I buoni nemici del prete

Un mio amico, che conosce il mio modo di pensare e di agire, ma soprattutto le mie pene segrete per l’isolamento sacerdotale in cui vivo da sempre, mi ha portato, a titolo di conforto e di sostegno, un trafiletto del cardinal Ravasi apparso recentemente su “Il sole 24 ore” che riporto per intero e sul quale sento il bisogno di fare un paio di considerazioni.

Eccovi il trafiletto di Ravasi, l’illustre e intelligente “ministro della cultura del Vaticano”.

Il Prete
Dove è scritto che il prete debba farsi voler bene? A Gesù o non gli è riuscito o non è importato.
Questa volta parlerò un po’ della mia appartenenza personale. Lo faccio con queste parole tratte dalle Esperienze pastorali dell’indimenticato don Lorenzo Milani. Parole che egli testimoniò senza “se” e senza “ma”, a costo di inimicarsi la stessa gerarchia ecclesiastica e la società civile. Effettivamente a Cristo importava poco di stare in cattiva compagnia, agli occhi superciliosi dei benpensanti, pur di liberare, salvare, amare e sperare. Non aveva esitato a dire di essere venuto a portare una spada e la divisione. Poco prima di morire, Nuto Revelli mi inviò il suo libro “II prete giusto”, storia di un sacerdote sincero e generoso. Mi aveva sottolineato a penna queste parole pronunciate dal protagonista: «Se un prete, non ha nemici, non è un prete. Gesù crea una rottura tale che lo chiamano “segno di contraddizione”».

E queste sono le mie considerazioni.

Primo: queste parole mi riconfermano nella mia tribolata convinzione che il prete non deve essere succube delle mode mutevoli ed effimere dell’opinione pubblica civile ed ecclesiastica, ma deve rifarsi al messaggio di Gesù letto e filtrato dalla propria coscienza, disposto a pagare il prezzo elevato dell’isolamento, non solo, ma spesso del giudizio sprezzante di chi s’accoda al comodo indirizzo dei più.
Il prete, a mio parere, deve rappresentare un punto fermo che si può accettare o rifiutare, ma comunque non può ridursi ad un giunco che si piega dove soffia il vento. A questo riguardo mi pare che i discorsi, e soprattutto la vita di Gesù, siano un esempio quanto mai evidente.
Vorrei anche chiarire che l’opinione pubblica, che orienta il modo di pensare e di agire, non è un condizionamento esclusivo del mondo laico, ma pure la vita della Chiesa soggiace a questa mutevolezza di orientamenti. Da sempre apprezzo il prete che trova il coraggio anche di essere solo, di navigare controcorrente pur di non tradire la sua coscienza,

Secondo. Sono pure convinto che l’esporsi, il misurarsi e il confrontarsi con ogni tipo di pensiero dei “lontani”, rafforza e purifica la testimonianza del sacerdote. Il prete che sta al riparo della “santa obbedienza”, dell’ombra del suo campanile, del giornale cattolico e dei documenti ufficiali della gerarchia, deve pur tenere in debito conto questi documenti, deve “leggerli” con attenzione, rispetto; scelte queste che almeno all’interno del suo “mondo” lo mettono apparentemente al riparo da errori e giudizi dall’alto, ma non è che per tutto questo possa ritenersi un vero uomo di Dio. A questo riguardo torna eloquente la massima sapienziale: “Amicus Plato sed magis amica veritas”, ammiro la saggezza della comunità ecclesiale e della tradizione, ma ammiro e seguo ancor più Dio, verità e sapienza assoluta.

Ed aggiungo ancora, con sant’Agostino, che il sacerdote deve essere più preoccupato d’esser in assonanza con Dio che di esserlo con la Chiesa.

14.09.2013

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