Tra l’antologia e la produzione diretta

Durante la settimana, man mano che si presentano alla mia attenzione fatti, problemi, personaggi, annoto sulla mia agenda quello che a me pare il “nocciolo” di un discorso su cui prendere posizione per offrire ai miei amici una lettura di questo evento che a me pare valida e positiva. Normalmente compilo un indice di argomenti dei quali prendo nota. Alcuni di questi col passare dei giorni sbiadiscono e non mi paiono più così importanti come pensavo al primo impatto, mentre altri rimangono vivi e palpitanti.

Quasi sempre questi argomenti nascono dalla lettura dei molti periodici sia settimanali che mensili che normalmente seguo. Di primo acchito sarei tentato di strappare la pagina o fotocopiare l’articolo; spessissimo son pezzi ben fatti, argomentati e trattati da scrittori, o meglio giornalisti, quanto mai bravi ed intelligenti, per cui sono tentato di offrirli così come li ho letti perché mi dico: “Se mi sono piaciuti e se mi sono sembrati importanti, perché non dovrebbero essere tali anche per la mia gente?”. Poi ogni tanto mi ricordo di una stroncatura feroce del direttore di un settimanale che apprezzo e al quale do una scorsa ogni settimana, il quale, riferendosi a “L’Incontro” l’ha definito “un giornaletto scopiazzato”. Allora mi sento in dovere di fare un’analisi o una critica personale sull’argomento che mi pare importante, ma ciò mi costa alquanto e sono portato sempre a pensare, io stesso, che “l’erba del vicino è molto più verde di quella del mio giardino”. Così, quando l’argomento mi interessa molto e mi pare importante per la società in cui vivo, mi sobbarco la fatica, rimanendo però quasi sempre scontento di quello che ho scritto e ritenendolo meno valido di quello che giornalisti di professione riescono a fare.

Non sempre però questa scelta mi convince fino in fondo, perché sui giornali e le riviste, tra tante notizie e discorsi fumosi, inconsistenti e sbrodolosi, mi pare di scoprire di frequente delle vere chicche che sarebbe opportuno rioffrire così come le ho scoperte, senza togliere o aggiungere nulla tanto mi paiono valide.

A sostenere questa seconda soluzione, tanto più comoda della prima, c’è l’esperienza di una rivista genovese, alla quale sono abbonato da molti anni: “Il segno”, i cui redattori non fanno altro che assemblare, in maniera intelligente e seguendo un argomento prefissato, quanto essi selezionano dalle loro letture.

Di questo espediente mi sono spesso servito per l’editoriale, ma specie per il diario. Finora non ho trovato ancora la formula e quindi, almeno per ora, continuo la mia fatica e soffro della mia delusione per i risultati poco brillanti benché mi senta incoraggiato da tanti consensi che mi giungono dai lettori.

01.09.2013

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