Un sermone che ho apprezzato

La tomba di Matteo Vanzan, il giovane carabiniere caduto a Nassiria, sta proprio dietro la chiesa del nostro cimitero ad un paio di metri dal piccolo piazzale davanti a quello che pomposamente ed impropriamente chiamiamo l’altare della Patria.

Quest’anno in occasione dell’anniversario della morte ha celebrato il cappellano dei carabinieri di una caserma di Udine, che al tempo dell’imboscata, in cui è caduto il nostro giovane, si trovava pure lui in servizio a Nassiria.

Erano presenti alla messa e alla commemorazione quasi soltanto militari e un gruppetto di familiari, oltre all’associazione di militari in congedo, sezione che ha organizzato l’incontro.

I cappellani militari non brillano nel tener sermoni e quando lo fanno si lasciano prendere da una certa retorica patriottica e militaristica che suona sempre molto stonata per chi non è del mestiere.

Quest’anno non è stato così. Quel prete di mezza età, nel tono e nel contenuto è apparso veramente un cristiano vero, consapevole del messaggio e capace di inquadrare anche la morte in una cornice di servizio e di speranza. Mi ha però convinto soprattutto la virilità nei concetti, del modo di coniugarli con le tensioni esistenziali degli uomini del nostro tempo. A me disturbano quanto mai quei discorsetti effeminati, fragili, dolciastri, che mi sanno più di pettegolezzo religioso che di proposte evangeliche sul senso della vita. La carenza di virilità religiosa nei preti non so proprio da che cosa derivi, se dal fatto che i fedeli normali siano in maggioranza donne o dal fatto che i preti non riescono a maturare un senso della vita compiuto, nutrendosi culturalmente di letture pietistiche, involute e poco calate nella realtà della vita.

Il cambiamento richiesto oggi al mondo ecclesiastico è veramente impegnativo e vasto, ma anche questo aspetto della carenza di virilità nei concetti e nel modo di esprimerli non mi pare del tutto marginale.

Riflessione sul superfluo

La mia vita si svolge ormai da quattro anni in un ambiente tanto ristretto e sempre quello per cui mi accorgo, io stesso, che finisco per ripetermi. Sperò però che le angolature da cui osservo la vita siano sempre diverse per cui riesca a conoscere meglio la realtà in cui mi muovo.

Quando qualcuno fa i primi approcci per entrare al don Vecchi, soprattutto quando le richieste provengono da donne, nota immediatamente la piccolezza dell’appartamento.

L’alloggio più grande in assoluto al don Vecchi misura cinquanta metri quadrati per scendere fino ai venti e raggiungere il minimo di diciotto.

“Non ci stanno i mobili”, “si soffoca qua dentro!” Ho un bel dire che vi sono sovrabbondanti spazi comunitari, dei quali ognuno può fruire.

La gente rimane dell’idea che sia difficile o impossibile vivere in tale ristrettezze di spazio!

Qualche giorno fa ho letto in un giornale una specie di confidenza testimonianza, che trascrivo, senza però illudermi che possa convincere chi è abituato a circondarsi di un mondo di cose superflue, o meglio ancora, inutili. Trascrivo pure la morale che l’autrice traccia dalla sua esperienza sperando che susciti lo stesso effetto, essendo io convinto che gli imbonitori ci hanno abituato alla necessità di cose superflue, di acquisti non necessari, di esigenze fasulle.

Ogni esperienza umana, come ogni medaglia ha l’altra faccia, quella che trascuriamo, di cui non prendiamo atto, non sapendo che ha una importanza uguale, se non migliore, di quella più brillante comunemente conosciuta.

Ecco ora la pagina che offro a chi eventualmente gli capitasse, magari per caso, di leggere queste righe in questo mio diario.

“L’estate scorsa io, mio marito e mio figlio siamo andati in vacanza in campeggio con la tenda; abbiamo dovuto, pertanto, ridurre i bagagli e portare con noi lo stretto indispensabile. Una sera, mentre leggevo un libro dinanzi alla lampada accesa, mi sono resa conto di quanto fosse inutile tutta la “zavorra” che portavo con me quotidianamente durante la mia vita ordinaria e di quanto, viceversa, la vita spartana del campeggio arricchisce la mia giornata: più tempo trascorso con i miei cari ad inventare favole e racconti, a ridere e giocare; minore spreco di risorse energetiche, migliore relazione con la natura. E soprattutto, più spazio alla meditazione ed alla preghiera.

Siamo tutti preoccupati per la crisi economica che sta travolgendo la nostra società; ma forse questa può essere un’occasione per meditare sugli sprechi enormi della nostra civiltà e per aiutarci a ridimensionare le nostre necessità ed i nostri bisogni”.

Questa riflessione spero vi sia utile specie durante queste vacanze estive!

“Mostratemi il volto di Maria!”

Quando ero ragazzino avevo fatto una raccolta di immagini della Madonna, racimolando da giornali, libri e quant’altro, delle riproduzioni di quadri che pittori, più o meno celebri, avevano fatto su Maria, durante i secoli.

Si trattava di una povera raccolta, anche se numerosa di immagini, in quanto le riproduzioni non erano assolutamente di qualità. Comunque mi interessava vedere come durante i secoli i vari artisti avevano dato volto alla Vergine, questa creatura all’apice del mondo femminile.

Diventando adulto smisi di fare questa raccolta perché mi rendevo conto che erano veramente immagini scadenti che impoverivano piuttosto che esaltare la figura della Madonna.

Ora però analizzando il mio orientamento spirituale più profondo, capisco che il frutto della fantasia degli artisti, preoccupati soprattutto del fatto estetico e della originalità, non mi coinvolgeva più di tanto perché c’era sempre qualcosa di artificioso e di morto, mentre avvertivo, in fondo al cuore che la mia ricerca chiedeva realtà vive e palpitanti, perciò mi orientavo sempre più di costruirmi una Madonna con gli aspetti più belli e più ricchi delle donne reali che incontravo sulla mia strada.

Qualche giorno fa incontrai un gruppo di signore, porsi loro la stessa domanda che dei greci fecero ad Andrea e Filippo: “Vogliamo conoscere Gesù?” evidentemente volevamo conoscere il profeta inviato da Dio, il suo messaggio.

Ora sento anch’io il bisogno di conoscere il volto di Colei che Gesù morente ci donò come madre e rivolgo perciò alle donne che incontro sulla mia strada: “Mostratemi il volto di Maria!” se non lo fanno loro, chi dovrebbe o potrebbe farlo?

Certo però che non potrebbero farlo le veline o le attricette della televisione, le top model senza anima o le ragazze esagitate che sbavano per vedere Vasco Rossi.

Anch’io come tutti gli uomini che sono alla ricerca della ricchezza umana e spirituale della Madonna, chiedo alle donne: “Mostratemi il volto di Maria!”

Spero che i tanti volti, le tante vite, le tante ricchezze spirituali delle donne del nostro tempo mi facciano conoscere il volto della Madre di Dio!

L’evoluzione delle parrocchie

Spesso mi affaccio al davanzale del mio terrazzino per osservare i colori del grande campo che si estende a ponente del don Vecchi. Soltanto il guardare mi offre lo spunto per scoperte interessanti che mi sorprendono e che mi fanno comprendere la complessità della natura e la sua vasta evoluzione. Più spesso ancora il mio sguardo e il mio pensiero si spingono più lontano ed abbracciano tutto il panorama pastorale religioso che ora posso scorgere quasi dal di fuori e pian piano coglierne la lenta ma graduale e progressiva, ma quasi ineluttabile, evoluzione.

Dal mio davanzale scorgo alcuni campanili, che mi fanno immaginare le varie realtà ecclesiali, che pure subiscono una evoluzione, seppur lenta, ma inesorabile evoluzione.

La parrocchia mi pare quasi una chioccia stanca di covare e di seguire i suoi pulcini, incapace di guidarli e di tenerli uniti. M’accorgo che alcuni di essi hanno formato gruppi, congregazioni, movimenti sempre più indipendenti che, pur rifacendosi allo stesso pollaio, non ne riconoscono quasi più la maternità e l’autorevolezza.

Ora sono i movimenti a dettare legge e il percorso da fare, essi sono: neocatecumenali, ciellini, pentecostali, rinnovamento dello spirito, focolarini e via di seguito.

Tutte chiesuole autocefale, sempre più indipendenti, chiuse agli altri, autoreferenziali, che alzano ponti levatoi, che assumono linguaggi e stili di vita religiosa tutti propri e puntano sempre più ad un’autarchia sempre maggiore dalla chiesa madre.

Tutto questo, mi da sempre più la percezione che lentamente il fenomeno spirituale stia slittando dalla vita ecclesiastica alla vita di setta.

Se poi alcuni parroci sono meno robusti e si lasciano condizionare dallo spirito e dallo stile di questi movimenti, la parrocchia si riduce ad un gruppo supernutrito religiosamente e perciò anomalo e fuori dal contesto umano e sociale, non curante dei “pagani” e dei “gentili” di fuori casa e che sempre più trascurati vanno alla deriva e smarriscono ogni senso religioso.

Credo che se andremo avanti di questo passo non ci sarà più un Benedetto Croce a ripetere “Perché non possiamo dirci non cristiani!”

Bisognerà epurare qualche passo del Vangelo e poi saremo giunti al tempo delle repubblichette cristiane!

A Mestre il fenomeno mi pare sempre più evidente e consistente!

Prediche e buon senso

Abbastanza di frequente, la gente accusa i preti di predicare sempre, molti mal sopportano le prediche che spesso sono bibbiose e scontate ed altri ancora, i più maligni, affermano che i preti predicano bene ma razzolano male.

Non possiamo, purtroppo, negare che questo, almeno in parte, ed anche se non sempre, sia vero!

Però a proposito di prediche i politici, gli amministratori degli enti pubblici non sono da meno.

Questo è vero per tutti, ma in modo particolare sembra che sia ancora più vero quando queste prediche vengono da certi tipi che prima delle elezioni ti promettono anche la luna!

Ora il dovere di chi sta al governo del Paese o della città è di tener duro e di evitare gli sprechi specie dei grandi enti pubblici. Oggi poi è un argomento su cui gli amministratori pubblici sembrano i più convinti e i più esperti a trattarlo.
A parole ben s’intende!

A Venezia è diventato ormai una locuzione comune “l’acqua del sindaco” cioè del rubinetto per combattere lo spreco dell’acqua minerale.

Qualcuno ci ha detto che spegnere totalmente il televisore, quando non lo si guarda, costituisce un risparmio energetico.

Io sia nel primo che nel secondo caso ho seguito il saggio suggerimento. Se non che qualche giorno fa passando davanti al cimitero sono rimasto sorpreso dalla nuova luminaria. I kilowatt certamente non si contano. Ora illuminano un disordinato cantiere infinito, ma neanche domani, quando tutto il piazzale sarà a posto, non penso che la gente verrà a far salotto davanti al cimitero. Allora perché tutto quello spreco? Certamente inutile e di cattivo gusto?

Ho letto qualche giorno fa che la predica deve essere corta, chiara e convincente, questo ammonimento va certamente bene per noi preti, ma credo andrebbe ancora meglio per il sindaco, gli assessori e i consiglieri comunali!

Richieste al mio “Titolare”

Sono stato all’Angelo a far visita al mio direttore, del quale gli ho sempre invidiato la linea asciutta come un’acciuga, mentre io, nonostante tenti di evitare gli amidi, continuo a metter su pancia.

Come sempre stavo pensando ai fatti miei e siccome avevo appena rifornito l’espositore accanto alla cappella e mi avviavo a controllare i banconi del primo piano, come il contadino del Vangelo, mi consolavo pensando che finalmente avevo incontrato una cara signora che discreta e laboriosa inserisce a tempo i testi de “L’incontro” nel computer e decifra correttamente i miei geroglifici, così ché ogni giovedì ho pronti i testi per il menabò del prossimo numero.

Se non che prima scorsi la barba bianca del marito e poi il suo volto un po’ più smunto del solito.

Come me, ma in tempi più recenti, lei aveva avuto un incidente di percorso per la sua salute. Tutto poi pareva risolto per il meglio, ma in questi ultimi giorni aveva avuto qualche avvisaglia che l’ha preoccupata e perciò stava attendendo una visita medica. Spero che il volto fosse smunto più per la preoccupazione, che so per esperienza personale che segna tutti coloro che hanno avuto a che fare con quel male, che per il male stesso.

La prima reazione è stata una immediata protesta nei riguardi del Padreterno “Non sai, Signore, che ne ho assoluto bisogno e che mi è quasi impossibile trovare un’altra che mi doni ore ed ore di lavoro certosino!”. Poi mi vergognai sia nei riguardi del Padreterno, che nei suoi riguardi; la sua salute in realtà mi è infinitamente più cara che le sorti de “L’incontro”!

Mi chiese una preghiera. D’istinto mi ricordai di Carlo il fioraio della porta del cimitero che mi chiese di domandare al mio “Principale” qualche giornata di sole che facesse quadrare le magre entrate a causa della pioggia.

Il giorno dopo venne il sole, senza che neanche l’avessi chiesto!. Mi regalò un gran mazzo di rose.

Ora che la salute di questa cara amica mi sta veramente e disinteressatamente a cuore, spero che il mio “Titolare” m’accontenti ancora una volta, come ha fatto tante altre volte e stia tranquilla la signora non le chiederò di inserire anche i testi del “Coraggio”! m’accontenterò del “L’incontro”!.

Il Signore m’ha scoperto!

Il Signore mi ha pizzicato ancora una volta in flagrante!

M’aveva telefonato una signora con una voce un po’ lagnosa, così da farmi immediatamente pensare che si trattasse di una delle tante che mi chiede un appartamento al don Vecchi. Mi chiedeva invece un appuntamento perché insisteva che sono cose che preferiva dire a faccia a faccia.

Per me, questi appuntamenti che mi sono chiesti di frequente, non sono molto graditi, un po’ perché non ricordo mai i miei impegni precedentemente già fissati ed un po’ perché mi spezzettano la giornata impedendomi così di dedicarmi con tranquillità a ciò che ho scelto di fare. Sparai subito il primo “missile strategico” che talvolta coglie il bersaglio: “Signora, io non sono una persona importante, può parlarmi al telefono che io l’ascolto e le dico subito se la posso aiutare o meno”. Tergiversò un momento, quasi contrariata, poi aggiunse: “Le devo portare un’offerta!”

D’istinto le diedi subito due tre orari in cui mi avrebbe trovato al don Vecchi.

Appena messo giù il telefonino mi parve, come don Camillo, di sentire il Cristo che dalla gran croce mi ripetesse: “Reverendo, reverendo … se si fosse trattato di un piacere da fare avresti avuto mille difficoltà, ma per ricevere un’offerta sei stato immediatamente disponibile!”. Arrossii ed incassai il rimprovero meritato; Gesù aveva ragione! Di solito nostro signore mi punisce così.

Il giorno dopo però mi rifeci.
E’ venuto il solito signore dalla faccia cadaverica al quale sto tentando inutilmente di fissargli una frequenza settimanale per i soliti cinque euro. Stavolta però appena lo vidi tirai fuori il portafogli e senza esitazione gli diedi i 15 euro che mi chiedeva, anche se erano passati solamente due giorni dall’ultima richiesta e superavano di 10 euro l’accordo fissato.

Spero d’aver pareggiato anche se io ho donato 15 euro e il Signore me ne aveva fatto avere 165. mi consolo però pensando che io sono un povero diavolo che si preoccupa del don Vecchi di Campalto, mentre Lui è Dio ed è padrone della zecca!

Come è andata la storia della Chiesa del Cimitero di Mestre…

Come è finita la storia della Chiesa del Cimitero…

Sono andato in municipio, parzialmente convinto che finalmente mi avrebbero dato qualche notizia circa la chiesa del cimitero.

C’era tutto lo stato maggiore: gli addetti ai lavori, il prosindaco, l’assessore ai lavori pubblici, il progettista, il rappresentante della Vesta, l’addetto stampa della stessa, ed il sottoascritto, quasi fossi io l’unico interessato per la chiesa e non la città!

La delusione è stata assoluta e completa.

Il rappresentante del dottor Razzini, amministratore delegato della Vesta, ha ripresentato una vecchia proposta che già due anni fa gli dissi, con assoluta franchezza, che era improponibile ed assurda e per lo più rappresentava un modo furbesco e poco corretto per nascondere il rifiuto per affrontare seriamente la questione.

Per di più questo rappresentante ha snocciolato una lista di conti che solamente un amministratore pubblico riesce a concepire. Credo che qualsiasi impresa di questo mondo, che non sia la Vesta o un ente simile, che attinge dalle finanze pubbliche, fallirebbe in quattro e quattrotto.

Cosa sto proponendo io da quattro anni: Comune o Vesta accenda un mutuo e nel tempo (quanto ne serve) recupera i soldi necessari per la chiesa e la sala laica; pagano i credenti!

Cosa propone la Vesta, con il consenso del Comune; i cittadini che vogliono custodire le ceneri in un luogo sacro si impegnino con un contratto, fin da subito, di pagare in anticipo ad un prezzo salato, il loculo richiesto per avere la copertura finanziaria per costruire la chiesa e la sala laica.

A me è sembrata una beffa bella e buona, ma comunque ogni cittadino e soprattutto ogni credente giudichi la serietà di suddetti amministratori.

Per quanto mi riguarda ho ritirato ogni mia proposta ed ogni mio avallo su questa questione. Continuerò a fare del mio meglio anche se sono convinto che Comune e Vesta stanno conducendo in maniera indecente tutto quello che concerne cimitero e chiesa in particolare. Ogni cittadino può fare un giro per accertare le condizioni della chiesa del porticato storico e del cimitero in genere.

Modi bruschi

Per l’educazione ricevuta e per mia scelta personale, non dico mai parolacce e meno ancora faccio dei discorsi che contengono qualcosa di volgare. Questa confessione dovrebbe essere scontata per un giovane o vecchio prete quale sono io.

In realtà oggi le cose non stanno proprio così perché va di moda tra i ragazzi una parlata quanto mai volgare e come si sa queste cose sono come l’influenza, si diffondono, un po’ perchè rintronano sempre negli orecchi e un po’ perché non sono pochi neanche i preti che vogliono apparire giovanili dato che non possono essere più giovani!

Debbo però confessare che c’è una brutta parola che talvolta mi scappa perché la sento così di frequente che mi pare che non ce ne sia un’altra di altrettanto espressiva. Spero di non scandalizzare chi gli capitasse in mano queste mie confidenze e chiedo scusa in anticipo per questa scappatella.

Le premesse che inquadrano questo sfogo i miei amici le conoscono già e la riassumo per sommi capi.

Sono venuto a sapere, due anni fa, che il Comune di Bologna ha concluso una specie di accordo con gli ipermercati per ottenere i prodotti alimentari in scadenza per distribuirli ai poveri.

Ho telefonato ed ho appreso i termini dell’accordo. Gli ipermercati davano suddetti prodotti e il Comune diminuiva la tassa per lo smaltimento dei rifiuti.

Ne parlai con l’assessore di quel tempo Delia Murer, mi disse che si sarebbe data subito da fare, ma non successe nulla. Parecchi mesi fa appresi dalla stampa che anche Verona, Vicenza ed altri avevano concluso questo accordo. Telefonai alla sicurezza sociale ad ottobre/novembre dello scorso anno e pareva che anche a Venezia fossimo a buon punto per l’accordo, ma passavano i mesi e non succedeva nulla.

Costrinsi l’assessore Simionato a venire al don Vecchi per parlargli tra l’altro anche di questo problema. Promise, ma non successe ancora nulla.

Telefonai ed incontrai l’assessore Bortolussi, mi promise, ora sto attendendo, ma se non succede nulla sono pronto a far veramente “casino”!

Mi spiace per Cacciari, per la giunta, per il Comune, per il Centro sinistra e che so io, ma vedendo la gente bisognosa che viene a frotte a chiedere alimentari e i burocrati, che pigliano migliaia di euro al mese per aiutare i poveri, che si trastullano con dichiarazioni e discorsi non vedo altro modo di scuotere il “palazzo” se non facendo “casino”!

E il buon Dio mi perdoni!

Commiati tanto diversi fra loro

Alcuni giorni fa sono andato a Scorzè a portare i sacramenti del conforto cristiano ad un mio antico allievo dei tempi lontanissimi in cui ho insegnato al Pacinotti.

Quanta tenerezza, quanta edificazione, quanta speranza e conforto ha donato al mio cuore questo incontro tra me, vecchio insegnante ottantenne e l’allievo, affermato e valente professionista che mi volle accanto a se nel momento difficile in cui lucidamente avvertiva il tramonto all’orizzonte della sua vita.

Se la fatica di quei tempi lontani non mi avesse offerto altro che questo incontro, già sarei ripagato ad oltranza per quel tempo passato in quella scuola che ha offerto al nostro settentrione una schiera infinita di tecnici intelligenti e preparati che hanno sorretto tutta l’affermazione dell’industria del tanto encomiato Nord-Est d’Italia.

Nel ritorno, mentre nell’animo riaffioravano i vecchi ricordi di quegli anni passati tra i banchi di scuola che a quel tempo sembrava la “Bocconi” di Mestre, ho incrociato il corteo di un funerale che si snodava nel ciglio della strada verso il camposanto.

La croce in testa, una lunga fila di giovani ed uomini, la bara ed un’altra lunga fila di donne. Il prete con il microfono in mano diceva le Ave Maria del rosario e la lunga fila rispondeva devotamente. Erano cristiani di Martellago che accompagnavano alla sepoltura un loro concittadino.

D’istinto confrontai il funerale di questa gente della terra con quello che un paio di giorni prima avevo celebrato in cimitero. I necrofori portarono la bara in chiesa, si guardarono attorno, nessuno, telefonarono in ufficio e poi mi riferirono: “Don Armando non viene nessuno!” Chiamai l’addetta alla sacrestia; almeno ci fosse qualcuno che rispondesse “amen”! Poi entrò una di quelle vecchine che vivono praticamente in cimitero, infine si aggiunse uno dei necrofori; non so se avesse più pietà per me o per la defunta!

Questa è la nostra città. Questa è la nuova civiltà urbana, questo il frutto della predicazione radicale!

Fortunatamente sono certo che il buon Dio non ha bisogno di tante suppliche per accogliere il “figlio prodigo che ritorna”, lo fa di suo, indipendentemente dalla nostra flebile richiesta!

Un abbraccio che spero aiuti

Ci sono delle immagini veramente emblematiche che hanno un impatto nella coscienza così forte che neanche un lungo discorso potrebbe convincere di più.

L’altra sera la televisione ci ha offerto, con una rapida ma efficace carrellata, l’abbraccio tra la vedova del commissario Calabresi; trucidato da un emissario di “lotta continua”, il movimento di estrema sinistra che aveva come ideologo Adriano Sofri condannato dopo ripetute sentenze a 22 anni di carcere e che sempre la “sinistra” vorrebbe liberare, e la vedova dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

L’uccisione del commissario Calabresi fu uno di quegli eventi degli “anni di piombo” di cui per decenni la stampa di tutti i versanti ne ha parlato e che a livello personale mi ha turbato e più ancora indignato profondamente.

Sono stati versati fiumi di inchiostro su questo caso e le aule dei tribunali pareva che non finissero mai di discutere perché la sinistra non s’è mai rassegnata che un suo leader fosse condannato all’ergastolo.

Io non ho mai nutrito un minimo di stima verso quest’uomo, fazioso ed insolente, che anche in quest’ultimo tempo ha avuto frasi sprezzanti verso quell’uomo d’ordine che è stato sacrificato dalla ferocia e dalla faziosità di gente che neanche dopo il franare rovinoso dell’ideologia e dei suoi supporti moscoviti, s’è rassegnato alla disfatta e pontifica tuttora circondato dalla benevolenza dei compagni di un tempo che hanno cambiato casacca.

Avevo letto della bella personalità della moglie del commissario Calabresi, creatura dolce e al tempo stesso forte nei suoi convincimenti decisamente ispirati ai valori della fede.

Mi ha fatto molto piacere ed è stato di enorme edificazione il suo abbraccio alla vedova dell’anarchico, la cui fine è ancora purtroppo racchiusa nel mistero, anche se certuni imputano, più per motivi di parte che per prove accertate, alla polizia.

Mi auguro che questo gesto generoso ed esemplare aiuti chi vuol essere onesto a capire che i valori cristiani sono infinitamente più validi di quelli di un materialismo che non ha provocato che miseria e morte.

L’apertura agli altri risana

Ho ribadito più volte la mia convinzione che c’è più saggezza in una pagina della Bibbia che nelle 100 pagine di una delle nostre riviste mensili o nelle trenta o quaranta pagine del “Corriere della sera”!

Rimpiango di aver fatto questa scoperta troppo tardi, non avrei perso tanto tempo col leggere periodici e romanzi che, stringi, stringi, alla fine mi trovo con un pungo di mosche in mano, mentre quando leggo la Scrittura, mi sento sazio di sapienza e di verità.

Ho fatto questa considerazione una delle ultime domeniche leggendo alcune righe degli atti degli apostoli in cui si parla della difficoltà che Paolo di Tarso ha incontrato nell’inserirsi nel gruppo dei discepoli di Gesù.

Fortunatamente Barnaba, uomo aperto ed intelligente introduce Paolo nel cenacolo degli apostoli, restii di accogliere tra loro l’ex persecutore coraggioso ed intraprendente.

Il passaggio della Scrittura tante volte lo avevo letto senza però apprezzare l’attualità e la grande saggezza di Barnaba, ebreo aperto, fiducioso nei valori del messaggio appreso da Gesù, ma pure dell’apporto che uomini provenienti da altre esperienze religiose e culturali potevano donare alla comunità nascente. L’apertura di Barnaba ha donato alla chiesa un apostolo della portata di Paolo!

L’episodio mi ha fatto pensare agli steccati, ai valli delle nostre parrocchie e dei nostri gruppi sempre timorosi dei possibili inserimenti ed apporti dei lontani, insicuri della forza dei propri valori e preoccupati dell’incontro e del confronto, elemento che non può che verificare, ripulire e rafforzare la propria proposta e il proprio messaggio.

La chiusura satura, avvizzisce l’aria della stanza, l’apertura invece rinnova, rinfresca e risana sempre e comunque a meno che uno non custodisca realtà fatue ed inconsistenti!

Pensieri guardando oltre il campo…

Ho sognato e tentato di far rassomigliare il don Vecchi ad un paese.
L’organizzazione della vita comunitaria, i servizi, l’amministrazione e perfino la toponomastica si rifanno alla tipologia di un piccolo borgo.

Un tempo ho perfino pensato di riferirmi ad essa chiamandola “la seniorcity di Mestre” una specie di “città dei ragazzi” diventati anziani, ma tutto sommato mi sono accorto che pur rimanendo una realtà a sé stante, risulta sempre come un qualcosa di artificiale, manca quell’amalgama di elementi che fanno di un gruppo di uomini e donne un qualcosa di composito e di complementare che faccia del gruppo una comunità vera che interagisce, opera, produce e vive una vita piena.

Perciò quando mi affaccio al mio terrazzino e guardo oltre il grande campo che separa dalle ultime propaggini della città, ho la sensazione che là cominci il mondo vero con le sue problematiche e m’accorgo di esserne separato quasi escluso, impotente ad intervenire partecipando ai consessi in cui si discute, si cerca e si decide.

Dalla mia riva, guardo, mi preoccupo, mi indigno, talvolta progetto e sogno ma avverto di non esserne più parte viva, con la possibilità di influenzare le soluzioni da prendere.

Sono i momenti in cui avverto più che mai un senso di impotenza ed in cui sento i limiti della vecchiaia, sento che il cuore va al di là della trincea, ma che la condizione e le forze non mi permettono di fare il balzo.

Ora ho tutto il tempo, forse troppo tempo per sognare come impostare affrontare il problema dei giovani, del mondo del lavoro, quello dell’informazione e di rodermi nel constatare che quella chiesa giovane, vivace, intraprendente che sogno è invece lenta, pigra, sonnacchiosa e rassegnata!

Di più e di meglio

Spero di averlo già confessato, ma come si sa certi “peccati”, nonostante il pentimento e la confessione, riemergono come macchie d’olio, dopo averle pulite. Comunque ribadisco che io scrivo la presentazione dell’editoriale e il “diario”, altri collaboratori i loro articoli, che sono diventate rubriche fisse, e il resto lo spigolo tra una miriade di riviste e giornali. Di mio c’è la scelta che si rifà ad una linea editoriale spesso denunciata; ma comunque non è farina né del mio sacco, né di quella del numero abbastanza ristretto di collaboratori.

Per fare questa scelta di argomenti ogni tanto, quando il mucchio di giornali è diventato tanto alto da correre il pericolo di rovesciarsi, sforbicio gli articoli e li inserisco nel mio archivio costruito in maniera assolutamente artigianale.

Qualcuno che non ha eccessiva stima nei miei riguardi, ha definito questo mio lavoro “una scopiazzatura” grossolana.

Io però non mi adombro, lo confesso e mi rassereno constatando che un numero costantemente in crescita, legge il periodico e non poco di frequente ci fa i complimenti.

Quando però impegno qualche oretta in questa operazione ho modo di constatare come in quella fungaia di periodici e riviste, che certamente non hanno una grossa tiratura, né fanno opinione al di fuori di una categoria devota e ristretta di lettori, vi sono pensieri, proposte, relazioni di attività quanto mai interessanti che meriterebbero di essere conosciute a livello nazionale, mentre invece nascono, vivono e muoiono all’interno di un piccolo mondo.

Tanti sforzi non producono quei frutti che meriterebbero d’essere colti. Non so se tutto questo sia causato dalla nostra insipienza, dal nostro campanilismo provinciale o a quella “logica della croce” per cui si vince perdendo!

Comunque sarebbe ora che i cattolici la smettessero una buona volta di lasciarsi immagare da “Repubblica” o dal “Corriere”; a casa loro hanno tanto di più e di meglio!

Accettare le nostre diversità

“Non è mai troppo tardi” era lo slogan con il quale venti-trenta anni fa si voleva incoraggiare gli anziani a partecipare a scuole serali per ottenere il titolo di quinta elementare o di terza media, titoli che si richiedevano per partecipare a concorsi banditi dagli enti pubblici.

Alla mia bella età, sto tentando anch’io di recuperare tanto tempo perduto e di imparare a “leggere” il libro della vita scritto nella ordinarietà degli incontri quotidiani.

Stamattina ho appreso una lezione interessante.
Stavo armeggiando per inserire in un piccolo espositore presso la porta del cimitero alcuni numeri de “L’incontro”, quando una signora, che aveva di certo superato la mezza età, mi salutò con particolare calore.

La guardai per capire da dove partisse questa confidenza. Ella capì al volo il mio interesse: “Lei mi ha sposato 44 anni fa”. In quel mentre giunse anche suo marito. I miei ricordi erano però assolutamente nebulosi, allora per uscire dall’empasse, soggiunsi scherzosamente: “Ho fatto un buon lavoro?”, al che ella rispose: “Nella vita non è difficile andare d’accordo, basta accettare le nostre diversità!”

Ci salutammo cordialmente certi che non sarà facile rincontrarci, se ci abbiamo messo 44 anni dopo l’incontro iniziale.

Durante la giornata però sono ritornato sulla sua affermazione che bisogna accettarsi diversi, e proseguendo nel pensiero ho concluso che la diversità non è un inghippo, un ostacolo nel vivere insieme, ma un arricchimento reciproco.
Tardi sono arrivato a questa conclusione!

Tornando però allo slogan per la scolarizzazione di chi ha imparato poco da piccolo, ho concluso, forse in maniera un po’ interessata: “Non è mai troppo tardi!”