta ripetendo purtroppo nel nostro quartiere, per la seconda volta un cittadino protesta solamente per il sogno che io voglia dar vita alla “cittadella della solidarietà”.

Suddetto cittadino ha denunciato questa “infamia” ai responsabili civili e religiosi della città e della Regione, non contento oggi ha aggiunto una postilla che suona un autentico sacrilegio affermando: “L’intera parrocchia si opporrà con ogni mezzo”.
Come mai? Non sono i poveri la ricchezza della chiesa?

Tornare alla sorgente

Molti anni fa ho letto il bellissimo libro di Ignazio Silone sulla vita e sulla rinuncia al pontificato di Celestino V°, “L’avventura di un povero cristiano”.

Ho l’impressione che il testo di Silone, cristiano senza chiesa e socialista senza partito, come amava definirsi, sia un po’ romanzato, comunque l’autore abruzzese fa delle affermazioni veramente significative e racconta episodi che fanno pensare su questo papa ch’ebbe “la velleità” di essere autentico cristiano, ossia vero discepolo di Gesù. Non so se il discorso e le affermazioni di questo letterato sulla vita ascetica di celestino V°, che fece il “gran rifiuto”, siano rispettose della storia, io sono propenso a crederlo, sapendo quanta fatica Francesco d’Assisi fece per ottenere dal pontefice l’approvazione della sua regola che si rifaceva al dettato letterale del Vangelo.
Umberto Eco nel suo grandioso romanzo “In nome della rosa” scive pagine su pagine sulle difficoltà che gli alti prelati della chiesa facevano ai gruppi di cristiani radicali che si rifacevano alla parola viva e diretta del Vangelo.

Tornando a Silone ricordo una frase che mi ha sempre aiutato e mi ha fatto molto del bene: “Altro è aprire il rubinetto e veder scorrere l’acqua, altro è andare alla sorgente e veder scaturire la polla d’acqua limpida e fresca iniziare il suo lungo cammino verso la valle”.

Pensando a questa immagine mi capita spesso di sentire il desiderio e il bisogno di andare al Vangelo, sorgente del pensiero di Cristo, perché là trovo la freschezza del messaggio, mentre la prassi, il libro, la mediazione culturale hanno impoverito e banalizzato il mistero della “buona notizia”!

Parrocchie che abbandonano i parrocchiani!

Mi verrebbe da dire “Parrocchia, se ci sei batti un colpo”.

Nel breve Vangelo di San Giovanni la domenica 5° dopo Pasqua Cristo afferma “Vi do un comandamento nuovo. Che vi amiate gli uni e gli altri come Io ho amato voi. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.

Qui c’è poco da chiosare da interpretare! Ogni esegesi che non ribadisce che la solidarietà è l’elemento essenziale e qualificante per un cristiano, è discorso fuorviante che tradisce il pensiero di Cristo. Punto e basta!

In questa settimana ho ricevuto una lettera triste ed amara quanto mai, già la grafia ne era un segno della desolazione di una famiglia della media borghesia colpita gravemente dalla malattia; marito, moglie una figliola sui quali, per motivi diversi, sembra che la sorte si sia accanita nei loro confronti.

Creature credenti e praticanti, sempre vicini alla parrocchia, ma la parrocchia non riesce più ad essere accanto a loro e partecipe del loro dramma umano.

Nella lettera ho avvertito quasi la supplica di una telefonata, per sentire la presenza e il conforto di qualcuno che partecipi ad un dramma che sembra superiore alle loro forze.

Un anno fa un signore, da cui sono andato, su sua richiesta, a dare una benedizione alla famiglia, mi diceva con estrema amarezza: “Vede, don Armando, in questa strada negli ultimi 25 anni sono nati dei bambini, sono morti dei vecchi, si sono sposati dei giovani, queste famiglie hanno vissuto i loro drammi senza che un prete vi abbia messo piede, lei è il primo prete che entra in questa strada in questo ultimo quarto di secolo. Se questa è la parrocchia attuale, credo che sia proprio il caso di dirle: “chiudi bottega!” La crisi del sacro è determinata dal fatto che si è dato vita ad una struttura “ecclesiastica” che in realtà ormai non ha più nulla a che fare con l’insegnamento del divino maestro! Credo che sia giusto che Gesù le tolga anche il suo “patrocinio”.

Auspico moderazione e misericordia da parte di chi giudica la Chiesa

Nel numero di alcuni mesi fa dedicai al Papa la copertina e la didascalia de “L’Incontro”.
Sotto la foto del Papa, che sembrava solitario un po’ smarrito e indifeso scrissi come titolo “Povero Papa!”
Oggi mi verrebbe da ripubblicare la foto e con caratteri cubitali: “Povero Papa!”

La campagna mediatica su i preti pedofili, pare che debba riguardare solamente il Papa, quasi ne fosse Lui la causa. Credo che siamo tutti d’accordo che è una nefandezza turbare e profanare i ragazzi, che lo facciano poi anche certi religiosi è più che giusto l’aggravio della condanna, però mi sento di fare alcune osservazioni che credo doverose.

Primo: la percentuale di preti che si sono macchiati di questa ignominia mi pare veramente marginale in rapporto di ciò che avviene in famiglia, a scuola ed in altri settori di cui non si parla.

Secondo: vi sono altre perversioni quali ad esempio gli auspicati matrimoni omosessuali che rappresentano un’altra sporcizia morale che dovremmo perseguire con e uguale durezza e accanimento.

Terzo: non ritengo così obbrobrioso, come oggi si tende affermare quando responsabili dei sacerdoti che hanno sbagliato hanno tentato il recupero di chi ha mancato, con trasferimenti per non creare scandalo ulteriore che io, più di cinquantanni fa, sono stato chiamato improvvisamente a sostituire un prete che fù accusato di queste colpe e che aveva un largo seguito tra i giovani della parrocchia. So che il sacerdote si è recuperato, e so meglio ancora che i giovani, che ho ereditato non hanno subito “ferite” significative al riguardo.

Sono convinto che un po’ di moderazione e di misericordia non farebbe male anche in questo campo e non sarebbe male ricordare la massima di Cristo: “chi non ha peccati scagli la prima pietra!”

Forse se si parlasse con un po’ di forza credo che molti giornalisti sia al di là che al di qua dell’oceano e molti accusatori della carta stampata, o appartenenti a religioni o a culture diverse, dovrebbero chinare il capo ed abbandonare le pietre!

La Prima Comunione dei bambini è un momento prezioso!

Qualche giorno fa mio fratello don Roberto, mi telefonò per accertarsi sulla mie condizioni di salute, scusandosi di non venire a trovarmi di persona perché tanto impegnato, come sempre, nella sua parrocchia grande e numerosa, ma soprattutto perché le prime comunioni l’avevano assorbito quanto mai.

I problemi pastorali mi hanno sempre interessato, e sebbene ora sia fuori del circuito, non sono venuti meno la mia curiosità e il mio interesse e perciò chiesi a don Roberto quale fosse la sua situazione nella sua parrocchia e quale dottrina e prassi segue in questo settore.

Quest’anno nella parrocchia di Chirignago, che è appunto la comunità cristiana di cui mio fratello è parroco, sono stati ammessi 60 ragazzi della terza elementare, che egli ha preparato personalmente per questo grande evento.

Per la prima comunione ha diviso questi ragazzi in due turni perché la chiesa non riusciva a contenere genitori, nonni e familiari.

Mio fratello, commosso e felice mi raccontava l’evento descrivendomi l’ebbrezza sua, quella dei bambini e di tutta la comunità, che ogni anno vive come un’esperienza fortissima ed indimenticabile questo momento di autentica e vera spiritualità; l’innocenza dei piccoli, il loro entusiasmo e la loro fede fresca e pulita e il riflesso di tutto questo nel cuore degli adulti che almeno in quell’occasione recuperano qualcosa di bello e di vero presente nella loro coscienza, magari sotto la cenere, ma presente, è veramente qualcosa di meraviglioso.

Questo racconto ha fatto emergere nel mio animo questo splendido evento che ogni anno, nel cuore della primavera e della vita, io ho vissuto per più di 50 anni come un’esperienza spirituale somma ed irripetibile.

Credo che chi ha partecipato e vissuto momenti del genere non li potrà mai dimenticare anche se sopra di essi il terremoto delle esperienze umane li avesse coperti di cumuli di macerie.

Quando io condussi questa splendida realtà ricordo con quanto vigore e convinzione dicevo ai piccoli che si accostavano alla tavola del Signore e ai loro cari: “Ricordate che il vostro posto nessuno lo occuperà, rimarrà sempre per voi, ricordatevi che la vostra chiesa rimarrà sempre con le porte aperte per il vostro ritorno, ricordatevi che qui ci sono i valori più alti, si dicono le parole più vere, che qui potrete incontrare il Padre e i fratelli, ricordatevi che qui avete vissuto uno dei momenti più belli della vostra vita”.

Privare i bambini e la comunità di un’esperienza del genere sarebbe un vero sacrilegio! Mi verrebbe voglia si offrire una nuova massima sapienziale per la chiesa: “Quanto è saggio il sacerdote che semina sul terreno vergine altrettanto è sciocco chi vuol seminare sul terreno già occupato dalle erbacce!”

I miei rapporti con le anime di Dio

Durante i miei ultimi due ricoveri in ospedale, mi sono portato via, tra gli altri, un volume regalatomi lo scorso anno da una signorina che ai tempi di monsignor Vecchi ha svolto un ruolo notevole nella vita pastorale della parrocchia di San Lorenzo, la dottoressa Mirella Sambo, impegnata su molti fronti, quali la cultura, la gioventù e gli zingari.

Avevo citato, in uno degli editoriali de “L’incontro”, una corrispondenza e forse una visita di Gandhi ad una piccola comunità monastica che si rifà allo spirito del poverello di Assisi, comunità guidata da una badessa di grande levatura mistica. Questa anima di Dio manteneva un fitto ed intenso rapporto spirituale con le anime di preti, frati e uomini e donne di Dio del nostro tempo, incontrandoli spiritualmente al livello più alto ove il cielo è libero e limpido e non risente delle marette e dei contrasti che avvengono alle quote più basse.

Ora, il volume di cui parlavo, curato dal monaco Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, riporta in maniera puntuale e perfino pignola, tutta la corrispondenza intercorsa tra don Primo Mazzolari e questo piccolo mondo monastico, diventando quasi il “salotto” degli spiriti nobili della fede.

Mai avrei immaginato che don Mazzolari, profeta del nostro tempo ed anticipatore della Chiesa dei tempi nuovi, avesse una tale sensibilità religiosa ed una finezza spirituale da mantenere aperto un dialogo di un misticismo di prima grandezza. Da questa scoperta sono stato veramente colpito ed ammirato. Le anime di Dio trovano sempre modo di incontrarsi, di comprendersi e di aiutarsi nonostante vivano in luoghi diversi e si occupino di realtà tanto lontane tra loro.

Mi sono chiesto quasi per necessità: “I miei rapporti spirituali con le anime di Dio come si sono svolti e si sono realizzati? Per grazia di Dio ho incontrato nella mia vita sacerdotale anime veramente eccelse e meravigliose, purtroppo non ho mai coltivato queste “amicizie spirituali”, sempre condizionato ed assorbito dalla mia vita di “manovale della Chiesa”.

Ora, saltuariamente, mi scrive la superiora di un convento di carmelitane scalze di Venezia, che credo sia un’anima bella; mi fa piacere sapere che ci sono queste creature, interamente donate al Signore, che mi stimano e mi vogliono bene, ma purtroppo il rapporto si ferma sulla soglia del convento e delle mie occupazioni quotidiane!

Gratitudine ai patriarchi della mia vita sacerdotale

I miei rapporti con i miei superiori della Chiesa veneziana non sono mai stati idilliaci, ma neppure burrascosi. Credo che questa convivenza, tutto sommato serena e costruttiva, sia merito più della altrui intelligenza e virtù, piuttosto che della mia saggezza e capacità di dialogo.

Non sono mai stato un gran frequentatore della curia o del palazzo patriarcale, non certamente a motivo di un rifiuto preconcetto, ma per la mia sensibilità umana e religiosa più propensa ad un servizio serio ed impegnato che ad una partecipazione assidua a riti e cerimonie. Non sono mai stato amante dei discorsi spesso inconsistenti ed in linea con la moda ecclesiastica del momento, perché convinto della necessità di un servizio attento, costante e generoso al Popolo del Signore.

Ho vissuto la mia vita da chierico e da sacerdote sotto i Patriarchi Agostini, Roncalli, Urbani, Luciani, Cè, ed ora Scola: figure splendide di vescovi intelligenti, dalla fede profonda e di grande sapienza pastorale.

Io sono veramente orgoglioso dei Patriarchi che ho conosciuto e che hanno guidato il mio servizio pastorale. Porto un ricordo alto del Cardinale Agostini, un Patriarca che sapeva bene il suo mestiere di vescovo e l’ha svolto con rigore e coerenza; del Cardinale Roncalli, futuro Papa, per la sua sapienza e la sua calda umanità; del Cardinale Urbani per la sua venezianità e per la capacità di rimanere a galla nonostante i tempi difficili della contestazione. Ricordo con stima e devozione il Cardinale Luciani per la sua umiltà e per il coraggio nel guidare un clero ed una Chiesa irrequieta; il Cardinale Cè per la sua pazienza illimitata, la sua spiritualità e paternità sofferta, e il Cardinale Scola per l’intelligenza, la ricerca e il dialogo con questa società secolarizzata.

Ho amato profondamente i miei vescovi, ho sempre tentato di viverne il messaggio sostanziale, ho dialogato con la parola e con le opere in maniera onesta, rispettando ognuno e manifestando sempre con franchezza il mio parere nel desiderio di contribuire al loro difficile ed importante ministero. Spero di essere stato, come mi sono sempre proposto, un prete “libero e fedele”. Sono loro riconoscente di avermelo permesso, senza strappi o diatribe inutili e dannose.

A proposito del Catecumenato

Ho letto recentemente su “Gente Veneta”, il settimanale della diocesi veneziana, un articolo di cronaca in cui si annuncia che in due parrocchie della diocesi si sta procedendo ad una sperimentazione per quanto riguarda la prima comunione dei ragazzi. Da quanto ho compreso questa sperimentazione si rifà alla dottrina e alla prassi del movimento neocatecumenale.

Premetto, a scanso di equivoci, che io guardo con rispetto ed ammirazione questo singolare modo di approfondire e di vivere la vita religiosa rifacendosi alla prassi della Chiesa primitiva. Riconosco i meriti e i successi di questo movimento ecclesiale, che oggi va per la maggiore e sta ottenendo tante adesioni e ribadisco ancora che riconosco per questo “cammino” la libertà di vivere la fede e la proposta cristiana secondo le intuizioni e le regole dettate dal fondatore e dagli attuali responsabili, ma confesso altresì che non condivido di esso quasi nulla, anzi ritengo che molti aspetti diano una visione angusta, interista e sorpassata della fede e testimoni una vita ecclesiale da ghetto, per nulla aperta al respiro e alla cultura della nostra società.

Col mio spirito libertario, che ha bisogno di vasti orizzonti che permettano di cogliere la luce di Dio ovunque e in ogni creatura, ritengo più negativa che positiva questa esperienza ecclesiale. A parte tutto questo, la scelta di far fare la comunione in terza media ai ragazzi, credo sia l’esatto opposto di ogni dettato della psicologia e della pedagogia e che sia una scelta che non ha alcun supporto teologico e pastorale.

Finito di leggere l’articolo suddetto, ho pensato che esso fosse il colpo al cuore al messaggio del nostro vecchio Papa veneto Pio X. Per una vita l’intera cristianità e tutto l’apparato pastorale e di catechismo ha inneggiato alla saggezza del Papa che aveva avvicinato gli innocenti all’ Eucaristia, mentre ora, per motivi a me incomprensibili, e di pensiero di riflesso, si ritorna al passato. Poveri Papi di oggi e di ieri: sono smentiti anche dopo morti, altro che infallibilità pontificia!

Dio è padre di tutti e parla a tutti, non solo agli intellettuali!

Qualche giorno fa ho letto una volta ancora la risposta di Gesù al dottore della legge, che chiedeva quali fossero le verità portanti del pensiero biblico e quindi di Cristo. La risposta è stato chiara, anzi lapidaria: “Il primo precetto è: ama Dio con tutta la tua intelligenza, il tuo cuore e la tua volontà” e il secondo è complementare al primo: “ama il prossimo tuo come te stesso, su questo poggiano tutta la legge e i profeti!” Ho letto mille e mille volte questo passo evangelico però ogni volta che mi capita di ritrovarlo ne provo gioia, anzi ebbrezza.

Queste parole di Cristo mi riconfermano ogni volta nella convinzione che Cristo ha predicato un messaggio, per tutti, e quando ha seminato i germi del cristianesimo ha inteso di fondare una chiesa di popolo e non un piccolo ghetto per bigotti. Sono letteralmente infastidito per i corsi, gli aggiornamenti, le scuole teologiche, bibliche, patristiche nelle quali tutto diventa complicato, macchinoso e astruso. Credo che se riusciamo a far passare con forza queste due verità predicate da Gesù come essenziali ed assolute, ci libereremo finalmente da una congerie di ragionamenti astrusi, difficili e inconcludenti.

Non mi pare però di trovare troppi consensi tra i miei confratelli ed anche tra molti cristiani impegnati!

Il difficile, il complicato e le alchimie teologiche mi pare che oggi vadano per la maggiore ed abbiano un fascino irresistibile tra gli azzeccagarbugli della chiesa! Mi conforta però un fioretto della vita del papa contadino Giovanni XXIII che ho letto da qualche parte. Dicono che appena eletto Papa Giovanni un sacco di personaggi di chiesa, prelati e teologi, si sono presentati a lui per far conoscere i loro meriti nella chiesa. Questo non mi scandalizza perché siamo tutti poveri uomini.

Comunque un quasi famoso teologo di cui ricordo il nome, ma non lo cito per carità cristiana ed anche perché l’episodio potrebbe essere non vero, regalò al Papa una pila di volumi; tutta la sua produzione teologica. Si dice che il Papa semplice, buono e saggio avrebbe osservato: “E dire che tutti questi volumi sono contenuti nel Padre nostro!”

Dio è padre di tutti e credo voglia parlare a tutti e non solo ad un piccolo numero di intellettuali.

Quel dialogo inatteso mi ha ricordato l’importanza di ammettere gli errori

Anche un intervento chirurgico è regolato da una liturgia particolare, di preparazione, di attese tecniche e poi di esecuzione.

Mentre attendevo l’inizio dell’intervento, ho avuto modo di chiacchierare con uno dei tecnici che si occupava del computer e delle registrazioni. L’inizio di questo colloquio, in questo ambiente particolare, è stato del tutto occasionale.

Questo operatore mi chiese il nome, io risposi alla domanda, poi quasi per istinto o per abitudine, aggiunsi “Don Armando Trevisiol” e lui prontamente in tono tra il bonario e il faceto: “Non penserà d’avere un trattamento particolare dato che è prete?”

In sincerità non m’era neanche passata per la mente una simile considerazione, mi ha sempre infastidito il comportamento mieloso nei riguardi dei preti, semmai in quel momento m’aspettavo un po’ più considerazione per la mia veneranda età.

Con questa battuta di avvio cominciò una conversazione di una ventina di minuti che prestissimo divenne cordiale, perché mai ho avuto l’intenzione né la volontà di difendere l’indifendibile sui comportamenti della chiesa. Anche la chiesa è fatta di poveri uomini!

Quel tecnico era certamente un ragazzo colto e documentato, pur non essendo aspro nei miei riguardi odorava però una cultura radicale!

Cominciò col citare lo Stocchiero, un vecchio libro di settanta, ottanta anni fa circa il comportamento pastorale dei sacerdoti. Estrapolando sentenze, norme e tradizioni di un prete vecchio e per di più padovano, era facile chiosare in maniera sorniona e canzonatoria i comportamenti suggeriti! Mi era difficile ribattere anche perché in una posizione scomoda e con la bocca impastata dall’anestesia.

Però quel ragazzo non aveva tutti i torti quando diceva che ci scandalizziamo del comportamento dei musulmani con le loro donne; quando settant’anni fa era così anche per le nostre donne!!

Infine ho preso atto che non aveva tutti i torti, difendere sempre e comunque la chiesa è uno dei peggiori mali che le si possa fare, si diventa integralisti e clericali, è meglio confessare sempre debolezze e peccati!

Alla mia amata Chiesa di Venezia

Don Primo Mazzolari, il prete che Papa Giovanni riabilitò agli occhi dei vescovi e dei cattolici italiani da un diffuso sospetto di disobbedienza, apostrofandolo con quella frase diventata ormai conosciuta: “Ecco la tomba di Dio nella chiesa della bassa padana!”.

Don Mazzolari scrisse un libro, noto anche questo specie tra i preti e i cristiani cultori della libertà di coscienza “Anch’io amo il Papa!”

Credo che don Mazzolari abbia sentito il bisogno di riaffermare la sua fedeltà e il suo amore al Sommo Pontefice, perché non appena un prete esprime un qualche dissenso su ciò che è opinabile, nell’insegnamento e nella prassi della chiesa, per molti codini ed imbelli questo purtroppo suona subito come eresia e ribellione tanto da esporli alla critica aspra e alla denuncia facile.

A me è capitato per caso un incidente del genere quando scrissi che il costo delle vacanze del Papa mi pareva proprio eccessivo. Questo però è stato solamente un incidente non voluto, causato forse dalla mia inesperienza nel contribuire alla purificazione della vita della chiesa, senza conoscere le forme e i modi più idonei, senza dar adito alla cattiveria dei denigratori preconcetti.

Credo però che invece anch’io dovrei scrivere qualcosa per professare apertamente l’amore non solamente alla chiesa di Dio, ma in particolare alla chiesa di San Marco, alla chiesa veneziana. A questa chiesa ho dedicato tutta la mia lunga vita, con passione, con impegno, senza risparmio di tempo e di forze.

Ho lavorato, eccome, ove il Patriarca mi ha posto. Mi sono impegnato fino allo spasimo perché ho sempre creduto ed ho sempre amato questa realtà; mai tentato di scambiarla con qualsiasi partito o qualsiasi altra causa e nonostante l’età sto continuando a farlo e ho intenzione di farlo fino alla fine.

Però quanta delusione, quanta pena di fronte al grigiore all’inerzia, al carrierismo di bassa lega, alla mancanza di passione e di entusiasmo, al quieto vivere assai diffuso, al formalismo imperante, alla mancanza di ricerca, alla carenza di coraggio di uscire allo scoperto, di vivere in attacco piuttosto che in difesa e di un costante arretramento su linee più tranquille.

Ho criticato è vero, spesso ho dissentito, però lasciatemi dire, con legittimo orgoglio, anch’io ho amato e continuo ad amare la mia chiesa.

Il prete ed il banchiere

La Fondazione Carpinetum che ho l’onore ma soprattutto l’onere di presiedere, si qualifica un po’ pomposamente, mentre in realtà è molto più modesta di quanto non appaia.

Quando la parrocchia di Carpenedo diede vita a questo ente, in pratica affidò la gestione dei Centri don Vecchi, ma si tenne la proprietà.

L’operatività della Fondazione è estremamente condizionata dal fatto di non aver beni immobili, la considerazione e la stima pubblica non fanno certamente male, ma quando entro in contatto con enti ed imprese di ordine finanziario, che sono quanto mai guardinghe ed hanno i piedi posati a terra, prima di arrischiare ci pensano mille volte e poi non arrischiano per quanto ti possono stimare e per quanto apprezzino l’impegno solidale che vai svolgendo.

Tempo fa mi sono incontrato con un funzionario di primo piano dell’antica Banca Senese “Il Monte dei Paschi” una delle più antiche e prestigiose banche del nostro Paese.
Questa banca ora controlla l’Antonveneta e non so chi altro.

La proposta fattaci per metterci a disposizione il denaro occorrente per il don Vecchi di Campalto, m’è parsa vantaggiosa tanto che la proporrò al Consiglio di Amministrazione.

Mentre questo signore mi illustrava l’operazione finanziaria che ci proponeva, non potei non ammirare la competenza, la lucidità del ragionamento, l’estrema disponibilità a trattare, a mettere a punto il rapporto, a valutare anche la nostra situazione per trovare la soluzione più idonea possibile. Confrontavo questo comportamento professionalmente eccellente e umanamente caldo e cordiale con la normale prassi della mia categoria.

Purtroppo il confronto non reggeva. Noi preti abbiamo un ottimo “prodotto” ma lo presentiamo nella maniera peggiore possibile e poi ci meravigliamo se non sfonda!

“Tutto passa, tutto ritorna”, per fortuna

Ricordiamo che vista la quantità di scritti di don Armando questi pensieri risalgono ad alcune settimane fa e rinnoviamo la richiesta di preghiera per il nostro fratello che ieri ha affrontato un delicato intervento.

Nella vecchia casa della mia infanzia c’era appesa ad una parete una vecchia fotografia della mia mamma da giovane.

La ricordo con tanta nostalgia e tanto affetto perché era la foto di mia madre, e di mia madre nel fulgore della sua giovinezza. Un volto bello, capelli neri, una figura armoniosa, ma soprattutto quello che ricordo, e che fin dalla mia infanzia mi sorprendeva, era il suo cappellino che assomigliava a quello che portava la principessa Maria Josè, e soprattutto la cintura molto bassa del vestitino semplice e ordinato. Quando le dicevo: “Ma mamma perché quella cintura così bassa e quel cappellino?” (ora il cappellino non mi sorprenderebbe più di tanto perché mi pare sia tornato di moda) lei mi rispondeva sorridendo: “Si usava così, sapessi come le amiche mi invidiavano quel vestito; era alla moda!”

La moda si rifà ai cicli della storia affermati dal filosofo Vico: “Tutto passa, tutto ritorna”.

Qualche giorno fa leggendo San Paolo nel suo famoso discorso sul “corpo mistico di Cristo” che la comunità cristiana riproduce mediante i carismi diversi dei suoi membri, ho avuto l’impressione di questa legge dei cicli storici. Certe verità religiose pare passino “di moda”, per ripresentarsi qualche tempo dopo con formulazioni un po’ diverse, ma nella sostanza uguali.

Un tempo l’immagine o la realtà del “corpo mistico”, ossia del riprodurre la persona di Cristo da parte dei cristiani, qualcuno rappresentando l’occhio, la mano e il piede, mi affascinava. Poi parve che questa immagine si fosse dissolta nel nulla. Ora mi pare bello e rasserenante la ricomparsa dell’idea che ognuno abbia un suo compito specifico, però organicamente legato al tutto, parte integrante e necessaria perché Cristo possa operare e salvare nel nostro tempo. Anche la funzioni più umili vengono riabilitate, e nessuno, per quanto modesto, è cristiano ed operatore di salvezza di seconda categoria.

La riscoperta di questa vecchia immagine di S. Paolo, mi ha portato dolcezza quanto la vecchia foto della mamma con il cappellino alla Maria José e la cintura bassa del suo vestito!