Il sordomuto

Fin troppe volte ho confidato agli amici il tormento che mi provoca il dover prendere frequentemente la parola per riproporre il messaggio di Cristo. L’importanza del messaggio evangelico e l’amore che porto alla mia gente sono tali da farmi desiderare di essere un brillante comunicatore, non tanto per ottenere il plauso degli ascoltatori ma per offrire il dono della parola di Dio di cui tutti abbiamo estremo bisogno.

Questo tormento, che mi accompagna da sessant’anni, tanto è il tempo che il Signore mi ha finora concesso per offrire al Popolo di Dio questa semente, ha però almeno un aspetto positivo quello di costringermi ad una riflessione personale che tuttora mi fa scoprire motivazioni che riescono a incidere sui miei comportamenti e a farmi vivere una vita cristiana più seria e coerente.

Qualche settimana fa la liturgia della Chiesa mi ha riproposto, una volta ancora, il miracolo di Gesù che guarisce un sordomuto. Gli evangelisti molto probabilmente ce lo hanno trasmesso sia per dimostrarci che Gesù è il figlio di Dio e in quanto tale può derogare alle leggi naturali sia per insegnarci ad aiutare il nostro prossimo. Ritengo tutto questo quanto mai giusto però a me piace poi cogliere soprattutto i risvolti esistenziali delle scelte e dei comportamenti di Gesù. Il miracolo mi pare sia un invito pressante ad aprirci agli altri, a comunicare, a donare il meglio di noi stessi, a dialogare con tutte le realtà che fioriscono dall’accettarsi e dal volersi bene anche se purtroppo spesso le cose non stanno proprio così. A questo proposito ricordo un passaggio di un poeta giapponese che diceva pressappoco: “In autobus, negli ipermercati, nelle piazze siamo così pigiati l’uno contro l’altro da avvertire la fisicità del prossimo però, a livello esistenziale, pare che tra l’uno e l’altro passi la muraglia cinese che ci divide e ci fa ignorare che l’altro ha bisogno della tua umanità così come tu hai bisogno della sua”. L’invito perentorio di Cristo: “Apriti” risuona nel mio cuore come una parola ineffabile, che mi fa intravedere il vero “miracolo” dell’accettarci: il sentirsi cittadini del mondo e figli dello stesso Padre.

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