Voglio!

Qualche anno fa, nel mio vagabondare tra i periodici o i libri, ho scoperto “un raggio di sole sul nuovo giorno”. Consisteva in uno di quei pezzi intensi e capaci di darti forti emozioni che io vado raccogliendo per inserirli nel mensile che ho immaginato come un quaderno che faciliti ogni giorno una reazione positiva o negativa di fronte agli eventi della vita per trarne comunque vantaggio.

Vedendo poi che aveva come soggetto un anziano di fronte ad un cambiamento radicale della sua vita, ho pensato che potesse essere d’aiuto a tutti quei vecchi che la sorte deposita come la risacca sulla spiaggia tranquilla del “don Vecchi”.

Ho fatto plastificare il testo e l’ho affisso all’entrata dei vari Centri don Vecchi. In realtà l’iniziativa non credo abbia ottenuto l’effetto sperato, perché gli anziani entrano con grandi magoni per aver dovuto lasciare le loro case e pare che siano preoccupati di tutt’altro che leggere “la storiella” affissa all’entrata dei Centri.

Comunque vada, serve sempre a me, che me la vado a rileggere ogni tanto e quest’anno poi mi è servita per la predica di capodanno.

Eccovi la storiella.
Ad un vecchio muore la moglie e i congiunti gli suggeriscono di andare in casa di riposo. Il direttore gli illustra la stanza, i vantaggi della nuova vita protetta e termina dicendogli: «Vedrà che si troverà bene». L’anziano risponde: «Di certo mi piacerà il nuovo alloggio e la vita in questa struttura». Al che il direttore osserva: «Ma come fa a saperlo se non ha ancora visto nulla?». E il vecchio: «Ho già deciso che mi piacerà; sono certo che la stanza sarà bella e la vita serena!».

Morale: la bellezza e la positività della vita dipende soprattutto da noi. Sono convinto che, nonostante gli eventi più o meno positivi, siamo noi a dare colore alla vita, trama e luce al nostro vivere.

In merito a questa riflessione anch’io, ottantaquattrenne, ho deciso che il 2013 sarà il più bell’anno della mia vita e così ho suggerito ai miei fedeli il primo gennaio.

Il 31 dicembre del 2013 vi dirò come è andata se non sarò in Paradiso. E se fosse così, sarà di certo in assoluto l’anno più bello.

Il germe per la fiducia è sempre vivo

Più volte ho confidato agli amici che di primo mattino mi alzo normalmente alle 5,30 e dopo la preghiera dedico qualche tempo ad una lettura spirituale per meditare un po’. Quasi sempre mi avvalgo di semplici riflessioni fatte da cristiani sparsi in tutto il mondo: sono sempre pensieri molto semplici che partendo da un versetto della Bibbia preso a caso, sono analizzati con immagini che attingono alle esperienze quotidiane e che si rifanno alla vita di tutti i giorni.

Il 30 dicembre dello scorso anno un membro di una comunità cristiana degli Stati Uniti d’America, partendo dal versetto del Libro dell’Ecclesiaste “Ogni cosa ha il suo tempo sotto il cielo” calava l’affermazione della Bibbia traducendo il messaggio, di assoluta semplicità, di grande saggezza, in una immagine che tutti abbiamo modo di sperimentare e che mi ha aperto uno spiraglio di luce, di speranza e di serenità e mi ha aiutato a vivere una giornata in maniera più positiva. Eccovi il breve testo:

“Durante la mia abituale passeggiata mattutina passo accanto ad un orto urbano. L’area è stata suddivisa dal comune in piccoli lotti di terreno per gli abitanti del quartiere, che li coltivano a fiori e verdure. Quando sono passato la settimana scorsa, non c’erano né fiori né colori. Come Mai? Nei giorni precedenti avevamo avuto neve precoce e ghiaccio: in questa stagione di solito da noi orti e giardini vanno a riposo. La primavera porterà di certo nuovi frutti e tanti colori.

Come quel terreno, anche nella vita di ognuno ci sono stagioni ricche di colori e momenti grigi, in cui ci sembra di non riuscire a ottenere alcun risultato o di non essere più utili a nessuno. E’ una stagione di gelo. Il saggio autore dell’Ecclesiaste ci ammonisce che “per ogni cosa c’è il suo tempo sotto il cielo”. Poiché conosciamo la grazia infinita del nostro Signore, siamo certi che al momento giusto della nostra vita tornerà la gioia della primavera con la ricchezza dei suoi colori”.

Di certo non si tratta di una riflessione sublime d’alta filosofia o teologia, ma comunque, nello stato d’animo piuttosto grigio e pessimista in cui mi trovavo, un po’ per l’età e un po’ perché le cose non andavano come avrei desiderato ed infine perché non è che l’inverno mi entusiasmi più di tanto, comunque essa m’ha scaldato il cuore, m’ha fatto sognare primavera e soprattutto mi ha aiutato ad abbandonarmi al sapiente disegno di Dio che “ha fatto bene ogni cosa”.

La giornata che ne è seguita è stata più serena di quanto sperassi, sentendo che il Signore ci conduce per mano e forse manda il “ghiaccio” perché sappiamo sognare, desiderare ed apprezzare la primavera e le cose buone della vita.

Un’ottima “predica”

Qualche giorno fa un mio collega più giovane, – credo pur senza volerlo – m’ha fatto un’ottima “predica”, uno di quei sermoni che fanno pensare e mettono positivamente in crisi. Tutto questo non avviene facilmente, perché sono convinto che noi preti, predicatori di professione, siamo maestri nel trovare interpretazioni e scappatoie per cui “stiamo sempre a galla” e ci salviamo nonostante certe posizioni e certi comportamenti siano manifestamente poco conformi al Vangelo.

Vengo alla vicenda che mi ha portato ad ammirare e ad essere quanto mai toccato dal modo di pensare, ma soprattutto di agire, di questo mio confratello.

Gli anziani residenti al Centro don Vecchi di Campalto, dimorano, come qualcuno di loro ha felicemente affermato, “in una prigione d’oro”, ma sempre di prigione si parla perché a causa del traffico forsennato di via Orlanda, a mala pena e con pericolo possono muoversi solamente usando l’autobus; muoversi a piedi o in bicicletta sarebbe un suicidio certo.

Preoccupato anche per l’aspetto religioso, ho fatto due tentativi con due vecchi preti, però per motivi diversi sono andati male. Per grazia di Dio si è praticamente offerto un giovane prete della zona. Io, come comunemente si usa, gli avevo fatto avere una busta con l’offerta, che però egli ha respinto. Per Natale cercai di superare l’ostacolo facendogli avere “il panettone con un’offerta per la sua parrocchia”. Ma questo sacerdote, con una lettera quanto mai nobile ed edificante, mi rimandò l’offerta con queste parole che mi costringono ad una seria verifica personale. Spero di non essere indiscreto pubblicando il motivo del suo rifiuto, ma lo faccio solamente perché penso sia bene che i concittadini sappiano che ci sono anche dei preti di tale rigore, coerenza e delicatezza di coscienza.

Rev. Don Armando,
ho gradito il suo pensiero di riconoscenza, che un suo collaboratore mi ha consegnato la sera di Natale, ma ritorno indietro la somma che lo accompagnava. Non voglio essere scortese nei suoi confronti, e non metto assolutamente in dubbio le sue intenzioni, tuttavia io voglio essere fedele ad un principio che mi sono dato, quello cioè, per quanto è possibile, di fare qualsiasi servizio religioso, senza che esso sia “adombrato” da motivi economici, sia che figurino come offerta – compenso al celebrante o alla parrocchia o ai poveri o a qualsiasi altro scopo. Non entro qui nel discorso, che sarebbe lungo e complesso fare, sulla gestione economica delle parrocchie e sul sostentamento del clero. Sono sicuro che capirà questo mio desiderio.
Mi creda, quel grazie sorridente che gli anziani del Centro mi rivolgono alla fine della Messa, è per me più che sufficiente. A ben pensarci sono io che la devo ringraziare per l’occasione che mi ha dato.

Cordialmente,
29.12.12
(lettera firmata)

Un discorso del genere non può e non deve lasciarmi indifferente. Io finora mi sono comportato nella stessa maniera ogni volta che altri sacerdoti mi hanno chiesto qualche servizio religioso, né mai ho chiesto ai fedeli un centesimo per messe, funerali o matrimoni, però ho sempre accettato e accetto ancora ogni offerta che spontaneamente mi si dà in occasioni del genere, destinandola però interamente alle opere di carità.

Da queste offerte sono nati i Centri don Vecchi ed altre strutture di carità. Ripeto però che mi fa un immenso piacere e mi ha edificato quanto mai il discorso e il comportamento di questo mio confratello, offrendomi un’occasione per una verifica seria e rigorosa delle scelte che finora ho fatto.

Il dono di una splendida testimonianza

Una famigliola, che fa parte di quei “miei parrocchiani del don Vecchi” dei quali ho parlato ieri, per Natale mi ha donato un libro che, a differenza di altri volumi, per leggere i quali mi vogliono mesi, ho divorato in un paio di giorni. Ho deciso di parlarne agli amici perché spero che sentano il desiderio di leggerlo anche loro.

Non è frequente scoprire libri che parlino di Dio e della preghiera in maniera sciolta, scorrevole ed avvincente. Normalmente questi libri sono lagnosi, pieni di frasi fatte, di luoghi comuni, ma soprattutto tanto pedanti da far temere che non siano veri. L’editoria cattolica, a cui sono sommamente interessato non come studioso ma come utente che cerca la verità, sta sfornando attualmente dei libri quanto mai interessanti, ma spesso presumono una seria preparazione culturale specialistica; sono rivolti agli addetti ai lavori e perciò usano un linguaggio da esperti e quindi sono difficilmente fruibili dalla gente normale che ha poco tempo e ha soprattutto bisogno di discorsi scorrevoli, avvincenti, che si rifacciano a testimonianze personali e, per di più, che “suonino” veri.

Il volume che mi ha interessato e mi ha fatto molto bene durante il tempo natalizio, è scritto dal figlio di Adriano Celentano, il cantautore “molleggiato” che talvolta si impalca a predicatore destando ammirazione per le sue canzoni e discussione per i suoi predicozzi duri e provocatori.

Celentano, che non ha mai fatto mistero della sua fede, ma che spesso è stato duramente criticato dai cristiani della domenica, ha tre figli, uno dei quali è Giacomo, autore del volume “La luce oltre il buio”. Dalla lettura si avverte che è un “ragazzo” intelligente, con mille interessi.

La genesi del libro deriva dal fatto che l’autore, mentre sta intraprendendo, con un certo successo, la professione di suo padre, è colpito da una forma di improvvisa e gravissima crisi esistenziale che gli blocca la carriera, lo isola dal mondo e lo fa cadere in uno stato di terribile prostrazione.

Celentano junior confessa come recupera la salute e la fede attraverso la preghiera appassionata, rivolta al Signore.

E’ interessante il racconto autobiografico, ma è ancora molto più interessante il suo discorso sulla fede, su Dio, sull’amore e sulla preghiera. Faccio fatica a descrivervi quanto sia forte la convinzione religiosa di questo giovane del nostro tempo, quanto sia bella ed entusiasta la sua testimonianza di fede, di cui parla apertamente, quasi voglia farne dono a tutti.

La lettura di questo volume a me ha fatto più bene delle ultime encicliche papali; penso che farebbe altrettanto bene anche a tutti i miei amici.

Come Mosè

Un gruppo di “parrocchiani di adozione” della comunità cristiana del Centro don Vecchi di Carpenedo mi offre, durante l’anno, una collaborazione che è determinante per l’uscita settimanale “L’incontro”. Io mi considero “il presbitero sui generis” di questa “congregazione religiosa” composta da elementi tanto eterogenei per età, condizioni di vita e di pensiero.

Questa piccola comunità di adozione, sostanzialmente cristiana, riesce ogni settimana ad offrire un messaggio che tenta di ispirarsi a quello di Gesù per offrirlo ad una folla di uomini e donne che assomiglia a quella descritta dal Vangelo. Infatti, come ai tempi di Gesù, cinque, seimila persone della nostra città ogni settimana seguono ed ascoltano con grande interesse le nostre “catechesi” sulla proposta di Gesù.

Questo tentativo di evangelizzazione, fatto da cristiani non estremamente acculturati in teologia, i quali riescono, di settimana in settimana, a farsi “ascoltare”, è il “gruppo di ascolto” di gran lunga più numeroso di tutti quelli esistenti in diocesi messi assieme.

Io sono “un povero diavolo di prete” e non tento neppure di indottrinare i miei discepoli perché conosco i miei limiti costituiti dall’età e dalla mia modestia intellettuale, perciò cerco di “formare” i discepoli solamente attraverso la mia testimonianza. Faccio fatica a continuare, ma non smetto ancora sembrandomi un vero sacrilegio chiudere una “scuola di vita” e di fede così attenta e così frequentata.

Ogni tanto mi fisso delle date per “chiudere”, però quando mi avvicino ad esse, pensando alle migliaia di “ascoltatori” del nostro periodico, finisco per procrastinare il termine di questa esperienza che mi pare sia tra le poche che vedo nella nostra realtà cittadina, anche se sento parlare da mattina a sera di nuova evangelizzazione.

Talvolta mi sento come il vecchio Mosè che, amando appassionatamente il suo popolo, tiene le mani alzate in preghiera perché il popolo di Dio non soccomba. Sono grato a questi miei collaboratori che, intuendo la mia stanchezza, finora sostengono le mie braccia che invocano dal Cielo benedizione e grazia per i figli di Dio che incontrano tra continue “battaglie”, difficoltà ed insidie.

Oggi sento il dovere di ringraziare di cuore questi miei amati discepoli che aiutano questo povero prete a servire Dio e la comunità, nonostante la sua stanchezza e la sua vecchiaia.

Un altro problema

Quando ero nella mia vecchia parrocchia, per parecchi anni potevo contare sull’aiuto di due giovani preti come collaboratori; poi, a causa della crisi delle vocazioni, ne rimase uno solo. Ora don Gianni, attuale parroco a Carpenedo, è rimasto solo, senza alcun aiuto stabile.

Per Pasqua, il mio successore mi ha chiesto di aiutarlo per le confessioni, cosa che ho fatto molto volentieri. A motivo di questa recente collaborazione, ho avuto modo di constatare personalmente la “crisi” di questo sacramento. Già ai miei tempi avevo notato la progressiva diminuzione dei fedeli che si accostavano al sacramento della riconciliazione con Dio. Ora però, mancando da più di sette anni dalla parrocchia, mi sono reso conto del livello di minima raggiunto.

L’organizzazione delle confessioni per Natale è stata perfetta: incontro a scaglioni di età, preparazione prossima adeguata, lettura dei testi biblici sul perdono, foglietti per l’esame di coscienza, ingaggio di un numero adeguato di sacerdoti (per cui le attese sono state minime). Con tutto ciò, pur non essendo in grado di quantificare il numero esatto, credo che tra bambini ed adulti non si siano superate le due, trecento anime e, in aggiunta, ho avuto la sensazione che i parrocchiani ormai si accostino alla penitenza quasi solamente in occasione delle confessioni organizzate: due o tre volte all’anno.

Se confronto questa situazione con quella che ho sperimentato da giovane prete, c’è un abisso numerico, e pure qualitativo, tanto da farmi pensare che piuttosto che insistere su questo tipo di organizzazione – che raggiunge percentuali infinitesimali – sarebbe più vantaggioso puntare su una formazione che faccia prendere coscienza ai fedeli del bisogno di chiedere perdono di frequente a Dio per le proprie miserie, magari potenziando e valorizzando il momento penitenziale all’inizio della Santa Messa, pur offrendo ogni settimana sempre tempi e momenti ben determinati per la confessione personale.

Ossia, mi chiedo se sia più opportuno insistere su una formazione permanente al pentimento e alla richiesta di perdono a Dio, orientando i penitenti alla confessione solamente in momenti particolari di disagio interiore, piuttosto che alla organizzazione di queste penitenziali comunitarie con l’assoluzione personale che raggiunge un numero insignificante di Cristiani.

Io non so e non posso dare una risposta, però mi vien da pensare che anche questo problema si riconduca a quello più vasto ed incombente dell’evoluzione religiosa, che richiede un ripensamento delle formule religiose per confermare ed alimentare la fede.

L’uomo planetario

Padre Ernesto Balducci, il sacerdote dell’ordine degli padri scolopi, l’ho conosciuto tantissimi anni fa, quando ero appena prete. Il sacerdote fiorentino, morto una decina di anni fa in un incidente d’auto, l’avevo “incontrato” nella rivista “Testimonianze”, il periodico che mi ha accompagnato alla scoperta della fede e dell’uomo per più di vent’anni.

La rivista – ricordo bene – aveva la copertina di un rosso intenso, con la scritta lapidaria “Testimonianze”. A quei tempi era considerata, nel mondo ecclesiastico, una rivista di avanguardia che destava più di un sospetto e di una preoccupazione nelle alte gerarchie; comunque per me le tesi che portava avanti erano fresche ed esaltanti. Infatti mi accorsi poi che esse erano un rivolo di pensiero evangelico che ha ingrossato quel fiume salutare che è sfociato nel Concilio Vaticano Secondo, che per grazia di Dio accompagnò la Chiesa ad accostarsi con più fiducia al nostro mondo.

Il mio rapporto con questa rivista si interruppe, non ricordo più in quale anno. Ricordo che scrissi a padre Balducci: “Reverendo padre, per la stima che le porto, sento il dovere di dirle che le nostre strade ormai divergono; non sono più disposto a seguirla nel sentiero che lei ci indica”. Mi sembrava che lui condividesse troppo le tesi della sinistra. Poi ho capito che non era lui che camminava troppo in fretta, ma ero io ad avere il passo troppo lento.

In questi giorni mi sono “riconciliato” con padre Balducci leggendo un suo bellissimo ed illuminante volume: “L’uomo planetario”. Padre Balducci, con un’analisi quanto mai intelligente e profonda, legge in chiave di fede il fenomeno della globalizzazione, per quanto riguarda le grandi religioni, prevedendo uno smussamento progressivo della differenziazione tra le varie Chiese ed un movimento verso una comunione sempre più consistente.

Leggendo questa ricerca così illuminante, ho pensato prima alla parola di Gesù che auspica “un nuovo ovile sotto un solo pastore”, poi alle tesi del grande Teilhard de Chardin che legge il movimento cosmico tutto teso verso l’assoluto e al convegno Interreligioso voluto da Papa Wojtyla ad Assisi, sembrandomi di capire che “gli uomini non si muovono ma è Dio che li conduce” verso l’incontro risolutivo con il Creatore.

Anche il cammino procede con difficoltà; esso tende verso l’assoluto inglobando e stemperando differenze che ogni giorno di più sembrano marginali e fittizie.

La mia scoperta natalizia

Don Mazzolari ha scritto che certe feste religiose sono come “l’ondata di monta che lambisce, bagna e lava superfici che raramente sono raggiunte dal messaggio di Gesù”. Anche se per Natale e Pasqua non ci sono più le folle dei cosiddetti “pasqualini” che un tempo gremivano le chiese, ossia quei cristiani che si vedono in chiesa soltanto per Natale e per Pasqua, è pur vero che queste celebrazioni sono più frequentate del solito, ma soprattutto è la Chiesa che mette in luce, in queste grandi solennità, i “pilastri portanti della nostra fede”.

Tutto questo fa crescere il mio “tormentone” per la paura di non essere capace di offrire “su un piatto d’argento” ai fratelli di fede, che amo quasi più di me stesso, quelle grandi verità del messaggio di Gesù che sono veramente sublimi ed inebrianti, qual è il mistero dell’incarnazione.

Per me, il fatto che Dio dica che è vicino a noi, che non è ancora stanco di questo nostro povero mondo, che gli garantisca ancora una volta di amarlo, di volergli stare vicino e di parlare con parole care e comprensibili anche ai “tardi di cuore”, quali siamo noi, è una cosa stupenda e meravigliosa. Per questo nasce nel mio animo l’affanno e l’angoscia di banalizzare con parole stanche e concetti consunti una verità così sublime.

Quest’anno ho sofferto e cercato tanto per trovare pensieri che mi apparissero capaci di trasmettere tanta bellezza e verità. Tante volte mi sono accostato al presepio per ritrovare l’incanto dei tempi della mia fanciullezza, lo stupore dei tempi innocenti della mia vita.

Quest’anno ho “scoperto” anche che Maria ha il volto e la bellezza delle nostre donne, che Giuseppe ha nel cuore il dramma dei nostri uomini preoccupati per il lavoro, per la loro famiglia, che il Bambinello ha l’armonia, il sorriso bello e radioso dei nostri piccoli, che pastori e angeli, fanno parte del mondo che conosco. E perciò ho detto alla mia gente: «Il Dio di Gesù non possiamo trovarlo nell’evasione, tra le stelle, o nei desideri e nei sogni, ma in questo nostro mondo, in questa nostra società, pur con tanti limiti e tante cattiverie.

M’ha fatto felice e mi sono un po’ riconciliato col mondo, scoprire che tutto sommato Dio non ne è deluso, lo ama ancora ed è disposto ad aiutarlo.

Ho guardato e ho invitato la mia gente a guardare con maggior simpatia ed interesse il nostro mondo, ad amarlo di più, anche perché il Signore lo possiamo trovare solamente qua, perché Egli ha scelto, almeno da duemila anni, che la sua dimora è nella nostra terra.

I cari “nemici”

Del Cardinale Martini avevo una conoscenza abbastanza approssimativa. Lo conoscevo come biblista famoso e soprattutto per quella sua lettera pastorale alla diocesi di Milano che aveva come titolo “Farsi prossimo” e che è un testo veramente importante per chi, nella Chiesa, avverte il dramma dei poveri, ma non sapevo niente più di questo. Ora che è morto, Martini mi sta diventando più che mai un maestro di vita e soprattutto un testimone autentico di Cristo.

Per Natale amici cari mi hanno regalato una serie di volumi su questo vescovo gesuita, testi che mi stanno aiutando a sentire questo Cardinale come un caro e prezioso compagno di viaggio. Per un paio di anni ho materiale sufficiente a farmi conoscere questo uomo di Chiesa, ma soprattutto di Dio, che è quello che conta. Già ho parlato agli amici di quanto mi hanno fatto bene le sue “confessioni” sul passo lento della nostra Chiesa, sulle sue contraddizioni e sui suoi “peccati”. La “fragilità” spirituale dell’arcivescovo di Milano mi è quanto mai di conforto e mi sta aiutando ad accettare i miei limiti di fede e le mie “riserve” nei riguardi di quella Chiesa che amo e per cui voglio spendere pure i “tempi residui” della mia vita.

Uno degli ultimi volumi ricevuti in dono su Martini è una sua biografia. Oggi ho letto un capitoletto e ho trovato una sua affermazione che è stata per me come un raggio di luce che ha toccato il mio animo. Il cardinale “ringrazia” tutti i razionalisti, da Renan in poi, che hanno dato una lettura umana, oppure critica e scettica, delle Sacre Scritture, perché – dice il cardinale – l’hanno aiutato ad approfondire il suo studio, a documentarsi meglio, ad apprezzare di più il testo sacro.

M’è venuto da pensare: “A che cosa si ridurrebbe la Chiesa senza critici, atei, persecutori?” Già ora la Chiesa italiana, che da più di mezzo secolo tutto sommato ha avuto pochi nemici, anzi troppi privilegi, sta arrischiando di diventare flaccida, fideista, evanescente e confinata negli spazi siderali. Ho capito che i nostri “nemici”, e semmai i nostri persecutori, sono un autentico “dono di Dio” perché ci costringono all’autocritica, ad una revisione di vita, alla purificazione e ad una maggior coerenza.

Oggi quindi ho ringraziato il Signore per i radicali, i socialisti, i liberali, gli atei e l’intera sinistra, perché ho capito che in realtà sono una “benedizione” del Signore. Senza questi “nemici” solo Dio sa che cosa saremmo diventati!

“I santi del giorno”

Ho la sensazione che la linea editoriale della Rai diventi ogni anno sempre più “laica”. Un tempo Rai uno era un patrimonio dei democristiani e Rai tre della sinistra, quale frutto del compromesso storico per offrire un contrappeso ai laici.

Con il crollo delle ideologie tutto si è andato vieppiù sfumando, pur rimanendo nelle reti ancora qualche eccezione. Ad esempio Rai uno mantiene ancora “Porta a porta” con Vespa, decisamente di matrice cattolico-liberale, mentre a Rai tre c’è Santoro, certamente radical-socialista, o “Ballarò” che è guidato da uno che non sa di sacrestia.

A parte però queste rubriche che si muovono soprattutto a livello politico e quelle condotte da non credenti dichiarati, rimane una rubrichetta trasmessa di prima mattina, dal titolo “I santi del giorno”, condotta da un certo monsignor Pellegrino. E’ una rubrichetta di un paio di minuti che questo sacerdote offre con garbo ed intelligenza, che però parla sempre di vecchi santi, a parer mio un po’ fuori corso. La santità espressa dagli uomini di oggi pare che non trovi quasi spazio nella cultura ecclesiale moderna.

Qualche giorno fa, per una strana, forse stravagante associazione di idee, m’è venuto da chiedermi in quale categoria di santi monsignor Pellegrino collocherebbe Marco Pannella, che sta arrischiando la vita per rendere cosciente l’Italia dello sconcio e del degrado delle carceri del nostro Paese. Per me non avrei difficoltà ad inserirlo tra i “confessori” o forse tra i “martiri”. Più laico di Pannella credo non ci possa essere nessuno, né più anticlericale credo si possa trovare. Però credo che in questo tempo di avvento e di Natale sia ben difficile trovare un “cristiano” più coerente. Mi vengono in mente le parole di Gesù: «Non c’è nessuno più amico di chi perde la vita per i fratelli».

Nel medioevo c’è stato perfino un ordine religioso i cui membri si offrivano di sostituirsi ai cristiani in schiavitù. Pannella mi pare che potrebbe oggi chiedere di entrare in questa congregazione religiosa, perché ne avrebbe tutti i titoli.

Faccio fatica a trovare dei cristiani veri che sappiano testimoniare a favore della vera legalità e della dignità dell’uomo. Non sarebbe male perciò scrivere un martirologio laico parallelo a quello della nostra Chiesa.

L’arroganza dei governi

I palestinesi della striscia di Gaza per molti anni han tenuto prigioniero un giovane militare di Israele. So che i ripetuti tentativi per liberarlo, o con un blitz o con uno scambio di prigionieri, non ebbero esito positivo. Non so come la cosa sia andata a finire, però confesso che tante volte ho pensato a questo povero ragazzo che, per motivi che gli erano estranei, perdeva gli anni migliori della sua vita e correva il pericolo di pagare al posto di chi comanda e che, con le sue decisioni, l’ha costretto a prendere in mano il fucile contro altri ragazzi che l’ha costretto a chiamare “nemici”.

Di recente ho letto un’altra storia che s’è svolta al di là del confine di Israele. Un altro ragazzo che credeva nell’uomo e che ha ravvisato negli abitanti della striscia di Gaza il debole, il senza domani, il povero e il senza terra, a sua volta è pure stato giudicato, per motivi che gli erano estranei, “nemico”, e per questo motivo, mai valido a livello umano, è stato trucidato.

Da mesi altri due nostri giovani marò, mandati a difendere le navi dai pirati, sono lontani dalle loro famiglie e dai loro affetti, perché han fatto quello che han detto essere il loro “dovere”.

E’ ben triste che la magistratura e il governo di un grande e nobile Paese, qual’è l’India, non vogliano capire che non devono far pagare ai giovani incapacità o, peggio, la cattiva volontà dei vari governi di trovare soluzioni ai problemi che purtroppo ci sono e ci saranno sempre. Sono i governi che non scelgono il dialogo, il compromesso, ma le armi, le ripicche, che non hanno nulla a che fare col bene dell’umanità.

Ripeto ancora una volta che spesso gli individui si comportano in maniera stolta e disumana, ma i governi, che dovrebbero rappresentare il meglio di un popolo, sono sempre arroganti e spietati e soprattutto sprezzanti della vita e delle lacrime dei più indifesi.

Parziale e caro ritorno

Don Gianni, il giovane parroco, mio “nipote” nella successione nella parrocchia di Carpenedo, è rimasto solo. Don Gianni è giovane, intelligente, pieno di risorse, ma solo ed impegnato su troppi fronti.

I preti della Chiesa veneziana, soprattutto i bravi preti, arrischiano di crollare sotto il peso di troppi impegni, a causa della scarsità di sacerdoti, finché il Vaticano non si deciderà a prendere delle decisioni. Per esempio consacrare preti anche gli uomini sposati e le donne, oppure accorpare le parrocchie dando incremento alle “unità pastorali” e creando così delle pur piccole comunità sacerdotali per evitare i doppioni e perché ogni sacerdote possa dare il meglio di sé nel settore che gli è più congeniale.

Finché non si darà fiducia reale e responsabilità ai laici assumendo a libro paga dei collaboratori pastorali, temo che i preti più generosi e più impegnati arrischino di fare la stessa fine del cavallo del bellissimo volume di Orwell “La fattoria degli animali”, un animale sempre disponibile a caricarsi di ogni impegno, ad aggiungere fatica a fatica, finché un brutto giorno crollò sotto le stanghe del carretto che tirava.

Don Gianni mi ha chiesto di aiutarlo a celebrare una delle cinque sante messe di orario alla domenica, quando poi non ci sono degli extra. Di buon grado ho accettato anche perché don Gianni si è reso disponibile a succedermi come presidente della Fondazione don Vecchi, perché amo ancora la mia vecchia parrocchia e perché ritengo giusto offrire la mia collaborazione. Ho scelto la messa delle otto perché la meno frequentata, e soprattutto frequentata da anziani, sperando che s’accontentino più facilmente delle omelie di questo vecchio prete.

Con tanto piacere constato che di domenica in domenica cresce l’intesa e spero di raggiungere il clima caldo, cordiale e fraterno che provo sempre quando celebro nella mia cattedrale fra i cipressi.

Perché Monti non cede alla tentazione

Mentre sto buttando giù questi pensieri, i politici, i politologi, i giornalisti e i mass-media in genere non fanno che parlare della discesa in campo di Mario Monti, il presidente che il Centro sinistra e il Centro destra hanno sopportato contro voglia.

I professionisti della politica, che si sono visti messi da parte dal presidente Napolitano che li ha espropriati del potere, dalla gente che li sta detestando e dall’Europa che li vede male quanto mai, capiscono che aver dalla loro parte Mario Monti rappresenta un salvagente a cui aggrapparsi per non affondare.

Casini e colleghi sognano Monti come un salvatore che potrebbe rimetterli sul trono e perciò, da mane a sera, lo tirano per la giacca. Bersani spera segretamente di poterne disporre dopo la sua vittoria elettorale. Berlusconi, da parte sua, ha tentato d’averlo come capitano di ventura che recuperi il suo esercito irrequieto e poco obbediente agli ordini. E perfino la Chiesa desidera che questo suo “fedele” vada al governo per tutelarla dai vari Vendola e compagni.

Io, ancora una volta, mi trovo isolato ed in controtendenza perché spero con tutte le mie forze che non si metta con questi “cattivi compagni” che potrebbero corromperlo e perché desidererei che l’Italia avesse un tesoretto di uomini in serbo da poter tirar fuori nel momento di bisogno. Questa sera ho chiesto al mio angelo custode, che è uno spirito retto e buono, che si metta in contatto con quello di Mario Monti e pure con quello di Riccardi, di Severino perché non si mettano assieme a quella banda di briganti.

P.S. Questa volta temo che il mio angelo custode non mi abbia dato retta, o che Monti non l’abbia ascoltato.

Il segno della fede

Qualche tempo fa è morta una donna per cui è stato chiesto il commiato cristiano. Io non conoscevo assolutamente questa creatura perché era vissuta in un paese dell’interland della nostra città. Avevo chiesto ad un suo fratello qualche notizia sulla vita della sorella e lui era stato abbastanza vago circa la fede e la vita religiosa della sorella, ribadendo però il fatto che era stata molto disponibile ad aiutare un po’ tutti, lavorando in una casa di riposo e che aveva avuto moltissime amiche. Questo tipo di risposta mi giunge abbastanza di frequente.

Prima del rito una collega della defunta è venuta a chiedermi di poter dare un saluto desiderando confermare la grande disponibilità all’amica scomparsa. Quasi d’istinto sentii il desiderio di avere un’ulteriore precisazione circa la religiosità della defunta, però anch’essa rimase un po’ sfuggente. Allora la incalzai chiedendo in maniera diretta: «Era credente?» «Penso di si», mi rispose. Allora continuai: «Ma non era proprio per nulla praticante?» Al che questa giovane amica mi rispose con sicurezza, quasi volesse sfidarmi su un terreno su cui credo avesse già riflettuto: «Era però molto generosa ed amava seriamente il prossimo», quasi a dire che questa è la religiosità che salva agli occhi di Dio.

Non risposi, perché il terreno si faceva scivoloso per un “ministro del culto”, ma soprattutto perché la pensavo come lei, però non volevo correre il rischio che questa cara ragazza pensasse che io ritenessi non utile la pratica religiosa. Credo però che sia proprio l’amore che salva e che non esista fede vera senza amore e solidarietà verso il prossimo.

Santa Lucia

I miei amici sanno che ho una sorella che si chiama Lucia. Mia sorella, dopo aver passato una vita, come infermiera, nel reparto di oculistica dell’ospedale Umberto I di Mestre, ai tempi del professor Rama, si dedica anima e corpo ad un piccolo ospedale del Kenia, all’interno della sconfinata savana, spesso brulla per il sole e talvolta verde e fiorita quando arriva la stagione delle piogge.

Lucia è forse l’unica, tra i miei sei fratelli ed innumerevoli nipoti, a cui faccio gli auguri per l’onomastico, perché ha un nome che il calendario religioso ricorda il 13 dicembre. A Lucia ho donato quest’anno la prima stella di Natale in vendita nel negozio di fiori della piazzetta del cimitero e poi l’ho ricordata durante l’Eucarestia che ho celebrato nel primo pomeriggio nella mia cattedrale tra i cipressi.

La festa di santa Lucia però non mi è cara solamente perché la mia sorella più piccola porta il suo nome, ma anche perché è la protettrice degli occhi e quindi mi rammenta il dono prezioso della vista. Vedere è uno splendido dono di Dio, un dono che si apprezza appieno solamente quando si guardano i volti delle persone, il cielo e la terra, con curiosità, con meraviglia e con stupore. Spesso purtroppo diamo per scontato il fatto di poter scoprire la bellezza, l’armonia, i colori, le sembianze e la tavolozza di infinite sfumature dei colori del Creato.

Nella breve meditazione che ho tenuto durante la messa, riferivo ai fedeli una novella di Gide. Ricordo con riconoscenza questo geniale scrittore d’oltralpe perché mi ha insegnato, con il suo racconto, a guardare il Creato con un sentimento di curiosità, di stupore e di meraviglia, facendomi incantare di quanto mi circonda anche nelle giornate grigie, cupe ed apparentemente spente.

In questa novella Gide racconta l’esperienza di un pastore protestante, che era pure medico, che in un suo giro pastorale scopriva una adolescente cieca, ma che poteva recuperare la vista con cure opportune. Infatti la ragazza guarisce e lo scrittore aiuta il lettore a scoprire la struggente bellezza del Creato con lo stupore e l’incanto con cui questa giovane donna, che è appena uscita dal buio delle tenebre, scopre l’acqua verde del fiume, i movimenti armoniosi dei giunchi mossi da una lieve brezza, il danzare degli uccelli nel cielo azzurro e la luce calda del sole.

Il Signore ha permesso allo scrittore ateo di dare, anche lui, luce agli occhi, per vedere le meraviglie operate dal buon Dio.