Tra l’antologia e la produzione diretta

Durante la settimana, man mano che si presentano alla mia attenzione fatti, problemi, personaggi, annoto sulla mia agenda quello che a me pare il “nocciolo” di un discorso su cui prendere posizione per offrire ai miei amici una lettura di questo evento che a me pare valida e positiva. Normalmente compilo un indice di argomenti dei quali prendo nota. Alcuni di questi col passare dei giorni sbiadiscono e non mi paiono più così importanti come pensavo al primo impatto, mentre altri rimangono vivi e palpitanti.

Quasi sempre questi argomenti nascono dalla lettura dei molti periodici sia settimanali che mensili che normalmente seguo. Di primo acchito sarei tentato di strappare la pagina o fotocopiare l’articolo; spessissimo son pezzi ben fatti, argomentati e trattati da scrittori, o meglio giornalisti, quanto mai bravi ed intelligenti, per cui sono tentato di offrirli così come li ho letti perché mi dico: “Se mi sono piaciuti e se mi sono sembrati importanti, perché non dovrebbero essere tali anche per la mia gente?”. Poi ogni tanto mi ricordo di una stroncatura feroce del direttore di un settimanale che apprezzo e al quale do una scorsa ogni settimana, il quale, riferendosi a “L’Incontro” l’ha definito “un giornaletto scopiazzato”. Allora mi sento in dovere di fare un’analisi o una critica personale sull’argomento che mi pare importante, ma ciò mi costa alquanto e sono portato sempre a pensare, io stesso, che “l’erba del vicino è molto più verde di quella del mio giardino”. Così, quando l’argomento mi interessa molto e mi pare importante per la società in cui vivo, mi sobbarco la fatica, rimanendo però quasi sempre scontento di quello che ho scritto e ritenendolo meno valido di quello che giornalisti di professione riescono a fare.

Non sempre però questa scelta mi convince fino in fondo, perché sui giornali e le riviste, tra tante notizie e discorsi fumosi, inconsistenti e sbrodolosi, mi pare di scoprire di frequente delle vere chicche che sarebbe opportuno rioffrire così come le ho scoperte, senza togliere o aggiungere nulla tanto mi paiono valide.

A sostenere questa seconda soluzione, tanto più comoda della prima, c’è l’esperienza di una rivista genovese, alla quale sono abbonato da molti anni: “Il segno”, i cui redattori non fanno altro che assemblare, in maniera intelligente e seguendo un argomento prefissato, quanto essi selezionano dalle loro letture.

Di questo espediente mi sono spesso servito per l’editoriale, ma specie per il diario. Finora non ho trovato ancora la formula e quindi, almeno per ora, continuo la mia fatica e soffro della mia delusione per i risultati poco brillanti benché mi senta incoraggiato da tanti consensi che mi giungono dai lettori.

01.09.2013

Lui è il Maestro!

Una volta ancora ho scoperto che quando leggo la Bibbia ed incontro una presa di posizione di Gesù che è in linea con quanto penso, sono molto contento. Ritengo anche che sia quanto mai giustificata la soddisfazione d’aver fatto centro nella mia ricerca. Il guaio è che sono quasi portato a pensare: “Guarda, anche Gesù la pensa come me”, quasi che io fossi il maestro e Gesù il discepolo che viene a lezione.

Talvolta però mi trovo quasi in imbarazzo e sarei tentato di forzare il senso di un discorso di Cristo, quando esso risulta diverso dal mio pensiero, per adattarlo al mio.

Ho riflettuto su questo argomento domenica scorsa, quando la Chiesa mi ha offerto come lezione la parabola della “pecorella smarrita”. Alla prima lettura mi venne da pensare che il paragone offertomi da Gesù non teneva, non era razionale, quindi ci doveva essere dentro qualcosa che non funzionava. Chi mai infatti potrebbe approvare il pastore che abbandona il suo gregge per rincorrere una pecora scervellata, irrequieta, non soddisfatta del trattamento della sua guida e del suo protettore.

Di primo acchito mi venne da pensare “qui c’è qualcosa che non va”, come quando, solamente qualche giorno fa, papa Francesco, che nonostante debba prendersi cura di un’infinità di popoli devoti finisce per rubar loro la sua attenzione per impegnare almeno due, tre ore per scrivere ad Eugenio Scalfari. Anche lui, Scalfari “pecorella che ha abbandonato il gregge in cui è nato e s’è cacciato in un ginepraio di scelte suggeritegli da quella cultura illuminista del secolo scorso che pensava di saper tutto e quindi di non aver più bisogno di Dio. Eppure anche il comportamento del Papa sembrava illogico e poco razionale!

Dopo essermi spremuto le meningi per molto tempo, finalmente ho capito che Cristo è il maestro, che è lui che conosce cos’è veramente l’amore e come lo deve giustamente impiegare. Quindi non sono io, pivellino che si rifà a pivellini come me, a stabilire come vada impiegata la nostra capacità d’amare. La vera razionalità la conosce e ce la insegna solamente il Signore, e non possiamo essere noi, spesso discepoli somari, a pretendere di insegnare a Dio sapiente come ci si debba comportare in queste cose.

Ed ho ancora imparato che Papa Francesco non ha perso tempo a scrivere a Scalfari “pecorella infedele e scappata di casa”. E che l’ha fatto solamente perché è un discepolo di Gesù da dieci e lode, mentre io, e chi la pensa come me, meritiamo al massimo un due o poco più, perchè nonostante tutti gli “anni ripetuti”, non abbiamo ancora imparato la lezione fondamentale su come il cristiano deve amare.

18.09.2013

Scalfari

Non leggo “Repubblica”, ma tre giorni fa, appena il quotidiano è arrivato in edicola, qualcuno s’è premurato di farmelo avere per indicarmi la “corrispondenza” tra Eugenio Scalfari e Papa Francesco.

Ho letto le due pagine che questo giornale di impronta laico-socialista vi ha dedicato con grande rilievo. Non sapevo dei due articoli con i quali Scalfari aveva interpellato il nuovo Papa ed ho letto prima il sunto che il giornale fa perché i lettori possano capire le risposte del Papa. Poi qualcuno me li ha tirati fuori da Internet, quindi ho avuto modo di conoscerli per intero.

Scalfari è stato il brillante giornalista di sempre e il laico che ne ostenta immancabilmente il distintivo. Non voglio qui soffermarmi sui contenuti delle due lettere di Scalfari e la risposta del Papa. Essi sono impregnati di cortesia, rispetto e soprattutto di affettuosa cordialità. Voglio soffermarmi invece su questo evento in linea con l’indirizzo pastorale del nuovo Papa che privilegia le persone ai princìpi e alle istituzioni, e di Scalfari che, nonostante le sue dichiarazioni formali, è un uomo in ricerca e, a parer mio, almeno con un piede, è quasi approdato sulla sponda della fede.

Già avevo capito, dalla lettura del volume che riporta i suoi dialoghi col cardinal Martini, questo suo bisogno di assoluto, ora ha avvertito che poteva continuarlo con Papa Francesco, perché lui è un uomo da Vangelo, che non solamente ha letto le parabole della pecora smarrita e del figliol prodigo, ma le vive nel suo quotidiano.

Di certo anche il vecchio Scalfari, pur impregnato di una cultura illuminista, arriverà alla casa del Padre perché è troppo intelligente e troppo onesto per non farlo.

Tantissimi anni fa ho conosciuto la vicenda simile di un altro brillante ed acuto giornalista che scriveva su “Epoca”, Augusto Guerriero, che si firmava con lo pseudonimo di Ricciardetto. Ricciardetto scriveva di politica, di costume, di cultura, ma spesso sembrava attratto profondamente, come Scalfari, dalle tematiche religiose. Ricordo un suo splendido articolo intitolato “Quesivi et non inveni”, ho cercato Dio, ma non l’ho trovato. Però venni a sapere che alla fine era approdato, anche formalmente, alla fede.

Scalfari, pur dichiarandosi ateo, già confessa che è fortemente interessato da Gesù di Nazaret e dal suo messaggio. Questi spiriti liberi, ma amanti della verità, a mio umile parere, fan già parte “dell’anima della Chiesa”, come si diceva un tempo, perché i contenuti profondi del loro pensiero sono del tutto conformi alla sostanza del messaggio di Gesù.

Per fortuna loro e nostra vi sono ancora nella Chiesa preti che la pensano come “il pastore della pecorella smarrita” o del padre del prodigo.

17.09.2013

Non basta più l’innocenza

Io devo fare uno sforzo in più dei nostri giovani preti perché ho ricevuto un’educazione ormai datata che di certo aveva i suoi pregi, ma altrettanto certamente, aveva i suoi limiti.

Qualche giorno fa ho avuto un incontro, assieme ad alcuni amici collaboratori, con l’assessore della Regione Remo Sernagiotto. Il motivo dell’incontro era il desiderio e il bisogno di un franco confronto sul progetto della Fondazione di dar vita ad una struttura che risponda alle problematiche del disagio abitativo per certe categorie di persone; ad esempio padri o madri separati, disabili desiderosi di indipendenza, giovani fidanzati che non possono sposarsi per difficoltà finanziarie, lavoratori fuori sede, famigliari dei degenti in ospedale, vecchi preti ed altri ancora. Il nostro sogno è quello di creare una soluzione assolutamente innovativa, perché diventi provocazione per l’ente pubblico e per la società e crei una nuova e più avanzata cultura in questo settore.

Assessore, architetti, collaboratori hanno aperto il confronto dandosi immediatamente del tu. Io sono rimasto imbarazzato quanto mai, tanto che Sernagiotto dovette provocarmi dicendomi: «Se non mi dai del tu, anch’io sono costretto a darti del lei!». Oggi ho capito che il confronto deve avvenire a tutto campo, deve avvenire un po’ alla pari, senza reticenze e con estrema franchezza.

Ci trovammo subito d’accordo nel constatare che i vecchi schemi abitativi sono ormai del tutto sorpassati e che si devono trovare strade nuove per socializzare e per creare supporti umani più autentici. Una volta ancora il confronto apre le porte al dialogo e ad una sinergia oggi assolutamente necessaria.

Mentre il discorso procedeva spedito, scorrevole, collaborativo e franco, mi veniva da pensare alle nostre parrocchiette arroccate dietro i loro confini, il loro linguaggio, i loro schemi mentali e ai relativi parroci; anche i più pii e i più zelanti sono chiusi nelle loro chiese, nei loro patronati e nelle loro canoniche, con una forma di spiritualità, devota si, ma anche avulsa dalla vita, una realtà nebulosa con un’idea di dottrina sociale della Chiesa, tagliata fuori dal mondo. Questo tipo di cristianesimo sa ormai di muffa, s’avvia alla sterilità, sia da un punto di vista umano che sociale e pure religioso. Il cristianesimo che si arrocca dietro lo steccato, che non osa uscire dalla trincea, che non si sporca le mani con le nuove idee, la nuova sensibilità, lo stile di vita e cultura d’oggi è destinato all’asfissia o comunque a non crescere e a non contribuire affatto al domani.

Don Milani ebbe a questo riguardo una frase fulminante: “a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?” E Gaber, che sta su una sponda opposta, ma altrettanto significativa e provocatoria: “Vivere è partecipare!”.

Sono tanto vecchio, ma per fortuna sento ancora il desiderio e il bisogno di stare sulle barricate!

16.09.2013

Un’appendice necessaria

Cinque, sei anni fa, entrando in una chiesa di Mestre, dopo aver riverito nostro Signore, andai come faccio sempre, a curiosare sul banco stampa, almeno quando c’è. Chi ha un pizzico di esperienza sulle cose delle parrocchie, guardando quello che c’è su quel banco, si rende immediatamente conto dello spessore pastorale di quella comunità. Sono convinto che uno sguardo, benché rapido e sommario, fa capire meglio di una visita pastorale del vescovo, il tenore pastorale di una parrocchia.

In quella occasione, non trovai il bollettino – così sono comunemente chiamati i periodici delle comunità cristiane; trovai invece un opuscolo che riportava le preghiere del mattino e della sera. In verità era povero il contenuto e più povero il contenitore. Comunque quel libriccino mi riconfermò nella mia convinzione che i fedeli dai 30, 40 anni in giù non pregano più, anche perché non conoscono più alcuna formula di preghiera. Oggi al catechismo spesso si disegnano cartelloni o si fanno recite, ma spesso non si imparano più neanche le preghiere più elementari.

Partendo da quel reperto, memore del catechismo di san Pio X, che fu il testo della mia prima formazione religiosa, raccolsi le preghiere del mattino e della sera, e delle nozioni fondamentali della nostra religione, in un opuscolo. Gli misi in copertina un’immagine sacra con sotto il titolo “Libro delle preghiere e delle fondamentali regole morali per i cristiani”. Stilai una brevissima prefazione e in 18 paginette offrii il libretto ai cristiani di Mestre come “la scatoletta viveri per la sopravvivenza spirituale”. La cosa, insperatamente, ebbe un enorme successo. Attualmente siamo arrivati alla ventesima edizione ed avremo stampato finora venti-trentamila copie.

Da qualche tempo però mi pare di aver capito che sarebbe opportuno e doveroso stampare anche un’appendice a questo libro di preghiere e di verità cristiane, aggiungendo ai comandamenti, ai precetti, ai sacramenti, alle virtù teologali e cardinali e a tutto il resto, una serie di virtù e di valori umani che sono maturati pian piano nella nostra società, forse figliando dalla radice cristiana. Sono valori e virtù di cui il cristiano d’oggi non può assolutamente fare a meno, perché si metterebbe in un binario morto, abbandonato, su cui non passa il grande traffico umano, senza il quale il cristiano d’oggi non sarebbe compreso.

Purtroppo queste nuove virtù e valori non sono reperibili nei testi oggi in commercio; di certo non nei testi di teologia su cui ho studiato io mezzo secolo fa. Perciò tento di buttar giù una prima bozza in attesa di passare ad una sistemazione più seria di questi valori e di queste virtù.

Oggi certamente l’uomo religioso deve tener conto di realtà come queste: la lealtà, la veridicità, l’indole democratica, la fierezza dei convincimenti, il ripudio dei paternalismi, la fiducia nella ragione, lo spirito critico, la spontaneità affettiva, il primato della coscienza, l’anelito assoluto alla libertà, la partecipazione alla costruzione della società, la non violenza, la solidarietà, la tolleranza, l’accettazione del diverso, la coscienza del limite, un certo spirito laico.

Mi auguro di trovare qualcuno che mi aiuti a dare sistemazione a quest’amalgama di cui si nutre e di cui ha bisogno l’uomo d’oggi.

16.09.20113

“NO TAV” per tutti o per nessuno!

L’anno scorso dovevo celebrare un funerale a Carpenedo perché un vecchio parrocchiano aveva chiesto che fossi io ad accompagnarlo e presentarlo al giudizio finale di nostro Signore, dato che per ben 35 anni ero stato il suo parroco. Non ricordo per quale motivo avevo fatto tardi e non trovai di meglio, per parcheggiare la macchina, che sistemarla a 10-15 metri dall’imbocco di via Goldoni. Uno dei rarissimi vigili che girano dalle nostre parti mi appioppò la multa. Non c’è stato niente da fare, dovetti pagare 70 o 90 euro, non ricordo.

Qualche giorno fa un addetto alle pompe funebri – sono queste le persone che ora frequento – mi raccontò che per aver toccato appena con la ruota la fascia bianca dello stop, si è beccato duecento euro e la perdita di non so quanti punti. Da quel discorso immaginai che anche a me, per quella multa in sosta vietata, di certo erano stati tolti dei punti. Io però non lo venni a sapere perché detesto le formule da Franceschiello che i burocrati usano nelle loro comunicazioni. Abbiamo infranto la legge e ben ci sta la multa!

In questi giorni però – ma è da un paio di anni che questa manfrina continua – la televisione ci ha ripetutamente informato della guerriglia dei “NO TAV”: macchinari bruciati, reti divelte, armi sequestrate, le strategie usate nei loro attacchi! Da quel che mi risulta non credo che finora abbiano messo dentro più di una decina di “nemici della Patria”, di “ribelli”, né che alcuno sia stato condannato a dieci, vent’anni di reclusione o a pagare qualche centinaio di migliaia di euro, perché i danni sono di certo superiori a queste somme.

Io vengo dalla campagna e so di essere ingenuo ed ignorante; forse per questi motivi non riesco a capire perché i nostri governanti abbiano mandato all’estero i nostri soldati. Forse perché temevano che si annoiassero a stare in caserma ad oziare, a giocare a carte o alla guerra? Forse per questo li hanno mandati nel Libano, in Kosovo e in Afganistan, pur sapendo che gli sarebbero costati diecimila euro al mese?

Allora perché non ne hanno inviato due, tre reggimenti in val di Susa ad impedire che la teppaglia impedisca agli operai di lavorare in pace? Risparmiando così anche l’alto costo della trasferta?

Talvolta mi chiedo se sono proprio del tutto rincitrullito, non riuscendo a capire le logiche dei nostri governanti. Se ci hanno pensato tanto per la TAV ed hanno deciso che l’opera si deve fare, la facciano fare! Se invece devono tener conto dei capricci di qualsiasi cittadino, allora ne avrei anch’io qualche decina e forse più di desideri da pretendere di essere accontentato!

16.09.2013

Lettera aperta

In questi giorni, in occasione delle tristi vicende di Berlusconi, si fa un gran parlare della sovranità della legge, come valore assoluto e come dovere sacro da parte di tutti di accettarla con assoluta fiducia e ottemperare senza tanto discutere.

Più volte ho affermato e torno ad affermare che non sono un fedele devoto di questo idolo che oggi, almeno apparentemente, pare abbia tantissimi fedeli. Spero, anzi credo, che questo mio modo di ragionare abbia il supporto di “Qualcuno” che è il massimo esperto in materia. Gesù infatti sentenziò: “Non l’uomo è fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l’uomo”, che, tradotto fedelmente in lingua corrente, significa: l’uomo non è fatto per un’osservanza assoluta alla legge, ma la legge deve essere al servizio dell’uomo.

Siccome mi pare che in Italia le cose non si rifacciano ai princìpi di fondo della nostra fede, ho deciso di “scrivere” una lettera aperta ai responsabili della vita della nostra Patria. Eccovi l’indirizzo e il testo relativo.

“Illustrissimo signor presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed illustrissimo presidente del Governo Enrico Letta – Roma.
Si dice da sempre che il nostro Paese, l’Italia, è una grande famiglia della quale voi siete i responsabili e che ogni cittadino deve concorrere per le spese comuni con il suo contributo (che normalmente si chiama tasse e imposte). Questo lo ritengo, come voi, giustissimo. Però, se le cose stanno così, ogni membro della nostra grande famiglia ha diritto e dovere di chiedersi quali siano le spese per le quali chiedete il contributo e come vengono spesi i soldi che voi ci chiedete, anche, purtroppo, con eccessiva arroganza. Perché, se tutti dobbiamo pagare, è altrettanto giusto che noi possiamo dire le nostre ragioni e quindi comportarci in merito alle vostre risposte e alle vostre scelte.
Ora, qualche giorno fa, ho sentito che all’ultimo magistrato che ha giudicato Berlusconi voi date venticinquemila euro al mese. Vi pare giusto, quando la media degli italiani percepisce poco più di mille euro al mese?
La stampa ci ha informati che un mese fa avete speso – io direi meglio sperperato – quindici milioni di euro in aeroplani da combattimento. Vi pare giusto? Ancora la stampa ha scritto che l’Italia paga un numero di generali tale che potreste piazzarne uno ogni chilometro della costa d’Italia. Vi pare giusto?
Potrei continuare per molte pagine di seguito indicandovi sperperi del genere. Non lo faccio perché un giornalista assai noto di questi sperperi ne ha riempito un libro intero. Vi indico il titolo: “La Casta”. Lo trovate in ogni libreria!
Ora è giusto che i cittadini, tutti i cittadini, paghino le tasse, ma è altrettanto giusto che voi non sperperiate in maniera così disumana i soldi che la gran parte degli italiani deve tirar fuori dal suo misero stipendio.
E’ inutile che qualcuno tenti di nascondersi dietro la foglia di fico: “è la legge!”. Io faccio il confessore, ma non potete pretendere che dica ai penitenti: «E’ peccato evadere il fisco!». Il peccato è il vostro, che continuate a sperperare i sudori della vostra gente!
Distinti saluti.
sac. Armando Trevisiol

15.09.2013

I buoni nemici del prete

Un mio amico, che conosce il mio modo di pensare e di agire, ma soprattutto le mie pene segrete per l’isolamento sacerdotale in cui vivo da sempre, mi ha portato, a titolo di conforto e di sostegno, un trafiletto del cardinal Ravasi apparso recentemente su “Il sole 24 ore” che riporto per intero e sul quale sento il bisogno di fare un paio di considerazioni.

Eccovi il trafiletto di Ravasi, l’illustre e intelligente “ministro della cultura del Vaticano”.

Il Prete
Dove è scritto che il prete debba farsi voler bene? A Gesù o non gli è riuscito o non è importato.
Questa volta parlerò un po’ della mia appartenenza personale. Lo faccio con queste parole tratte dalle Esperienze pastorali dell’indimenticato don Lorenzo Milani. Parole che egli testimoniò senza “se” e senza “ma”, a costo di inimicarsi la stessa gerarchia ecclesiastica e la società civile. Effettivamente a Cristo importava poco di stare in cattiva compagnia, agli occhi superciliosi dei benpensanti, pur di liberare, salvare, amare e sperare. Non aveva esitato a dire di essere venuto a portare una spada e la divisione. Poco prima di morire, Nuto Revelli mi inviò il suo libro “II prete giusto”, storia di un sacerdote sincero e generoso. Mi aveva sottolineato a penna queste parole pronunciate dal protagonista: «Se un prete, non ha nemici, non è un prete. Gesù crea una rottura tale che lo chiamano “segno di contraddizione”».

E queste sono le mie considerazioni.

Primo: queste parole mi riconfermano nella mia tribolata convinzione che il prete non deve essere succube delle mode mutevoli ed effimere dell’opinione pubblica civile ed ecclesiastica, ma deve rifarsi al messaggio di Gesù letto e filtrato dalla propria coscienza, disposto a pagare il prezzo elevato dell’isolamento, non solo, ma spesso del giudizio sprezzante di chi s’accoda al comodo indirizzo dei più.
Il prete, a mio parere, deve rappresentare un punto fermo che si può accettare o rifiutare, ma comunque non può ridursi ad un giunco che si piega dove soffia il vento. A questo riguardo mi pare che i discorsi, e soprattutto la vita di Gesù, siano un esempio quanto mai evidente.
Vorrei anche chiarire che l’opinione pubblica, che orienta il modo di pensare e di agire, non è un condizionamento esclusivo del mondo laico, ma pure la vita della Chiesa soggiace a questa mutevolezza di orientamenti. Da sempre apprezzo il prete che trova il coraggio anche di essere solo, di navigare controcorrente pur di non tradire la sua coscienza,

Secondo. Sono pure convinto che l’esporsi, il misurarsi e il confrontarsi con ogni tipo di pensiero dei “lontani”, rafforza e purifica la testimonianza del sacerdote. Il prete che sta al riparo della “santa obbedienza”, dell’ombra del suo campanile, del giornale cattolico e dei documenti ufficiali della gerarchia, deve pur tenere in debito conto questi documenti, deve “leggerli” con attenzione, rispetto; scelte queste che almeno all’interno del suo “mondo” lo mettono apparentemente al riparo da errori e giudizi dall’alto, ma non è che per tutto questo possa ritenersi un vero uomo di Dio. A questo riguardo torna eloquente la massima sapienziale: “Amicus Plato sed magis amica veritas”, ammiro la saggezza della comunità ecclesiale e della tradizione, ma ammiro e seguo ancor più Dio, verità e sapienza assoluta.

Ed aggiungo ancora, con sant’Agostino, che il sacerdote deve essere più preoccupato d’esser in assonanza con Dio che di esserlo con la Chiesa.

14.09.2013

Siate egoisti

Abbastanza di frequente mi imbatto in determinate espressioni in inglese, di cui, pur analizzando tutto il contesto del discorso, non riesco a capire il significato. Io sono nato in tempi in cui il Duce perseguiva decisamente la purezza della lingua. Ricordo ancora che nell’aula delle elementari, sulla parete era cancellato con un gran segno rosso il “lei” e il “loro” e sottolineati il “tu” e il “voi”; la maestra ci diceva che i primi erano inglesismi, mentre per noi, che siamo discendenti di Roma, era dovere nazionale adoperare il “tu” e il “voi”.

Da quel tempo ne è passata di acqua sotto i ponti! Per uno come me, che alle medie ha studiato un po’ di francese e che poi non s’è aggiornato con l’imparare l’inglese, molte espressioni rimangono assolutamente incomprensibili. Ho capito che con l’attuale meticciato del “villaggio globale” è fatale che la lingua corrente recepisca l’apporto di tanti “italiani adottivi” o di cittadini di altri popoli, però credo che si esageri un po’ e che sia quasi una moda o uno sfoggio vanitoso… per una terminologia importata.

La cultura attuale, determinata dalla televisione, ma soprattutto dal mondo del digitale, che sembra un fratello gemello di quello del vecchio telegrafo ormai morto e sepolto, è quasi costretta a concentrare il pensiero e a procedere per slogan.

Tante volte mi sono chiesto come fanno i nostri ragazzi a parlare d’amore, e non son ben certo se si usi ancora farlo con i messaggini del telefonino che di certo non permettono di dilungarsi in frasi galanti, romantiche e sentimentali. Spesso sono costretto a chiedere aiuto a suor Teresa, che di queste cose è più esperta, per capire il messaggio della pubblicità televisiva che per me non è di facile comprensione.

Oltre a l’uso eccessivo dell’inglese si incontrano poi delle trovate pubblicitarie che lasciano di stucco!

In questi ultimi tempi mi sono imbattuto in un annuncio pubblicitario che non solo mi ha sorpreso, ma mi ha anche lasciato di stucco. La ditta di pompe funebri Rallo, che è una delle più vecchie agenzie di Mestre, ha scelto uno slogan d’avanguardia: “Goditi la vita!”. Non ho ancora capito se si rifaccia alla vita eterna o a quella più godereccia e mondana di Lorenzo de Medici: “Cogli la rosa prima che sia sfiorita”.

Qualche giorno fa poi mi sono imbattuto in un altro messaggio messo nel mercato globale non so se dalla Caritas o da qualche altra associazione benefica: “Siate egoisti e fate del bene!”. In verità questo messaggio, pur invitando alla solidarietà, non mi pare sia proprio di stile evangelico perché interessato ed egoista; di certo non corrisponde al discorso di Gesù che ci invita a farci carico del povero, perché in questo caso non c’è possibilità di contraccambio e perciò si può sperare di avere la mercede nel Regno dei Cieli! Comunque, così va il mondo!

12.09.2013

Politica sporca

Un mio caro amico che di certo mi vuole bene e mi stima, parlando del mio diario, mi disse: «Don Armando, si tenga lontano dalla politica, perché è una cosa sporca!».

Ho tentato di interpretare questo ammonimento fatto con affetto e certamente con l’intento di tenermi lontano da rifiuti e da contestazioni di chi non la pensa come me su un determinato argomento. Sono riconoscente per questo consiglio che condivido, ma non fino in fondo.

Ho capito, ormai da molti anni, che molti lettori pensano che le tensioni ideali che io perseguo si rifacciano al pensiero o al progetto di un determinato partito politico e perciò mi approvano o mi rifiutano se quel partito che mi affibbiano corrisponde o meno al loro. Credo però che ci sia un equivoco di fondo perché la simpatia o l’adesione cosciente ad un determinato partito quasi sempre non corrisponde ad un orientamento ideale di contenuti, ma spesso nascono incoscientemente dagli orientamenti dalla propria famiglia, dall’ambiente in cui si è vissuti, dal giornale letto o da determinate esperienze che la vita ha fatto fare.

Spesso quindi l’adesione ad un movimento di destra, centrodestra, sinistra, centrosinistra o altro, non corrisponde ad una lettura attenta dei fenomeni sociali e dal desiderio di dar loro una risposta o una soluzione determinata, ma spesso corrisponde a qualcosa di irrazionale o di ereditato. Perciò quello che spesso crea l’equivoco in orientamenti diversi non è la sostanza, ma solamente questa scelta non motivata ed irrazionale che riguarda questo argomento. “A che serve avere le mani pulite se poi le tieni in tasca?” Vivere realmente comporta fatalmente sporcarsi le mani, pagare un certo scotto all’incomprensione, però è vivere, non entrare in congelatore o mettersi sotto naftalina.

A parte poi il fatto che il confronto, il dialogo onesto e non polemico purifica, arricchisce.

Da queste premesse penso che, tutto sommato, sia giusto e doveroso pagare un certo scotto e correre qualche rischio piuttosto che volare nella stratosfera dove non vivono gli uomini reali.

11.09.2013

La lettera a Putin

Solo Dio sa quanti papi avranno scritto ai despoti di turno, o almeno a chi detiene il potere dei popoli e dispone della vita e della morte dei loro cittadini, per implorare pace e per scongiurarli di non mandare i loro soldati – poveri uomini incolpevoli – a scannarsi con altri soldati con divise diverse ma, anch’essi, poveri uomini incolpevoli!

Non mi pare che questi appelli abbiano ottenuto tanti risultati; in genere i potenti di questo mondo si nascondono dietro a parole magiche ed altisonanti e continuano noncuranti per la loro strada. Ricordo l’appello di Papa Pacelli ai tempi di Mussolini, Hitler e Stalin col suo grido accorato: “Con la guerra tutto si distrugge, mentre con la pace tutto si guadagna!”. Loro continuarono imperterriti, condannando a morte decine e decine di milioni di uomini innocenti, così che sono ricordati dalla storia come dei sanguinari e degli infami, nel senso più stretto del termine.

Ricordo pure i tentativi accorati di Papa Wojtyla con Bush, ma l’esito non è stato più positivo e le conseguenze del rifiuto altrettanto catastrofiche ed amare. E ancora ricordo la lettera accorata di Raoul Follereau che chiese all’America e alla Russia l’equivalente di un cacciabombardiere perché con quei soldi avrebbe debellato la lebbra dal mondo intero. Non credo che questi governanti si siano degnati neppure di una risposta. Quella gente ascolta solamente i suoi generali, i signori della guerra, il cui mestiere non prevede altro che l’uso delle armi. Infatti sono professionisti della morte! Come se la forza offrisse un argomento razionale anche minimo, per risolvere i problemi dei popoli e dell’umanità.

Mi pare di aver sentito in questi giorni che Papa Francesco ha scritto a Putin per implorare una soluzione pacifica per la questione siriana. Credo pure che, se ha scritto a Putin, l’avrà fatto anche ad Obama. Per ora non ho avvertito che ci sia stata risposta alcuna.

Se penso a Putin, troverei un qualche motivo, pur non assolutamente valido, per il suo silenzio; egli infatti ha frequentato la scuola di uno dei più sanguinari servizi segreti, che si è macchiato di ogni sorta di crimini contro l’umanità. Ma se penso ad Obama, che è stato alla scuola di Martin Luther King, allora mi è assolutamente impossibile comprendere la sua smania di sparare dal mare anche una qualche salva dimostrativa di missili, ma non meno micidiale. In questi giorni Obama ha perfino detto che l’America è America, dimenticandosi delle disfatte ignominiose in Indocina, in Irak, in Libia ed in Afganistan.

Avevo speranze e simpatia per questo presidentino mandato al potere dagli ex schiavi africani costretti a lavorare nei campi di cotone. Ora però sono deluso. In contraccambio, finalmente, sono una volta tanto orgoglioso per Letta, ma soprattutto per la Bonino. Bravi! Dio vi benedica!

10.09.2013

La veglia

Ieri sera, dopo aver assistito, comodamente seduto su una poltrona davanti ad un televisore di non so quanti pollici – ma grande – alla veglia per la pace, ho deciso (però fin da subito) di chiedere a Papa Francesco che dopo aver risolto il problema dello IOR, metta subito mano allo smantellamento dell’apparato liturgico e del cerimoniale del Vaticano.

Avevo concluso le pratiche di pietà con i miei anziani per chiedere assieme al Papa e a tutto il mondo pace per la Siria, quando, accendendo il televisore per un momento di relax di fine giornata, mi sono imbattuto, sul canale 28, nella trasmissione del Vaticano che metteva in onda questa veglia.

Almeno venti volte sono stato tentato di girare la manopola perché la veglia era talmente bibbiosa da non poterne più! Sono stato davanti al televisore solamente per solidarietà nei riguardi di quei poveri centomila fedeli che sono rimasti in piedi per almeno tre ore ad ascoltare discorsi veramente dell’altro mondo perché hanno tirato in ballo Michea, Isaia, ed altri profeti ancora, morti due, tremila anni fa, i salmi del poco compianto re David, che in realtà è stato un guerrafondaio di prim’ordine. Per non parlare poi del maestro del coro che si dimenava come un’anguilla davanti ai suoi coristi vestiti tutti di rosso, i quali miagolavano per conto loro con canti polifonici che si usavano due, trecento anni fa, o perlomeno sono stati cantati alla stessa maniera.

Nonostante l’operatore della macchina da presa abbia tentato disperatamente di sollevarci dal tedio cambiando inquadrature, nonostante la sua abilità di evitare chi sbadigliava o chi se n’andava, la veglia è continuata

Penso quanto mai faticose siano state queste ore per i fedeli provenienti da tutto il mondo ed abituati al tipo di discorsi e di immagini che ci sono offerte oggi. Di veglie ne abbiamo preparate e vissute in parrocchia, ma se si vuole che non siano soporifere e irritanti bisogna scegliere “pezzi appropriati”, della Bibbia, si, ma anche di autori contemporanei – e ce ne sono di molto incisivi e veramente meravigliosi – oppure testimonianze dal vivo o canti per la gente o per i solisti che siano capaci di toccare le corde più profonde del cuore e della ragione con linguaggi “parlati” oggi.

Carissimo ed amato Papa Francesco, la tua scelta della veglia è stata veramente opportuna, tanto che il mondo intero l’ha accolta, ma l’apparato del tuo Vaticano non solamente l’ha sciupata, ma anche ha offerto una immagine di una Chiesa ancora una volta vecchia ed ammuffita.

Oggi ho letto la stampa ma, nonostante il consenso all’iniziativa – e non poteva andare che così – ho capito che soltanto per il bene che la gente ti vuole non ha stroncato questa veglia.

Poi, Papa Francesco, permetti che ti dica, pur con infinito affetto, una cosa ancora: «Non farti fare i discorsi dai teologi, parla a braccio come sai fare così bene, perché il solo passaggio che ha strappato applausi è stato il tuo “Buonanotte e buon riposo!”. Non superare i dieci, dodici minuti, faccio anch’io così, pur essendo vecchio. Fallo anche tu e avrai tutto da guadagnare!

08.09.2013

“La semina del mattino”

Quando nell’ottobre del 2005 ho lasciato la mia vecchia parrocchia per “limiti di età”, ho regalato ai parrocchiani un volumetto che avevo portato a termine qualche mese prima. Era mia intenzione lasciare un ricordo alla gente che ho amato e tentato di “servire” da parroco per ben 35 anni.

Il volume di ben 230 pagine, portava come titolo “La semina della sera”, con una specie di “occhiello” esplicativo: “Piccolo catechismo per i cristiani non praticanti della mia parrocchia. Riflessioni a voce alta di un vecchio parroco sulla fede e la religione”. Ho sempre avuto la grande preoccupazione di “parlare” anche ai non praticanti che, in parrocchia, erano poco più della metà dei battezzati.

Il volume contiene una serie di articoli su problematiche di attualità religiosa, che io avevo già pubblicato sui vari numeri del mensile parrocchiale “Carpinetum”. In quella occasione ho recuperato questi articoli ed ho premesso ad ognuno qualche nota che inquadrava ulteriormente il problema trattato. Nella mia intenzione c’era il desiderio di recuperare e di riseminare la semente già buttata nei solchi, nella speranza che potesse attecchire. Inoltre speravo di essere ricordato per quelle tensioni che mi hanno sorretto per tanto tempo. Mi pareva, andandomene, di compiere il mio dovere di pastore con quest’ultima semina.

Qualche tempo fa qualcuno mi ha chiamato al capezzale di una persona anziana che, alla fine della vita, volle riconciliarsi col Signore. La cosa mi trovò prontamente disponibile.

Sulla soglia dell’eternità fu quasi naturale gettare un ponte sull’educazione religiosa che ella aveva ricevuta da giovane. Ho avuto la netta sensazione che il seme posto nella sua coscienza decenni e decenni prima, germogliasse e fiorisse improvvisamente ed in maniera imprevista ed inaspettata.

Fui tanto felice che questa donna si spegnesse in pace avendo la percezione che, una volta ancora, si avverasse quanto è scritto nella Bibbia: “C’è chi semina nel pianto e chi raccoglie nella gioia”. In questa occasione io ho raccolto “la semina del mattino” di un prete sconosciuto e questa sensazione mi ha ravvivato la speranza che anche la mia semente, sparsa con tanta larghezza, prima o poi potrà fiorire e ravvivare il cuore e la speranza di un altro prete: possa lui provare la stessa gioia che io ho provato in questi giorni.

07.09.2013

Volontariato zoppo

La mia vita ha molto a che fare con il volontariato. Molte volte sono intervenuto a dire le mie preoccupazioni perché esso tende a diminuire numericamente e ad impoverirsi a livello ideale, correndo il pericolo che quella del volontariato sia una scelta per risolvere i propri problemi esistenziali piuttosto che per aiutare il prossimo.

Molte altre volte però ho affermato convinto che il volontariato è una vera ricchezza per la nostra società e in particolare per la Chiesa. La realtà dei Centri don Vecchi, e soprattutto del polo solidale che ruota attorno ad essi, è merito quasi esclusivo di concittadini che dedicano, o han dedicato, il loro tempo e le loro capacità professionali a quest’opera umanitaria che s’è imposta non solamente all’attenzione della città, ma di buona parte del nostro Paese. I duecentocinquanta volontari che prestano servizio gratuito presso l’istituzione che è conosciuta sotto la denominazione “Centro don Vecchi”, sono la spina dorsale di questa struttura che offre un alloggio protetto a più di cinquecento anziani e aiuto ad una moltitudine di bisognosi; senza di loro essa si affloscerebbe o perlomeno avrebbe un volto molto diverso.

A tutta questa cara e preziosa gente va la mia ammirazione e la mia riconoscenza. Però c’è un cruccio che spesso mi tormenta, perché temo di non essere stato capace di motivare sufficientemente questi miei collaboratori. Mi preoccupa il fatto che una parte si offra per risolvere i propri problemi esistenziali ed un’altra parte fa, si, del volontariato, ma tende ad avere soprattutto, qualche vantaggio personale, spesso in natura; sono dei volontari che non hanno ancora recepito le motivazioni profonde e ideali che devono supportare la loro scelta. Perciò spesso mi addosso la responsabilità di non aver sufficientemente “educato” questa gente all’amore vero e disinteressato al prossimo.

Qualche giorno fa si faceva rilevare a qualcuno di non approfittarsi di una certa situazione favorevole; mi ha colpito una risposta che denotava questa motivazione, perlomeno spuria: “In fondo noi volontari lavoriamo per voi!”. Può darsi che i termini con cui s’è risposto siano stati solamente impropri e “infelici”, ma se non fosse così credo che si debba precisare che è troppo poco impegnarsi per chi ha un ideale, è invece giusto impegnarsi per i propri ideali; mi spiacerebbe tanto che i 250 volontari lo fossero solamente per farmi un piacere personale, ma desidererei che essi condividessero fino in fondo la mia scelta solidale.

07.09.2013

Un pericolo mortale

In questi giorni mi è parso che il mondo stia vivendo la stessa situazione drammatica di quando Krushchev aveva inviato i missili a Cuba e Kennedy pareva deciso ad attaccare le navi russe.

Allora, non so se per paura o per saggezza, i russi tornarono indietro e il mondo tirò un sospiro di sollievo. Oggi il nome degli antagonisti è diverso, ma gli interessi che hanno alle spalle sono identici, ma soprattutto mi pare che il pericolo sia identico.

Un tempo fu il dittatore Fidel Castro ad accendere la miccia, ora ce n’è uno ancora peggiore perché sta massacrando imperterrito la sua gente. Assad è oggi la causa prossima del pericolo incombente. Ieri c’erano Kennedy e Krushchev ad avere la tentazione di arrischiare la guerra totale per interessi di parte, oggi sono Obama e Putin a esporre il mondo intero al pericolo di un conflitto che metterebbe a repentaglio la sopravvivenza dell’uomo sulla terra.

Questo avviene ai vertici delle potenze mondiali, però dietro ci sono pure nazioni che forniscono armi a volontà perché la povera gente si scanni, mentre esse tessono la ragnatela dei loro loschi interessi.

In questa situazione drammatica s’è levata la voce limpida e pulita di Papa Francesco ad invocare la pace. Il pontefice si è messo in mezzo ai duellanti per invocare pace e l’ha fatto con le “armi” che gli sono proprie: preghiera e digiuno.

Questa vicenda mi sta turbando profondamente e mi sorprende che le nazioni non si uniscano alla sua invocazione a favore dell’uomo. Poi penso che chi comanda gli Stati è sempre preoccupato del vantaggio o meno che gli possa derivare da ogni contesa, ma mi chiedo poi dove sono quelle folle numerose e rovinose di pacifisti che sono spesso scesi in piazza per motivi meno importanti. Dove sono le bandiere arcobaleno? Dove sono i “no TAV”, i “no DalMolin”? Dove sono gli aderenti ai centri sociali sempre disposti a difendere “i deboli” e la natura?

Questa situazione, più tragica che drammatica, mi sta riconfermando che le parole altisonanti dei capi di governo che si sprecano per la democrazia o per il popolo o gli slogan coloriti delle bande pacifiste, si dimostrano ancora una volta amanti della libertà, della democrazia e della pace, ma a senso unico.

Per fortuna e per grazia di Dio abbiamo ancora il vicario di Cristo, Papa Francesco, che oggi come non mai rappresenta la coscienza dell’umanità che dà voce vera alle attese dei popoli di tutto il mondo.

07.09.2013