La preghiera per Pierluigi

Questa settimana, non quella segnata sulla data ma quella in cui sto scrivendo, è caratterizzata da una situazione politica che non vorrei definire amara ed inconcludente, ma veramente disastrosa ed apocalittica. Il parlamento a cinquantacinque giorni dalle elezioni non ha un barlume di idee concrete per dar vita ad un governo e per di più ha bruciato sull’altare della faziosità uomini come Marini e Prodi, e ha fatto ballare sulla passerella delle ipotesi Rodotà, la Bonino, la Cancellieri, Amato e qualche altro, per finire ad andare a pietire ai piedi del bisnonno Napolitano perché “smontata la sveglia” non sanno più ricomporre i suoi pezzi.

Gli attori di questa commedia – ma sarebbe meglio dire tragedia nazionale – sono più di uno perché sono saliti sul palco tutti i capibanda dei quali sono composti i partiti del nostro Paese. Uno però, degli attori principali, che fino a qualche settimana fa intratteneva il pubblico italiano con tanta sicumera, è stato Bersani. Pur non avendo mai apprezzato più di tanto la scuola da cui proveniva e le frequentazioni giovanili, m’era parso che avesse messo giudizio, guidasse con una certa autorità il suo grande partito, tanto che, pur non avendolo votato direttamente, ho tentato di mettergli accanto il professor Monti, che mi sembrava avesse i piedi per terra e conoscesse meglio le regole dell’economia.

Improvvisamente il palco gli è crollato addosso: s’è scoperto che il partito che guidava era come la statua sognata da Nabucodonosor: testa d’oro, petto e braccia d’argento, ventre di bronzo e piedi, purtroppo, di ferro e argilla. Al primo scossone tutto s’è frantumato e il mondo intero che l’aveva incensato s’è accorto che ha sbagliato tutto!

Mi hanno detto che Bersani ha poco più di sessant’anni, troppo presto per andare in pensione! In questi giorni sono tornato più volte a riflettere sul dramma di questo povero uomo. Pareva che fosse arrivato finalmente il suo momento, quel momento sognato da una vita, ma la bolla iridata di sapone gli è scoppiata in mano, punta dallo spillo di rancore verso Berlusconi, il nemico di sempre.

Questa sera ho pregato per Bersani, spero che il Signore gli offra un altro motivo per cui vivere. Veltroni voleva andare in Africa, Bertolaso, della protezione civile, c’è andato. “Forza Pierluigi, ci sono ancora tante cause valide per cui impegnarsi; tu qualità ne hai, volta pagina e spendi finalmente le tue risorse in un ambiente più sano! Ne hai diritto e dovere!”

Finalmente un sussulto di dignità nel quartiere

La storia vecchia e recente del quartiere don Sturzo non è stata veramente esemplare per solidarietà verso il prossimo e per sensibilità sociale. Non vorrei ritornare ancora una volta a ricordare le pagine tristi che hanno caratterizzato il passato di questo quartiere che, per i motivi più diversi, ha assunto atteggiamenti illiberali e di una pseudo aristocrazia borghese.

Ricordo le barricate per opporsi alla costruzione delle case popolari, quindi l’opposizione assurda alla costruzione del Centro don Vecchi uno, altrettanto per il “don Vecchi due” e l’intervento presso il Comune, che era disposto a cedere alla Fondazione un pezzo di parco per la costruzione del “don Vecchi cinque” per gli anziani in perdita di autonomia, realtà che sarebbe già funzionante se non ci fosse stata questa opposizione veramente incomprensibile.

Ricordo ancora la lotta perché la “poveraglia” non accedesse ai magazzini dei vestiti, dei generi alimentari e dei mobili. Purtroppo ancora l’opposizione, con manifestazioni plateali, quando s’era pensato di utilizzare la cascina Mistro per gli anziani non autosufficienti, progetto che risultò poi realizzabile per altri scopi. Infine ricordo la campagna contro la realizzazione della “Cittadella della solidarietà” nel campazzo della Società dei 300 campi.

Ora finalmente pare che questo quartiere abbia un sussulto di dignità di fronte allo scempio e all’infinito spreco di denaro, da parte del Comune, per la bonifica del parco antistante la chiesa di viale don Sturzo. Sono stati tagliati alberi pluridecennali, s’è fatto scempio del parco, creando colline di terra, non si sa se bonificata o da bonificare. Il tutto poi s’è fermato, quasi a perpetuare in viale don Sturzo una nuova Ostia o Pompei.

Finalmente da qualche giorno sono apparsi, sullo steccato che chiude il parco, striscioni con accuse roventi contro il Comune e chi, con tanta insipienza, ha prodotto questo tsunami e pare volerlo lasciare a perpetua memoria delle scorie del tempo in cui Mestre aveva un polo industriale che produceva ricchezza.

Vedendo questi striscioni, che la pioggia sta stingendo, ho sentito il bisogno di dire: “Finalmente, cari compatrioti di viale don Sturzo, posso essere con voi per dare una ulteriore spallata ad una amministrazione pubblica spendacciona ed inconcludente! Non lo meritereste, ma per coerenza personale lo faccio lo stesso!”.

Il sì del vecchio presidente

La cronaca in Italia corre veloce ed imprevista. Il vecchio presidente della nostra Repubblica in questi giorni ha dato una splendida lezione di dedizione ed amore veramente esemplare al Paese e a tutti gli italiani.

Come ho provato più che stizza, forse ribrezzo, per la processione dei politici che sono andati in ginocchio a chiedere che il vecchio uomo di Stato restasse per trarli da quei guai in cui loro si sono messi, altrettanto ho avuto ammirazione per questo vecchio che ormai aveva già fatto fagotto per andarsene a vivere finalmente in pace gli ultimi anni della sua vita.

Forse la mia comprensione è più sentita e più vera perché mi pare di trovarmi anch’io nelle stesse condizioni e provo sulla mia pelle la fatica, talvolta perfino la nausea, di dovermi sobbarcare impegni che mi risultano tanto gravosi a motivo dell’età.

Io sono un pensionato ufficiale da almeno otto anni, ma Napolitano avrebbe avuto il sacrosanto diritto di esserlo almeno da dieci, dodici. Per di più sono anni che il presidente non ha fatto altro che raccomandare a quella ciurma di perditempo, parolai e rissosi, saccenti e strapagati, di fare le riforme indispensabili per avere un governo capace di governare ed impegnato a rimettere in moto il Paese che si va avvitando su se stesso e sta precipitando in una crisi che non ha precedenti.

Il si di Napolitano non solo mi ha riempito di ammirazione, ma mi ha anche commosso per non aver fatto pesare più di tanto gli errori, le faziosità e i tatticismi inconcludenti dei politici, tutti tesi a salvaguardare i propri interessi personali. Più volte ho ripetuto che la virtù ha un peso specifico immensamente superiore a quello del vizio, motivo per cui sono convinto che il gesto di Napolitano fa più bene al nostro Paese di tutto il male fatto dai nostri mille parlamentari.

Spero che l’ammirazione e lo stimolo ad operare per il bene della collettività che provo di fronte al gesto di Napolitano possano far bene anche ai miei connazionali. Non riesco però a concludere questa pagina senza bollare di falsità e di infamia il comico Grillo e la sua banda di plagiati che stanno recitando una commedia veramente stucchevole, che pretenderebbero di essere i vessilliferi del nuovo, quando in realtà rappresentano quanto di più stantio, meschino ed illiberale un gruppo politico possa esprimere e che non tien conto neppure degli elementi più rudimentali delle regole della democrazia in un Paese moderno.

L’ultima dei radicali

Ascolto la radio andando e tornando dal cimitero. Sono sempre sintonizzato su Radio Radicale perché è forse l’unica emittente che da mane a sera affronta tematiche sociali e non cerca di accattivarsi l’attenzione del pubblico con le solite canzonette, o comunque con quei programmi leggeri, sempre fatui ed inconsistenti.

Questa mattina una giornalista di questa emittente ha informato gli ascoltatori che si sono “aperti i tavoli” in molte piazze d’Italia per promuovere una legge di iniziativa popolare per rendere possibile l’eutanasia (traduco: l’omicidio indolore eseguito da medici in camice bianco negli ospedali costruiti per guarire il paziente dalla malattia, e non per farlo morire a spese poi della collettività) ed un’altra legge sul testamento biologico, ossia una legge per cui lo Stato si impegna, in caso di malattia grave, a garantire che i medici si attengano alle volontà espresse nel testamento depositato in Comune.

La giornalista radicale informava sui siti ove si poteva sottoscrivere la richiesta per questi due interventi. Informava inoltre che si dovevano raccogliere cinquantamila firme entro settembre e che Marco Pannella avrebbe propiziato un risultato positivo dell’iniziativa cominciando, fin da subito, uno sciopero dagli alimenti e dalle bevande.

I radicali è da molto che rimuginano questi obiettivi. Ora non sono più in Parlamento, ma sono ben presenti attraverso Radio Radicale, l’emittente pur pagata col contributo di tutti gli italiani, voluta dal partitino di Pannella, che non è mai riuscito ad entrare in forze in Parlamento ma che, giorno e notte, non cessa di creare una mentalità laica, avulsa da ogni principio morale, mentalità che svuota dall’interno il messaggio cristiano e toglie ogni speranza all’uomo, rendendolo una povera creatura in balia degli eventi.

Tutto è provvidenza

Scrivo queste note quando il calendario segna venerdì 19 aprile. Il nostro Paese è proprio al culmine del tormentone per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Quando uscirà questa pagina di diario spero che tutto si sia calmato e l’Italia abbia ripreso il suo cammino lento e, purtroppo, sonnolento, impasticciato come al solito da mille furfanterie, e al Colle segga qualcuno che sappia tener ben forte le briglie dei partiti.

Il nome che è agitato sul pallottoliere e che, quasi per caso, potrebbe uscire, è quello del professor Rodotà. Non conosco bene questo personaggio presentato da Grillo, ma che pare pur gradito a tutto quel mondo laico che gira attorno alla sinistra. Io l’ho sentito una volta soltanto parlare alla televisione e precisamente a “Ballarò”, la rubrica settimanale di politica che si muove apertamente all’interno di mentalità e scelte di sinistra. Ad essere onesto Rodotà non m’è piaciuto affatto: saccente, presuntuoso, un po’ isterico e quanto mai fazioso, tanto che m’è parso stesse ad ogni momento per dire “so tutto io”. Non so come la pensi da un punto di vista religioso e morale ma, ad occhio e croce, non mi pare che guardi con troppa simpatia la Chiesa e i suoi “derivati”.

Comunque, confesso che non spenderò neppure una giaculatoria per chiedere che il buon Dio ci scampi da un uomo del genere. Mi pare di aver finalmente capito che “gli uomini si agitano ma è Dio che li conduce”, come dicevano i nostri vecchi.

Da qualche tempo a questa parte ho la sensazione che facciano più bene alla nostra fede i persecutori che i protettori. Se Rodotà andrà al Colle, significherà che questo è l’uomo che ci siamo meritati e che forse la sua poca simpatia verso il mondo cristiano ci sarà più di vantaggio che di svantaggio, perché ci costringerà a tirar fuori fede, coraggio e combattività, perché credo che sia finito il tempo, anche per noi cattolici italiani, di esser protetti, coccolati e privilegiati, se vogliamo essere una presenza autenticamente evangelica e non una istituzione preoccupata di difendere i suoi beni e il suo status quo.

Un Papa troppo pastore

Il nuovo Papa sta riscuotendo, ogni giorno di più, la simpatia e l’entusiasmo dei fedeli per la sua semplicità, il suo calore umano e le sue scelte pastorali che si rifanno ad una Chiesa povera per i poveri. Le sue decisioni, il suo parlare semplice e comprensibile e i suoi gesti stanno smontando ogni giorno di più l’immagine di un Papa monarca, o di un Papa teologo che parla con parole e concetti assolutamente incomprensibili. Ho l’impressione che Papa Francesco scelga di fare il vescovo di Roma come fino a qualche giorno fa ha fatto il vescovo di Buenos Aires, la città caotica con le periferie povere e disastrate.

Già scrissi che ho sentito perfino Pannella parlare bene del nuovo Papa. Tuttavia questa mattina, mentre mi recavo con la mia Punto a celebrare nella “cattedrale tra i cipressi”, ascoltando Radio radicale, nel corso della rassegna stampa il giornalista ha riportato il pensiero di un teologo, che lui diceva essere un docente di una delle università cattoliche di Roma.

Il giornalista, che di certo era un laico, come lo è il corpo redazionale di questa emittente, riportava per filo e per segno una critica dura, puntigliosa e saccente con cui questo teologo condannava quello che, secondo lui, sapeva di pauperismo popolare ed era privo di contenuti teologici, come si conviene al capo di una delle religioni più importanti del mondo.

Me l’aspettavo che, prima o poi, saltasse fuori qualcuno di quei cristiani sofisticati che sono soliti discutere sul “sesso degli angeli” e che offrono un pensiero teologico avulso dalla realtà ed assolutamente incapace di trasmettere il messaggio cristiano che parli al cuore e alla coscienza dell’uomo della strada. Il giornalista riportava il nome e il cognome di questo “professore” che penso abbia la pretesa di insegnare anche a Dio.

Questa è la prima critica feroce che vengo a conoscere, però temo che ben presto vi saranno molti altri individui, che ora si sentono spiazzati dallo stile evangelico di Papa Francesco, che taglia loro l’erba sotto i piedi. A me il Papa piace così, spero che tutti i cristiani normali la pensino alla stessa maniera.

Preti in pensione

Io vivo, a livello formale, molto marginalmente la vita pastorale della città. In realtà però mi lascio coinvolgere fin troppo dalle vicende delle parrocchie, soprattutto di Mestre.

Ogni tanto mi giungono delle notizie veramente preoccupanti. Qualcuno mi ha informato che durante l’anno in corso dovrebbero andare in pensione, per raggiunti limiti di età, don Rinaldo Gusso, parroco di San Pietro Orseolo, don Franco De Pieri, parroco a San Paolo di via Stuparich, don Angelo favero e monsignor Fausto Bonini del duomo di San Lorenzo. Le prime due parrocchie che rimarranno presto vacanti potrebbero essere inglobate: alla comunità di Carpenedo o l’altra a quella di San Lorenzo, magari creando due piccole comunità di sacerdoti che si facciano carico anche degli spazi lasciati liberi dai neopensionati. Così facendo si renderebbe più razionale l’organizzazione parrocchiale, eliminando servizi doppi, utilizzando in maniera più razionale i sacerdoti, e creando un’organizzazione parrocchiale aggiornata con un maggior utilizzo del volontariato, magari assumendo qualche operatore pastorale che sbrighi tutte quelle pratiche e guidi quei servizi che sono inerenti ad una comunità cristiana.

Quello che invece mi desta maggiore preoccupazione è la sostituzione del parroco della comunità cristiana del duomo. San Lorenzo non è solamente la parrocchia centrale, a cui idealmente fa capo la città, ed è ancora una parrocchia particolarmente numerosa, ma soprattutto sono convinto che questa parrocchia sia attualmente il punto di riferimento per le altre comunità cristiane della città.

Monsignor Bonini ha creato, in non moltissimi anni, una parrocchia modello, come strutturazione parrocchiale ed ha posto in atto un tipo di pastorale di avanguardia che dà risposte globali atte a rispondere alle attese dei parrocchiani. Attualmente la parrocchia del Duomo penso sia l’unica comunità cristiana della nostra città capace di dialogare con la cultura, con la società civile, col mondo dell’arte, dello spettacolo, ed abbia approntato strumenti di comunicazione sociale quanto mai efficienti.

A questo riguardo, già qualche tempo fa ho presentato il prontuario che quella parrocchia pubblica ogni anno, per rendersi conto dell’estrema articolazione ed attualità delle sue proposte pastorali.

Qualche settimana fa ho visitato la canonica e mi sono reso conto di come il suo piano terra rappresenti il centro nevralgico estremamente moderno e funzionale della pastorale parrocchiale. Sono veramente preoccupato che venga a mancare la mente pensante di questa parrocchia che rappresenta la mosca cocchiera ed il riferimento stimolante per le altre parrocchie di Mestre.

Mestre, terra di missione senza missionari

Qualche settimana fa ho scoperto un nuovo settimanale di matrice cristiana: “A sua immagine” e l’ho presentato ai miei amici descrivendo i pregi e i limiti di questo periodico che calca le orme del più famoso e diffuso “Famiglia Cristiana”. In quella occasione mi sono permesso di aggiungere qualche nota sul primo e sul secondo settimanale.

Famiglia cristiana in questi ultimi anni ha avuto un calo considerevole di copie, si presenta con una veste tipografica e con un’impostazione redazionale più sofisticata e soprattutto s’è decisamente schierata a sinistra.

Il nuovo periodico invece è di taglia più popolare, presenta il commento della liturgia quotidiana, pubblica a puntate un romanzo di ispirazione religiosa e soprattutto presenta una serie notevole di testimonianze di persone del nostro tempo che parlano apertamente della loro fede. Un limite mi pare sia quello di presentare articoli un po’ prolissi e il “mistero” della dicitura sulla copertina della rivista: “La rivista ufficiale Rai 1”! Penso che utilizzi il materiale usato nella rubrica di carattere religioso che viene trasmessa ogni domenica da quel canale televisivo.

Questa settimana però è apparsa in edicola un’altra rivista: “Credere”. Stesso formato, stesso contenuto, anch’essa edita dalle Paoline, come Famiglia Cristiana.

Mi ha alquanto stupito questa sovrapposizione diretta alla stessa frangia di lettori. Quanto non sarebbe stato più opportuno che questi periodici si rivolgessero a pubblici diversi, o si accorpassero per abbattere i costi e migliorare i contenuti!

Purtroppo il mondo cattolico non pare avviarsi alla sinergia oggi estremamente necessaria. Ci sono mille ordini religiosi, talora sparuti, che si fanno concorrenza e sopravvivono stentatamente offrendo contenuti e proposte scadenti. La stessa cosa sta avvenendo ora per i settimanali.

Questa “scoperta” non esaltante mi ha portato a pensare ai periodici parrocchiali della nostra città, ove il degrado è desolante e la sovrapposizione ancora più assurda. La ventina di periodici parrocchiali a fatica può interessare, molto marginalmente, solo una frazione della stessa piccola parte di praticanti, offrendo loro informazioni e proposte di infima qualità e pochissimo appetibili.

Per me è angoscioso pensare che al massimo il 15 per cento dei concittadini vengono raggiunti o dalla predica domenicale del parroco o dal foglietto parrocchiale. Mi chiedo come si concilia il discorso di Gesù della “pecorella smarrita con l’85 per cento dei cristiani oggi assolutamente abbandonati a se stessi. Che non sia mai venuto in mente alla dirigenza di stampare un periodico, pur modesto, perché sia mandato, ogni settimana ad ogni famiglia della città! Spero che non si perda anche l’occasione dell’anno della fede per realizzare qualcosa del genere!

Renzi, lo scout prestato alla politica

Le mie analisi sulla politica d’oggi sono tutte saltate e sono risultate perdenti. Avevo pensato che Bersani col “battesimo” si fosse emancipato dall’educazione di Botteghe Oscure, che avrebbe vinto le elezioni e che si sarebbe alleato con Monti per rassicurare il mondo dei moderati e dei cattolici, invece tutto è andato a rovescio con la scelta di portarsi dietro Vendola e di garantirsi la collaborazione dello zoccolo duro dei vecchi compagni, specie dopo le elezioni, andate in maniera così imprevista, e dopo aver preteso l’incarico di formare il nuovo governo, incarico che l’ha letteralmente bruciato.

Da come sono andate le cose mi par di aver capito che Renzi, il giovane politico proveniente dal mondo scout, che da sempre coltiva questi valori e ne fa regola di vita, col suo spirito di avventura, la disponibilità al servizio e la concretezza, aveva ragione. M’è piaciuto Renzi perché è stato sincero e fedele al suo segretario politico, mi piace Renzi perché in questo momento difficile per il nostro Paese, sceglie ora la strada del realismo voltando le spalle ai tabù vetero-comunisti, ed è disposto a lavorare con tutti coloro che si dichiarano disposti, voltando le spalle ai pregiudizi e alle fruste ideologie, ad impegnarsi perché il Paese non ci crolli addosso ed i poveri non paghino un prezzo ulteriore ai tatticismi, ai miti e ai pregiudizi di chicchessia.

Renzi ha scritto nel suo manifesto elettorale che “considerava suo onore” meritare fiducia, che è il primo articolo della legge degli scout. Mi pare che finora, nelle alterne e non previste vicende, abbia mantenuto fede a questo principio.

Il percorso è certo terribilmente difficile; le imboscate, i tranelli, i voltafaccia, i tatticismi, le furbate degli esperti del mestiere saranno all’ordine del giorno. A me però piace lo spirito di avventura di quest’uomo, la sua concretezza e la sua volontà di servire il Paese. Spero proprio di non restare ulteriormente deluso.

Scalfari e i cardinali

Il solito magistrato in pensione, che mi onora della sua amicizia e frequenta la mia chiesa, probabilmente vedendo quanto mi interessano i pensieri del compianto cardinal Martini e l’uso che ne faccio nelle mie omelie, recentemente mi ha regalato un altro volume che riporta alcune conversazioni tra il famoso giornalista, fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari e il cardinale di Milano. Queste conversazioni hanno avuto luogo nella casa di riposo dei Gesuiti di Milano, quando Martini era già in pensione da anni e il suo stato di salute era molto precario perché minato dal Parkinson.

Scalfari, che da sempre si dichiara laico ed ateo, pone delle questioni al cardinale su tematiche esistenziali, ecclesiali e sociali. Quello che mi ha alquanto sorpreso è la delicatezza, quasi la tenerezza con le quali interroga il cardinale, più giovane di lui di qualche anno.

Io ho conosciuto Scalfari leggendo i suoi editoriali: decisi, acuti, spesso taglienti e di una ironia sferzante, ma soprattutto in un dibattito, sempre su temi religiosi, che qualche anno fa questo giornalista ha avuto a Cortina su iniziativa di quella prestigiosa comunità montana. In quell’occasione Scalfari era stato impietoso, facendo degli “affondo” di una durezza spietata, tanto che non gli avevo perdonato di avere letteralmente umiliato il nostro Patriarca, non solo con la sua notevole bravura dialettica, ma usando perfino sarcasmo nei riguardi delle tesi portate avanti dal nostro cardinale il quale fu ridotto in visibile affanno, tanto da arrancare penosamente.

M’aspettavo qualcosa del genere anche con Martini, invece no: ha posto le domande con una delicatezza e con sommo rispetto, convenendo con lui su quasi tutto. M’è sembrato del tutto aperto al dialogo e in ricerca sincera di tutti gli elementi che potevano essere condivisi.

Di certo Martini si comportò con una calda ed umile umanità, mai impalcandosi a maestro, ma offrendo sempre le sue proposizioni, confessando le debolezze della Chiesa e i suoi dubbi, proponendosi come un umile ricercatore della verità. Mai una condanna, mai un’affermazione perentoria!

Leggendo questo volume mi è parso di capire che la cultura del nostro mondo non può considerarsi ostile e nemica del messaggio cristiano, anzi mi è parsa un filtro per purificare ed inverare il pensiero cristiano nel nostro tempo.

Papa Giovanni, che di saggezza ne aveva molta, aveva veramente ragione quando affermò che “sono molto più i punti che uniscono di quelli che dividono tra credenti e non!”.

Il “mio” pubblico ministero

Con amarezza sconfinata, da un mese a questa parte, sto seguendo sul Gazzettino l’ultima enorme impresa truffaldina di un grosso imprenditore locale – e dei suoi collaboratori ed adepti – che riusciva ad accaparrarsi i più grossi lavori e che evadeva bellamente le imposte.

A parte il fatto che credo sia ormai impossibile in Italia poter lavorare senza evadere perché la tassazione per mantenere l’impalcatura statale e comunale è così gravosa che diventa comprensibile che le imprese vadano nei Paesi vicini dove le tasse sono minori, la burocrazia più agile e veloce e l’energia meno cara. Ho la più ferma convinzione che finché in Italia non si troverà il coraggio e la forza di sbaraccare un apparato pubblico inefficiente, sovraffollato, costosissimo, pieno di privilegi e assai più complicato di quello di “Franceschiello”, sarà assolutamente inevitabile che, nonostante la magistratura, la finanza, il fisco e quant’altro – che sono pure parte integrante del sistema – coloro che ci riescono portino i soldi nei paradisi fiscali o delocalizzino le loro aziende.

Non giustifico assolutamente le malefatte dei “furbi” però, con altrettanta onestà, debbo denunciare di immoralità, di malcostume, ingiustizia, prepotenza e malversazione, della sua filiera banche comprese.

Una concausa di tutte le ruberie è certamente l’organizzazione pubblica del nostro Stato.

Io che non sono un imprenditore, ma un operatore sociale, vivo sulla mia pelle questo dramma. In questa occasione la sorpresa è stata ancora più forte venendo a sapere che il pubblico ministero che segue la vicenda di cui parlavo è l’avvocato Stefano Ancilotto, il ragazzino di un tempo, conosciuto in parrocchia. Stefano era un ragazzo lucido, intelligente, deciso. Egli ha ereditato dal padre questo tipo di personalità forte e volitiva – della dolcezza della mamma credo abbia preso poco. Ricordo che, giovane magistrato, l’avevano mandato nel profondo sud, impero indiscusso della mafia. Ho pregato spesso per lui, avendo la sensazione che corresse tanto pericolo, anche se lui più volte mi ha assicurato di essere piuttosto tranquillo.

Poi ero venuto a sapere che s’era sposato ed era rientrato nella nostra terra. Per lungo tempo non ne avevo più sentito parlare ed essendo uscito dalla parrocchia non avevo più avuto occasione di incontrare i suoi genitori, la sorella e le zie. Pensavo che fosse stato assorbito da quel mondo particolare dei tribunali e della giustizia.

Sennonché, in queste ultime settimane, “il mio Stefano” è riemerso come protagonista lucido e autorevole. Ho ripreso a pregare per lui, da un lato perché quel mondo spietato di cui sta occupandosi non gli faccia male, e dall’altro perché la sua passione per la giustizia non finisca a far del male a quel mondo di dipendenti che vive delle briciole dei loro padroni, ma che comunque ha bisogno assoluto anche delle “briciole che cadono dalla mensa”.

Finalmente una buona notizia

“Gente Veneta”, il settimanale della nostra diocesi, arriva al “don Vecchi” il venerdì in tarda mattinata. Venerdì scorso, come sempre, l’ho sfogliato velocemente per apprendere le notizie di maggior rilievo ed anche per essere un po’ confortato: perché mentre sul Gazzettino non trovo che titoli che mettono in luce tutte le magagne della nostra città – che sono pressoché infinite – nel settimanale diocesano pare che le parrocchie, il vescovo e le associazioni cattoliche passino di trionfo in trionfo! “Gente Veneta” me lo tengo appresso perché mi è di conforto il poter apprendere che nel patriarcato di Venezia è eterna primavera.

Venerdì scorso dunque diedi un’occhiata ai vari titoli e mi soffermai un istante sul titolo a quattro colonne in prima pagina: “Il Patriarca: ricordiamoci i poveri!”. Ma soprattutto l’occhiello destò il mio interesse; diceva infatti: “per i senza fissa dimora un nuovo dormitorio a Mestre”. La cosa mi incuriosì quanto mai e andai immediatamente a pagina 10 alla quale rimandava il “titolo civetta”.

Sopra una foto a cinque colonne in cui è ripreso il Patriarca a Betania (la mensa dei poveri di Venezia) il giornalista riportava le parole del nostro vescovo: «Vorrei accrescere l’accoglienza che diamo in terraferma per quanto riguarda il dormitorio. Cercherò di fare in modo che nei prossimi mesi si individuino gli spazi e si reperiscano i fondi per realizzare una nuova struttura di accoglienza per la notte per una ventina di persone».

La mia prima reazione è stata: “Finalmente!” La seconda: “A Mestre non si farà una `nuova struttura’, perché quella sognata sarà la prima in assoluto! Perché al di fuori dei Centri don Vecchi, che attualmente mettono a disposizione 315 alloggi per gli anziani poveri, e la parrocchia di via Aleardi, che offre ospitalità per una settimana alle badanti che vengono dai Paesi dell’est, la Chiesa veneziana non offre nient’altro”.

Il mio terzo pensiero: “Speriamo non si pensi a un dormitorio come quello gestito dal Comune in via Santa Maria dei Battuti, perché quello, nonostante tutta la buona volontà di Chimisso e degli attuali gestori, è una struttura di stile ottocentesco assolutamente sorpassata”.

E ancora: “Speriamo che si riuniscano tutti gli esperti del settore, ma soprattutto coloro che si occupano positivamente di queste cose per sentire il parere di tutti”.

E non è finita: “Venti posti sono assolutamente pochi, bisognerebbe arrivare almeno a cinquanta”. “La struttura a cui puntare dovrà essere quella di un albergo, per quanto modesto”. “La gestione non solo non deve pesare sulla diocesi, ma anzi deve essere attiva se si vuole che essa continui. A questo riguardo noi del “don Vecchi” avremo più di un consiglio da offrire”.

La tentazione della Carinzia

La sera ceno verso le sette e mezza, ceno da solo, cosicché mi concedo la compagnia della televisione, dato che è possibile fare una cosa e l’altra contemporaneamente.

A quell’ora la Tivù di Stato trasmette, sul terzo canale, il giornale radio del Veneto, che dura una ventina di minuti. Qualche sera fa riferiva circa un convegno di imprenditori del Veneto i quali esponevano le difficoltà che tutti conosciamo perfino troppo bene e per esperienza diretta. C’era uno, in particolare, di questi imprenditori, una persona semplice ma intelligente, che si era tirato su un’industria dal nulla, che confessava la sua intenzione di traslocare oltre confine, nella vicina Carinzia. Il suo discorso era talmente limpido e convincente che, pensando al “don Vecchi 5” (per l’inizio del quale abbiamo presentato il progetto il dieci agosto dello scorso anno senza aver ottenuto ancora la concessione edilizia), che m’è venuto da dire: “traslochiamo anche noi in Carinzia la `nostra industria’ per i vecchi!”. In Carinzia la luce costa meno, si pagano meno tasse ed in un paio di mesi si possono ottenere i permessi per aprire un’industria, non una struttura di carattere sociale!

La Fondazione, che vuol costruire una struttura per gli anziani in perdita di autonomia, è una ONLUS, perciò un ente riconosciuto ufficialmente come non lucrativo, ha avuto tutta la disponibilità e l’appoggio dell’assessore Micelli, ha dimostrato sul campo di “battere tutti” a livello economico, sociale ed umano; può offrire degli esempi riconosciuti da tutti come validi e all’avanguardia. Per di più ora che la situazione dell’edilizia è, a dir poco, tragica, la richiesta di risposte alle urgenze del mondo degli anziani è enorme, la necessità di abbattere i costi di gestione ormai insopportabili per la nostra società è altrettanto evidente. Nonostante ciò la macchina burocratica rimane legnosa, macchinosa, borbonica, impossibile!

Tra le urgenze assolute per il bene del nostro Paese c’è certamente quella di smantellare, semplificare e riqualificare tutto l’apparato burocratico, autentica piaga sociale dello Stato e del parastato italiano. I tecnici del Comune di Venezia ci hanno messo otto mesi – dico otto mesi – per approvare il progetto. Il 26 marzo è arrivato finalmente l’OK tecnico, ora stiamo a vedere il tempo che ci s’impiegherà per avere quello politico-amministrativo. Il progetto deve passare ancora in Quartiere, in Pregiunta, in Giunta ed infine in Consiglio comunale! Volete che non venga voglia di traslocare in Carinzia, in Slovenia, in Serbia o in Polonia?

Come comprendo e condivido il parere del piccolo imprenditore veneto!

Il miracolo inaspettato

Ho l’impressione che il nostro Papa voglia sbaraccare velocemente anzi, fin da subito, un apparato artificioso ed ingombrante, perché emerga da queste impalcature artificiose l’uomo vero, meglio ancora l’uomo e il discepolo pensato e voluto da Cristo.

E’ da tento tempo che, magari confusamente, avevo intuito che certe tradizioni, certe bardature e certi locali sfarzosi e fuori dalla tipologia della normalità, finivano per soffocare l’uomo, ma soprattutto il cristiano, mostrando una Chiesa sofisticata, vestita di una ricchezza da pataccaro, che aveva poco o nulla a che fare con la bellezza e la sovranità dell’uomo nuovo annunciato e voluto da Cristo.

Ogni giorno Papa Francesco ci offre una sorpresa ed una bella sorpresa! Ha cominciato a chiedere “la benedizione” del popolo di Dio prima di impartirla lui, ha offerto ai “Magazzini San Martino” le scarpe rosse di Prada, la mantellina rossa bordata di finto ermellino ed un sacco di altri indumenti che non sembra affatto intenzionato ad indossare, ha infranto con disinvoltura “il sacro protocollo” salendo e scendendo dalla “papamobile” per salutare infelici, amici, bambini, donne e uomini del popolo. Ha telefonato ai vecchi amici lasciati in fretta in Argentina; per andare al conclave ha abbandonato fino dal primo momento quei discorsi da iniziati, discorsi barbosi, noiosi ed incomprensibili che tutti dicevano, per consuetudine e per falsa riverenza, essere sublimi. Ha detto una delle prime messe per gli spazzini del Vaticano per continuare con il carcere minorile. Ora dicono che non vuole traslocare dall’appartamento provvisorio “per non perdersi” nei “sacri palazzi” che “potrebbero ospitare 300 persone”. Ogni giorno di più ci diventa facile coniugare le sue scelte, le sue parole e i suoi comportamenti con quelli dei primi discepoli di Gesù.

In questi giorni avverto sempre più la curiosità di immaginare che fine farà il piccolo esercito di guardie svizzere e l’ammucchiata di monsignori e vescovi che costituiscono la curia del Vaticano.

A Radio Radicale ho sentito che perfino Marco Pannella – che è tutto dire – è entusiasta del nuovo Papa. Chi mai se lo sarebbe aspettato un terremoto così forte, che improvvisamente fa recuperare alla Chiesa decenni e decenni su quei duecento anni di ritardo che il cardinal Martini aveva denunciato?

Solamente il buon Dio poteva fare un miracolo così grande e inaspettato! E noi ne siamo i fortunati spettatori.

Felice ma preoccupato

La sensibilità della gente è sempre stata in continua evoluzione. Oggi l’evoluzione è così veloce che quello che un tempo avveniva in secoli, ora avviene in meno di dieci anni.

Io, che ho più di ottant’anni, ho avuto modo di assistere all’elezione di tanti Papi – Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Papa Ratzinger – ma mai ho avvertito la curiosità, il tifo e la soddisfazione come mi è avvenuto per questo Papa, Papa Francesco!

Saranno i mezzi di informazione, affamati di sempre nuove notizie, sarà il fatto che la Chiesa rappresenta un punto fermo in questa società così irrequieta ed instabile, sarà forse l’evoluzione della sensibilità religiosa, che ormai non capisce e non tollera più una Chiesa pomposa, fuori dal tempo, legata a stili superati, comunque non solo i cristiani, ma il mondo intero ha seguito con vera passione l’elezione del nuovo Papa e i suoi primi passi. Le centinaia di migliaia di persone che in queste ultime settimane hanno gremito piazza san Pietro ne sono una prova incontrovertibile.

Mi hanno poi sorpreso altri due comportamenti. Il primo, la sensazione di scampato pericolo, perché non è stato eletto un cardinale dell’apparato vaticano, quasi che questa elezione rappresentasse un pericolo non solo per la Chiesa, ma per il mondo. Secondo, la soddisfazione, il compiacimento e la contentezza per l’elezione di Papa Francesco e l’ammirazione per i suoi primi passi di ministero pastorale.

Mi è sembrato che i cristiani, almeno nell’inconscio collettivo, sentissero il bisogno di un Papa semplice, alieno non solo da comportamenti ingessati dalla tradizione, ma pure non legato a discorsi teologici incomprensibili per i più, che finalmente rioffra un “Vicario Cristo” alla quotidianità, agli interessi ed attese di tutti e volti per sempre le spalle agli ultimi retaggi dello Stato Pontificio. Papa Francesco pare che abbia rotto, con un sol colpo, un mondo per certi aspetti misterioso, se non magico, avulso dal reale, per riportare il vescovo di Roma a parlare con le parole di tutti.

Tanta gente mi ha chiesto se ero contento, non aspettando quasi la risposta, per affermare la loro contentezza. Si, sono contento, tanto contento, ma ho pure tanta paura che troppi che finora avevano perseguito un cristianesimo diverso, si sentano mancare la terra sotto i piedi e che altrettanti, come me, non riescano a stargli al passo.