Dal rancore all’amore

Da ragazzino, ma soprattutto al tempo del liceo, ho letto molto, soprattutto di narrativa. Mi spiace che qualcuno non mi abbia guidato nella scelta degli autori e soprattutto delle loro opere, però ai miei tempi i responsabili della formazione degli aspiranti sacerdoti erano estremamente diffidenti nei riguardi della cultura corrente e preferivano, tutto sommato, che noi leggessimo testi di devozione di autori di poco spessore, purché fossero cattolici allineati.

Ricordo con nostalgia i romanzi di un autore cattolico inglese, Bruce Marshaal, che col tipico humour inglese narrava della sua vita religiosa e delle vicende dei preti del suo tempo e del suo Paese che penso fossero degli anni quaranta, cinquanta del secolo scorso. Ricordo alcuni titoli: “I miracoli di padre Malachia”, “Ad ogni uomo un soldo”, ed altri di cui ho dimenticato il titolo.

Le vicende di questi romanzi ruotavano quasi sempre attorno ai rapporti difficili tra i veterocattolici, chiamati papisti dai protestanti, e il clero e le comunità dei cristiani della riforma appartenenti alla Chiesa d’Inghilterra. Le accuse, le insinuazioni, le furberie, i discorsi e le malignità dell’una e dell’altra parte costituivano sempre il motivo dominante della narrazione, però sempre intelligente e piena di brio.

La mia cultura nei riguardi delle Chiese riformate s’è sempre nutrita di motivi apologetici, di contrasti e di opposizione netta tra gli uni e gli altri.

Si, specie negli ultimi trent’anni ho seguito gli incontri ecumenici di vertice, le discussioni di lana caprina, però le vecchie immagini rinascono ben incise nella mia coscienza. Ora, scoprire che a Rio de Janeiro, alle Giornate Mondiali della Gioventù, giovani protestanti hanno partecipato gioiosamente assieme ai ragazzi cattolici, sotto il cartellone con scritto “Ti vogliamo bene!”, non solo mi fa toccare con mano “i miracoli” di Papa Francesco, ma pure prendere coscienza di un cammino che lo Spirito Santo ha fatto fare alle due Chiese, conducendole per mano verso l’incontro, in barba alle discussioni teologiche degli specialisti di ambedue le parti che in tanti anni hanno concluso ben poco.

Rimane vero, per fortuna il vecchio detto: “Gli uomini si agitano, ma è Dio che li conduce”. Mi vien da pensare che è poco saggio caricarci sulle spalle problematiche più grandi di noi; spesso tornerebbe conto lasciar fare al buon Dio senza agitarsi più di tanto.

05.08.2013

I modesti investimenti

Un Paese è ricco quando gente che dispone di risorse decide di investire in quel territorio. Questo vale a livello industriale e commerciale, ma pure a livello sociale e pastorale. Di solito gli investitori impegnano le loro ricchezze in ambienti che offrano delle prospettive vantaggiose, dove siano ben accolti e dove la società offra condizioni di favore.

In Italia, in questo momento, la situazione è preoccupante perché gli investitori fuggono a causa dei costi, della burocrazia, dell’insicurezza sociale (vedi il caso attuale di Marghera che rischia di perdere le commesse di una grande nave a causa della intransigenza della Fiom), anzi pare che essi se ne vadano dal nostro Paese.

Qualcosa del genere mi pare che capiti anche per la pastorale. A Mestre la vita religiosa ristagna perché coloro che potrebbero investire non sono ben accetti, trovano un ambiente chiuso e difficile e perciò dirottano in altri luoghi la loro “ricchezza”. A Mestre le aziende pastorali presenti sono le parrocchie, però sono piccole, poco efficienti, spesso superate nei metodi e con pochissimo personale.

Facciamo alcuni esempi: quali potrebbero essere gli investitori qualificati e specializzati nel settore giovanile?

A livello di congregazioni religiose certamente i salesiani, per scelta e per preparazione, sono i migliori. A Mestre però non c’è un loro oratorio in tutta la città. Attualmente sono presenti alla Gazzera con un’ottima scuola professionale, ma nulla più. Non so se mai la curia patriarcale abbia richiesto un inserimento massiccio di questi preti per i ragazzi e la gioventù, offrendo una parrocchia e favorendo il loro impegno pastorale.

Ci sono pure i Padri di don Orione al “Berna” con un buon istituto, però non di grosso respiro. A livello associativo chi, in questo momento storico, ha ancora molta presa sui ragazzi, è lo scoutismo, però la diocesi investe troppo poco e pochi preti in questo settore e non preme sufficientemente perché le parrocchie si aprano a questa realtà.

Nel settore della carità esiste la Caritas, ma a Mestre è pressoché ininfluente. La San Vincenzo ha avuto negli ultimi decenni uno sviluppo insperato, ma ora pare ripiegata su se stessa, è presente in non molte parrocchie e soprattutto mancante a livello giovanile. Ora c’è un tenero virgulto della “Misericordia” che ci fa sperare, però ad esempio la Comunità di Sant’Egidio non riesce affatto a decollare.

A livello di adulti è molto attivo il movimento neocatecumenale, però è chiuso in se stesso; mi pare che per formazione sia poco disponibile ad aprirsi agli altri ad una collaborazione anche fuori dalla propria “cittadella fortificata”. Mentre “I Focolari” e il movimento carismatico è pochissimo presente e mi pare non attecchisca in maniera seria.

Credo che al punto in cui ci troviamo “il governo” della nostra Chiesa locale dovrebbe impegnarsi di più per attivare questi investitori ricchi di esperienze specifiche, altrimenti arrischiano di morire di inedia.

03.08.2013

La coerenza evangelica paga ancora

Sono convinto che ogni persona abbia già nel suo DNA degli orientamenti di fondo, dei principi ideali che porta dentro alla sua identità e che poi sviluppa o mortifica durante la sua crescita umana.

Faccio questa premessa perché mi accorgo che, per un verso o per l’altro, ritorno assai di frequente sulle stesse tematiche. Ritengo però giusto farlo perché alla fin fine è questo il contributo sostanziale che una persona può offrire agli altri; infatti questo apporto in positivo o, perfino, in negativo, può aiutare il prossimo a maturare le sue scelte e a crescere a tutti i livelli.

Il fatto che mi spinge a ribadire un concetto che mi è caro e di cui sono convinto è stata la Giornata Mondiale della Gioventù. Domenica scorsa mi sono preso la libertà di seguire per due ore intere alla televisione l’evento storico per la nostra Chiesa, ossia la messa di Papa Francesco celebrata sulla nota spiaggia della metropoli brasiliana di Rio de Janeiro. E’ stato un evento che mi ha spiritualmente “saziato” e che ha rinvigorito la mia speranza per il domani della Chiesa e del Cristianesimo.

Ero convinto che la Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Torvergata con la partecipazione di due milioni di giovani, fosse il punto massimo, un record insuperabile sia per tensione spirituale che per consistenza numerica. Invece, fortunatamente, le cose non stanno così. Papa Francesco di certo ha raddoppiato la consistenza numerica, ma penso pure il respiro spirituale.

Io non sono un sociologo e, meno ancora, un esperto di fenomeni sociali e religiosi, comunque sono assolutamente convinto che il ritornare alla sorgente, “saltando” le sovrastrutture della tradizione ecclesiastica così complesse, macchinose e stereeotipate sia il motivo sostanziale di questo “miracolo” a cielo aperto. Gli elementi che più facilmente si colgono nello stile  evangelico di Papa Francesco, nel suo ritorno alle origini, potranno sembrare perfino futili e marginali, ma per me sono piccoli segni della sua scelta di fondo – ad esempio la borsa nera che s’è portato dietro a mano, l’aver viaggiato in aereo assieme a tutti gli altri, non essersi portato dietro un codazzo di curiali, aver usato un’utilitaria e non blindata per i trasferimenti, essere andato in una bidonville, aver fatto un discorso corto e comprensibile.

In una parola mi pare di dover concludere che, nonostante la crisi sociale e soprattutto religiosa, la coerenza evangelica paga ancora. Tante volte, in passato, mi sono chiesto come ha fatto Gesù ad incantare “cinquemila persone, senza contare donne e bambini” che l’han seguito senza mangiare. Quando vedo poi che il suo successore, Papa Francesco, ha intrattenuto quasi quattro milioni di giovani che per due giorni l’hanno seguito ed ascoltato, dormendo per terra a cielo aperto, vedo che l’imitatore di Cristo sa veramente ancora oggi attirare le folle. La Chiesa, se vuole giustamente incantare le folle e far loro accettare la “buona notizia”, non ha che da ritornare al Vangelo e allo stile di Gesù.

02.08.2013

Niente di nuovo sotto il sole – “parroci” a sovranità limitata

Ho letto recentemente su “Gente Veneta”, il settimanale della nostra diocesi, un articolo in cui si dice che si tenterà di risolvere il problema della carenza di clero, in particolare si parla della difficoltà delle parrocchie attuali di farsi carico della complessità delle problematiche pastorali odierne. In pratica si dice che moltissime parrocchie sono troppo fragili per affrontare da sole alcune problematiche, quali, ad esempio la preparazione al battesimo, al matrimonio, l’educazione degli adolescenti, la gestione dell’informazione e della proposta cristiana attraverso i mass media, ecc. ecc.

Il problema è assolutamente reale oggi, e domani sarà ancora più grave: le microparrocchie alle quali si è puntato mezzo secolo fa sono ormai improponibili. Ora pare che dovremo puntare a grosse parrocchie assistite da una comunità sacerdotale guidata da un sacerdote con carisma. Questa è, per me, la soluzione più valida, mentre pare che la soluzione su cui si va riflettendo sia una aggregazione solidale di più parrocchie in cui ognuna metta a servizio delle altre le sue risorse più qualificate ed efficienti.

Mi auguro di tutto cuore che si trovino soluzioni tecniche che permettano queste osmosi di risorse qualificate. Il problema è reale, ed altrettanto reale è l’urgenza; temo però, da quanto ho capito, che la soluzione sia piuttosto velleitaria.

Già cinquant’anni fa a San Lorenzo, con monsignor Vecchi avevamo capito l’urgenza di una nuova impostazione pastorale per affrontare seriamente le esigenze di una parrocchia vasta ed eterogenea qual’era quella del Duomo. S’era quindi progettato di suddividere la parrocchia in quattro comparti religiosi che facessero riferimento: 1 – al Duomo, 2 – ai Cappuccini, 3 – a San Girolamo, 4 – alla Salute. Si pensava a quattro sacerdoti che curassero ognuno la propria zona, mettendosi pure a disposizione per problemi o per esigenze particolari; parroci non totalmente autonomi, guidati da un sacerdote capofila.

Monsignore ha promosso questa soluzione, però non è riuscito assolutamente a convincere i sacerdoti ad accettare questo servizio con autonomia limitata e con disponibilità ad una solidarietà verso le altre zone pastorali che componevano la parrocchia. Il progetto dunque fallì mezzo secolo fa.

Ora sono mutati i tempi, però credo che se non ci sarà un “governo forte” con idee molto chiare, con un progetto realistico e con grande determinazione ad “imporlo”, ben difficilmente si otterranno migliori risultati, nell’illusione che tale progetto si realizzi solamente per scelte solidali spontanee.

Per me oggi vale la macroparrocchia suddivisa in zone pastorali facenti capo ogniuna ad un sacerdote per la pastorale ordinaria di presidio, però con a capo un parroco leader responsabile dell’intera comunità, parroco che utilizzi al meglio i sacerdoti componenti la comunità sacerdotale e sostenuto in maniera decisa dal “governo diocesano”.

Ci vorranno forse anni per costruire questa nuova cultura pastorale che deve valere sia per i sacerdoti che per i frati e i laici impegnati, però non vedo altra soluzione praticabile.

02.08.2013

Don Tonini

Da un paio d’anni il cardinal Tonini, arcivescovo di Ravenna, era pressoché scomparso dalla scena. Già prima, la morte del prestigioso giornalista Enzo Biagi, suo ammiratore e amico carissimo, aveva messo un po’ in penombra la figura del vecchio cardinal Tonini, “grillo parlante” della Chiesa e della società italiana. Poi l’età – era infatti quasi centenario – aveva definitivamente spento la voce accalorata e puntuale di questo santo prete.

Alla notizia della sua morte avvenuta qualche settimana fa, nonostante avessi già parlato di lui ne “L’Incontro”, avevo scelto di dedicargli un editoriale non appena fosse apparso in qualche periodico del nostro Paese una testimonianza adeguata alla nobile figura di questo santo apostolo. Non avendo ancora scoperto un articolo per me adeguato a questo uomo di Dio, sento il bisogno di dedicargli, almeno per ora, una pagina del mio diario, perché ritengo che monsignor Tonini sia stato in Italia una delle belle e grandi figure di vescovo del nostro secolo.

Ho ammirato il vescovo di Ravenna perché, una volta in pensione, ha continuato come prima il suo compito di annunciatore e soprattutto di testimone del Vangelo. Già nella sede vescovile, prima di Ravenna, aveva scelto un’umile dimora per lasciare il suo palazzo vescovile ad un’opera di apostolato, e a Ravenna poi, ha scelto, come dimora della sua vecchiaia, l’Opera Santa Teresa, struttura che accoglie disabili di tutti i generi e che i ravennati, pur repubblicani ed anticlericali, amano e sostengono con immensa generosità.

Monsignor Tonini, minuto di statura, sempre in clergyman come l’ultimo cappellano, con discorsi assai semplici ma profondamente convinti, ha parlato fino all’ultimo respiro di Gesù e del suo Vangelo che, soli, possono salvare anche gli uomini del nostro tempo dall’insignificanza di una vita senza orizzonti e senza senso.

La testimonianza del cardinal Tonini mi è stata sempre punto di riferimento, per quanto riguarda “l’alto clero”, a motivo del suo rigore morale, del suo appassionato amore per le anime e per la scelta di vivere poveramente e di condividere la condizione degli ultimi sia negli anni della sua efficienza fisica e intellettuale che in quelli del tramonto.

Il cardinal Tonini ha testimoniato con la sua vita che non sono la porpora, la sontuosità dei riti, né l’elogio da colti che conquistano le anime, ma l’amore spoglio di ogni orpello e la coerenza rigorosa al messaggio di Gesù.

08.08.2013

Presenze sacerdotali significative

Mi ha sempre colpito quella frase con cui Gesù rimproverava la sua gente perché trascurava ed eliminava “i profeti” per costruire loro, dopo la morte, inutili monumenti.

E’ saggio, anzi necessario, scoprire ed ascoltare le voci profetiche, o perlomeno quelle personalità significative che escono dal gregge per dire, con la loro voce, o meglio con la loro testimonianza, qualcosa di valido che possa essere utile a tutti.

Mi domando: «Nella mia città e, in maniera specifica nel nostro presbiterio, ci sono oggi voci e personalità che abbiano una qualche autorevolezza, che esaltino qualche aspetto del sacerdozio, che offrano qualche punto di riferimento significativo?». M’è dovere ribadire che, nella Chiesa, gerarchia e profezia sono due parabelle che ben difficilmente possono toccarsi perché ognuna ha una sua funzione tutta propria. Io oggi vorrei cercare la profezia, o perlomeno una qualche ricchezza personale, non intendendo affatto metterla in competizione con i rappresentanti della gerarchia. Il criterio poi di giudizio è assolutamente personale, motivo per cui sarei ben felice se altri mi indicassero altre presenze, o meglio testimonianze, valide e stimolanti.

Qualche tempo fa ho dedicato un editoriale a don Franco De Pieri, il prete che a Mestre, in perfetta solitudine, ha abbracciato la causa dei drogati e degli emarginati: per me è una voce forte e fuori coro.

Più di qualche volta la stampa locale ha parlato di don Biancotto, il cappellano delle carceri che ha portato o favorito i giovani a parlar di Dio per le calli di Venezia. Non è da tutti avere tanto coraggio!

Non tanto tempo fa la stampa, pure per un paio di giorni, ha parlato di Torta, il parroco di Dese che s’è schierato apertamente a favore dei poveri. Io conosco don Torta come un’anima libera, trasparente e coraggiosa. Non ho poi mai nascosto la mia ammirazione per monsignor Bonini, il parroco del Duomo che, pur giunto alla parrocchia avanti negli anni, ne ha fatto una realtà complessa e capace di dialogare con la cultura, con la politica e con ogni realtà del nostro tempo.

Pur non battendo la stessa strada, provo profonda ammirazione per don Narciso, il parroco di Santa Maria Goretti, che ha ristrutturato la pastorale parrocchiale in maniera assolutamente innovativa con le sue cellule di base, ma soprattutto con i suoi 400 “adoratori” che notte e giorno danno testimonianza a Cristo dell’Eucarestia.

Non vi nascondo poi la mia stima per mio fratello, don Roberto, parroco di Chirignago, che con una metodica tradizionale ha cresciuto una splendida comunità cristiana e per lei si sta spendendo senza risparmio e per don Gino Cicutto, parroco di Mira puntuale e quanto mai zelante. Come sono profondamente ammirato per don Cristiano Bobbo, parroco di viale San Marco, che con garbo, pietà e silenzio conduce con fedeltà e amore il suo piccolo gregge cresciuto ai margini della città. Così pure ho ammirato il padre, parroco dei Frari, che nel terreno quanto mai arido di Venezia, ha tentato esperienze assolutamente innovative tra i suoi giovani e nel contempo è aperto al bisogno dei poveri.

Questi preti ed altri che non conosco, li addito all’attenzione dei miei concittadini – perché, secondo me, sono segni più o meno grandi di profezia – perché riconosciamo fin d’ora il loro messaggio senza aspettare di riconoscerglielo quando sarà troppo tardi.

27.07.2013

Il nuovo governo della Chiesa veneziana

Questa mattina ho letto sul Gazzettino che il nostro Patriarca ha completato le nomine ai vertici della Curia, quindi il governo della Chiesa veneziana è ormai al completo e nella pienezza delle sue funzioni per i prossimi cinque anni.

Ho l’impressione che questa compagine di promozione del messaggio cristiano, di coordinamento delle forze in campo e dell’attuazione del programma pastorale, sia più snella della precedente e abbia ancora la caratteristica che il governo sia maggiormente accentrato.

Il nostro Vescovo, fin dal suo ingresso, aveva affermato che si sarebbe riservato un anno di tempo per conoscere prima gli uomini e le situazioni. L’unica volta che il Patriarca è venuto al “don Vecchi” di Carpenedo, per un convegno di sacerdoti della zona, avendo io avuto occasione di sedergli accanto a pranzo in qualità di “padrone di casa”, gli chiesi – soprattutto per rompere un silenzio imbarazzante – che cosa ne pensasse dei preti veneziani. Mi rispose, asciutto, che me l’avrebbe detto fra un anno. Con la nomina mi ha puntualmente risposto almeno per quanto riguarda i vertici, ossia i sacerdoti più rappresentativi su cui posa la sua stima e la sua fiducia: mons. Pagan, che è il suo vice, monsignor Barlese, responsabile dell’azione pastorale, monsignor Pistollato che si occuperà dell’aspetto economico ed ora monsignor Perini che continuerà ad occuparsi della catechesi. Questi sono i ministri del governo diocesano. Il Patriarca ha ancora nominato alcuni viceministri, ma questi fanno sempre capo al “governo”.

Ripeto di aver notato uno smagrimento di questa compagine governativa, d’altronde Venezia ha così pochi preti e per di più anziani, per cui è più che comprensibile la volontà di non distogliere quanto possibile i sacerdoti in diretta “cura d’anime” per impegnarle in curia.

L’aspetto più vistoso che mi pare di rilevare in queste scelte è che sembrerebbe scomparso ogni seppur piccolo segno di decentramento, specie per Mestre, mentre nel passato si era pensata perfino una sede patriarcale in terraferma e poi c’era la figura, seppur quasi totalmente formale, di un vicario patriarcale per Mestre, tanto che talvolta qualcuno s’azzardava a parlare di “Chiesa mestrina”. Ora sembra che questo indirizzo sia stato definitivamente abbandonato non solamente a livello civile, ma anche ecclesiastico. Mi pare quindi che Mestre perda definitivamente anche la seppur minima sua identità formale per rimanere la periferia assimilata in tutto alle problematiche di Venezia.

Ogni scelta ha i suoi pro e i suoi contro. Mi auguro e prego perché questo nuovo indirizzo risulti comunque positivo per la nostra comunità ecclesiale.

26.07.2013

“Il Redentore”

Non si sono ancora spenti i fuochi artificiali che nella notte del Redentore hanno illuminato a festa il cielo del bacino di San Marco, mentre sto rimuginando il senso di questa festa cristiana che vistosamente, col passare degli anni, è diventata l’involucro di una forma di neo-paganesimo popolare.

Ieri, con assoluta convinzione, ho sentito il bisogno di cantare “l’immortal benefica fede”, mentre oggi sento il dovere di prendere le distanze da una religiosità che ha perso gran parte del suo contenuto cristiano per diventare una manifestazione turistica per attirare folle di “foresti” a Venezia e permettere alla sempre più sparuta schiera di veneziani, che sono ridotti a custodire la città-museo della laguna, di illudersi di essere ancora figli della Serenissima.

Per illustrare meglio il mio stato d’animo, mi par giusto confidare agli amici un piccolo inconveniente che mi è capitato in occasione del Redentore di quest’anno. Questa festa è tipicamente veneziana e soltanto per Venezia la Chiesa permette questa celebrazione con testi propri, mentre per la Chiesa universale si offriva ai fedeli il Vangelo della visita di Gesù alla casa di Marta e di Maria. Io mi ero preparato il sermone su questa pagina di Vangelo, ma, dovendo celebrare anche in parrocchia di Carpenedo, dove sono sempre più ligi di quanto non sia io, dovetti cambiare argomento all’ultimo momento. Di buon mattino ho tentato di mettere a fuoco la celebrazione, cercando pur con fatica, di ripescare il motivo religioso di questo evento, ormai quasi esclusivamente popolare.

Mi rifeci alla storia, raccontando gli eventi così come tramandati attraverso i secoli: nel 1575-76 la città fu colpita da una grave pestilenza. Allora il doge e il patriarca fecero voto di costruire un tempio ed affidarono al Palladio l’incarico di progettarlo e presero l’impegno che ogni anno avrebbero fatto un ponte di barche perché i veneziani potessero ringraziare il Signore anche nei secoli futuri. Almeno su questo Venezia mantiene fede al voto, aggiungendovi però una cornice tanto festaiola da soffocare quasi il mistero cristiano.

Mi fu perfino troppo facile affermare che anche oggi la nostra città è afflitta da una peste di cui non sa liberarsi da sola: droga, malgoverno, ruberie sul Mose, contrasti politici, disoccupazione, ecc., tutti malanni di cui par proprio che non riusciamo a liberarci da soli, tanto che sarebbe il caso di suggerire al sindaco Orsoni e al Patriarca Moraglia di far voto, se non di costruire una nuova chiesa – perché per quei quattro gatti che sono rimasti a Venezia di chiese e di belle chiese ce ne sono fin troppe ma di far di tutto perché quelle che ci sono diventino scuole di vita cristiana.

M’è parso che, se anche un po’ improvvisate, i miei fedeli abbiano annuito alle mie riflessioni. Peccato che forse quei fedeli non fossero quelli che han passato la notte in barca mangiando e bevendo a volontà.

23.07.2013

Dalla sacralità alla santità

Lo scorso anno ho letto molto di Adriana Zarri, l’eremita “sui generis” che scriveva su “Il Manifesto” e “celebrava l’Eucarestia” assieme alla sua gatta, in perfetta solitudine. La Zarri è stata una di quelle cristiane “alla don Gallo”, guardata con sospetto e rifiuto dai cristiani ben pensanti e sorvegliata speciale dalla gerarchia ecclesiastica.

Il pensiero di questa teologa laica non è sempre facile, spesso ho fatto fatica a seguirla e comprenderla nelle sue riflessioni sempre profonde. Ricordo che in uno dei suoi volumi mi sono imbattuto in una tesi che lei sosteneva con convinzione, affermando che dobbiamo abbandonare il mondo della sacralità per abbracciare quello della santità.

Per la Zarri la sacralità sa di magico, quasi che certe parole, certi oggetti, certi riti o comportamenti possano manifestare il volto di Dio ed offrircelo, mentre – lei sostiene – solamente la santità, che è cammino personale per la ricerca di Dio, lo manifesta e dona il Signore.

M’è parso di capire, pur con qualche difficoltà, questo discorso. Oggi però Papa Francesco, salendo in aereo portandosi appresso la biancheria intima nella sua borsa nera, occupando una poltrona uguale a quelle dei giornalisti, ha tradotto la tesi della Zarri in maniera quanto mai convincente facendomi capire che sta conducendo la Chiesa ad imboccare la strada giusta.

Ricordo che un Patriarca di Venezia, che non nomino per carità cristiana, non saliva in auto per venire a Mestre se non aveva la scorta di almeno due vigili della stradale, perché un cardinale “principe della Chiesa” aveva diritto ad essere equiparato ad un principe della Casa Reale. E’ perfino troppo evidente che per Papa Francesco non è la preziosità della cornice che dà importanza alla sua presenza, ma il messaggio che egli offre al mondo e la sua coerenza personale che porta speranza e salvezza.

Questo però comporta che pure per noi preti o cristiani non è la fascia rossa, il distintivo o il titolo accademico che offre agli uomini del nostro tempo l’immagine e il volto di Gesù, ma la nostra santità personale e il nostro amore al prossimo.

22.07.2013

I palazzi della Chiesa

Ho letto recentemente su “Avvenire” e su qualche altro periodico di ispirazione ecclesiale, che il vescovo di Novara e di qualche altra città del nordovest d’Italia, ha destinato una parte del suo palazzo vescovile ad accoglienza per universitari o per qualche altra attività di carattere benefico. Mentre so di certo, e da molto, che il cardinal Lercaro, ai tempi in cui era vescovo di Bologna, aveva destinato una gran parte del suo episcopio agli studenti universitari poveri dei quali si prendeva cura personalmente.

Il venir a conoscenza di queste ultime scelte, mi fa alquanto felice, perché esse sono coerenti al messaggio di Gesù ed anche perché diventano una testimonianza quanto mai significativa anche per i sacerdoti, perché è vero che la gran parte dei preti vive sobriamente, però una parte, che spero piccola, ha bisogno di questo esempio.

Credo che Papa Francesco – se fosse per lui – tornerebbe al “Capitolo delle stuoie” come il suo antico omonimo e santo ispiratore; comunque mi è stato di estrema edificazione il fatto che abbia rinunciato ai regali appartamenti pontifici che, a suo dire, potrebbero ospitare 300 persone, preferendo loro la più modesta dimora di Santa Marta.

Mi sono posto, per puro diletto intellettuale, la domanda di che ne sarà di quei sontuosi appartamenti. Penso che siano poco adatti ad accogliere studenti del terzo mondo o preti che vanno a Roma per prendere la laurea, e d’altronde sarebbe un peccato demolire una memoria storica dei tempi andati, anche se è una memoria poco edificante, non certo tale da inorgoglire il popolo cristiano.

Qualche giorno fa, mentre la mia mente oziava su questo argomento, pensavo che avrei potuto suggerire a Papa Francesco di destinare quegli appartamenti a reddito a favore dei poveri. Credo che tanta gente pagherebbe volentieri il biglietto per visitare quei saloni, mettendoci magari qualche statua di cera per rappresentare il passato e, come custodi, le guardie svizzere con tanto di elmo, alabarda e pantaloni a righe rosse e gialle. Raccomanderei però a chi fosse incaricato di allestire questo nuovo museo, di mettere all’entrata un grande cartello con scritto qualcosa del genere: “Queste sale appartenevano alla Chiesa del passato ed erano abitate dal “Papa-re” che però è definitivamente scomparso con il Concilio Vaticano Secondo e soprattutto con Papa Francesco!”.

Se vi fossero difficoltà per la gestione, potrebbero consultare i lords inglesi che, da secoli ormai, han fatto dei loro castelli, musei a pagamento, purtroppo però non a favore dei poveri!

23.07.2013

Perfino Panella!

Ho scoperto ormai da parecchi anni “le beatitudini” de l’anziano.

In questo cantico si dichiara beato, ossia si invoca dal Signore il dono della beatitudine per chi fra l’altro non fa osservare all’anziano che certe cose le aveva già dette altre volte perciò egli è noiosamente ripetitivo.

Spero che questa beatitudine il Signore le conceda benevolmente anche ai lettori del mio diario perché sono purtroppo cosciente di ripetermi. Vengo quindi alla giustificare questa premessa: molte volte infatti ho scritto di essere ascoltatore di radio radicale perché detesto i programmi di musica moderna che mi fanno saltare i nervi e quelli di intrattenimento che considero quasi sempre fatui e banali.

Con questo però non è detto che mi sieda in poltrona per ascoltare di quell’insuperabile logorroico che è Marco Pannella il quale ripete sempre gli stessi discorsi e non la finisce mai!

Ascolto questa emittente durante la decina di minuti che ci metto nel trasferirmi in macchina dal don Vecchi al cimitero o viceversa, o quando faccio un lavoro manuale che non impegna la mente.

Ebbene qualche giorno fa ho sentito Panella, che parlando dell’inciviltà delle carceri e della “criminalità” del nostro Stato che non rispetta i fondamentali diritti dell’uomo, ha affermato, con l’enfasi che gli è propria, che solamente Papa Francesco, l’ultimo “monarca assoluto” rimasto a questo mondo, nei primi giorni del suo “regno” ha abolito nello Stato Pontificio la pena di morte, la tortura e il carcere a vita! Penso però che forse gli altri Pontefici neppure sapessero dell’esistenza di queste vecchie leggi dimenticate e che neppure quei due trecento abitanti dello Stato Pontificio corressero il pericolo di incorrere in queste pene.

Comunque era perfin troppo evidente che quell’anticlericale incallito che è da sempre Pannella, sta subendo il fascino di Papa Francesco che non passa giorno che non compia atti e non dica parole che non vadano a riportare la Chiesa alla semplicità delle prime comunità cristiane della Palestina e Roma.

Questo Papa si dimostra ogni giorno di più un dono di Dio e l’uomo che ha il coraggio e la volontà di riportare la Chiesa allo stile evangelico, liberandola da orpelli rituali e di pensieri quanto mai barocchi e che sempre offuscano e soffocano la freschezza rivoluzionaria del vangelo.

Papa Francesco sta predicando finalmente una chiesa che fa presa non soltanto nel cuore dei giovani e dei “preti Gallo” ma perfino anche nei più incalliti anticlericali rappresentati dai radicali di Marco Panella!

21.07.2013

Ora basta!

Non ho mai seguito con molta convinzione le vicende della banca del Vaticano, un po’ perché non mi intendo di finanza a quei livelli così complicati e un po’ perché ho sempre provato disagio e vergogna scoprendo che nella propria “casa” c’è qualche cosa di “irregolare”. Ora però, con lo scandalo di mons. Scarano, che noleggia perfino un aeroplano per portare a spasso tra la Svizzera e il Vaticano decine e decine di milioni, mi pare si sia arrivati veramente a quel colmo che già vent’anni fa pensavamo di aver raggiunto.

Ricordo gli imbrogli col Banco Ambrosiano, con quei tristi figuri di Sindona, di Calvi e di Marcinkus, ma purtroppo da allora le cose sono andate di male in peggio ed a scadenze ravvicinate sono scoppiati scandali su scandali.

Oggi apprendo dalla stampa che l’amministratore Gotti Tedeschi, che Papa Ratzinger aveva chiamato per ripulire la banca e che altri hanno cacciato con motivazioni davvero infamanti – motivi che mi avevano sorpreso per la loro crudezza – ora è completamente assolto, anzi pare che sia stato mandato via perché avrebbe voluto mettere ordine nei conti ingarbugliati e, pare, truffaldini dello IOR.

Oggi mi pare che si debba dire con decisione “BASTA!” con questa gente che sporca le vesti della “Sposa bella”!

Qualche giorno fa ho visto alla televisione delle carrellate sull’incontro avuto da Papa Francesco con i seminaristi, i chierici che si preparano al sacerdozio e le novizie che si preparano a fare i voti di povertà, castità ed obbedienza per diventare suore a servizio del popolo di Dio. Erano volti bellissimi, puliti, sani, profumati di giovinezza e di ideali e poi mi venne d’istinto di confrontarli con quelli dell’ammucchiata di monsignori che stanziano perennemente a San Pietro come una macchia di papaveri rossi in un campo di grano. Provo veramente rabbia e ribellione!

Quando penso alle tante mamme che educano i figli alla fede, a quei meravigliosi missionari che lasciano tutto per diffondere il messaggio di Gesù, agli innumerevoli martiri che ancora oggi versano il sangue per rimanere fedeli a Cristo, ai vecchi parroci che, nonostante l’età e mille altri disagi, vivono per le loro comunità, e poi vengo a sapere che laici ed ecclesiastici sporcano il volto della Chiesa con intrallazzi di carattere finanziario, provo rabbia e ribellione, perché è intollerabile che ci sia in Santa Madre Chiesa della gente che continua ad offendere il sacrificio di milioni e milioni di cristiani onesti e coerenti.

16.07.2013

L’ebbrezza del prete

La mia fortuna, o meglio la grande Grazia che il buon Dio mi ha fatto, è stata quella di aver sempre avuto nel cuore la certezza che il messaggio cristiano è quello che di più valido sia mai esistito nella storia del mondo ed è quello che dà le migliori risposte delle quali l’uomo ha bisogno per vivere.

Spesso tento di far capire, e talvolta lo dico apertamente, che senza quel messaggio la nostra vita sarebbe un assurdo o, peggio, una beffa.

Il mio ministero da vecchio prete a tanti potrà sembrare marginale o di poco conto, anche perché esso si riduce al sermone domenicale, alla breve riflessione durante l’Eucarestia feriale o alla predica ai funerali, eppure ho la sensazione di trovarmi in una situazione privilegiata e di poter offrire le soluzioni cardine sul senso della vita in assoluto.

Oggi ho celebrato il funerale di una persona a me sconosciuta, un uomo che ha avuto una vita intensa, talora brillante e talora drammatica, che ha vissuto momenti di gloria e di ricchezza e momenti di disperazione, stroncato da un infarto che, come una fucilata, l’ha colpito al cuore. La chiesa era gremita di gente del bel mondo, gente abbronzata, elegante, ma sgomenta ed attonita perché la morte aveva colpito uno di loro, uno che aveva tenuto allegra la loro compagnia, che era stato amato e forse invidiato per il suo charme.

Confesso che ho provato un’ebbrezza sconfinata nel poter offrire un varco di luce tra tanto buio. L’avere la possibilità di assicurare che Dio è padre, che Dio perdona anche chi ha sbattuto “la porta di casa” per vivere in libertà l’avventura della vita, che Dio aspetta a braccia aperte chi comunque ritorna a Lui, è un qualcosa di grande e mi ha fatto sentire quanto è stato gradito questo discorso. Le parole del Vangelo, quando sono pronunciate con convinzione, toccano i cuori e li aprono alla speranza.

Un signore di mezza età che, per il suo modo di fare ho capito che apparteneva a quel mondo brillante e fatuo, è venuto in sagrestia a dirmi: «Padre, usciamo di chiesa più fratelli e migliori» Ed una ragazza giovane, bella ed elegante, sulla soglia della chiesa mi ha stretto la mano per dirmi «Grazie!».

Sono stato felice perché quel “grazie” non andava a me, ma alla parola di speranza offertaci da Gesù.

15,07.2013

Cristani e part time

Ho l’impressione che papa Francesco sia per la Chiesa quello che Kruscev fu per la Russia comunista.

Ormai quella stagione è tramontata, ma anche le persone di mezza età ricorderanno il discorso contro il culto della personalità: per suo merito gli idoli del partito finirono nella polvere. Inizialmente pareva che i mutamenti fossero solo di facciata, però poco tempo dopo saltò il muro di Berlino e i Paesi satelliti ritrovarono l’indipendenza. Poi lo sconquasso fu tale che la società russa subì dei mutamenti radicali.

Non tutto andò per il meglio, però perlomeno è caduta la cosiddetta dittatura del proletariato che provocò tanto sangue e tanta miseria. Ora c’è solo da sperare che il popolo della santa Russia prenda totalmente in mano il suo destino.

Nella Chiesa di papa Francesco la “rivoluzione” è stata invece indolore, ma non meno radicale. Il nuovo Pontefice infatti pare che stia aiutando il popolo di Dio ad abbattere la sacralità, il ritualismo e il verticismo. non passa giorno che non arrivi una picconata, apparentemente garbata e gentile ma che scuote i cuori e mette in crisi le coscienze.

Qualche giorno fa è arrivata quella: “che la Chiesa non sa che farsene dei cristiani a part-time, ossia quelli che presumono di essere tali solamente perché “pagano le tasse a Dio” con l’andare a messa la domenica e poi, durante la settimana, girano a ruota libera come se il Vangelo non esistesse”.

Sono convinto che queste parole pronunciate con bonomia, come se si trattasse di un fervorino di un vecchio parroco di campagna, finiranno per mettere in crisi preti e fedeli, impegnandoli pian piano ad un cristianesimo da Vangelo e non da precettistica della tradizione religiosa..

Mi auguro che le parole e la testimonianza coerente e costante di Papa Francesco ci aiutino a capire che il cristianesimo non è l’abito bello da indossare per le feste, ma la tuta da lavoro che ci permette di sporcarci le mani per rinnovare questa nostra società, rendendola più umana, più solidale e più fiduciosa di vivere nella speranza sotto lo sguardo paterno di Dio.

Papa Francesco sta aiutandoci a capire che la religione è in buona parte una realtà da reinventare.

15.07.2013

Alla ricerca delle cause

Ho appena letto sul settimanale della diocesi un ottimo servizio del dottor Paolo Fusco, il brillante giornalista di questo periodico. Il servizio di Fusco è quanto mai documentato e mette il dito su una piaga aperta e sanguinante. Già il titolo fa rabbrividire chi ha a cuore la Chiesa di Venezia: “Il battesimo non è più scontato” e segue l’occhiello ancora più amaro: “Nella nostra diocesi per due bambini su dieci niente fonte battesimale”. Ciò significa che già un quinto dei nostri bimbi, da un punto di vista rituale e sacramentale, non è più cristiano!

Per il matrimonio siamo sotto il cinquanta per cento, ora la frattura fra Chiesa e cittadinanza locale comincia ben prima e questo divario è una prospettiva molto più grave, perché mentre i novelli sposi in qualche modo hanno ricevuto una catechesi, con il mancato battesimo si arrischia che venga meno anche questa cultura di fondo.

Sono profondamente grato al giornale della diocesi che ha fatto suonare questo campanello d’allarme. Quello di “Gente Veneta” è una scelta di onestà ed è un servizio che il giornale fa alla Chiesa veneziana per svegliarla dal torpore tipico dell’acqua cheta della laguna. Spero, ma con un certo margine di dubbio, che finalmente questa denuncia la scuota da quell’atteggiamento di rassegnazione abbastanza diffuso e dall’accontentarsi dei grandi paroloni, ubriacandosi con toni altisonanti quali: “Anno della Fede”, “Nuova evangelizzazione”, ecc, quando poi tutto resta fermo come prima.

Il periodico riporta poi i rimedi suggeriti dagli esperti e dagli attuali primi responsabili. Ho letto con attenzione le analisi, le soluzioni dettate dal vicario generale don Pagan, dal provicario don Barlese, dal responsabile dell’evangelizzazione don Perini, da don Berton, vicario per Marghera ed infine da monsignor Bonini, che un tempo era responsabile per Mestre ed ora non so più cosa sia, ma che comunque è una voce autorevole. Ognuno dice delle cose valide, anche se da vecchio parroco avrei qualche dissenso su alcune di esse. Pur non interrogato, mi permetto di aggiungere qualche parere concreto che potrebbe, spero, marginare il fenomeno.

  1. Manca in moltissime parrocchie il presidio, seppur minimo, del territorio. Ricordo a questo proposito un signore che mi ha chiesto di andare a benedire la sua casa perché non era riuscito a convincere il suo parroco a farlo: “Vede don Armando, mi disse, abito da 25 anni in questa strada; qui sono nati bambini, dei giovani si sono sposati, alcuni sono morti, ma in questa strada nessun prete, in 25 anni, ha mai messo piede”.
  2. Molte parrocchie hanno totalmente trascurato l’associazionismo. Mi scuso ancora una volta per il mio peccato di autoreferenzialità, ma nella mia vecchia parrocchia avevo 100 chierichetti, 200 scout, 60 cantori, 400 volontari e, se non avessi avuto l’opposizione di qualche cappellano, avrei avuto anche il coro dei ragazzi e con l’ACR poi ogni anno portavamo almeno 250 ragazzi e 400 anziani in vacanza. Almeno 150, 200 sposi facevano parte dei gruppi di spiritualità familiare, 50 giovani più gli adulti della San Vincenzo.
  3. Quasi tute le parrocchie mancano di strumenti di comunicazione o di informazione, eccetto qualche eccezione i “foglietti” parrocchiali fanno pietà per numero di copie e soprattutto per contenuti.

In parrocchia avevo una rivista mensile con l’obiettivo di una proposta cristiana, rivista che mandavo per posta ad ogni famiglia, ed un settimanale che stampavamo in 3500 copie. Avevamo inoltre un altro mensile, “L’Anziano”, diretto alle persone che avevano superato i sessant’anni e che veniva spedito anch’esso a domicilio. Per vent’anni, con duecento volontari, abbiamo gestito “Radiocarpini” con contenuti esclusivamente pastorali, che poi ho passato alla diocesi perché ero convinto che dovesse avere un bacino di utenza più vasto e perché costava troppo per la parrocchia.

Non ho per nulla la pretesa di insegnare agli altri, ma avevamo in parrocchia il 42 per cento di presenze al precetto festivo e i non battezzati li contavo sulle dita di una mano.

14.07.2013