Quel clima di rassegnazione e resa nelle istituzioni cittadine…

Ero convinto di essermi aperto una strada con i primi tre Centri don Vecchi. Mi ero quindi illuso che quando ho chiesto la licenza edilizia per il quarto, i funzionari del Comune, mi avrebbero srotolato una corsia rossa di velluto.

Non sono in verità molti i cittadini che mettono a disposizione della collettività trecento appartamenti per anziani e scommettono di farli vivere anche con la pensione minima senza pesare sui figli e sul Comune.

Invece no, nell’Italia di “Franceschiello” c’è una tale ragnatela di leggi, ordinanze, disposizioni e quant’altro, che quando uno ci cade dentro, finisce per avvilupparsi come un ragno e perdere il senno e la vita.

Ero poi particolarmente irritato perchè il funzionario che stava mettendoci i bastoni tra le ruote, era uno dei ragazzini del Patronato di Carpenedo. In verità “aveva fatto combattere” anche da ragazzino, ma mentre la gran parte dei ragazzi crescendo “fa giudizio” in questo caso temo che egli abbia perso anche quel po’ che aveva.

Mi si suggerì di ricorrere al sindaco per non trovarmi in mezzo al guado in prossimità delle elezioni comunali.

Mi fu concessa udienza prestissimo. Ci andai con il progettista ed un membro del consiglio della Fondazione.

Venezia era appena emersa, bagnata come un anatroccolo, da un metro e trenta di acqua alta, umidità, spazzature, passerelle scompigliate!

A Ca’ Farsetti c’era consiglio comunale, un andirivieni disordinato e crocchi ad ogni angolo, uscieri poco protocollari, gli unici che si salvavano in quell’ambiente che sapeva di decadenza erano i vigili in uniforme.

Incontrai il sindaco in un salone con una tavola rotonda piena di carte in disordine, era stanco morto e parlava sottovoce. Credo che Daniele Manin il giorno della resa fosse più gagliardo, tanto mi parve stanco e sconfitto!
Fu cortese, telefonò al funzionario dicendogli di “darsi una mossa”.

Ci congedò in fretta perché doveva andare nella “fossa dei leoni” almeno così mi parve.

Certamente la forma è marginale in rapporto ai problemi, ma la Venezia di case e di uomini che ho incontrato, mi è apparsa desolata e rassegnata alla resa. Peraltro in questo paesaggio triste e melanconico, non mi pare che all’orizzonte appaia un “salvatore della Patria”. Tutt’altro!

Un gesto di pietà fra eccessi opposti

Non mi sono mai piaciute le manifestazione plateali del dolore per la scomparsa di un familiare. Dicono che nel meridione siano una costante.

Io non lo so. Mi è capitato una volta solamente, tanti anni fa, al tempo in cui era massiccia la emigrazione dal sud, di assistere ad una di queste manifestazioni durante un funerale che ho celebrato io stesso.

Un’anziana signora di Adrano, la quale era stata trapiantata di brutto nel nostro Veneto, assolutamente incapace della seppur minima integrazione, tanto che quando dovevo comunicare con lei, avevo bisogno della sua nipotina che mi facesse da interprete, durante il funerale, prima cominciò a singhiozzare forte, poi a lasciarsi andare in esclamazioni desolate, infine si sdraiò nel pavimento della chiesa a mani e gambe divaricate, in preda ad un parossismo irrefrenabile. Dovetti dire dall’altare che non avrei continuato la messa se non si fosse calmata.

Non credo che oggi nel sud succedano ancora tali comportamenti.

Ora però nel nord s’è passati al lato diametralmente opposto. Spesso la gente, quasi sempre poca, assiste al rito funebre imperturbabile, apparentemente assente, per fermarsi poi nel sagrato a chiacchierare lungamente in maniera disinvolta come fossero usciti dalla proiezione di un film piacevole.

Pare che sia morto il dolore, e sia pure morta la sacralità della morte!

Stamattina però, quasi sorpreso, ho assistito all’inumazione delle ceneri di un vecchio genitore. La giovane figlia portò lungo il viale in braccio, l’urna delle ceneri del padre, come cullasse il suo bimbo, con una delicata e calda tenerezza materna, baciò l’urna con immenso affetto prima che fosse collocata nel loculo.

Il volto era bello con un cenno di sorriso, gli occhi erano umidi di lacrime d’affetto, mentre attaccava un mazzolino di fiori all’urna cineraria.

Per fortuna nel nostro vecchio mondo resiste ancora il seme vero della pietà filiale.

Incontro con un San Francesco dei giorni nostri

Avevo appena terminato la messa. Ero contento perché avevo respirato, durante la celebrazione, un’aria di profonda intimità e di grande raccoglimento. Qualcuno mi ha confidato che la nuova chiesa, con le grandi capriate e tutto il soffitto in legno, gli dà l’impressione di trovarsi in una baita di montagna.

Per certi versi è vero, pare sempre di trovarsi in un luogo in cui si respira un’aria di famiglia, di intimità, motivo per cui non si fa alcuna fatica a creare comunità e a sentirsi vicini.

Comunque stavo uscendo particolarmente contento; l’incontro con Cristo, con i fratelli e con la Sacra Scrittura, aveva finalmente appagato il mio spirito, quando mi fermò un giovane distinto, dall’apparente età di 25 o 30 anni, il quale mi disse: “Vorrei, don Armando, darle un contributo per cui avrei bisogno che mi desse le coordinate della banca della sua Fondazione”.

La cosa prima di incuriosirmi, mi sorprese; normalmente sono le persone anziane che mi aiutano con offerte più o meno consistenti, i giovani o non hanno soldi oppure se li hanno pensano ad altro che alle opere di carità.

La sorpresa mi mise sull’onda della banalità spingendomi a domandargli se stava studiando. La domanda però mi aprì uno squarcio su un mondo ideale sorprendente. “Studiavo” mi disse “Poi un anno fa mi sono fermato per fare il punto sulla mia vita, per chiedermi, perché vivo?” Mi raccontò che aveva fatto, durante l’ultimo anno, varie e forti esperienze religiose, era stato perfino a Calcutta, da Madre Teresa. Ora stava frequentando dei religiosi per studiare la sua vocazione. Aggiunse “Ho capito che devo liberarmi delle cose che mi condizionano e da ciò è nato il proposito di darle del denaro”. Mentre mi parlava, d’istinto collegavo il suo volto, il suo sguardo al volto del poverello d’Assisi appeso alla parete ed illuminato dal faro nella chiesa semibuia.

Il mio animo non poté che associarlo al giovane Francesco d’Assisi e alla sua avventura evangelica.

Anche oggi, chi lo direbbe mai, c’è chi si innamora di “Madonna povertà” chi si lascia inebriare dal mondo pulito e bello della natura, chi sogna di poter salvare l’uomo dal grigiore e dalla fatuità di una vita insignificante.

Questa è per me una giornata veramente fortunata. La copia del Francesco di Cimabue da ieri è viva e si confonde col volto del ragazzo che ho incontrato uscendo di chiesa.

Sta terminando il 2009 se non avessi incontrato altro, questo incontro qualificherebbe positivamente l’intero anno trascorso!

Lentezze burocratiche insostenibili

Quindici anni fa ero più giovane e più battagliero, ad 80 anni molte armi risultano logore e spuntate.

A quel tempo non riuscendo ad ottenere la licenza edilizia per il progetto di una “residenza collettiva protetta per anziani autosufficienti” , chiesi ad una impiegata comunale gli indirizzi dei 60 consiglieri dei vari schieramenti politici ed ogni settimana per due mesi spedii “Lettera aperta” il settimanale della mia parrocchia d’allora, che riportava ad ogni numero un attacco all’inerzia e alla insensibilità sociale del Comune nei riguardi degli anziani della città.

Quando poi mi capitava di “sparare” mediante “Il Gazzettino” o “Gente Veneta” lo facevo con ebbrezza.

Resistettero neanche per due mesi poi finirono per capitolare!
Era inevitabile che avvenisse!

Ricordo che l’allora assessore all’edilizia mi garantì che tra la domanda e la risposta sarebbero passati al massimo 15 giorni.

Poi suddetto assessore scomparve, suppongo con il naufragio della democrazia cristiana, ma le cose non sono per nulla mutate anzi peggiorate!

Abbiamo un Comune di sinistra, che dovrebbe essere particolarmente sensibile ai problemi dei poveri, dispone di 4600 dipendenti, la più grande e la più improduttiva azienda della città, abbiamo il ministro Brunetta, che pur militando dalla parte opposta, ha fatto motivo della sua vita smascherare i fannulloni però niente si muove.

Un tempo l’amministrazione comunale e gli enti pubblici erano forse scettici sulla formula che proponevamo, ora siamo diventati un “fiore all’occhiello!” La facoltà di Economia e Commercio ha commissionato una tesi di laurea su “I centri residenziali per anziani don Vecchi” una soluzione innovativa nei servizi per “le nuove povertà”.

La Regione l’altro ieri ci ha mandato una commissione di un grosso comune che ha in animo di realizzare qualcosa di simile, per visionare “un prototipo all’avanguardia” e sta iniziando ad inquadrare a livello legislativo gli alloggi protetti. Nonostante questo la nostra burocrazia comunale continua a mettere bastoni tra le ruote e a pretendere “percorsi di guerra” impossibili. La gente dice che io sono “battagliero” ora non bastano più le parole credo che si debba auspicare ben altro!

Anche questo è egoismo!

In occasione del convegno della Fao tenutosi a Roma e soprattutto dell’intervento del Sommo Pontefice, con cui ha condannato lo sperpero e l’egoismo come due delle principali cause della fame nel mondo, una rete televisiva mi ha chiesto un’intervista domandando un mio commento sull’intervento del Pontefice.

La ripresa televisiva durò due o tre minuti e ciò che è andato in onda meno che un minuto.

Nel mondo delle immagini c’è poco spazio per i ragionamenti, sono i volti, le persone che diventano esse stesse messaggio se nella loro vita si spendono per una qualche causa.

Mi trovavo perfettamente d’accordo col Papa, non tanto perché Egli è il maestro della fede e della morale per i cristiani, ma perché condivido fino in fondo la sua analisi sui motivi che determinano la fame nel nostro mondo. Però per non annegarmi nel mare magnum delle questioni mondiali, la mia puntualizzazione si fermò a livello cittadino.

A Mestre negli ultimi 40 anni sono stati aperti una serie di ipermercati, che hanno letteralmente strangolato i piccoli commercianti, facendoli chiudere mediante una concorrenza spietata che essi non potevano reggere. Poi, conquistato il mercato, stanno facendo il bello e il cattivo tempo. Fino un paio di anni fa buttavano in discarica i generi alimentari non più commerciabili, poi hanno scoperto che facendo sconti potevano lucrare anche da questa merce che i cittadini più intelligenti e più poveri sono costretti ad acquistare. Pur sapendo che ricavano enormi utili da questo bacino di utenza, neanche si sognano di donare “gli avanzi” ai poveri, ma vogliono lucrare anche dagli avanzi!

Se questo non è egoismo della marca più raffinata non saprei proprio dove cercare l’egoismo?

Il guaio poi è che ormai si è costituito praticamente un cartello per cui non è neppur possibile proporre forme di boicottaggio. Comunque sono certo che la “farina del diavolo” rimarrà prima o poi nel gozzo di questa gente doppiamente asociale perché di certo essa spendacchia in maniera egoistica il frutto della loro “rapina” non conoscendo però la sentenza evangelica “stolto, stanotte morrai!”

Certe fragilità degli uomini di Chiesa che le fanno perdere tempo e credibilità

Ho sempre considerato e fortunatamente considero ancora, la chiesa mia madre!

Quello che di più importante posseggo nel mio cuore e nel mio spirito lo debbo certamente ad essa.

Don Lorenzo Milani, a qualcuno che gli faceva notare quanto gli fosse stata matrigna, ed in realtà dobbiamo ammettere che per lui, ma non solo per lui, fu tale, rispose: “La chiesa mi dona i sacramenti, chi mai mi potrebbe fare un dono simile? La chiesa mi dona Cristo, il suo messaggio, la sua testimonianza; le soluzioni che essa dà circa la vita e la morte, quale organizzazione umana, partito o associazione mi può offrire tanto? La mia riconoscenza, la mia ammirazione e il mio amore per la chiesa non rimangono scalfiti di un millesimo dalla debolezza dei suoi membri o dei suoi capi!”

Lo scotto però alla nostra fragilità umana lo debbono pagare tutti, preti, frati, vescovi, teologi e Papa compreso!

Quindi nulla di strano che anche la chiesa incorra talvolta in qualche corbelleria. Perciò non credo che debba ritenersi una cattiveria il fatto di notare certe debolezze che talvolta appaiono nel comportamento di qualcuno dei suoi membri, pur autorevoli o pur occupanti posti di responsabilità particolare.

Ho pensato a questo, qualche giorno fa, quando un prete fiorentino è stato sospeso “a divinis” (ossia dalla celebrazione dei divini misteri) per il fatto che aveva sposato una coppia in cui la “moglie” un tempo era stata considerata “maschio”, ma che poi, mediante interventi chirurgici, lui stesso, i medici, i psicologici e lo stesso Stato avevano dichiarato essere femmina.

Non credo che un povero parroco sia tenuto a fare accertamenti clinici e psicologici del genere e meno che meno penso che il Vescovo e la sua Curia abbiano “una grazia di Stato” per saperne di più in questo campo, tanto da condannare un povero prete che ha benedetto le nozze di due creature, una delle quali s’è presentato con i pantaloni ed una in gonnella! Andiamo! Quello che è troppo è troppo!

Con tante cose importanti in cui la chiesa dovrebbe occuparsi, mi pare strano che vada a perdere tempo e credibilità in cose del genere!

La mia formula

La redazione augura un sereno Capodanno ai lettori sperando che nessuno si faccia male per festeggiare il 2010!

Un tempo un vecchio parroco, sornione ma arguto quanto mai, disse che io avevo trovato “la gallina dalle uova d’oro” alludendo alla parrocchia, rifiutata un tempo da altri assegnatari, che mi era stata offerta 40 anni fa.

La nomea di aver incontrato comunità ricche economicamente mi ha accompagnato per tutta la vita.

Perfino mio fratello, don Roberto, che mi vuol bene e credo che mi stimi, un giorno facendo il confronto, a livello economico, tra la mia parrocchia e la sua, uscì con un paragone da par suo. Disse che come si trovano docce in cui l’acqua fluisce abbondantemente da tutti i fori, ci sono altre docce più povere d’acqua perchè molti dei forellini sono otturati.

Traducendo l’immagine egli voleva significare che a Carpenedo piovevano dollari, o oggi meglio ancora euro, moneta più apprezzata, mentre a Chirignago si poteva solo sopravvivere a causa dei fori otturati.

Penso che questa fama persista anche se ora ho come unico reddito la pensione del clero, mentre altri beneficiano di pensioni scolastiche o di altro genere di certo più remunerative della mia.

A dire la verità più di una volta ho tentato di insegnare la formula “magica” ai miei confratelli vicini o lontani che lamentavano scarsità di risorse economiche. Forse essa è sembrata troppo semplice come quella del profeta Eliseo quando suggerì a Naon il siro, per guarire dalla lebbra. Taluno pensa che il benessere economico sia imputabile alla fortuna, alle condizioni economiche dei parrocchiani o a qualche stratagemma particolare, mentre le cose stanno ben diversamente.

Ecco il segreto per riuscire: 1) lavorare seriamente da mane a sera e anche dopo sera; 2) vivere in maniera parsimoniosa, rinunciando a viaggi e vacanze esotiche; 3) essere coerenti con ciò che si predica; 4) occuparci prima del prossimo che della canonica, della chiesa e dei suoi arredi, perché la gente riconosce Cristo più nei poveri che nei riti; 5) uscire sempre allo scoperto e servire prima la verità che qualsiasi personaggio pubblico o ecclesiastico; 6) non avere ambizione alcuna di carriera.

Non ho mai tentato di brevettare questa formula pur essendo certo della sua validità, perché vedo che anche al don Vecchi funziona bene come a San Lorenzo e a Carpenedo.

Quindi la cedo gratuitamente a tutti coloro che ne sono interessati!

Il valore perduto dell’apprendistato

Un tempo c’era una massima che circolava tra gli artigiani, ed io appartengo e provengo da questa povera ma bella ed interessante categoria: “Il garzone o l’apprendista bravo ruba con gli occhi il mestiere”

Mio padre, che gestiva una piccola bottega di falegname, mi raccontava che quando, “andava a mestiere”, l’apprendistato un tempo era in auge ora è ormai scomparso, cercava di imparare il mestiere pur essendo incaricato di scaldare la colla, di raddrizzare i chiodi vecchi per poterli riadoperare e scopare la bottega dai trucioli, spiava le soluzioni del capomastro, tanto che pur molto giovane riusciva a risolvere i problemi che anche colleghi più anziani non riuscivano ad affrontare.

Questa riuscita gli veniva dal suo impegno a “rubare” il mestiere al falegname esperto suo maestro d’arte.

Oggi è sparito l’apprendistato perché i giovani “nascono” o pretendono d’essere nati già “imparati”.

Io, alla mia veneranda età, dovrei essere un esperto del mestiere del prete, dopo 55 anni di attività sacerdotale. Talvolta sono stato tentato, avendo ottenuto qualche risultato positivo, di passare le esperienze al giovane clero che mi stava accanto, ma non solamente nessuno mi ha chiesto un qualsiasi consiglio, ma anzi c’è stato perfino chi si è premurato di dirmi che ho sbagliato tutto, che il mio efficentismo non aveva spazio nella chiesa attuale, giungendo perfino a raccomandarmi che avrei dovuto smobilitare tutto l’apparato della mia comunità per standardizzare la parrocchia al modello di inedia e di miseria dominante (queste ultime note ben s’intende sono esclusivamente un mio parere).

Ricordo un progetto, poi mai realizzato, del vecchio Patriarca Luciani, che sperava di imbastire tre o quattro parrocchie efficienti e vitali perchè il giovane clero facesse in esse delle belle esperienze iniziali in maniera tale da impiantarle poi nelle comunità future alle quali sarebbe stato destinato.
Il Papa Luciani poi è morto portando nella tomba il suo progetto.

Spero che ci siano ancora preti coraggiosi e liberi che rimangono tali pur senza seguaci, almeno immediati!

Però penso che la moda, in mondo globalizzato, investe tutti, senza eccezione alcuna.

Il valore degli impegni imprevisti

Non sono mai stato metodico come Cuccia, il vecchissimo e curvo presidente di Mediobanca, l’istituto bancario più prestigioso d’Italia, il quale andava sempre in banca con una precisione cronometrica, comprava sempre lo stesso giornale, alla stessa ora e dallo stesso giornalaio.

Io sono una persona ordinata nel disordine, comunque mi programmo, grosso modo, le mie giornate, anche se esse quasi sempre si rifanno ad incontri, occupazioni abbastanza consuete, però non passa giorno che qualcuno non mi chieda un appuntamento.

Tento sempre di farmi dire per telefono il motivo dell’incontro, sperando di risolverlo telefonicamente, ma spesso non riesco nell’intento.

C’è della gente che pensa che certe cose si debbano discuterle a tu per tu con la presenza fisica ed altri che sperano di ottenere più facilmente quello che desiderano parlando direttamente. E’ vero che è più facile mettere da parte una domanda scritta sulla carta che mettere sotto la pila delle richieste una persona, e che è più facile liquidare una persona per telefono che farlo dopo un regolare appuntamento. Questi appuntamenti però mi scombussolano la giornata e la mia, seppur sommaria, programmazione. Non sono riuscito finora a vivere alla giornata prendendo di buon grado quello che il buon Dio mi manda, fidandomi della sua Provvidenza. Stamattina fortunatamente ho trovato nel testo della mia meditazione una soluzione che mi ha rasserenato e quasi convinto. Ad un impiegato che si lagnava col suo principale per queste interruzioni impreviste che rallentavano la sua produttività, il padrone gli disse: “Ma tu sei pagato anche e soprattutto per questo!”, gli imprevisti facevano parte dell’attività dell’Azienda.

Ho dedotto che anche il buon Dio mi potrebbe dire: “Ti pago proprio per questo, ti do salute, lucidità mentale, tempo, risorse ideali perché tu ti ponga a servizio della `clientela’ della mia Azienda!”

La cosa vista così mi rasserena un po’ perché se è contento Lui, il mio datore di lavoro, colui che mi remunera, perché non lo dovrei essere io?

Benedetta la vecchiaia!

Da quattro anni sono in pensione, ma se non potessi confrontare le date del calendario, 2 ottobre 2005 – 2 ottobre 2009 sono certo che direi che sono in pensione da almeno 40 anni!

Ricordo quel terribile 2 ottobre di quattro anni fa quando, dopo aver celebrato la messa delle 15, mi chiedevo angosciato, cosa avrei fatto fino alle 20?, che era l’ora della cena solitaria.

Oggi tutto è diverso; le giornate sono intense, le ore scorrono veloci e l’appuntamento domenicale con la mia splendida comunità tanto amata e numerosa del camposanto, sembra che si sussegua senza soluzione di tempo, tanto le settimane sembrano ravvicinate.

Il telefono squilla fin troppo spesso e gli impegni si accavallano, anzi talvolta si sovrappongono a causa della mia memoria sempre più precaria.

Faccio veramente una vita che mi piace, vivo tra gente cara e simpatica pur appartenendo a tutte le età e a tutte le etnie del mondo.

“L’incontro” poi mi permette di lanciare messaggi, di essere presente ed attivo nella vita della chiesa e della città, cosa di cui ho frequente riscontro incontrando gente che si riferisce a prese di posizione ed ad interventi civili ed ecclesiali che la mia indole e le mie convinzioni mi “costringono” a fare.

C’è un salmo, che benedice il Signore anche per i ghiacci, le nevicate e perfino per le tempeste, se va avanti così dovrò benedire il Signore anche per la vecchiaia e per i doni che essa comporta!

Uno dei miei “ragazzi”, ora manager affermato, ogni tanto scherza dicendomi: “Don Armando, lei può permettersi di tutto perché alla sua età non è più perseguibile e i carabinieri non la possono portare in galera”!

Così io ne approfitto!

Quante occasioni avrò perso?

Papa Giovanni ripeteva soventemente “i novissimi”, termine che oggi per la totalità dei cristiani, rimane misterioso, ma che nella tradizione cristiana indica le ultime cose che capitano a qualsiasi uomo: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso.

Io, per il mestiere che faccio, l’ambiente che frequento, l’età avanzata che ho ed infine per la memoria di questo santo e saggio Pontefice, penso spesso a queste cose.

Pensando poi di frequente alle ultime realtà mi viene di essere più attento del poco tempo di vita che mi separa da questi eventi così impegnativi.

Da quando, per motivi di calendario e per motivi di fragilità fisica, ho preso coscienza della mia vecchiaia, sono portato a centellinare il tempo e a stare ben attento a come investo quel poco che mi resta. Tutto questo non mi porta nè tristezza nè angoscia, ma mi spinge ad essere parsimonioso e a non buttar via per nulla occasioni e possibilità.

Ad aggravare questa consapevolezza, a non sprecare tempo e a non perdere occasioni propizie, si è aggiunta una storiella che ho letto in uno dei tanti libri del missionario Antony De Mello.

Questo missionario è vissuto una vita nell’estremo oriente e da persona attenta ed intelligente ha fatto sua la cultura e la tradizione di quei popoli antichi e saggi. Racconta aneddoti e storielle, che di primo acchito sembrano candide ed ingenue, ma che in realtà contengono messaggi quanto mai sapienti.

Ecco la storiella che mi rende attento e parsimonioso nei miei attuali investimenti esistenziali.

Un povero paria va a pescare sul Gange. Butta l’esca nella speranza che il pesce abbocchi, ma la giornata sembrava una giornata no, il pesce non abbocca. Per far passare il tempo e la noia prende un sassolino dalla superficie che gli sta accanto, lo butta nel fiume e comincia ad osservare i cerchi concentrici che s’allargano provocati dall’impatto del sasso con l’acqua. Ne butta un secondo e finisce per prendere gusto a questo passatempo. Se non che ad certo momento mentre stava per lanciare un altro sasso, s’accorge di uno strano luccichio. Per farla breve, in realtà, il sassolino era una perla preziosa. Aveva buttato nel fiume un piccolo o grande tesoro!

Ora ho paura, veramente paura d’aver buttato via delle occasioni e delle opportunità veramente preziose durante i miei 80 anni di vita.

Prima di impegnare, non dico un giorno, ma qualche minuto o qualche incontro, ci penso mille volte. Non so se sono diventato avaro, ma certamente più attento ai miei investimenti sì, dato che l’impatto con le ultime realtà è certamente molto vicino!

Un’esemplare testimonianza di coerenza religiosa!

Don Armando e la redazione augurano un felice Santo Stefano ai lettori con l’invito a sostenere la solidarietà nelle loro realtà!

Non ho mai fatto un mistero della mia convinzione che in questo nostro mondo, letteralmente sommerso dalle parole o forse in maniera più vera dalle chiacchiere, solamente la testimonianza di convinzioni più profonde, di sogni e di ideali, hanno qualche probabilità di incidere sulle coscienze.

La Punto che mi hanno regalato recentemente, è fornita pure della radio e perciò, un po’ per informarmi sulle notizie della giornata ed un po’ perché quando non c’è il giornale radio non so come spegnere l’apparecchio, lo lascio sempre acceso, quindi quando inserisco la chiave per accedere il motore automaticamente s’accende pure la radio e c’è sempre qualcuno che parla sugli argomenti più svariati. Talvolta provo invidia a sentire persone che hanno voci piacevoli ed un modo di dialogare scorrevole e suadente, mentre io, non ho né questo nè quello, e talvolta mi irrito per tante parole inutili e fatue.

Il tragitto dura non più di cinque minuti, ma comunque giunto nella mia cappella non mi resta neppure la minima traccia di quello che ho sentito!

Mentre quando colgo qualche testimonianza positiva, quella si conficca sulla coscienza come un chiodo affilato e profondo.

Domenica mattina, nel mio andirivieni tra sacrestia e chiesetta, mi accorsi del volto noto della persona cui stavo passando accanto. Per qualche mese questo signore ci aveva dato una mano ai magazzini. Sapevo che stava cercando un bar da gestire e qualche settimana prima mi aveva informato che aveva cominciato il suo lavoro.

Rimasi sorpreso di trovarmelo di domenica in chiesa in attesa della messa. “Come mai, ma non mi aveva detto che aveva cominciato a gestire il locale?” – “Si di certo, ho già cominciato!” – “Ed allora come mai è qua?” – “Mia moglie ed io abbiamo scelto che di domenica teniamo chiuso, sia per il riposo festivo che a motivo delle pratiche di pietà!”

Rimasi di stucco. Io prete non mi sarei mai aspettato una risposta che dovrebbe essere la più ovvia e la più scontata per un cristiano e tanto più per un prete!

Il barista faceva festa alla domenica, il giorno in cui molto probabilmente avrebbe potuto guadagnare di più, faceva festa per i motivi di coerenza religiosa!

Talvolta leggo in maniera frenetica e convulsa i periodici per trovare testimonianze di fede, mentre avendo un po’ di attenzione, potrei trovare testimonianze del peso di grossi santi della storia millenaria del cristianesimo solamente guardandomi un po’ attorno.

Il barista che fa festa alla domenica, mi ha fatto più bene dell’ultima enciclica di Papa Benedetto!

Gli scout, una bella realtà che regge nel tempo

Don Armando e la redazione augurano un sereno Natale ai lettori con l’invito non solo a pregare ma a darsi da fare in prima persona per i bisognosi!

Qualche settimana fa sono tornato come ogni domenica pomeriggio da un’ulteriore visita alla cappella del cimitero, dove mi ero recato per accertarmi dello spegnimento dei lumini e delle candele e per un riordino sommario in maniera che fin dalla prima mattinata del lunedì, tutto fosse ordinato ed accogliente.

Nel pomeriggio della domenica sono in servizio solamente due operatori della Veritas che hanno il compito di chiudere ben quattro o sei cimiteri e perciò è sempre possibile che tutto non sia messo in sicurezza.

Nel ritorno, dopo aver percorso via Santa Maria dei Battuti, quando ho imboccato via Trezzo, la mia attenzione è stata subito attratta da una lunghissima fila di ragazzini in divisa scout, con tanto di zaino, di guidoni e di materiale vario, che ritornavano molto probabilmente dal parco di Villa Tivan, ove ancora molto probabilmente, avevano celebrato l’inserimento dei nuovi lupetti e il passaggio dei più anziani alla branca successiva dell’organizzazione scout.

Per più di 50 anni mi sono occupato di questa associazione, infatti già nel 1954, prete novello, diventai assistente del 24° gruppo scout che aveva sede ai Gesuati. Poi a San Lorenzo assieme a qualche vecchio capo, abbiamo resuscitato lo scoutismo che si era ridotto a due poveri reparti e per lo più spelacchiati e spauriti.

Fu un’esplosione, per cui a S. Lorenzo arrivammo ad avere tre reparti di esploratori, due branchi di lupetti, due clan ed un noviziato ed altrettanti gruppi femminili, dato che a quel tempo erano distinti i maschi dalle femmine.

Giunto a Carpenedo nel ’71, mi detti da fare per ripetere il “miracolo” e nonostante i tempi si fossero fatti difficili per via della contestazione del ’68, in pochi anni raggiungemmo e superammo quota 200 scout.

Non sempre ebbi sacerdoti collaboratori convinti e motivati a questo riguardo, ma comunque, almeno a livello numerico l’associazione resse, tanto che quando me ne andai dalla parrocchia potei lasciare questa, per me bella, eredità.

Per un certo tempo parve che l’azione cattolica ragazzi si riprendesse in diocesi, ma fu invece un’estatella di San Martino, infatti, fatta salva qualche eccezione come a Chirignago, tutto è scomparso.

Gli scout rimangono sostanzialmente l’unica organizzazione di giovani di ispirazione cristiana che regga ancora da un punto di vista organizzativo e numerico, mentre ho più di un dubbio circa i contenuti, ma questo dipende dagli assistenti ecclesiastici, sui quali io non ho certamente voce in capitolo!

Il messaggio di Gesù all’uomo: volersi bene e aiutarsi!

Una cara e graziosa signora di Mirano, all’apparenza elegante e preoccupata di dare una bella immagine di sé, ma in realtà determinata e volitiva, mi ha “costretto” a partecipare, come relatore, ad un dibattito sul volontariato, che ella ha organizzato per il suo grosso paese.

Questa signora presiede ad un gruppo di una sessantina di volontari che prestano servizio nell’ospedale di Mirano e spera con l’iniziativa di sensibilizzare la cittadinanza e di allargare il numero di aderenti.

Confesso che la cosa mi è costata molto, sono cosciente di non aver i requisiti del conferenziere, sciolto e convincente. Però la bontà della causa, la decisione della richiedente, il suo pagare in prima persona con un servizio quotidiano tra le corsie e soprattutto il fatto di aver un partner come il dottor Bettin, brillante parlatore ed amico cordialissimo, mi hanno convinto che era comunque doveroso accettare anche a prezzo di fare una magra figura.

Analizzando poi più a fondo la mia coscienza, mi è parso di aver scoperto una motivazione forte e forse decisiva.

Ho nell’animo da sempre la convinzione che la solidarietà, di cui il volontariato è una delle espressioni più autentiche ed immediate, sia una componente essenziale del messaggio di Gesù, ma che invece col tempo la tendenza al quieto vivere e la comoda alternativa del rito abbia fatto slittare la virtù concreta della carità ad una posizione marginale, quasi fosse un optional della vita cristiana.

Pur essendoci nella storia della chiesa remota, recente ed attuale delle splendide figure di testimoni della carità e delle iniziative derivanti da questa prassi, spesso le comunità cristiane hanno ridotto a cenerentola l’impegno gratuito verso il prossimo più bisognoso ed indifeso, e specie oggi che lo stato sociale ha di molto sviluppato il suo impegno per gli ultimi, i cristiani sono tentati di lavarsi le mani e di delegare ad altri il compito della solidarietà, compito che a mio modesto parere, nessuna elaborazione tecnologica e nessuna tradizione può giustificare.

Ad essere onesto so che volevo dire, convinto che un cristianesimo fatto da pie pratiche, da riti più o meno solenni, o da una religiosità intimistica non ha nulla a che fare col pensiero di Cristo.
Gesù è venuto per dirci che ci vogliamo bene, che ci aiutiamo a vicenda, perché tutti possano vivere una vita migliore e più degna.

Un’Europa a volte infame e ingiusta!

La nuova chiesa prefabbricata, allestita a tamburo battente, perché fosse pronta prima dell’inizio dell’inverno, proviene dalla Romania.

La ragione dell’acquisto da un paese così lontano, suppongo sia duplice: il costo minore ed in secondo luogo la disponibilità a fornire in pochissimo tempo il prodotto.

Sembra che gli elementi per il montaggio siano stati preparati in circa un mese e l’assemblaggio in circa tre settimane.

C’è da dire che questa estrema rapidità, perché si tratta di un manufatto di trecento metri quadrati, provvisto di isolamento termico, di intonaco esterno ed interno, è stato determinata dal fatto che la Veritas ha fornito alcuni tecnici, un ingegnere a tempo pieno che ha studiato nei minimi particolari un piano di lavoro e di altri tecnici che hanno seguito gli impianti elettrici, di condizionamento termico, di amplificazione sonora e che nei momenti di emergenza hanno inserito operai specializzati italiani. Però l’elemento portante è stato sopportato dallo staff di operai rumeni che hanno lavorato giorno e notte.

L’ingegnere che ha tenuto le file del cantiere mi ha fatto osservare che il confronto tra gli operai italiani e rumeni non reggeva, i nostri hanno un rendimento certamente maggiore, ma poi soggiunse che da un lato l’educazione dei rumeni fondamentalmente è rimasta quella del regime e tutti sanno che nei regimi comunisti il rendimento è estremamente basso e dall’altra le paghe di questi operai rumeni che, a tutti gli effetti devono considerarsi personale specializzato, non superano i 200 euro al mese, solamente il capo cantiere percepiva 250 euro.

Avevo già sentito una notizia del genere, ma ora avevo sotto gli occhi questa ingiustizia o peggio questa infamia che persiste tra gli operai dell’Unione Europea.

Da questa notizia ho compreso, ulteriormente quanta strada deve fare ancora l’Europa per essere una nazione, quanta solidarietà dobbiamo avere verso     questi popoli che mandano le loro donne in Europa a fare le badanti dei nostri vecchi, perché le loro famiglie possano sopravvivere e quanta vergogna dobbiamo provare per il permettere o peggio per il nostro favorire queste radicali ingiustizie e quanto meschino ed egoista sia il neonazionalismo che serpeggia nel nostro Paese.