Cercando la povertà evangelica

Umberto Eco io lo conosco, quasi esclusivamente, per aver letto il suo romanzo “Il nome della rosa”.

Qualcuno mi ha detto però che Eco è di cultura radicale e perciò tendenzialmente anticlericale e forse anche antireligioso.

In verità i frati, che sono i protagonisti del romanzo, non ci fanno una gran bella figura, sia nel film, ma soprattutto nel romanzo.

Nel film il regista non poteva indugiare più di tanto nel descrivere il clima ecclesiale di quel tempo, ma nel romanzo ci sono pagine e pagine in cui lo storico fa il punto sui movimenti religiosi del tempo che era pressappoco quello in cui visse Francesco d’Assisi.

Mi sorprende alquanto come la chiesa facesse fatica a riconoscere i movimenti che si rifacevano alla povertà evangelica.

In quei tempi, in contrapposizione all’opulenza della chiesa romana e di molti vescovi che avevano tanto poco del rigore di quel Gesù che disse che, mentre le volpi avevano le loro tane e gli uccelli i loro nidi, il Figlio dell’uomo non aveva neppure una pietra su cui posare il capo.

Francesco è un esempio della fatica di farsi approvare la regola che rifiutava la proprietà che proclamava “Madonna povertà!”

Sembra assurdo ma è pur vero che quasi sempre è stato guardato con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche chi, nei lunghi secoli di storia cristiana, abbia tentato di rifarsi al Vangelo senza chiose e senza interpretazioni ballerine che permettono di vivere nell’agiatezza e nel privilegio.

Poi se uno ci pensa più a fondo finisce per comprendere che queste testimonianze radicali e coerenti seppur silenziose e umili, finiscono per diventare un’accusa dura e tagliente allo sfarzo, al lusso e alla vita agiata di certe strutture ecclesiastiche che hanno dimenticato non solo il Cristo del Vangelo, ma anche le loro povere origini popolari.

Fortunatamente in ogni tempo all’interno della chiesa c’è sempre stato qualcuno che senza puntare il dito accusatorio, ha semplicemente scelto per sé la povertà evangelica ed è diventato punto di riferimento per coloro che vogliono scegliere Cristo come maestro, senza mediazioni, ma così com’è presentato nel Vangelo!

Mi affascina la vita di don Angelo Lolli

Ho confessato più volte che “L’Incontro” non è tutto “farina del mio sacco” e neppure del “sacco” del piccolo manipolo di collaboratori che offrono le loro riflessioni ogni settimana ai lettori de “L’incontro”.

Sono abbonato da molti anni a tante riveste, più o meno belle ed interessanti, dalla cui lettura spulcio tutto quello che ritengo possa interessare e soprattutto far del bene a chi legge il nostro settimanale.

Tra le tante riviste ce n’è una, a cui sono abbonato da molti anni, è “L’amico degli infermi”, un mensile povero, disadorno con cui l’opera Santa Teresa di Ravenna parla ai suoi concittadini della propria attività a favore dei disabili ravennati e dei dintorni.

Suddetta rivista, non è tipograficamente bella, nè ha contenuti tanto interessanti, ma parla di un’opera splendida, una perla di grande valore evangelico: L’opera di Santa Teresa. Era necessario un prete così in quella Romagna mangia preti, ma che comprende, ama ed aiuta in maniera veramente generosa, poiché fede o non fede, clericali o anticlericali, di fronte alla carità ogni uomo si inchina, riflette e si lascia coinvolgere.

Il fondatore di questa splendida opera è un prete, don Lolli, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita.

Alcune settimane fa ho dedicato l’editoriale de “L’incontro” a questo prete meraviglioso e alla sua opera; lo meritava davvero anzi meriterebbe molto di più!

Ho pensato bene spedire all’attuale direttore dell’opera, pure prete, il nostro settimanale. Pochi giorni dopo mi è arrivata una lettera cara di ringraziamenti ed un volume di Alessandro Pronzato, vecchio prete scrittore, dal titolo: “Don Angelo Lolli. Le follie dell’amore” dell’editrice Gribaudi. Don Pronzato scrive benissimo e la vita di don Lolli è quanto di più affascinante si possa sognare da un prete “folle” per i poveri.

Nella Ravenna, repubblicana, anarchica e anticlericale, solo un prete così poteva sopravvivere, però sono convinto che ogni città avrebbe bisogno di almeno un prete così!

Sto leggendo il volume come il romanzo più interessante, ma invece di un romanzo questa è una vita vera cioè veramente affascinante!

Ho incontrato un Pope

Ormai sono rimasto uno degli ultimi preti che, secondo i giovani preti, hanno il malcostume di accontentare i fedeli che desiderano che si reciti una preghiera e che si invochi la benedizione del Signore prima che il legno copra per sempre dal loro sguardo il volto dei propri cari prima della sepoltura. Lo faccio un po’ perché l’ho sempre fatto, un po’ perché convinto che una preghiera in più non faccia male e soprattutto per non spezzare quel sottile legame di fiducia che unisce il sacerdote al popolo di Dio.

Qualche giorno fa mi sono recato nella sala mortuaria del Policlinico per adempiere a questo gesto di carità cristiana. Quando arrivai c’era un pope ortodosso che stava compiendo lo stesso servizio religioso nei riguardi di un connazionale morto a Mestre. Sono ormai molti i cittadini dei Paesi dell’Est europeo che abitano da noi e quindi non sono infrequenti gli eventi luttuosi anche per questi ospiti della nostra città.

I riti religiosi della liturgia orientale non sono veloci e sbrigativi come da noi, indulgono in lunghe preghiere, canti e gesti quali l’aspersione con l’acqua benedetta ed incensazioni varie.

Essendo io sopraggiunto quando quest’altro ministro del Signore adempiva al suo compito, me ne stetti in disparte partecipando intimamente al dramma dei pochi presenti che, al dolore per la perdita di un loro congiunto, dovevano dargli l’ultimo saluto in terra straniera, lontano dalla loro gente, quasi sopportati per preghiere e vesti religiose diverse.

Il pope si accorse che io stavo aspettando, pazientemente e rispettosamente, che lui finisse. Terminata la sua lunga preghiera si avvicinò a me e mi diede il rituale abbraccio di pace, ma con calore e sincerità. Ne fui molto felice, vergognandomi quasi che la mia naturale riservatezza non mi spinga mai a gesti del genere.

E’ certamente bello ed opportuno coltivare nel cuore sentimenti di fraternità universale, ma è ancora più bello esprimerli esteriormente con calore ed amicizia fraterna.

A proposito dell’assistenza religiosa all’ospedale dell’Angelo

In questi ultimi giorni mi è capitato di riflettere più di frequente ed in maniera più profonda sul problema dell’assistenza religiosa nel nostro nuovo e splendido ospedale. Dapprima è prevalsa in me l’amarezza e la delusione che i due o trecento preti della diocesi di Venezia non facciano uno sforzo ulteriore per trovar modo di farsi carico anche di questa esigenza.

Penso che i preti del Patriarcato siano impegnati, ma non ritengo neanche che siano dei martiri del loro servizio! Poi pian piano mi è parso che si stia delineando il progetto alternativo del Signore, il quale non si scoraggia, né si avvilisce per la mancanza di una ulteriore generosità dei suoi ministri, ma anche in questo settore ci faccia intravedere la nuova soluzione che intende adottare. Mi pare anche che sia una soluzione innovativa, bella ed intelligente come sono tutti i progetti del Signore.

Nel passato più volte ho pensato e scritto che la crisi delle vocazioni non sarà quella che metterà in ginocchio la chiesa perché lo spirito di Dio ha una tale capacità inventiva per cui in ogni tempo, prima già che si esaurisca un progetto, mette all’orizzonte quello che lo dovrà sostituirlo e che è sempre maggiore e più adatto del precedente.

E’ ben vero che nell’ospedale all’Angelo non ci sono più i tre o quattro preti a disposizione degli ammalati come c’erano nel passato. Però è pur vero che oggi ci sono a disposizione alcuni diaconi, una suora, degli accoliti e tanti volontari che credono nella solidarietà, che ogni giorno sono a servizio degli ammalati ed offrono soprattutto una testimonianza di carità, di spirito di servizio e di fede. Quando entra nell’ospedale l’amore e la fraternità autentica, entra Cristo e quindi la salvezza.

Il Signore che pare sia uscito da una uscita secondaria è già entrato per quella principale!

A ottant’anni sacerdote all’ospedale dell’Angelo

Nota: questo articolo è stato scritto da don Armando alcuni mesi fa, non appena assumto il nuovo impegno presso l’ospedale dell’Angelo a Mestre.

Ringrazio il Signore e lo scoutismo di avermi donato il senso dell’avventura. E’ bello e provvidenziale che ragazzi, adolescenti e giovani sognino ad occhi aperti, ma è veramente straordinario che un prete ottantenne, che ne ha passati di tutti i colori, continui a sognare mentre ha già i piedi sul ciglio della tomba! E’ cominciata così: ad ottobre 2007 mi è stato chiesto di dare una mano in ospedale per supplire, i padri Camilliani, che se ne erano andati. Mi stancai, ma comunque sono venuto a conoscenza di un settore in cui la presenza di un prete può fare immensamente del bene.

La questione pareva che si fosse risolta con la solita toppa, se non che una volta ancora si è avverato l’ammonimento evangelico dall’inutilità di “toppe nuove su vestiti vecchi!” In verità in ospedale è capitato esattamente il rovescio, perché si è messo infatti una toppa vecchia su un vestito nuovo, il frate cappuccino se n’è andato.

Amici cari, che forse non sanno che ho ottanta anni, mi hanno telefonato esortandomi a ritornare.

Nostalgia, rimorso o forse spirito di avventura mi hanno “costretto” a telefonare al responsabile ufficiale mons. Pistolato, mio vecchio cappellano a Carpenedo, a cui dissi che avrei tentato di fare qualcosa.

Per ora celebrerò alla domenica e forse un altro paio di giorni alla settimana, rendendomi disponibile per confessioni ed unzioni in occasione di queste celebrazioni.

Mi impegnerò a fare della cappella un “faro” ed un “rifugio” per chi cerca ristoro e conforto e darò vita ad un settimanale per la preghiera e la riflessione di chi la malattia costringe a fermarsi, a riflettere e a prendere coscienza della propria fragilità e di aver bisogno di Dio.

Comincerò subito, perché nè gli ammalati nè io abbiamo tempo da perdere!

Sull’integralismo cattolico

L’integralismo cattolico è per me esattamente il rovescio della medaglia del radicalismo.

I radicali, in nome della libertà assoluta e secondo loro di una religiosità sostanziale, combattono con un accanimento degno di una miglior causa, ogni regola ed ogni istituzione, soprattutto quella religiosa, che si rifà a dei principi assoluti ai quali ogni società ben ordinata e sana deve riferirsi.

Tutti i santi padri, del radicalismo italiano, che trovano in Pannella, la Bonino e la loro piccola congrega alla quale il Partito Democratico, con infinita stoltezza, ha fornito pulpito e denaro e che hanno trovato in Zapatero, degno erede dei massacratori di preti di monache, un modello politico, predicano da mane a sera contro la scuola cristiana, contro la chiesa, contro la morale, contro il Papa ed ogni istituzione che proponga moralità. Però il rovescio di questa miseranda medaglia è altrettanto deludente e disumano, anche se apparentemente si rifà ai dogmi cristiani.

Mi riferisco all’integralismo religioso, movimento di pensiero e di comportamento che in questo momento storico alligna nella chiesa quanto il radicalismo nella società. Credo, sempre a mio modesto parere, che sia altrettanto disumano e deleterio quanto il suo opposto.

Il clericalismo è certamente una malattia cristiana, ma è curabile, l’integralismo credo invece sia un male devastante che distrugge l’anima cristiana.

Il purismo, per cui sono cristiani solamente quelli che sono totalmente “allineati e coperti”, che appartengono e frequentano solamente i “nostri”, si adeguano in maniera assoluta alla prassi, ai canoni, alle encicliche, alle norme liturgiche, credo sia una degenerazione cristiana, che pretende di buttare fuori dal corpo della chiesa, ma soprattutto dal cuore di Dio, l’ottanta, il novanta per cento dei battezzati che non sono regolarmente praticanti.

In questi giorni ho letto un articolo di un giovane prete che mi ha fatto venire i brividi tanto lo sentivo lontano dal Cristo della Maddalena, della Samaritana, di Tommaso e di Pietro e soprattutto di quel Cristo venuto per i peccatori non per i giusti!

Un ecumenismo più sostanzioso e meno teatrale

Ora non se ne parla più tanto, ma fino a qualche anno fa giornali e riviste religiose trattavano molto spesso dell’ecumenismo. Questo movimento tra le chiese cristiane tende a dare una sola risposta al grido di Gesù in croce che ha chiesto ai suoi discepoli “che ci fosse tra loro un solo ovile ed un solo pastore”.

Il cristianesimo nato dal messaggio di Cristo fin da principio si divise in mille rivoli, ed ha continuato così per i venti secoli in cui è presente nella storia umana.

Il processo non si fermò alle prime divisioni, ma continuò e continua tuttora, pur rifacendosi ognuno all’unica fonte.

Qualche risultato invero si è ottenuto, per lo meno ora le varie confessioni cristiane non si fanno più la guerra, non si insultano e adoperano anzi un linguaggio più corretto e tollerante. Ci sono stati e ci sono anche incontri significativi, preghiere comuni, atti di cortesia, ma non molto più di questo.

Il movimento ecumenico ristagna, gli esperti discutono con argomenti di lana caprina mentre i poveri cristiani, ma anche i loro preti, non conoscono nemmeno i motivi specifici delle varie diversificazioni. Fortunatamente la vita continua per la propria strada e non si preoccupa più di tanto di queste questioni teologiche.

Qualche giorno fa ho invece incontrato uno splendido esempio di ecumenismo di ordine famigliare. Mi soffermo un istante perché è di questo tipo di ecumenismo che la nostra società ha bisogno e la testimonianza a cui mi rifaccio è di certo esemplare.

Il marito, pur battezzato, era di origine ebraica, forse è stato battezzato per sfuggire alla persecuzione razziale. Ma a parte il battesimo era un ottimo laico, non so se fosse credente, ma certamente non praticante; persona onesta, professionista serio, impegnato, rispettoso.

Lei, cattolica praticante, che ha continuato senza alcuna difficoltà a partecipare alla vita della chiesa, ha educato alla vita religiosa i figli ed è morta in pace con Dio e col prossimo. Credo che la vicinanza al marito laico e forse non credente abbia giovato alla sua fede, sfrondandola da ogni incrostazione bigotta o clericale, come per il marito la vicinanza della moglie credente l’abbia aiutato ad essere più onesto e rispettoso delle scelte e delle idee degli altri.

Questo mi pare un ecumenismo più sostanzioso e meno teatrale!

I bollettini parrocchiali

Molte volte ho confessato la mia curiosità, verso i cosiddetti bollettini parrocchiali, da qualche anno quasi tutte le parrocchie stampano questi foglietti. Questa iniziativa editoriale non può certamente essere riportata come un vanto delle chiese di Mestre, taluni di questi bollettini sono così poveri, striminziti da far pietà, altri da un punto di vista tipografico sono un po’ migliori, evidentemente c’è dietro ad essi un parroco o un volontario che ha maggior dimestichezza col computer; la sostanza però è povera anche se la grafica è di buona fattura.

Io sono contento che tanti parroci abbiano finalmente compreso che la proposta religiosa deve avere canali adeguati e non si può fermare ove termina l’ombra del campanile. Spero sempre, che prima o poi anche il piccolo mondo parrocchiale scopra la funzione degli strumenti di comunicazione di massa e sia disposto a pagarne il prezzo economico, di ricerca e di fatica.

Il mio interesse per questi strumenti pastorali, nasce anche dal fatto che posso vantare una qualche paternità nei riguardi dei fogli parrocchiali, essi a Mestre, ma pure in diocesi sono nati da un viaggio pastorale fatto in Francia assieme a Monsignor Vecchi. In una chiesa di Parigi ne trovammo un esemplare, in quel tempo la Francia era la mosca cocchiera della pastorale. Tornati a casa partimmo subito.

Conservo la raccolta di questi incunaboli. Il primo numero porta la data del 15 ottobre 1967- 40 anni fa! Un semplice foglio A4- stampato fronte retro a ciclostile.

Eccovi i titoli degli articoli: Concerto a S. Lorenzo- giornata missionaria- Il Ristoro- Sos Televisivo- Comunione- Club della Graticola- Messe per gli studenti- conferenze al Laurenzianum-.

Ho ora sottomano la “Mercedes” della parrocchia di S. Lorenzo che quarantanni ha prodotto quel prototipo. E’ una “Mercedes” bellissima all’avanguardia. L’unico neo è che nel numero che ho qui davanti a me è scritto- “la pubblicazione è sospesa fino a settembre”. Cosa si direbbe se anche il Gazzettino sospendesse le pubblicazioni d’estate?

”…ma non è detto che abbia sempre ragione!”

Il giorno dell’inaugurazione del Centro don Vecchi di Marghera il Patriarca con fare bonario, ma non a caso disse alla folla dei partecipanti al lieto evento: “Don Armando parla poco, ma scrive molto” e poi soggiunse dando una breve pausa ”ma non è detto che abbia sempre ragione!”

L’affermazione è ovvia e quasi scontata, lo Spirito Santo non garantisce neanche al Papa d’aver sempre ragione; magari pure fosse vero! Per un povero prete come me credo che non sia per nulla preoccupato che dica sempre la verità! Prendendo la parola, avendomi quasi costretto ad intervenire, gli promisi, che sarei stato più attento; cosa che farò di certo, ma neanche in quel momento mi passò minimamente per la testa che non sarei stato onesto o che avrei taciuto per amor di pace.

Nella chiesa ce ne sono anche troppi di adulatori, di critici nascosti, di opportunisti silenti per comoda prudenza o per non compromettersi, perché anch’io mi aggiunga a questa povera gente. La critica per la critica o per partito preso o per invidia ritengo un comportamento ignobile, però dire quello che penso essere la verità per amore della causa e della comunità di cui sono sempre parte integrante, la ritengo un sacro dovere, specie nei riguardi di chi ha compiti di responsabilità nella Chiesa.

Costoro sono spesso isolati, i palazzi e la carica sono come un insuperabile muraglia cinese per gli apporti di verità e i contributi che possono venire dal basso per le scelte pastorali. La massima che mi ha sempre guidato durante la mia lunga vita di prete, che mi ha gratificato moralmente, ma mai mi ha difeso da reprimende e da emarginazioni più o meno coperte è stata quella del profeta del nostro tempo don Primo Mazzolari: “Libero e fedele”: C’è stato qualcuno meno fortunato di me che a quarantanni è stato promosso a Barbiana una parrocchia di una trentina di abitanti, ma forse per questo don Lorenzo Milani è diventato uno dei preti più amati e ascoltati nel nostro tempo.

GREST e altre esperienze

In queste ultime settimane ho letto con molto piacere in “ Gente Veneta” che quasi cinquemila ragazzi della diocesi quest‘anno hanno partecipato al grest organizzato dalle parrocchie del Patriarcato.

Ho seguito per le varie soluzioni scelte dalle varie comunità cristiane. Alcune parrocchie fanno le cose in grande con la partecipazione perfino di duecento ragazzi, altre con numeri più ridotti, altre niente. Comunque pare che ci sia una ripresa generale di queste attività esterne di divertimento e di formazione.

La cosa mi fa veramente piacere, perché avevo la sensazione che nel piccolo mondo parrocchiale ci fosse abbastanza la tentazione di tirar avanti alla meno peggio con l’amministrazione dei battesimi, funerali, pochi matrimoni, un po’ di dottrina cristiana e di messa festiva. Spero proprio che la mia sensazione fosse davvero non rispondente al vero. Quando ero parroco il grest a Carpendo non è mai stato un gran che, un po’ perché i miei collaboratori diretti non ne erano troppo convinti ed un po’ anche perché durante il periodo estivo portavamo quasi duecento scout ai vari campi e altrettanti alla malga dei faggi, la casa alpina delle parrocchie. Qualche tempo fa Don Danilo e i coniugi Bonaldo, che e Carpendo si occupano dei chierichetti, mi hanno gentilmente invitato alla cena con cui hanno concluso l’anno di servizio liturgico; sono rimasto entusiasta ed ammiratissimo di questo splendido e numerosissimo gruppo di bambini, bambine e di adolescenti, accompagnati dai loro giovani genitori che hanno letteralmente gremito l’ampia sala da Pranzo del don Vecchi!

lo rimango del parere che la chiesa abbia ancora una grande quantità di cartucce da sparare, che quasi tutto sia possibile, che la vita pastorale vissuta sempre in attacco, che il domani sia il tempo più redditizio per l’affermarsi del Regno. Tutto questo però ha bisogno di convinzione, di coraggio, di spirito di sacrificio, di generosità e di impegno!