Il Papa nella burrasca

Credo che pochi Papi nella storia millenaria della Chiesa siano stati così tanto amati quanto Papa Francesco e credo anche che pochi Papi abbiano meritato questo amore e questa ammirazione come il nostro attuale Pontefice. A sancire la validità di questa dedizione al Papa, “venuto dagli estremi confini del mondo”, c’è anche l’antica massima “vox populi, vox Dei”. La voce del popolo semplice e vera supera tutte le analisi dei sociologhi, dei teologi e degli esperti perché equivalente alla voce di Dio.

Ho paura che per Papa Francesco sia terminata “la luna di miele”, non però con il popolo di Dio ma con i suoi “caporali” e soprattutto con i suoi “generali”. Pare che dentro la Chiesa cominci a sorprendere e a infastidire questo “sacerdote” che vive e chiede che i cristiani non riducano la loro fede a mezz’oretta di Messa domenicale e non si “voltino dall’altra parte” di fronte alla sofferenza e al dramma degli ultimi, dei fratelli disperati travolti dalla brutalità, dall’egoismo e dal sopruso. Questo insegnamento è rivolto all’umile popolo di Dio che a causa del peccato originale ha bisogno di conversione ma soprattutto è rivolto a chi occupa posti di privilegio nella gerarchia ecclesiastica e si oppone al venir meno del prestigio che una certa “sacralità” gli assicurava.

Io, che sono l’ultimo della classe, so che un alto prelato che viveva vicino a noi non usciva “da palazzo” se la polizia stradale non gli faceva da scorta perché, secondo lui e secondo una certa tradizione, la sua carica lo equiparava a un principe. Credo che chi è un po’ addentro alle cose della Chiesa sappia che fino a qualche anno fa, quando il Patriarca si recava in visita presso una parrocchia, veniva approntato un baldacchino affinché la sua “maestà” avesse risalto.

Ho la sensazione che certe esternazioni, certe voci spesso piene di falsità fatte filtrare subdolamente, abbiano come causa comune il fatto che Papa Francesco predichi, e in qualche modo pretenda, che i cristiani abbiano come maestro Gesù e imparino a “lavare i piedi e a servire gli ultimi di questo mondo” piuttosto che “pontificare” dall’alto dei loro scranni.

La venticinquesima ora

Qualche giorno fa, come i miei amici lettori certamente ricorderanno, ho steso qualche nota su quello che io ho sempre chiamato “Alto Adige” ma che le popolazioni locali hanno sempre chiamato e continuano a chiamare con forza e ostinazione “Sud Tirolo”.

In quell’occasione ho confessato che le mie conoscenze sono molto vaghe e scarsamente approfondite. Io provengo dalle file dei balilla in cui mi è stato insegnato che le Alpi sono “il sacro confine della Patria”. Con il duce a questo riguardo non si andava molto per il sottile. Ricordo che quando facevo le elementari venne promosso una specie di concorso su di un tema di carattere patriottico. In quell’occasione risultai il primo della scuola e come premio mi regalarono la divisa da balilla che non possedevo e mi portarono a Venezia affinché mi cimentassi con i vincitori degli altri plessi scolastici. Ricordo ancora di aver scritto, con l’enfasi e la retorica fascista, “che se il nemico avesse infranto i confini della nostra Patria noi avremmo spezzato loro le reni”. Forse quella frase l’avevo appena imparata e mi piaceva così tanto da inserirla nel tema come una pietra preziosa. Oggi in merito a queste affermazioni sono un rinnegato e le rifiuto in maniera radicale.

Una gran parte delle guerre fratricide, più o meno recenti, sono state causate da quei “trattati di pace” spesso artificiosi ed egoisti che la vecchia Europa per secoli ha ratificato non tenendo conto delle specificità di ogni popolo che ha il sacrosanto diritto di vivere all’interno della propria terra conservando la propria cultura e le proprie tradizioni. Ricordo d’aver letto un romanzo terribile “La 25ª ora” (credo sia stato scritto da Gheorghiu), quell’ora fuori dal tempo e dalla logica nella quale i prepotenti di turno spostano a piacimento ed a loro vantaggio milioni di schede che rappresentano milioni di persone collocandole con sadismo ed egoismo aldilà o al di qua di confini artificiosi sradicandole dalla loro terra e dai loro costumi. In questi anni, in cui la globalizzazione e le migrazioni di massa stanno trasformando il nostro mondo in società multietniche, diventa sempre più importante per ogni popolo imparare a conoscere e a rispettare culture e tradizioni diverse dalle proprie perché queste differenze si trasformino in opportunità di arricchimento e cessino di generare conflitti.

Efficienza e bellezza

Io sono molto orgoglioso che Mestre, il brutto anatroccolo di Venezia matrigna, abbia finalmente un ospedale che s’impone da un punto di vista architettonico ed estetico. “L’Angelo” è forse l’unica struttura costruita nel dopo guerra che colpisce chi è dotato di un pizzico di gusto estetico.

Mi piace la torre Maya che si offre allo sguardo dello spettatore nel contesto della nostra bella campagna senza però incombere su di essa, mi piace la collinetta verde con i suoi piccoli cipressi affusolati che sembrano pungere l’orizzonte, mi piace anche l’interno dell’ospedale così accogliente e riposante. Entrando l’impatto che se ne riceve è ben diverso da quello che si prova in un nosocomio dove l’odore pungente di disinfettanti ti colpisce sgradevolmente e dove non puoi fare a meno di notare il trascinarsi delle anime stanche dei pazienti. Il nostro ospedale offre la sensazione di un giardino ben curato, riposante per gli occhi e per l’anima. L’Angelo poi ogni giorno si presenta come nel giorno dell’inaugurazione: squadre di dipintori rinfrescano continuamente le pareti, i giardinieri curano il giardino pensile e i prati mentre gli operatori ecologici raccolgono fino all’ultima cicca o carta di caramella abbandonata per terra dai soliti maleducati di turno.

Il governatore Zaia ha brontolato più volte contro la bellezza dell’Angelo ma Zaia è della scuola di Salvini, lo zoticone sboccato e volgare segretario della Lega. Sarebbe però giusto e doveroso che alla bellezza si accompagnasse anche l’efficienza e l’eccellenza dei professionisti che vi operano. Io, non sono in grado di esprimere giudizi perché non ne ho la competenza però, per quello che riguarda le mie esperienze personali, non posso dire che bene. Credo comunque che sia convinzione comune che la bellezza non guasti mai e se fosse accompagnata anche dalla bravura degli operatori sanitari saremmo vicini a quell’optimum a cui naturalmente tendiamo.

Scampato pericolo

Credo di non essere il solo ad auspicare che ognuno faccia il proprio mestiere. Mio padre, che per buona parte della sua vita ha guadagnato il pane per la sua numerosa nidiata di figli facendo il falegname nella sua piccola bottega d’artigiano, ce l’aveva a morte con quelli che egli chiamava “ruba mestieri”, ossia con quei falegnami che, senza essere andati a bottega “nella loro giovinezza”, si improvvisavano nell’arte di San Giuseppe e di mastro Geppetto “rovinando il mercato” e facendo castronerie. I politici in genere appartengono, quasi sempre, alla categoria dei “ruba mestieri” perché avvalendosi di una “sbattola” infinita, senza alcuna esperienza pregressa, si improvvisano amministratori provetti, capaci di condurre le aziende più difficili di questo mondo quali sono gli enti statali e parastatali.

La catastrofe economica del Comune di Venezia deriva in gran parte dall’aver avuto sindaci senza capacità imprenditoriali, di conduzione del personale, di finanza e di economia e la cui preparazione professionale poco o nulla aveva a che fare con l’amministrazione di un Comune il cui bilancio ha una serie infinita di implicazioni. Io, nelle recenti elezioni amministrative, non ho avuto il seppur minimo dubbio nel non votare Casson preferendogli Brugnaro. Non so se il nuovo sindaco ce la farà per cui non cesso di fare novene a Santa Rita, la Santa degli impossibili, ma ritengo che Casson difficilmente avrebbe saputo cavarsela. Tutti affermavano che Casson era stato un magistrato integerrimo, ma che cosa ha a che fare questo con la capacità di amministrare un Comune? La fortuna ha voluto che questo ex magistrato non sia stato eletto anche se, non contento di aver fallito a Venezia, pare che ora stia cercando maggior fortuna a Roma. Qualche giorno fa ho letto che egli fa parte di quella piccola pattuglia di parlamentari irriducibili del P.D. che hanno tentato di opporsi alla riforma del Senato.

Gli angeli dalle trombe d’argento

Proprio un paio di giorni fa ho dichiarato la mia fede senza tentennamenti nella presenza degli angeli e nel grande supporto che essi possono offrire a noi poveri e fragili mortali. Si, è vero che ho manifestato più di qualche perplessità e riserva sull’angelo anatroccolo del giardino pensile del nostro ospedale, spero però che, a differenza di quanto avviene nelle migliori famiglie dove spesso capita di incontrare qualche pecora nera, l’angelo dell’ospedale sia almeno tanto brutto quanto buono perché il suo servizio tra le corsie è quanto mai indispensabile.

Veniamo però al mio rapporto personale con questi spiriti celesti e in particolare con l’Angelo a cui il Signore ha affidato l’impegnativo incarico di farmi da custode. Tutti i miei amici conoscono già da tempo l’ultima impresa in cui mi sono impegnato nonostante i miei quasi novant’anni: ossia l’apertura al Don Vecchi del “Ristorante Serenissima” a favore delle famiglie e delle persone in difficoltà che non si presentano alle porte del Comune o delle parrocchie in atteggiamento lagnoso e senza pudore ma preferiscono portare la loro croce amara in silenzio e con molta dignità.

Credo che tutti ormai sappiano che il “Catering Serenissima Ristorazione”, del signor Mario Putin, ha offerto gratuitamente 110 pasti serali, ogni giorno dal lunedì al venerdì di ogni settimana, e che la Fondazione dei Centri Don Vecchi ha messo a disposizione la sala e tutto quanto necessario. La ricerca del personale a cui affidare il servizio di sala è stato l’ultimo ostacolo da superare. Ho quindi pensato di rivolgermi agli scout dei quali, senza vanagloria penso di essere stato a Mestre uno dei “padri fondatori” e il cui obiettivo è il servizio ma, con mia grande delusione, hanno nicchiato e non hanno aderito con prontezza alla mia richiesta.

Io non sono uno che ha l’abitudine di elemosinare le cose che ritengo essere un dovere e mi sono ricordato della preghiera di don Zeno Saltini, il prete romagnolo che fondò Nomadelfia “la città dei fratelli e dei figli di Dio”, e mi sono rivolto direttamente a queste creature celesti con queste parole: “Angeli suonate le vostre trombe d’argento per chiamare a raccolta gli uomini di buona volontà, voi conoscete i loro nomi, dove abitano e i loro numeri di telefono: Angeli ho veramente bisogno di voi”. Ebbene amici, volete sapere come è andata a finire? In una settimana si sono offerti una sessantina di volontari, vecchi e giovani, professionisti e operai, uomini e donne! Volete dunque che non creda agli angeli?

Non accetto d’essere etichettato

Don Gianni, parroco di Carpenedo e presidente della Fondazione dei Centri Don Vecchi, ha annunciato la decisione del Consiglio di Amministrazione di aderire all’invito, esplicito ed accorato, di Papa Francesco, rivolto ad ogni comunità cristiana d’Europa, di mettere a disposizione dei profughi almeno un alloggio. La Fondazione ha quindi destinato loro due alloggi. Nel frattempo don Gianni ha annunciato anche che la felice opportunità di poter offrire ogni sera la cena a 110 persone, al prezzo simbolico di un euro per gli adulti e gratuitamente per i bambini, si è concretizzata. La stampa ma soprattutto molti faziosi hanno interpretato questa opera benefica come una compensazione all’impegno nei confronti della gente che fugge dalla guerra, tanto che a migliaia, leghisti ed assimilati, hanno applaudito convinti che don Gianni avesse fatto propria la loro pretesa egoistica di preoccuparsi “prima degli italiani e semmai poi degli altri!”.

In questi giorni, per lanciare la proposta delle cene nel nuovo “Ristorante Serenessima”, ho avuto modo di incontrare più volte giornalisti di tutte le testate e di varie emittenti locali, cogliendo così l’occasione per ribadire con forza che gli uomini onesti sono cittadini del mondo e fratelli di ogni persona che abita questo mondo. Spero di aver colto nel segno.

Tante volte nel passato mi hanno etichettato di destra, di sinistra o di centro e altrettante volte ho ribadito con forza che io sto con tutti e con nessuno perché mi preoccupo per ogni uomo, qualsiasi sia il colore della sua pelle, il suo credo e la sua provenienza. Non accetto etichette di sorta. Ho fatto mie da decenni le parole di don Lorenzo Milani a Pajetta, il comunista impegnato contro i “padroni”. “Pajetta oggi sono con te per creare nel nostro Paese più giustizia però sappi, caro Pajetta, che il giorno in cui tu dovessi abbattere le cancellate dei ricchi e diventassi un despota proletario io allora sarei dall’altra parte, dalla parte dei più deboli e degli sconfitti e ti combatterei con tutte le mie forze”.

Io mi sono sempre trovato bene attenendomi a questi principi, ho sempre tirato dritto e ho sempre affermato che riconosco un’unica padrona di casa: la mia coscienza.

C’è ancora desiderio di pregare

Da molto tempo vado affermando che la gente prega poco per molti motivi, non ultimo perché non conosce più le formule delle bellissime preghiere che la tradizione cristiana ci ha tramandato.

Un tempo a catechismo s’imparavano a memoria le domande e le risposte del catechismo di San Pio X ma soprattutto s’imparavano le preghiere fondamentali con cui ci si rivolge al Signore in ogni occasione e per qualsiasi motivo. Ora invece a catechismo si dipingono cartelloni e si fanno recite. Quando ero parroco chiesi a suor Michela di prendersi cura dei bambini della prima elementare dicendole che sarei stato contento anche se, oltre al segno della Croce, avessero imparato il Padre Nostro, l’Ave Maria, l’Angelo di Dio, Il Gloria al Padre, l’Eterno Riposo, il Salve Regina e l’Atto di Dolore. Suor Michela le insegnò per anni ai più piccoli che hanno la coscienza pulita e che non dimenticheranno mai quanto hanno imparato da bambini, insegnò tutto questo e molto altro ancora.

Sapevo che la “moda catechistica” aveva preso ormai altre direzioni ma io però ho sempre seguito la mia coscienza e il buon senso piuttosto che la moda. Io, in occasione della Cresima, quando il parroco m’interrogò, m’inceppai sul Credo ed egli giustamente mi rimandò per due settimane affinché lo imparassi alla perfezione. Per molti anni anch’io ho fatto l’esame ai bambini della parrocchia prima di ammetterli ai sacramenti della Comunione e della Cresima, poi però, avendo affidato la loro formazione a vari cappellani succubi della moda, con mio grande dispiacere ho dovuto smettere e questo mi ha provocato qualche rimorso di coscienza.

Alcuni anni fa entrai in una chiesa vicina al Don Vecchi e curiosando sul banco della stampa notai un libretto piuttosto sgangherato con alcune preghiere, nel mio animo si accese immediatamente una luce, rubai l’idea e con l’aiuto dei miei tipografi stampai un fascicoletto che in copertina, sotto una bella immagine, riportava il titolo: “Libro delle preghiere, delle principali verità e delle regole morali per un cristiano”. In diciotto paginette riuscii ad inserire tutto il necessario per vivere una vita cristiana e per poter andare in Paradiso. Voi non ci crederete, però è documentabile, che siamo giunti alla trentatreesima edizione, che abbiamo stampato sessantamila copie e che ogni due o tre settimane ne ristampiamo altre due-tremila. La gente non crede e non prega? Forse le parrocchie e noi preti aiutiamo poco a credere e a pregare ma come afferma un vecchio detto: “L’uomo è religioso per natura”.

I cattivi maestri

Qualche tempo fa ho scritto che il nostro Parlamento è l’università, ossia il livello più elevato di insegnamento della maleducazione, della volgarità, della faziosità e del disinteresse per il bene della nazione. È ben chiaro che anche in quel luogo, così malfamato e popolato da persone inaffidabili e dai cattivi costumi, ci sono certamente anche uomini perbene che fanno il loro dovere con scrupolo e onestà ma purtroppo la visione d’insieme che se ne trae è davvero desolante.

È anche vero quanto sosteneva Carnelutti, principe del foro veneziano, che scrisse che bastano alcuni papaveri rossi perché tutto il campo di grano appaia scarlatto mentre la presenza di una miriade di viole passa inosservata perché sono fiori umili che l’erba nasconde.

Temo però che in Parlamento i papaveri purtroppo siano molti e il malcostume, l’insolenza, la mancanza di creanza non siano solamente una illusione ma una triste realtà. Chi si offre per governare il Paese dovrebbe sottoscrivere un codice di comportamento e la legge dovrebbe prevedere l’immediato decadimento dall’incarico di rappresentare la nazione per chi dovesse venir meno a questo codice etico. Questo fatto mi indigna però ve n’è un altro che mi sorprende e mi meraviglia ancor di più.

Pare, e speriamo sia vero, che in Italia ci sia una “ripresina” ossia che aumenti il PIL, che diminuisca la disoccupazione e che le fabbriche producano di più però, da quanto osservo alla televisione e leggo sui giornali, pare che i sindacati siano i primi a dispiacersi per questa crescita. A volte ho l’impressione che in Italia le forze sindacali siano reazionarie, disfattiste e non si preoccupino delle difficoltà degli operai ma se così non fosse mi aspetto che le varie sigle sindacali e tutte le altre parti coinvolte inizino a collaborare seriamente per il raggiungimento di quella pace sociale tanto necessaria.

Gli angeli dei nostri giorni

Un paio di anni fa, o forse più, mi hanno invitato all’inaugurazione di quel brutto “angelo dalle vesti color argento” che uno scultore veneziano ha donato alla ULSS 12 perché fosse collocato nello splendido giardino pensile del nostro ospedale. L’invito a questo evento forse mi è stato rivolto per il ruolo di assistente religioso presso le corsie che ricoprivo o che avevo appena lasciato.

In quell’occasione fece la presentazione Cacciari che allora era ancora nostro Sindaco. Egli tenne una conversazione dotta sul tema dell’angelologia e lo tenne da persona veramente esperta. Seppi in quell’occasione che il nostro Sindaco filosofo aveva appena fatto una pubblicazione sul tema degli angeli, cosa che mi stupì alquanto ma che rafforzò la mia fede nella presenza degli angeli in questo nostro mondo. La cosa mi sorprese assai perché sapevo che Cacciari è un libero pensatore che, anche se estremamente attento e rispettoso nei confronti della fede, non ha mai fatto mistero di non essere credente.

Ogni volta che mi reco in ospedale non riesco a non gettare uno sguardo su quell’angelo mal riuscito che stona alquanto inserito com’è nella bellezza di Madre Natura così ben espressa dal giardino pensile della “Torre Maya”, gioiello architettonico della nostra città così povera di belle strutture.

Quest’anno, non so rendermi conto del perché, il 2 ottobre, festa liturgica degli Angeli Custodi, mi sono trovato a riflettere con attenzione su queste creature celesti tentando di interpretare in chiave attuale questo tema che nel passato rientrava nell’iconografia di una certa “mitologia cristiana”. A Ca’ Solaro, dove ho tenuto la mia breve riflessione durante la Messa del primo venerdì del mese, ho iniziato il sermone spiegando che il termine angelo significa messaggero e nel contesto cristiano messaggero di Dio. Ho proseguito affermando che è estremamente vantaggioso essere più attenti a quegli impulsi e a quelle folgorazioni interiori che offrono al nostro animo la possibilità di una maggiore apertura al bene, alla verità e alla solidarietà, intuizioni e folgorazioni che altro non sono se non i suggerimenti di un messaggero, quindi di un angelo del buon Dio.

Meglio ancora però quando scopriamo che il Signore spessissimo si avvale anche di “angeli” senza ali che testimoniano il bene e con la loro presenza ci invitano a farlo. Ricordo un bel romanzo del Cronin dal titolo “Angeli nella notte” che parla delle infermiere al capezzale degli ammalati che riordinano le lenzuola e che offrono parole di conforto e di affetto. Quel romanzo sugli angeli in carne ed ossa mi ha fatto capire che gli “angeli” esistono davvero e sono più di quanti noi posiamo immaginare perché riempiono il mondo intero con la loro cara e provvidenziale presenza.

L’Alto Adige

Forse i lettori de “L’incontro” ricordano una certa maretta che è nata e che si è manifestata sul nostro periodico tra una nostra cara collaboratrice e due coniugi anch’essi nostri preziosi collaboratori.

La prima, pur passando lunghissimi mesi in Alto Adige, terra che ama ed ammira, contemporaneamente nutre forti sentimenti patriottici che le rendono difficile accettare quel rifiuto per gli italiani che si respira ancora oggi tra quei monti.
I secondi, nati tra quei monti, si sentono fortemente partecipi delle aspirazioni di quella gente di montagna che ama quanto mai la propria lingua, le proprie tradizioni e la propria cultura.

La prima sottolinea quelle aspirazioni di autonomia e quegli atteggiamenti che negli anni sessanta hanno generato scelte anche violente che hanno mietuto vittime innocenti e che non si possono giustificare in nessun modo né in Alto Adige né in altre parti del mondo, scelte che tuttora evidenziano forti riserve nei confronti di chi, italiano come loro, ha il torto di non essere nato in quel territorio.
I secondi invece rivendicano con forza la loro cultura e le loro tradizioni, nate da percorsi ed esperienze diverse dalle nostre, che affondano le radici nella storia della popolazione del Sud Tirolo anche se vivono in un territorio al di qua delle Alpi.

Qualche tempo fa questi secondi amici mi hanno regalato un volume di Sebastiano Vassalli dal titolo “Il confine – cento anni del Sud Tirolo in Italia”. La lettura molto interessante, piacevole e mi pare imparziale mi ha offerto una visione più obiettiva facendomi conoscere torti e ragioni degli uni e degli altri ma soprattutto mi ha riconfermato la convinzione che ogni popolo ha il diritto di rivendicare la propria autonomia stabilendo rapporti rispettosi con tutti.

Credo comunque che sia ora di smettere di rimpallarsi le responsabilità dei torti reciprocamente subiti nel passato e di cui, nessuna delle due parti è immune da colpe, e ricordare invece che per contendersi quel lembo di terra di grande bellezza naturalistica, molti giovani d’altri tempi e di varie nazionalità sono stati mandati a vivere prima una vita di stenti e poi a morire.

Questo è l’anno in cui ricorre il centenario della Grande Guerra e probabilmente è l’anno giusto per uscire da ogni spirale retorica e imboccare la strada della comprensione reciproca e della pacifica convivenza accettando le differenze come un patrimonio di ricchezza globale. In questo mondo globalizzato come è ancora attuale il tema del volume “La venticinquesima ora”, che ho letto molti anni fa e che stigmatizza il triste costume dei popoli più forti di imporre confini!

Le grandi navi

Le dichiarazioni di Franceschini sul problema delle grandi navi a Venezia hanno riacceso una polemica che in verità non si era mai spenta.

Franceschini, Ministro della Cultura e del Turismo, non lo conosco più di tanto, so che era un democristiano che quando con Tangentopoli si è dissolta la vecchia Democrazia Cristiana è stato uno dei fondatori dell’Ulivo, formazione politica in cui sono confluiti molti superstiti dei vecchi partiti che avevano per decenni fatto il bello e il cattivo tempo nel nostro Paese. Nell’Ulivo Franceschini si candidò anche al ruolo di segretario ma senza successo e, dopo la parentesi della Margherita in cui militò anche Matteo Renzi, insieme a molti altri confluì nel Partito Democratico. Dopo un periodo vissuto nell’ombra, forse grazie anche all’appoggio che la sua corrente ha fornito a Renzi, gli è stato affidato il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

La trovata di deviare le navi da crociera a Trieste è talmente dannosa per il nostro Comune da farci domandare in che mani stia l’arte che è la più grande risorsa del nostro Paese e l’unico “pozzo petrolifero” su cui possiamo contare. Mi lascia perplesso però il fatto che sull’argomento grandi navi a Venezia – ai centri sociali, ai comitati delle nobildonne, ai grillini, ai no grandi navi e all’estrema sinistra – si sia aggiunto anche il Ministro Franceschini. Credo che tutti costoro dimentichino la montagna di debiti in cui sta naufragando il nostro Comune. Nessuno inoltre pare preoccuparsi dei sette-ottocento dipendenti dell’indotto di questo tipo di turismo, per non parlare poi dei negozi di ogni genere che beneficiano dell’arrivo di oltre settemila croceristi, propensi a spendere, che le navi scaricano giornalmente nella nostra città.

Caro Sindaco, le grandi navi non le faccia entrare dal “Contorta”, dal “Vittorio Emanuele” o da qualsiasi altro canale ma trovi una soluzione accettabile senza lasciarsi intimidire da gente tanto scervellata e incosciente. Agisca però in fretta e ricordi che abbiamo eletto lei e non i figuri di cui sopra che non rappresentano nessuno se non la loro incoscienza.

Fallito?

Capita ogni tanto di leggere sulla stampa a carattere religioso, ma occasionalmente anche sui quotidiani e sui periodici d’informazione, sondaggi e statistiche sulla fede in genere ed in particolare sulla partecipazione alla Messa festiva. La sintesi di questi sondaggi rivela che vi sono notevoli differenze non solo tra le varie regioni d’Italia ma anche tra le parrocchie di una stessa diocesi. In Italia credo che i praticanti mediamente raggiungano a malapena il dodici per cento della popolazione con percentuali più elevate nel Veneto e più basse in Romagna, in Umbria ed in Liguria.

L’ultimo sondaggio promosso dalla diocesi di Venezia ha evidenziato una forbice molto larga con presenze che oscillavano tra l’otto per cento di alcune parrocchie e il quarantadue per cento di Carpenedo. L’anomalia di questo picco fortemente positivo era determinata da settecento fedeli provenienti da altre parrocchie che erano soliti partecipare alla Messa nella chiesa di Carpenedo.

Ora seguo ancora con attenzione queste dinamiche però, non avendo una responsabilità diretta, mi limito a farlo da osservatore esterno subendo limitatamente il peso della preoccupazione. Quello che invece mi tocca più direttamente è la partecipazione dei fedeli alla Messa nella mia “cattedrale tra i cipressi”, questa chiesa però è particolarmente consolante perché, anche se nei periodi di caldo e freddo estremi una decina di sedie tra le 220 disponibili restano libere negli altri periodi è sempre al completo, anzi spesso c’è gente in piedi e altri ascoltano la funzione all’esterno della chiesa.

Il punto “dolens” nel mio animo di prete è invece la partecipazione dei 250 residenti del Don Vecchi 1 e 2 dove anch’io abito. Qui nonostante la Messa si celebri in casa e quindi non ci siano difficoltà di sorta credo che in media non si raggiunga il cinquanta per cento di presenze. L’età avanzata, la struttura offerta dalla chiesa ed infine il sacerdote in casa non riescono a raccogliere una partecipazione maggiore. Qualcuno mi dice che va a Messa fuori e qualcun altro, anche se si professa cristiano, diserta quasi abitualmente l’incontro con il Signore. Sapeste quante volte mi verrebbe da dire: mi ritiro in una casa di riposo per non aver più questo peso sulla coscienza.

Verso le seimila copie

Da quel poco che vengo a sapere pare che tutta la carta stampata sia in crisi. Non c’è quotidiano, settimanale o mensile che affermi di incrementare la propria tiratura, anzi. Ultimamente poi mi hanno detto che anche le emittenti televisive stanno perdendo spettatori. Le testaste giornalistiche forse sono troppe o forse la gente preferisce destinare le magre risorse al cibo piuttosto che alla cultura e all’informazione.

Questo fenomeno però, una volta ancora, mi preoccupa soprattutto per quanto riguarda l’informazione religiosa e pastorale, una volta ancora ripeto la mia amarezza e la mia preoccupazione per quello che riguarda i mass-media della Chiesa veneziana e del Triveneto. Radio Carpini, l’emittente che vent’anni fa ho consegnato alla diocesi con i suoi duecento volontari e con la sua rete di ripetitori che “copriva” tutte le zone pastorali della diocesi e che dal Monte Torrion raggiungeva una larga fascia di territorio fino a raggiungere perfino Ravenna, è stata chiusa ormai da tempo e l’emittente Telechiara, al cui “battesimo” ho partecipato anch’io in tempi in cui pareva che nel Triveneto ci fosse un sussulto di entusiasmo per i mass-media, l’anno scorso è stata venduta ad un gruppo di imprenditori padovani. Gente Veneta, il settimanale di cui ero tanto fiero fino a poco tempo fa, pare stia arrancando faticosamente.

Tutto questo però non m’induce a demordere “nonostante l’età” ma anzi mi sprona ad un impegno maggiore soprattutto per quanto riguarda la Chiesa di Mestre. La nostra editrice stampa il mensile “Sole sul nuovo giorno” in 250 copie, “Il messaggio di Papa Francesco” in 500 copie settimanali e “L’incontro” si avvia ormai verso le seimila copie settimanali. La consapevolezza dell’esigenza di una proposta religiosa che raggiunga il maggior numero di concittadini possibile e della necessità di riqualificare il settimanale con ulteriori apporti di gente capace, mi ha spinto a chiedere aiuto a qualche sacerdote e a qualche laico. Mi auguro di tutto cuore che tante risposte generose vengano a tamponare la grossa falla che mette in grave pericolo i mass-media diocesani.

Il sordomuto

Fin troppe volte ho confidato agli amici il tormento che mi provoca il dover prendere frequentemente la parola per riproporre il messaggio di Cristo. L’importanza del messaggio evangelico e l’amore che porto alla mia gente sono tali da farmi desiderare di essere un brillante comunicatore, non tanto per ottenere il plauso degli ascoltatori ma per offrire il dono della parola di Dio di cui tutti abbiamo estremo bisogno.

Questo tormento, che mi accompagna da sessant’anni, tanto è il tempo che il Signore mi ha finora concesso per offrire al Popolo di Dio questa semente, ha però almeno un aspetto positivo quello di costringermi ad una riflessione personale che tuttora mi fa scoprire motivazioni che riescono a incidere sui miei comportamenti e a farmi vivere una vita cristiana più seria e coerente.

Qualche settimana fa la liturgia della Chiesa mi ha riproposto, una volta ancora, il miracolo di Gesù che guarisce un sordomuto. Gli evangelisti molto probabilmente ce lo hanno trasmesso sia per dimostrarci che Gesù è il figlio di Dio e in quanto tale può derogare alle leggi naturali sia per insegnarci ad aiutare il nostro prossimo. Ritengo tutto questo quanto mai giusto però a me piace poi cogliere soprattutto i risvolti esistenziali delle scelte e dei comportamenti di Gesù. Il miracolo mi pare sia un invito pressante ad aprirci agli altri, a comunicare, a donare il meglio di noi stessi, a dialogare con tutte le realtà che fioriscono dall’accettarsi e dal volersi bene anche se purtroppo spesso le cose non stanno proprio così. A questo proposito ricordo un passaggio di un poeta giapponese che diceva pressappoco: “In autobus, negli ipermercati, nelle piazze siamo così pigiati l’uno contro l’altro da avvertire la fisicità del prossimo però, a livello esistenziale, pare che tra l’uno e l’altro passi la muraglia cinese che ci divide e ci fa ignorare che l’altro ha bisogno della tua umanità così come tu hai bisogno della sua”. L’invito perentorio di Cristo: “Apriti” risuona nel mio cuore come una parola ineffabile, che mi fa intravedere il vero “miracolo” dell’accettarci: il sentirsi cittadini del mondo e figli dello stesso Padre.

I silenzi del sindaco

Ho già scritto che avevo deciso, fin dal momento in cui è stata ufficializzata la vittoria di Brugnaro, che avrei rispettato i giorni della luna “di miele” o meglio i primi cento giorni di governo della città. Questo silenzio però non può durare più a lungo. Ormai da decenni ho sentito il dovere e il bisogno di donare il mio cuore e la mia voce a chi non ha voce e i poveri appartengono certamente a questa categoria.

Quando incontrai Brugnaro al Don Vecchi, durante la campagna elettorale, egli mi concesse qualche momento di colloquio personale ed io ne approfittai per raccomandargli che se fosse stato eletto sindaco avrebbe dovuto riservare una particolare attenzione ai concittadini meno abbienti e sviluppare un dialogo costruttivo con le persone che gestiscono il privato sociale perché essi rappresentano il meglio della popolazione in quanto sono i cittadini più generosi, più intraprendenti e più disinteressati. Sia prima che dopo la sua elezione a sindaco scrissi a Brugnaro a titolo personale e come cittadino particolarmente interessato alle sorti della nostra città e soprattutto della popolazione più svantaggiata e, affinché il nuovo sindaco si ricordasse di questa “voce scomoda”, ogni settimana gli ho inviato copia de “L’incontro”.

A tutto questo però ha risposto con un “assordante silenzio”. Per essere benevolo ho pensato che a causa dei debiti comunali e della conseguente necessità di risparmiare egli avesse smobilitato la segreteria del Comune della quale, già in passato, conoscevo la sovrabbondanza di personale e che perciò fosse in difficoltà nel rispondere: penso però che almeno una segretaria possa permettersela! Ho incontrato il giovane assessore alla sicurezza sociale però anche questo colloquio non ha prodotto risultato concreti! Ora un caro amico mi ha assicurato che mi procurerà un nuovo colloquio ma se non dovessi riuscire a cavare un ragno dal buco dovrò decidermi a parlare alla nuova amministrazione comunale attraverso l’opinione pubblica, come ho sempre fatto in passato ottenendo anche qualche risultato.