La macchina nuova

Per motivi di salute i medici mi hanno sconsigliato sia il motorino che la bicicletta. Ora faccio il signore, usando per i miei spostamenti, don Vecchi-cimitero-don Vecchi-ospedale e don Vecchi-Marghera, la mia Fiat Uno regalatami da suor Teresa.

Mi è costato molto separarmi dal mio primo amore, la cinquecento bianca che mi costringeva, ogni giorno, a certe contorsioni per entrarvi tanto che da molti anni mi sono dispensato dalla ginnastica suggeritami dal medico.
Ora è in vista un secondo divorzio.

La gente che mi sta vicino, ha fatto una tale propaganda che l’auto è vecchia, senza confort, col fondo che sta bucandosi per la ruggine, che un anziano coinquilino dal cuore generoso, ha deciso di donarmi una Fiat Punto in ottimo stato.

Il dono è coinciso con le mie nozze di diamante: 55 anni di sacerdozio.

Sono felice del gesto, la gente del don Vecchi è fin troppo cara con me!

Anche se l’automobile m’è stata regalata da un vecchio lupo di mare, un po’ solitario e riservato, ma di una calda e generosa umanità, lo considero un dono di tutti perché sono certo che se tutti potessero permettersi di farlo, lo farebbero volentieri.

Al don Vecchi sono fin troppo ricambiato del mio servizio perché avverto tanta tenerezza e tanto affetto, nonostante io sia tanto riservato, spesso rinchiuso nel mio romitaggio per mandare messaggi di solidarietà alla città che tanto amo e a cui ho donato i tempi migliori della mia vita.

Spero che la nuova “consorte” che veste di bianco, si adegui, come la vecchia, alle mie disattenzioni e al mio modo un po’ strano di tenere la briglia.

La mia Fiat Uno di colore rosso era come “la cavallina storna” che conosceva la strada e andava e veniva indipendentemente dai miei comandi.

Spero che anche la nuova auto, seppur più giovane e vezzosa, si abitui alla mano di questo ottantenne che non intende far preferenze per alcuno.

Come nacque l’idea della chiesa prefabbricata…

La gran parte della posta che ricevo è fatta di circolari; d’altronde la burocrazia della Curia, del Comune e dello Stato nelle sue varie articolazioni, che cosa può fare se non produrre circolari?

In genere dedico uno sguardo sommario e poi, con gesto facile ed immediato, le deposito sul cestino di plastica assai capiente che mi sta sempre a portata di mano.

Talvolta mi arrivano delle lettere che apro con curiosità e talvolta con preoccupazione.

I pensieri che ogni settimana affido a “L’incontro” vanno a finire in ogni dove e suscitano le reazioni più disparate; avvertendo che le mie parole talvolta assomigliano ad una spada affilata, sono pochi i concittadini e non, che s’arrischiano di incrociare le spade. Spesso di tratta di lettere fin troppo buone.

Stamattina ne ho aperta una che aveva un indirizzo con caratteri ordinati e rotondi, tanto che sembrava scritta più da un uomo che da una donna.

Una signora di Mestre, che frequenta Porto Santa Margherita di Carole, mi informava che, avendo la parrocchia costruito una chiesa nuova, rimaneva libero un prefabbricato capiente che poteva andar bene per la chiesa del cimitero. Io non avrei alcuna difficoltà, anche perché sono legato sentimentalmente a quella chiesa di legno.

Il mio vecchio padre, ogni volta che passavamo da quelle parti, con orgoglio, mi ripeteva: “Vedi, Armando, quella chiesa l’ho costruita io!”

Ho fatto tre fotocopie e le ho mandate, per competenza a Mognato, alla Fincato e a Razzini, prosindaco, lavori pubblici e Vesta Veritas.
E’ stata una birbonata la mia!

Però, in verità, sarei felice di celebrare nella chiesa povera di mio padre, anche se so che Venezia, per la gloria del suo passato, non può permettersi simile libertà.

Avevo fatto il proposito di non tornare più su questo argomento, però purtroppo ho ceduto ad una tentazione che m’assale cento volte al giorno!

Una buona partenza

La mia sveglia suona, imperterrita d’estate e d’inverno, alle ore 5,30, perché sono ancora convinto che “il mattino ha l’oro in bocca!”

Il primo pensiero, anche se interessato, lo dedico al buon Dio: “Signore aiutami”. Tanta gente incontrandomi mi dice che mi trova in ottima forma, che sono inossidabile, però io, non soltanto so, ma anche sento tutti i miei ottant’anni; non uno di meno.

A ottant’anni tutto diventa più faticoso e più lento.
Così comincia la mia giornata.

Per temperamento sono abbastanza abitudinario e perciò ogni mattina seguo un procedimento di operazioni quasi fossero dipendenti una dall’altra e debba conservare scrupolosamente la sequenza.

Apro la finestra della camera da letto, dello studiolo e dell’ingresso che fa anche da cucina, soggiorno e sala da pranzo.

Aprendo la portafinestra che s’affaccia nel poggiolo, mi pare che il Signore mi risponda con una carezza: m’investe un dolcissimo profumo di gelsomino che in questo tempo è tutto in fiore. Il linguaggio di Dio che preferisco di più è quello della bellezza, della poesia. Al mattino il Signore mi fa quasi sempre il discorso più caro e convincente della giornata: il profumo del gelsomino, la bellezza di due vaschette di petunie viola, intercalate da piante dai fiori bianchi e sorridenti, poi il grande campo con ai bordi le ultime propaggini della città. Talvolta mi sorride da lontano la catena del Grappa.

Mi pare che il Creatore mi dia un forte abbraccio, che rincuora la mia vecchiaia e mi avvia alla giornata dandomi la sensazione di una buona partenza. Così ogni giorno d’estate e d’inverno; i colori, le atmosfere cambiano ma fortunatamente il discorso del Signore sussiste!

C’è crisi!

Mio fratello, don Roberto, è un prete nel fulgore delle sue risorse e siccome è un prete vero, è molto impegnato nel far crescere i suoi fedeli a livello di un cristianesimo reale e non di facciata! Perciò le sue prediche e i suoi interventi, normalmente non accarezzano le nubi di un cielo tutto azzurro, ma si calano là dove si muovono le problematiche vere della vita.

Il Signore poi ha dotato, questo mio fratello, di un linguaggio concreto, mordente per cui pare prenda per il bavero la gente e la metta con le spalle al muro e anche quando scrive, ha uno stile immediato, con battute brevi, tanto che le sue frasi sembrano sciabolate rapide ed efficaci o talvolta usa fendenti micidiali che lasciano senza fiato chi lo ascolta con attenzione.

Non so invece come la gente, e nel suo caso i fedeli, che come la maggior parte dei cristiani d’oggi s’intruppano e pensano con i luoghi comuni e vestono pure il pensiero alla moda, reagiscono ad un parlare e ad uno scrivere che mette a nudo incongruenze, banalità e comportamenti fatui e pretestuosi.

Ho letto, qualche settimana fa, un breve trafiletto di don Roberto sulla crisi vera o presunta, in occasione del fatto d’aver dovuto celebrare per gli scout che avevano passato una giornata nella pineta di Jesolo.

File impossibili di auto, ristoranti con la fila, le spiagge veri formicai. E la crisi?

Taluni si meravigliano perché i cristiani accettano i misteri; per me la crisi come tanti altri fenomeni della vita moderna, sono misteri più inestricabili di quelli religiosi.

L’altro mio fratello, il falegname, mi diceva, qualche giorno fa, che se in questo momento tutti gli extracomunitari se ne tornassero a casa l’edilizia, l’agricoltura e tante altre attività più faticose e meno retribuite, andrebbero in crisi assoluta!

Ho paura che uno dei tanti difetti di questo mondo sia quello che non siamo onesti, ciò vale per i politici, i sindacalisti, i lavoratori e i preti.

C’è crisi!

Viviamo allora più sobriamente, facciamo vacanza nel parco della città, rinunciamo a spese superflue; questo vale per l’ultimo manovale, ma vale pure per il capo di qualsiasi realtà di cui è fatto il nostro Paese!

Una riunione di condominio costruttiva

In questi giorni abbiamo fatto, al don Vecchi, la riunione di condominio, riunione in cui l’amministratore ha presentato il bilancio e in cui si sono discusse le varie questioni riguardanti “la vita condominiale”.

Ricordo che da parroco prestavo le sale del patronato per suddette riunioni per le quali, quasi sempre, si facevano le ore piccole, e spesso si terminava con gran baruffe.

Da noi le cose sono molto più veloci e soprattutto molto più civili, ma non mancano anche da noi le difficoltà. Alcuni residenti hanno pensioni così risicate motivo per cui anche un modesto conguaglio crea problemi, altri sono così attaccati ai soldi (questa è una tipica tentazioni da vecchi), motivo per cui tutto sembra tanto anche se infinitamente inferiore di quanto pagherebbero in qualsiasi altro alloggio. Altri inquilini sono talmente pressati dalle richieste dei figli tanto che sono sempre a corto di soldi. Purtroppo a questo mondo non mancano mai problemi, difficoltà ed incomprensioni, anche nelle migliori famiglie.

In questa occasione mi sono ricordato che un giorno fui fermato da un vigile perché aveva constatato che ero passato per il centro del Paese ad una velocità superiore al consentito. Suddetto vigile mi fermò e mi disse: “Reverendo ho un problema di convenienza su cui vorrei sentire il suo parere. Dovrei secondo lei, multare o no, un autista che ha infranto la legge correndo troppo veloce?”
Evidentemente si riferiva a me.

Io chiesi perciò all’assemblea degli anziani: “Datemi un parere, ci sono cento anziani che mi chiedono di aiutarli per avere un alloggio a prezzi accessibili per le loro magre finanze. Secondo voi è opportuno che suddetti alloggi, a condizioni estremamente favorevoli li dia solamente a cinquanta lasciando a bocca asciutta gli altri cinquanta, o è più giusto che aiuti tutti i cento però ponendo una pigione superiore di quanto potrei fare aiutandone solo cinquanta?”

Dapprima parve che non capissero o peggio che non volessero capire! Conclusi: “Ricordatevi che voi appartenete ai cinquanta super aiutati, mentre gli altri cinquanta che rimangono sono fuori che aspettano!”

Spero che il discorsetto abbia posto un paletto al peccato di egoismo da cui non vanno esenti neppure gli anziani del don Vecchi!

Una vita che non è vita

In questi giorni ho incontrato nella Sacra Scrittura una provocazione che mi ha fatto riflettere a lungo.
“Dice il Signore: ti ho messo di fronte il bene e il male, la vita e la morte perché tu faccia la tua scelta”

Altre volte avevo letto questo passo, ma mai mi era venuto in mente che il Signore equiparasse il bene alla vita e il male alla morte!

Questa affermazione fa veramente pensare e ti pone un problema importante, anzi essenziale: “Cos’è la vita e cos’è la morte!”

Finora avevo letto questi termini in un’ottica totalmente diversa: vivere è respirare, pensare, muoversi, mangiare, amare, sorridere. Morte invece: immobilità, disfacimento, corruzione, mistero assoluto!

Certamente anche questa è un’eccezione al problema, ma visto da una angolatura meramente temporale, semmai è un avvertimento a non perdere il tempo utile per vivere e per guadagnarsi la salvezza, quindi si è messi di fronte alla verità che c’è, prima o poi, un momento del non ritorno!

Riflettendo però più accuratamente sull’ammonizione biblica, mi pare che Dio mi avverta che c’è una vita che in realtà e non è vita, cioè morte!

Non amare, non cercare la verità, non donare pace, non perseguire veramente la felicità materiale, non essere rispettosi della legge naturale, non vivere in maniera solidale, non fruire del dono della libertà, non essere autentici, non impegnare le nostre risorse interiori per costruire un mondo migliore, non rispettare la natura, pare che Dio dica: questo è un modo per non vivere, o per vivere una vita talmente rinsecchita e fatua per cui ciò equivale a morte.

Ho pensato a lungo ed ho concluso che Dio ha ragione. Ho letto che in America i condannati a morte vengono chiamati: “morti che camminano”! Credo che nella nostra società siano ormai molti gli uomini che praticamente non “vivono” più!

Partiti cattolici

Le vicende del nostro Paese mi interessano; eccome! Spesso però non riesco a comprendere le scelte politiche, le motivazioni di questa strana guerra di parole che spesso si combatte con veemenza oratoria.

Franceschini che dichiara solennemente che non ha paura, Berlusconi che irride e sfotte, Casini perennemente preoccupato delle sorti della famiglia!

Ho seguito con curiosità ed interesse le vicende del ballottaggio per le elezioni della provincia, una realtà che dicono abbia poco spazio operativo e che soprattutto sia destinata ad essere eliminata tra poco.

Da quanto ho potuto apprendere sembrava che l’esito potesse essere determinato dalla scelta di campo di Casini e del suo partito rappresentato localmente dall’avvocato Ugo Bergamo, già sindaco di Venezia.

La vicenda delle trattative, vi confesso che non mi ha proprio edificato, anche perché mi pare che il partito di Casini sia l’unico che dichiara apertamente di rifarsi ai valori cristiani. Avrei approvato e condiviso la scelta di questo movimento se avesse detto: “Voteremo per il Centrosinistra ogni volta che ci parrà che suddetto schieramento faccia una scelta giusta o per il Centrodestra quando invece sarà esso a proporre una soluzione migliore”.

Nei giorni tormentati che hanno preceduto il ballottaggio i quotidiani locali non hanno fatto altro che parlare del tiramolla perché il partito di Casini voleva due assessori e al Popolo della Libertà pareva un prezzo troppo alto. Che dei cristiani facciano delle scelte ideali lasciandosi determinare solamente dai vantaggi politici (che in fondo si riducono a stipendi) non mi pare proprio un bell’esempio di coerenza. Perfino la Banca Cattolica ha rinunciato a questo aggettivo nobile, non sarebbe ora, se si scelgono questi comportamenti, di lasciar perdere valori e principi ed anche oggetti che si rifanno alla fede?

Una lettera deludente!

Qualche giorno fa mi ha incuriosito un titolo in grossi caratteri apparso su “Avvenire”: “Lettera ai cercatori di Dio”

La presentazione è del Vescovo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e di Vasto, ed è in verità una bella presentazione.

Questo Vescovo è un noto biblista; io l’avevo conosciuto indirettamente ascoltando alcune sue lezioni che avevo scelto di trasmettere a Radiocarpini, quando ne ero direttore.

Forse la buona opinione che già avevo di questo prete e pure la presentazione mi ha alquanto incuriosito.

Questo Vescovo affermava che l’uomo ha un bisogno esistenziale di Dio e che comunque, credente o meno, lo cerca mediante la sua sete insopprimibile di felicità.

Oggi, a suo parere, c’è il riflusso di quel tempo, non molto lontano, in cui riecheggiava per ogni dove il verbo del noto filosofo tedesco morto di pazzia: “Dio è morte!” Infatti sta rinascendo, consciamente o meno, la richiesta di Dio.

Il Vescovo afferma, giustamente, che finalmente, s’avverte questa nostalgia di Dio.

Mons. Forte continua scrivendo che la risposta a questo bisogno d’assoluto che gli uomini d’oggi cercano seguendo il bisogno di felicità e di bellezza, deve passare attraverso il cuore e la testimonianza di una chiesa amica. La notizia del periodico fece vibrare le corde più intime del mio cuore: “Finalmente uomini di chiesa buttano ponti e s’aprono al dialogo col nostro mondo sempre più secolarizzato!

La presentazione avvertiva che suddetta “Lettera” era contenuta interamente in un inserto del periodico.

Incuriosito, sono andato subito a cercarla. La delusione è stata immediata: otto pagine, fitte fitte, di luoghi comuni e di espressioni soporifere appartenenti al consueto repertorio chiesastico.

Oggi si confessa poco e meno ancora si danno penitenze impegnative, ma suddetta lettera potrebbe andar bene per una penitenza ad un grosso peccatore!

Una pizza appartenente alla peggior tradizione ecclesiastica, non c’è un guizzo di poesia, una traccia di bello scrivere, un qualcosa di stuzzicante.

Basta poi consultare le fonti per renderci conto che purtroppo quella strada è un binario morto.

Pare che questa gente non conosca nulla dell’uomo d’oggi, non abbia letto una pagina delle opere dei pensatori del nostro tempo. E continuino a scrivere per gli addetti ai lavori che s’intendono solamente tra di loro usando un linguaggio da ghetto.

Il guaio peggiore è che questo scritto ha avuto l’avvallo della commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio della catechesi. Poveri noi!

Il Vescovo in pensione di Acerra, Mons. Riboldi mi confidò, tanto tempo fa, che faceva la visita pastorale incontrando i fedeli della diocesi in osteria. Credo dovremmo consigliarlo anche a suddetta commissione qualora avesse intenzione di dar seguito a questa “Lettera”!

Cristo è presente nelle nostre città

Anche quest’anno, in occasione della festa del Corpus Domini, che per me è la celebrazione dell’umanità di Cristo e, in senso più largo, dell’umanesimo cristiano, ho approfondito ulteriormente la verità di dove e come scoprire, oggi, il volto e l’umanità di Cristo.

Questa riflessione, per un certo lato, mi ha fatto intravedere delle verità inebrianti e da un altro lato ha ulteriormente messo in crisi una visione religiosa ritualistica, spesso avulsa dalle problematiche vere della vita.

Fino a non molti anni fa il mio animo era pervaso di ricordi dolci, pieni di nostalgia e di sentimento. Mi rifacevo alla processione, di primo mattino, per le vie del mio Paese nativo, con i bambini che spargevano petali di rosa ove sarebbe passato il Sacramento sotto il baldacchino portato da cappati. Univo il mistero dell’Eucarestia, quando da chierichetto suonavo il campanello mentre il parroco, quasi ansimando, pronunciava la formula della consacrazione: “Hoc est corpus meum!” e la gente che spesso si lasciava andare a qualche chiacchiera, durante la celebrazione, faceva finalmente silenzio. A quel tempo era verità unica ed assoluta che Cristo si rimpiccioliva nell’ostia bianca e nel vino genuino del calice.

Ora questa immagine è ancora presente nel mio cuore, ma la mia testa rincorre le altre affermazioni di Gesù: “Avevo fame, avevo sete, ero ignudo, ammalato, in carcere, senza tetto e tu?” oppure più serenamente, ma altrettanto decisamente il mio animo va al Cristo che sorride, accarezza, ama, s’arrabbia e chiama Erode, piange sulla sua città, oggi espresso dalla passione dal coraggio e dalla solidarietà di uomini e donne meravigliose che continuano a dare un volto vivo e pieno di fascino al Figlio di Dio.

Quando assumo il Pane consacrato, sento di abbracciare in maniera appassionata questo Cristo vivente presente nel volto e nelle azioni degli uomini migliori, discepoli autentici di questo Gesù che vive in Piazza, in fabbrica, allo stadio, nei supermercati o nelle periferie anonime della nostra città.

Spero che questa sintesi teologica non mi porti fuori dal cuore del popolo di Dio, ma è l’unica in cui riesca a credere e a dare pregnanza alla mia vita.

Gli operai del Regno

Penso che succeda a tutti di ricordare, tra i mille discorsi che ascoltiamo durante la vita, qualcuno in particolare.
Almeno a me succede così!

Molti anni fa sentii un prete serio, con una buona esperienza pastorale alle spalle, ma soprattutto convinto quanto mai delle sue scelte, affermare: “I cristiani si conoscono e si contano alla balaustra!”

A quel tempo c’era normalmente nelle chiese una balaustra di marmo o in gesso lavorato, che separava il presbiterio, (il luogo in cui c’era l’altare ed operava il sacerdote) dall’aula della chiesa. Per moltissimi anni fui convinto che quel prete avesse ragione. Da ciò nacque il mio impegno a far sì che la gente venisse a messa, si confessasse e si comunicasse, perchè credevo, come quel prete, che per queste scelte e per questo comportamento si distinguessero i veri cristiani. Ora però, da qualche anno, non ne sono più tanto sicuro, anzi più passa il tempo e più mi convinco che sia un’affermazione sbagliata ed anche pericolosa.

Per me, almeno ora, la religiosità non può e non deve ridursi ad una serie di pratiche o di gesti di culto. La fede deve essere il respiro della vita. Se un fedele facesse la comunione due volte al giorno, dicesse le lodi ed il vespero, aggiungendovi pure un paio di rosari, ma non si facesse carico della gente senza un letto in cui riposare la notte, se non avvertisse il problema degli extracomunitari senza permesso di soggiorno, se non combattesse lo spreco, se fosse preoccupato solamente delle proprie vacanze e del proprio benessere, se non sentisse il dramma della solitudine e dell’abbandono contro le ingiustizie, gli imbrogli, l’inerzia e la prepotenza, mi viene da chiedermi: “Ma come può chiamarsi cristiano, discepolo di Gesù costui?” abbia fatto pure i voti di povertà, obbedienza e castità, sia pur stato ordinato prete o diacono, ma se non sente la sofferenza del povero, non si spende per il pagano, come può costui illudersi di essere discepolo di quel Gesù che disse: “Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il figlio dell’uomo non ha neppure una pietra su cui posare il capo!”.

Più ci penso e più mi convinco che il cristiano non è tale perché possiede il certificato di cresima ma solamente se è un operaio del Regno!

Voglio far rifiorire il deserto!

Al don Vecchi non si è mai fatta una gara a premi, come avviene, per motivi turistici, in qualche cittadina delle nostre Alpi e come mi pare che talvolta si sia fatto anche in qualche sestiere di Venezia.

Ormai è tardi, ma se campo ancora un poco, vorrei bandire per il prossimo anno un concorso per il pergolo più fiorito tra gli abitanti del nostro borgo, che conta ben 194 abitazioni con relativi poggioli.

Ogni tanto percorro la circonvallazione esterna del don Vecchi; ora butto un occhio sulle “pietre del cuore” che lastricano la viuzza della larghezza di due metri e dico un’Ave Maria per tutti coloro che hanno contribuito alla costruzione della nostra casa ed hanno lasciato il loro nome inciso ad Impruneta sul cotto con cui è lastricato questo chilometro di circonvallazione.

Ora giro gli occhi per godere della schiera multicolore degli oleandri in fiore. Ora mi fermo di fronte ai due possenti olivi pluricentenari che si sono adattati meravigliosamente al nostro parco e vivono felici, vecchi tra vecchi. Ora accarezzo con lo sguardo il campo sempre rasato a dovere da parte di Gregory, o spingo lo sguardo alla possente barriera di carpini che ondeggiano dolcemente anche alla brezza più lieve.

Talvolta mi soffermo a coniugare i terrazzini con i residenti negli appartamenti relativi.

Vi sono alcune verande che sono un tripudio di colori, altre un coktail di piante diverse, altre ancora solamente cemento. Guardando i fiori dai terrazzi incornicio la vita e la sensibilità dei vari residenti: poesia, sentimento, disinteresse o aridità umana!

Pare che ci sia poco da fare per educare al bello vecchie vite condizionate in maniera irrimediabile dal passato non sempre bello!

Se Dio mi darà vita, il prossimo anno, tenterò anche la carta del concorso a premi per il balcone fiorito più bello, sperando che la trovata faccia fiorire il deserto!

Guai cimiteriali

Qualche tempo fa ho incontrato, casualmente in cimitero, l’ingegnere Marchini, responsabile tecnico della Vesta per quanto riguarda gli undici cimiteri del Comune di Venezia.

La denuncia del degrado fatta da uno dei membri del Centro studi storici per Mestre e la maretta nata in occasione delle ormai note vicende circa la nuova chiesa, con l’aggiunta del tormentone infinito del piazzale antistante al camposanto, probabilmente l’ha costretto a scendere in campo per dare un’occhiata a come stanno le cose.

Ha convenuto, onestamente, che il tutto non è proprio in ordine.

Basta un venticello un po’ più gagliardo del solito, perché i fiori di plastica si spargano in ogni dove, l’erba dei prati verdi, che da un pezzo sono marrone, perché l’impianto di irrigazione, non so se ci sia, ma comunque non funziona, le esumazioni a scacchi portano polvere e fango per le strade interne, l’asfaltatura è ormai un ricordo, le begoniette di arredamento sono state da poco piantate, ma mai nessuno le ha innaffiate e perciò sono morte o rubate perché non ci sono più custodi, il porticato storico che affianca i lati della chiesa pur essendo stato restaurato da pochi anni, è chiuso da un nastro di plastica con l’avvertimento di non avvicinarsi perché pericoloso, le sedie per le celebrazioni domenicali sono sparse un po’ ovunque. Gli operai, una ventina, che mi sembrano bravi ragazzi, dicono che non ce la fanno perché devono badare a più cimiteri (Dese, Marghera, Chirignago, Zelarino ecc.).

Certo se si confronta il nostro cimitero con quelli dell’Alto Adige, accoccolati attorno alla chiesa, il divario è abissale, ma anche se il confronto avviene con Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Mogliano e quelli dei paesetti vicini, le cose stanno ben diversamente.

Io non sono in grado di dar suggerimenti, ma mi pare che anche in questo settore che, dovrebbe essere indici della civiltà della nostra gente, siamo gli ultimi della classe.

Talvolta penso che sia la gloria del passato che pesa troppo sulle spalle della nostra città!

Sulla Chiesa del cimitero e le giuste scelte di vita

Nota: don Armando ha scritto queste riflessioni prima che l’amministrazione comunale e la Curia raggiungessero l’accordo per realizzare nel cimitero di Mestre una chiesa prefabbricata compresa di banchi, altare, impianti tecnologici e climatizzazione. Il nuovo edificio in legno lamellare e ampio 20x15m (300mq) sarà inaugurato in occasione delle celebrazioni di “Tutti i Santi” e dei Defunti di quest’anno. Altre informazioni sul Gazzettino di Venezia:

http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=703902&Data=20090728&CodSigla=VE

Da quando ho scritto alla Vesta, al Comune, al Patriarca e all’architetto Caprioglio che getto la spugna per quanto riguarda la nuova chiesa del cimitero, mi sento sollevato come se mi fossi tolto un grosso macigno dallo stomaco.

L’idea che un gruppo di cristiani, desiderosi di seppellire in un luogo sacro i resti dei loro cari e di poterli ricordare in un luogo in cui si prega e s’avverte più intensa la presenza del Signore, mi faceva felice, e il fatto che avessero così finanziato la costruzione della chiesa e contemporaneamente una sala in cui i fratelli non credenti avessero potuto accomiatarsi dai loro cari in un luogo dignitoso, mi esaltava letteralmente.

Al Comune e alla Vesta non si chiedeva un centesimo, ma solamente che avessero favorito mediante la loro organizzazione questa operazione; nessuno avrebbe potuto dir nulla: né i politici di ogni sponda, né cristiani o preti di ogni convincimento perché un gruppo di credenti, spontaneamente e liberamente, si sarebbe fatto carico di tutto!

Era troppo bello. Il diavolo quindi ci ha messo la coda: presentando un conto di 5 milioni di euro.

Tutto questo m’era assolutamente insopportabile e contrario alle mie scelte di vita. Ho celebrato per quarant’anni ogni giorno nella piccola cappella, buia, poco arieggiata, fredda d’inverno e calda d’estate, la gente è sempre venuta, riempiendola e partecipando all’esterno.

Spero che il Signore mi aiuti a farlo ancora per quel poco di tempo che mi resta.

Ora dormo in pace perché continuo a vivere povero come sono sempre vissuto!

I miei due “uomini della Provvidenza”

Parlare di uomini della Provvidenza è certamente pericoloso, dati i nefasti precedenti storici. Ma non è sempre così, specie quando uno non parla a suo vantaggio, ma l’adopera a favore di qualche altro.

Io veramente non sono mai stato troppo preoccupato di questi luoghi comuni messi in circolazione o dalla stupidità di chi li ha affermati per autoincensarsi o dagli avversari per demonizzare chi li aveva contrastati.

Gli uomini, che la Provvidenza ha avuto la generosità di farmi conoscere e di affiancarli ai miei progetti, sono persone per bene senza grilli in testa e soprattutto disposti a servire i fratelli con tanta generosità e spirito di sacrificio.

Al don Vecchi di Marghera, il buon Dio mi ha donato non uno, ma due “uomini della Provvidenza!”

Come tali li ho ricevuti dalle mani del Signore ed ogni giorno di più li considero una grazia. In spirito di umiltà e di servizio hanno iniziato la loro missione di condurre avanti la comunità di una settantina di anziani, provenienti da ogni dove, per farne diventare una realtà di amici e fratelli.

A scrivere tutto ciò è facile, ma a realizzare un progetto con gente dalle esperienze, cultura e vicende tanto diverse non è proprio così semplice.

Qualche giorno fa, avvertendo la mia preoccupazione per Campalto, perchè è molto più facile trovare chi costruisce i muri piuttosto che le comunità, questi “uomini della Provvidenza”, con spirito evangelico mi hanno proposto: “Aiutiamo qualcuno a formarsi a Marghera e noi ci spostiamo a Campalto quando sarà pronto!”

Sono rimasto veramente folgorato dalla proposta. Ed io, povero vecchio, da mesi mi sono lambiccato il cervello per trovare una soluzione!

Lino e Stefano hanno dimostrato che una forma di autogestione guidata è la conduzione ideale del don Vecchi!

A Campalto sarà così e anche a Carpenedo pian piano imboccheremo la strada ormai aperta e collaudata!

“Peritis in arte credendum”

Presso la gente che frequento non ho riscontrato una grande considerazione per il direttore della Ulss 12 di Mestre, il dottor Antonio Padovan.

Dicono che è di destra, e per qualcuno, che si attarda su vecchi schemi politici ormai sepolti da un pezzo, la “destra” rappresenta la reazione, il male, i padroni, la conservazione, mentre la “sinistra” pare che debba rappresentare “il sole dell’avvenire” i poveri, la difesa degli operai… in una parola il bene!

Io non conosco bene questo signore, anche se ho avuto modo di parlare più di una volta con lui. Di certo è di poche parole, molto sbrigativo. A mio parere è un timido, ed io ne so qualcosa di questa caratteristica!

Quando però questo signore mi mostra il biglietto da visita coll’immagine dell’ospedale di Mestre, mi levo tanto di cappello e tutte le critiche altrui scompaiono come per un colpo di spugna.

Qualche giorno fa, di primo mattino, quando faccio per conto mio la rassegna stampa a mio uso e consumo, sono stato colpito dal titoletto. “La lettera” e quindi dal titolo quanto mai stuzzicante, “I pazienti impazienti”.

Lessi tutto l’articolo anche se conteneva un rimando a pagina IX cosa che solitamente non gradisco fare.

Le argomentazioni del direttore della Ulss erano quanto mai logiche e stringenti, e valide le conclusioni in cui si denunciavano le conseguenze pesanti a livello economico e gestionale.

Viviamo ormai in un mondo di sapientoni in cui ognuno vuol dire la sua e quanto più e stupido tanto più vorrebbe pretendere dagli esperti del mestiere di adeguarsi alle sue attese, altrimenti si ricorre all’avvocato o fa causa.

Già venti secoli fa a Roma s’era giunti a questa conclusione “Peritis in arte credendum” bisogna prestar fiducia agli esperti del settore!

Di certo questo non è un principio assoluto, ma un po’ di maggior umiltà, pazienza, fiducia e moderazione, non farebbe male.

Una lettura frettolosa di una pagina di internet o della Treccani non possono sostituire anni ed anni di studio e di ricerca!