“Parce sepulto” ovverossia “Rispetto comunque per i morti”

Non so proprio se sono stato fortunato o sfortunato.
Mi avevano chiesto di celebrare il commiato di un fratello, che in un momento di solitudine e di sconforto aveva messo fine alla sua vita.

Il commiato poi si svolgeva in una cornice particolarmente fosca, perché i giornali erano ritornati tante volte su una vicenda estremamente complicata ed amara. Come si sa la cronaca nera risponde sempre ad una morbosità dell’opinione pubblica che pare sia particolarmente attratta dal macabro.

Io avevo appena letto i titoli, non m’ero fatto un’idea seppur sommaria di ciò che era avvenuto e comunque anche se avessi tentato di capirci qualcosa non ci sarei riuscito. Vedo come sono trattate queste cose nei tribunali; dopo mesi di sedute la giuria rimane ore ed ore in camera di consiglio per decisioni sofferte che credo abbiano sempre dei grossi margini di dubbio.

Nell’attesa del rito funebre ero non solo turbato, ma estremamente preoccupato per non dire una parola in più o in meno che fosse stonata o non opportuna.

Per grazia di Dio arrivò un sacerdote, che pur lui non conosceva il defunto, ma che aveva qualche elemento in più di quanto io avessi.

Io partecipai perciò con gli altri fedeli in rigoroso silenzio e con grande pietà verso tutti i presenti che erano coinvolti dal dramma.

Dalle parole del celebrante ne è emersa una figura bella e quanto mai positiva, tanto che ne rimasi sollevato nello spirito.

Sennonché mentre la gente usciva di chiesa, una persona, che credo informata mi disse che la chiesa era piena di cocainomani e di spacciatori.

Io rimango del parere dei romani che affermano “Parce sepulto” “Rispetto comunque per i morti”, ma non penso che suggerissero neppure esaltazioni, di drammi gravi e di conclusioni infelici.

La salvezza è possibile, oggi e per tutti!

Con la fine dell’anno liturgico 2008-2009 e l’inizio dell’anno nuovo, cominciato con la prima domenica d’avvento il vangelo è ritornato più volte a descrivere con pennellate vigorose e a tinte forti il franare del vecchio mondo in cui viviamo, e a indicare l’orizzonte in cui stanno nascendo i tempi nuovi.

Quest’anno ho vissuto con particolare partecipazione ed emozione interiore questo tramonto burrascoso di un mondo che non sta più in piedi, che frana da tutte le parti perché marcio e corrotto e con particolare attesa ho ascoltato l’annuncio del sole nuovo che sta apparendo lentamente all’orizzonte della storia della vita.

Tante volte il mio animo è andato alla splendida ouverture del Guglielmo Tell del Rossini.

Prima il frastuono dei tuoni, della tempesta e dei guizzi lividi dei lampi che fendono il cielo buio, e poi pian piano dopo il furore della tempesta le dolcissime e tenui note della pastorale, che via via si fa, più forte e più sicura e riempie di sé il cielo e la terra. Su questa scena, quest’anno s’è stagliata per me più nitida l’affermazione luminosa e rasserenante che “ogni uomo vedrà la salvezza!”

Nel passato avevo sempre pensato alla salvezza come un qualcosa che si sarebbe realizzata dopo la morte, l’uomo non sarebbe stato travolto dal naufragio di un mondo che aveva voltato le spalle al suo Creatore, ma avrebbe trovato un approdo nella Terra promessa.

Quest’anno invece, non so proprio per quale mistero o per quale grazia, mi pare d’aver compreso che la salvezza promessa da Cristo non si deve collocare solamente sulla vita futura, ma anche e soprattutto su quella presente.

Non posso quindi sfuggire alle mie responsabilità circa la storia del mondo, debbo impegnarmi ora, subito perché gli uomini non continuino a scivolare nella china del disordine, per una vita nuova e più nobile.

Il cristiano non può essere più un latitante che fugge nel dopo, ma un militante per realizzare la promessa di Cristo che “la salvezza” ossia la liberazione dal male è possibile oggi e per tutti!

Una chiesa amata perché semplice

I fedeli mi hanno chiesto di rinforzare gli altoparlanti esterni alla nuova chiesa perché, nonostante essa offra posti a sedere di più di quelli esistenti nella vecchia cappella dell’ottocento, ci sono ancora fedeli che sono costretti a partecipare alla Messa stando fuori della chiesa.

Ho ordinato altre 30 sedie e credo poi che con un po’ di buona volontà si possa trovare ancora qualche spazio all’interno, comunque sono molto contento nel costatare che non ho sbagliato a chiedere al Comune una struttura di cui la Comunità cittadina aveva vero bisogno.

Sono poi ancora più contento che la gente gradisca quanto mai il nuovo luogo di culto.

I fedeli non cessano di farmi complimenti, pensando che la risposta della civica amministrazione sia stata determinata dalla mia insistenza, e soprattutto si dice contenta della struttura che giudica quanto mai bella e adatta agli incontri di preghiera.

E’ vero che la nuova chiesa offre un clima di molta intimità; si determina subito nella assemblea un clima accogliente, familiare, infatti la gente risponde, canta, partecipa ai sacri misteri; forse non è distratta dalla maestosità del tempio, motivo per cui il dialogo con Dio e con i fratelli diviene immediatamente l’elemento focale dell’incontro religioso.

Di frequente mi viene da pensare alla definizione con cui il vescovo di Barletta, don Antonino Bello, parla della comunità cristiana del nostro tempo come “La chiesa in grembiule”, come chiesa dimessa, povera rispondente al sogno e alle attese dei cristiani semplici ed evangelici.

Forse è per questo che i mestrini dimostrano ogni giorno di più il loro gradimento per la chiesa prefabbricata del cimitero, sentono l’esigenza che non solo la chiesa dei cuori non abbia nulla di maestoso ed incombente, e perciò s’aspettano che anche l’abito che indossa sia consono ad un popolo di Dio umile ed autentico.

La fede è fede, non dubbio!

Spesso ha fatto capolino nel mio spirito una reazione un po’ scanzonata e scettica di fronte ad una frase quanto mai allettante di Cristo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò ristoro”.

“Caro Gesù ora ti piglio in parola:”, snocciolandogli poi una serie di problemi che mi pesano alquanto e da tanto tempo, dai quali non so proprio come liberarmene.

Poi piano piano sono rientrato in me stesso, accorgendomi che finché andrò a chiedere aiuto a Cristo con un grado di scetticismo e di incredulità non posso pretendere di avere una risposta positiva.

Mi sono ricordato prima di Trilussa che afferma “La fede è bella senza i ma, i chissà e i perché”.
La fede è fede non dubbio, e Cristo chiede questo tipo di fede.

La coscienza quindi ha rincarato la dose, ricordandomi sant’Agostino il quale afferma usando un bisticcio di parole latine, “mali-male-mala”, che quando non otteniamo è perché o siamo “mali” cattivi, o perché non crediamo bene “male”, o perché chiediamo cose non valide “mala”.

Infine mi ha mandato al tappeto una storiella letta da qualche parte che raccontava che dei fedeli di una parrocchia di campagna chiesero al loro curato di indire una funzione religiosa per implorare la pioggia perché l’arsura stava lentamente bruciando i raccolti. Il curato accondiscese, sennonché si presentò alla funzione una ragazzina con l’ombrello al braccio suscitando l’ironia di tutti.

Alle frasi sornione ed irridenti la ragazzina con grande candore affermò “ma non siamo venuti a chiedere la pioggia al Signore, allora mi sono portata l’ombrello per non bagnarmi durante il ritorno a casa!

Per lei era scontato che il Signore avrebbe ascoltato i suoi figli.

Finché pregheremo col tarlo del dubbio, della riserva mentale saremo sempre sotto la soglia di quella fede che può spostare le montagne!

Chi si dichiara cattolico e chi agisce da tale

L’ho confessato ormai fin troppe volte che io rimango un appassionato lettore dei bollettini parrocchiali. Talora vi trovo iniziative interessanti, riflessioni valide, oltre le immancabili e giuste informazioni speciali circa la vita della comunità.

Più spesso incontro poco di genuino, molto di scontato e molto poco che esprima le personalità e le convinzioni dei relativi pastori.

Pare che molti preti, che pur ricoprono incarichi e responsabilità di grande rilievo nei riguardi del popolo di Dio, non abbiano il coraggio di uscire allo scoperto di portare dei contributi genuini o peggio ancora abbiano proprio molto poco da dire alla loro gente.

Qualche settimana fa, leggendo l’editoriale della “Borromea”, scritto dal parroco del Duomo di Mestre, mons. Fausto Bonini, su un argomento quanto mai interessante ed estremamente attuale “Su quei politici che si autoproclamano cattolici” sono ritornato a riflettere su un argomento che mi è caro e che credo di capitale importanza.

Premetto la mia assoluta condivisione del discorso di don Bonini: “Non è cattolico il politico che si proclama tale (pare che oggi sia quasi una moda e peggio ancora che sia un’esca per accalappiare i voti dei cattolici) ma chi si comporta nella vita da cattolico, nelle scelte, nel comportamento e soprattutto nella qualità del servizio che offre alla collettività.

Mi permetto di aggiungere che, partendo da un pensiero di Sant’Agostino, che mi è sempre stato tanto caro ed utile nei miei orientamenti: “Ci sono uomini che la chiesa possiede ed altri uomini che Dio possiede e la Chiesa non possiede”. Sono molto cauto nel prestar fede alle etichette esteriori e ai distintivi, ma preferisco orientarmi dalla qualità dei contenuti che emergono dall’azione politica dei vari protagonisti dell’attività pubblica.

Tutto questo mi aiuta a dare il mio favore alle personalità autentiche, a quelle che si dimostrano libere, nelle scelte che implicano la coscienza o i valori di fondo del credo religioso a cui dicono di aderire.

“I peones” del parlamento li reputo una specie di mercenari senza principi. I voti di schieramento, scontati ed incolori li reputo l’espressione più bassa di un servilismo meschino, di un appiattimento morale, di nessuna personalità, e di attaccamento alla sedia conquistata a prezzo di ogni compromesso,. Che un partito abbia un orientamento di fondo è normale e logico, ma nelle singole questioni deve emergere la taratura morale degli attori della cosa pubblica che si qualificano con le argomentazioni e il voto relativo.

Infiniti dubbi

Sento in maniera forte la responsabilità di essere un testimone della fede e della religione. Non passa giorno che non mi interroghi se sia profondamente convinto delle cose che faccio e che dico nei riguardi della fede e della religione.

Ingannare se stessi, non permettendo che affiorino dal fondo della coscienza dubbi, perplessità e obiezioni è da stupidi, ingannare poi gli altri ostentando una sicurezza che non hai non è solamente sciocco ma pure irresponsabile e criminoso.

Ostentare poi delle convinzioni che non hai per motivi di interesse, o per non aver fastidi, o per non creare a te e agli altri ulteriori problemi da quelli che abbiamo già, mi pare disonesto e meschino, non degno di una persona razionale.

Tutto questo riguarda di certo l’essenziale della fede e della religione. Non aspetti marginali che sono e rimangono per tutti e per sempre opinabili.

Sarebbe veramente troppo quello che mi ha detto un responsabile dei testimoni di Geova, che alla mia domanda se pensava di avere lui tutta la verità, mi rispose senza tentennamenti e con assoluta sicurezza: “Sì, io posseggo tutta la verità!”

“Beato lui!” io invece mi accontento della mia piccola porzione che in parte mi è stata donata ed in parte ho conquistato con tanta fatica e ricerca.

Io posso dire con assoluta tranquillità “Credo in Dio” ritengo che la fede rappresenti l’espressione più alta della razionalità umana, mentre l’ateismo da un punto di vista razionale zoppica da tutte le parti. In una parola è più scientifico e razionale credere in Dio che non credere.

Io sono del parere di Fabre, famoso entomologo il quale affermava: “Io non credo, ma vedo Dio nel creato!”.

Per quanto poi riguarda la religione, ossia l’incarnazione della fede nel messaggio cristiano; non ho dubbi che il cristianesimo offra la soluzione più alta e più nobile della vita, corrisponda alle attese più vere e più profonde della natura umana.

In una parola sono convinto che non ci sia nella storia umana qualcosa di più valido che l’umanesimo cristiano.

Detto questo, i miei dubbi sulla tradizione, sul modo di vivere questo messaggio, sulle varie interpretazioni, sono propri infiniti.

Se sento una missione, a livello religioso, è proprio quella di una semplificazione, di una purificazione costante e in tutti gli aspetti del vivere cristiano.

A questo riguardo mi pare bello e doveroso rispettare ed ammirare le tradizioni concrete che popoli e singoli fanno partendo da questi due immensi e preziosi valori.

La testimonianza che propongo: accostarsi ai poveri, non parlarne e basta!

Don Marco, il giovane e barbuto sacerdote veneziano, che per ben 11 anni mi fu collaboratore nella parrocchia di Carpenedo, e che ora è parroco ai Tolentini, e si occupa della formazione degli universitari, mi ha chiesto di raccontare ai suoi giovani le mie esperienze caritative.

Come sempre la richiesta mi ha messo in grande imbarazzo e in grande apprensione.
So lucidamente di non essere un conferenziere né brillante e neppure modesto! Io spero, anzi ritengo di non essere uno stupido, comunque so per esperienze remote e recenti di non avere questa qualità.

D’altronde diventa veramente difficile dire di no ad un giovane prete pieno di entusiasmo che è convinto che possa fare del bene ai suoi ragazzi, sentire un vecchio prete che parla delle sue esperienze con i poveri.

Un secondo motivo che mi tratteneva era che avrei potuto dare l’impressione di uno che vuole mettere in luce le sue “prodezze”. Ho deciso comunque per il sì, accettando in partenza anche di fare una magra figura. Avrò così qualcosa da offrire al Signore!

Ricordo un prete che era stato invitato in parrocchia a tenere una conversazione che cominciò dicendo: “Normalmente quando si chiede ad un prete una cosa del genere, quasi sempre dice di no, deludendo le aspettative. Io pur riconoscendomi povero e non all’altezza di questo compito, per rompere questa brutta abitudine ho accettato ed eccomi qua!” In verità non fu per nulla brillante, ma comunque mi ha fatto bene la sua testimonianza tanto che in questa occasione mi ha spronato ad acconsentire alla richiesta di don Marco!

In questi giorni ho tentato di riordinare qualche idea ed una cosa che vorrò ribadire è che i poveri si devono frequentare direttamente.

Devi accostarti a loro, ascoltarli, vederli, sentire le loro pene. Altro è il dissertare sulla povertà e sul bisogno e altro è vedere le attese di chi non conta, di chi è impotente, di chi non ha voce in capitolo.

Se i funzionari del comune vedessero o sentissero i vecchi che chiedono un alloggio non farebbero tante difficoltà per dare una interpretazione positiva alle loro circolari e alle loro leggi, che di fronte al bisogno sono una più stupida ed iniqua dell’altra!

Se solamente passassi questa convinzione la mia conversazione sarebbe un gran successo!

Una speranza il ruolo di Rosi Bindi nel Partito Democratico

Più di una volta ho manifestato la mia preoccupazione che nel Centro-sinistra, area coperta dal Partito Democratico, non fosse dato spazio per la rappresentanza politica dei cattolici che pur sono presenti in maniera, credo consistente anche all’interno di quel partito.

Sarebbe un guaio serio se in un partito che si candida a governare il Paese, la componente che esprime il pensiero cristiano non fosse presente!

Il timore nasceva dal fatto che Bersani e molti suoi compagni, che si sono “convertiti” dal pensiero del comunismo reale, rappresentato da Stalin, Beria, e da tutta quella nomenclatura nota per le “purghe” feroci che ha soppresso a milioni gli oppositori o i presunti tali, alla democrazia di tipo “Occidentale”, nonostante la “conversione” hanno mantenuto qualche nostalgia dell’educazione ricevuta nella loro infanzia a Botteghe Oscure e che talvolta, e non troppo di raro, riaffiora nei loro interventi. Comunque a parte queste posizioni di carattere ideologico, che capisco non sia facile ripulire, senza un battesimo autentico, essi hanno mantenuto, anche dopo la “conversione”, una organizzazione efficiente. Difatti nonostante il velleitarismo un po’ infermo e un po’ esasperato di Franceschini essi se lo sono “bevuto” alle primarie come un bicchiere d’acqua fresca!

Il mio timore è stato superato dal fatto che la Rosi Bindi sia stata scelta da Bersani come presidente del Partito.

Una attuale consigliera comunale della giunta Cacciari, un tempo mi ha presentato la Rosi Bindi come appartenente ad uno dei tanti movimenti religiosi di carattere laicale, i cui membri pur vivendo nel mondo praticano i consigli evangelici, facendo il voto di povertà, castità ed obbedienza.

Io non posso garantire che ciò sia vero, perché sentendo la Bindi talvolta non mi pare proprio un modello di moderazione e di carità cristiana, specie con gli avversari politici, ma se lo fosse, avere una “suora” come presidente del partito che aspira all’alternativa di governo, non solo dovrebbe rasserenare me, vecchio e povero prete, ma pure il Papa e l’intera chiesa italiana.

Per ora consoliamoci con la speranza “che se son rose fioriranno!”

La lunga odissea del Don Vecchi 4…

Spero che l’opinione pubblica della nostra città non abbia abbinato i nostri frequenti annunci di prossima apertura del cantiere del don Vecchi di Campalto, alle parole del coro di certe opere liriche in cui si ripete quasi ossessivamente “Partian, partian” ma in realtà esso rimane immobile sulla scena, incollato al pavimento del palco, nonostante le modulazioni diverse con cui motiva l’intenzione di partire.

Avevamo avuto assicurazioni incoraggianti, anzi certe, dal nostro tecnico l’architetto Giovanni Zanetti, che non solamente l’amministrazione comunale, ma anche i relativi tecnici degli uffici preposti alla concessione, erano non solamente consenzienti, ma anzi intenzionati ad adottare un percorso veloce e semplificato perchè si potesse procedere all’apertura del cantiere. Questi annunci i lettori de “L’incontro”, ma pure della stampa cittadina quale “Il Gazzettino”, “La nuova Venezia”, “Gente Veneta”, hanno potuto leggerli in primavera, prima delle ferie estive, dopo le ferie estive, all’inizio dell’autunno.

Nonostante questo, il coro sta ancora canticchiando sempre più svogliatamente “Partian, partian”

Il maestro del coro, sollecitato con sempre più impazienza e frequenza, ci offre delle spiegazioni che un comune mortale e per di più vecchio come me, non riesce proprio a comprendere.

Pare impossibile che il comune, rappresentato operativamente da un apparato burocratico elefantiaco, a dir poco, quattromila e seicento dipendenti, la più grossa ed improduttiva azienda del territorio, non riesca ad approvare in poco tempo, un progetto che gli permetta di avere a disposizione trecento alloggi per gli anziani più poveri della città.

Nonostante possa verificare che quelli esistenti, sono ambienti signorili, gestiti in maniera tale che anche chi ha la pensione minima vi può vivere senza mendicare nulla da nessuno e senza pesare sui figli!

Al tempo del don Vecchi 1° l’allora neo assessore Armando Favaretto, di fronte alle mie vivaci rimostranze mi aveva promesso che da allora in poi i cittadini del Comune di Venezia avrebbero avuto risposta ai loro progetti al massimo entro 15 giorni.
Dolce chimera!

Chiedo al sindaco Cacciari, che prima di lasciare l’amministrazione, mandi per qualche giorno in Austria tutti i funzionari dell’edilizia pubblica e privata, là mi si dice, fanno in un giorno ciò che i nostri fanno in un anno!

Questa non è una mia sparata, l’ha detto la nostra televisione di Stato un paio di settimane fa. Quello che poi non capisco è come mai Brunetta non cominci far pulizia nella sua città?

La bella accoglienza dei mestrini per la nuova chiesa prefabbricata del cimitero

All’infuori di Monsignor Bonini, con mio stupore e sollievo, non ho fortunatamente sentito alcuna voce critica nei riguardi della nuova chiesa del cimitero. Temevo tanto che l’ orgoglio di una città che da decenni e decenni, è stata trattata ed è vissuta come lontana periferia anonima ed incolore della perla della laguna, ed ha subìto un complesso di inferiorità, fosse esplosa rivendicando una chiesa adeguata all’importanza che Mestre è andata ad assumere nel tempo. Invece no!

Forse oggi la gente deve fare i conti con stipendi che superano di poco i mille euro, l’incertezza del posto di lavoro e una vita quanto mai costosa, perciò anche il problema dell’orgoglio architettonico pare passato in secondo ordine!

Ho registrato due reazioni largamente diffuse ed ambedue sorprendenti.
La prima, tantissimi hanno additato il merito di questo intervento a me vecchio e povero prete che, sì ha stuzzicato l’opinione pubblica e la civica amministrazione, ma non più di tanto. In realtà avrei potuto recare più noie, ma ho sempre ritenuto opportuno riservare i miei “strali” a cause più consistenti. Il merito e la saggezza di questi interventi tampone, va addebitato positivamente al vicesindaco Mognato e all’assessore ai lavori pubblici dott.sa Laura Fincato, e semmai in secondo ordine ad uno staff di giovani e bravi tecnici della Veritas.

La seconda nota, pure positiva, che ho registrato è che la gente ha giudicato la soluzione bella e positiva, tanti perfino l’hanno dichiarata una chiesa bellissima!

Approfondendo la motivazione di questo consenso ho avuto la sensazione che il nostro popolo abbia apprezzato il senso di intimità, di famiglia; in effetti la nuova chiesa offre un clima familiare, sobrio, ma caldo ed accogliente. Qualcuno si è spinto a dire che gli sembrava di sentirsi in uno chalet di montagna.

Se il gradimento si può misurare dalla partecipazione debbo concludere che è ben superiore di quanto non avessi sperato.
Se il giorno lo si vede dal mattino credo che lo spazio sacro ci permetterà di fare del grande bene.

La gente ascolta, canta, prega coralmente, finora ha riempito letteralmente la chiesa e perfino seguito la preghiera da fuori, nonostante le giornate piovose!

Sono indotto a pensare che la nostra gente sia alla ricerca di una religiosità condivisa, sobria e calda, vissuta con semplicità e fraternità, con il minimo di orpelli e di fronzoli!

Abbiamo dedicato la sala di preghiera alla “Madonna della consolazione”. Mi auguro tanto e prego perché tanta gente vi possa trovare pace, conforto, coraggio e speranza e che le presenze dei santi del nostro tempo, presenti nel nuovo edificio, aiutino tutti a trovare la strada giusta per vivere una vita serena.

Ma la nostra religiosità segue davvero l’insegnamento di Cristo?

Ho trascorso tutta la settimana a riflettere sul Vangelo che avrei dovuto commentare la domenica. La pagina di Matteo in cui Gesù pronuncia una dura condanna nei riguardi della religiosità, degli scribi del suo tempo, cha amavano passeggiare in lunghe vesti, farsi vedere a pregare lungamente, mentre contestualmente ambivano ai posti d’onore nella sinagoga e ai posti più prestigiosi nei banchetti ed arrivavano perfino ad approfittarsi della casa delle povere vedove strumentalizzando la religione.

Questa pagina del Vangelo mi ha costretto a confrontare il concetto che Cristo ha della religiosità e il modo con cui noi attualmente traduciamo nella prassi liturgica e paraliturgica la nostra lode al Signore.

Per quanta buona volontà ci abbia messo non sono riuscito a far combaciare il pensiero di Cristo con la nostra prassi religiosa.
Questo non è certamente un guaio di poco conto!

Il formalismo, l’ostentazione e il ritualismo condannato da Cristo non mi pare che, neanche dopo duemila anni di cristianesimo, siamo riusciti a debellarli completamente, motivo per cui ho la sensazione che la preghiera pubblica incida ancora troppo poco sulla vita reale sia delle persone che dalle comunità cristiane.

A questo proposito mi è riemerso, dai miei ricordi letterari, una bella pagina, quanto mai mordente, del grande letterato russo Leone Tolstoi. Il convertito immagina che Cristo si sia deciso di visitare in incognito le comunità cristiane della Santa Russia disperse nell’immenso territorio, mentre esse sono riunite in preghiera. Tolstoi immagina un Cristo critico e deluso dai cristiani in preghiera, tanto da domandarsi: “Questi fedeli non possono pretendere di essere miei discepoli praticando dei riti avulsi da vita reale e così lontani dal mio insegnamento!”

Io non ho né il talento né la saggezza di Tolstoi, ma ho la netta sensazione che il singolo cristiano e le relative comunità si debbano domandare con più onestà e più frequentemente: “Gesù si aggregherebbe volentieri ai nostri incontri di preghiera e condividerebbe la cornice, l’atmosfera, i contenuti e le tensioni interiori che esprimono la nostra lode al Signore?”

Per ora credo opportuno che risciacqui ben bene il mio pregare nelle parole del Vangelo, poi forse dovrò suggerire con carità e prudenza che anche i miei fratelli di fede che facciano altrettanto!

Quelle 17 chiamate senza risposta…

Io non ho nessuna dimestichezza con il computer, pur riconoscendogli una grande utilità, ed anche poca dimestichezza con il telefonino.

Questo piccolo aggeggio è certamente utile, ma ti toglie anche qualsiasi possibilità di avere momenti di intimità, perché ti perseguita ogni momento e in qualsiasi luogo, e poi ha il potere di irritarmi, incontrando in ogni dove un mondo di uomini e donne che sembrano dover dirigere una grande azienda o governare un intero esercito.

Neanche il capitano di un transatlantico è così impegnato a comunicare ogni momento con una infinità di interlocutori.

Alla mia età poi facilmente si è smemorati, si dimenticano chiavi, appuntamenti, nomi, numero di telefono e quant’altro e fra tutta questa mercanzia che ti avviluppa come una ragnatela c’è pure il problema del telefonino.

Se lo tengo in tasca mi capita che nel bel mezzo della predica sento la nota musichetta, che è più insistente della voce della coscienza, se lo metto in qualche luogo prima di dire messa e di fare qualche altra cosa inerente al mio ministero, mi accorgo spesso di dimenticarlo, ricevendo poi i rimbrotti della gente che mi aveva inutilmente cercato.

L’altro ieri mi sono dimenticato il telefonino nella sagrestia della cappella del cimitero, per recuperarlo solamente quando ci sono ritornato per la messa delle 15.

In tutto tra dimenticanza e ritrovamento, saranno passate 3-4 ore. Quando sono ritornato ho aperto lo sportellino e mi si presenta burbero un ammonimento: “17 chiamate senza risposta!”

Mi sono sentito come un piccolo alunno sorpreso dal maestro con le dita nel naso! Passato il primo momento di sorpresa e di smarrimento, ho cominciato a filosofeggiare: come ho fatto a vivere per ben quattro ore senza i suggerimenti, le richieste o le informazioni di ben 17 persone? E come han fatto loro a sopravvivere senza le mie risposte? Per poi soggiungere “E come hanno fatto gli uomini a vivere per 40 – 50 – 100 o mille secoli senza telefonino?

Ho letto nella meditazione di qualche giorno fa, che è inutile e dannoso pretendere di condizionare il corso degli eventi, perché di queste cose se ne occupa il buon Dio!

Ricordo il vecchio canonico di San Marco, Monsignor Silvestrini, morto quasi a cent’anni, che passando davanti ad un cinema di Venezia, con un certo sarcasmo e disprezzo disse: “Ecco una realtà di cui io posso fare a meno!”

Io non voglio essere così radicale, ma non voglio neppure che il telefonino mi riduca in schiavitù! Amo troppo la mia libertà per perderla per un telefonino! Tanto poi credo che i 17 che mi hanno chiamato in quella mezza mattinata, siano sopravissuti senza che io avessi risposto al telefonino! Ed io pure non sono vissuto peggio senza rispondere a 17 telefonate!

La libertà di culto deve essere reciproca!

I vescovi svizzeri e quelli italiani hanno biasimato la decisione degli abitanti dei quattro cantoni elvetici di proibire la costruzione di altri minareti.

Povero popolo! Quando il suo parere è favorevole a certi personaggi o a certe caste, allora vale il detto “vox populi, vox Dei” Quando però non garba a chi sta in alto, allora si insinua che sia stato strumentalizzato da gente senza scrupoli e in qualche modo interessata.

C’è poi chi approfitta di una decisione popolare, che in qualche modo avvalla il suo pensiero, per farsi propaganda.

Nel nostro caso Castelli della Lega, che poi mi è simpatico perchè non si fa intimorire da alcuno e poi è sornione e tagliente nei suoi interventi, è arrivato al punto di proporre la croce sul tricolore.

Mi pare un po’ troppo, credo che valga anche per Castelli il vecchio detto “Scherza con i fanti ma lascia stare i santi”.

Cristo sta ben sopra a questa questione ed è bene lasciarlo stare!

Io ho pensato alla vicenda, perché sono solito “partecipare” alle vicende del nostro tempo; mi pare che non sia una gran questione e perciò non valga la pena di creare un motivo in più di attrito e di scontro, però c’è una questione di fondo che non mi va assolutamente giù ed è la questione della così detta reciprocità. I mussulmani vanno rispettati, si deve loro permettere, anzi si deve aiutarli a pregare Dio come vogliono, a patto però che rispettino le nostre leggi, le nostre tradizioni e la nostra fede e si adoperino in maniera seria e concreta perché nei paesi in cui loro sono la maggioranza, pretendano dai loro governi e dai loro capi religiosi di avere lo stesso comportamento che essi chiedono e pretendono nei paesi in cui loro sono in minoranza.

Questo ora non avviene assolutamente e perciò finchè questo non avviene, non solo non permetterei che costruiscano i minareti ma neanche permetterei nessuna manifestazione pubblica della loro religione.

La libertà, la democrazia, il rispetto sono diritti universali e non parole che si tirano fuori dal cassetto quando torna conto. Piaccia o non piaccia!

Una speranza e un altolà per il domani!

L’unica speranza perché la Fondazione, di cui sono presidente, possa avere un domani e possa, come stabilisce il suo statuto, creare a Mestre dei servizi a favore delle persone più fragili è quella che i cittadini, che non abbiano discendenti diretti, facciano testamento a favore di questa realtà, che ha come unico scopo quello di aiutare i più poveri.

L’esperienza pregressa come parroco a Carpenedo, mi ha dato ragione.
La bellissima villa ad Asolo, Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta ed altro ancora sono il risultato di questo messaggio che ho tentato di passare alla città e che i mestrini hanno recepito.

I benefici di questa seminagione non sono neppure totalmente esauriti perché una cara signora ha già donato la nuda proprietà di un grosso complesso immobiliare, che alla sua morte, passerà alla parrocchia di Carpenedo permettendogli così di realizzare altre strutture per i meno abbienti.

Un paio di anni fa, quando s’è pensato a questo vecchio prete cocciuto e testardo, per farlo presidente della Fondazione Carpinetum, non avendo essa proprietà e mezzi economici, non mi è rimasto che battere la stessa strada, forte dell’esperienza già fatta.

Certamente questa soluzione è simile al piantare un olivo, ci vogliono decenni e decenni perché quest’albero produca frutti!

Io sono ben cosciente di lavorare per chi verrà dopo di me, ad 80 anni compiuti, quali prospettive di tempo si possono avere?

In questi due anni ho seminato “in spem contra spem” pur sapendo di non essere io a raccogliere i frutti di questa proposta. Anche stamattina mi ha chiamato un signore per confidarmi che ha deciso di fare testamento a favore della Fondazione. Io ho raccolto contento per lui e per i poveri del futuro questa saggia e provvidenziale decisione.

Io dovrò arrabattarmi per il don Vecchi di Campalto, ma la confidenza ricevuta mi fa sognare che altri raccoglieranno i frutti e faranno di Mestre una città veramente solidale ripromettendomi però che se i miei successori osassero usare per scopi diversi questa fiducia e questa generosità, cosa purtroppo sempre possibile, verrò anche dall’altro mondo per tirarli per i piedi!

Per molti preti è ancora difficile parlare agli uomini d’oggi

Avevo appena terminato la celebrazione religiosa del commiato di un vecchio maestro. Io mi lascio sempre coinvolgere da questo evento, ricordandomi di quell’affermazione sublime di Raul Follerau, l’apostolo dei lebbrosi: “Io ho tanti fratelli quanti sono gli uomini che abitano in questo nostro mondo”

Non conoscevo il defunto, come non conoscevo i figli e la sua famiglia. Quasi sempre i funerali che giungono in cimitero sono come i relitti che la risacca depone sul bagnasciuga.

I cristiani praticanti, le persone di prestigio, sono giustamente portati nelle loro chiese ove converge la comunità e l’ambiente è quasi sempre decoroso. Da me, in cimitero, giungono i poveri con cui a fatica si trova un parente che se ne faccia carico, gli ospiti della casa di riposo, i cristiani che non erano soliti frequentare la chiesa e perciò quasi sconosciuti dai parroci e dalla parrocchia, i vecchi che con le malattie del nostro tempo l’Alzheimer o il Parkinson, sopravvivono senza coscienza o la gente trapiantata e perciò conosciuta quasi da nessuno.

Il fatto che il caro estinto fosse un vecchio maestro, e l’esser stato io per molti anni insegnante alle magistrali, e contemporaneamente assistente religioso della categoria, con l’aggiunta che la lettura del De Amicis e del Guareschi, ha lasciato nel mio animo delle belle immagini di insegnanti saggi e di educatori autentici, ha fatto sì che mi sentissi ancora di più coinvolto. Evidentemente la gente se n’è accorta dal tono commosso della voce e dalla convinzione con cui ho tentato di inquadrare da uomo e da cristiano, la partenza del fratello maestro.

Finita la messa una signora è venuta a ringraziarmi e a congratularsi per il sermone “non ho mai sentito una predica così “laica” quasi certamente voleva dire che s’era abituata a sentire preti con frasi scontate, pensieri che viaggiavano sopra i capelli senza toccare né il cuore, né la ragione e né la sensibilità, tanto che le sembrava strano che un prete potesse pronunciare parole che si usano anche fuori della chiesa e che possono essere comprensibili e condivise anche dalla gente comune.

Se si è giunti a questo punto significa che c’è da fare ancora molta strada per inserirsi nel circuito della vita degli uomini d’oggi, e questo è preoccupante!