Il sermone che non ho saputo pronunciare

Quest’anno il mio sermone in occasione dell’Epifania è stato particolarmente infelice, nonostante i temi che quella celebrazione mette a fuoco mi siano da sempre particolarmente esaltanti.

La nottata irrequieta, e poi la mattina dell’Epifania con un cielo imbronciato e con la minaccia di neve, mi hanno tolto entusiasmo, respiro e quindi una parola lucida e scorrevole. Sono rimasto particolarmente amareggiato per i fedeli che, attenti e composti come sempre, hanno affollato l’Eucaristia e soprattutto per non esser stato capace di cogliere una occasione così propizia per mettere a fuoco delle verità che mi sono particolarmente care.

La preparazione, gli appunti e il desiderio di passare un messaggio importante, non mi sono bastati, le parole mi morivano in bocca e con esse l’entusiasmo.

Ora mi ritrovo a rimuginare tra me e me i tre concetti che avrei voluto passare.

Il primo: Incontrare uomini in ricerca, non paghi di ciò che avevano già scoperto e soprattutto credenti che hanno compreso che la fede è un fatto dinamico che si innerva con la crescita interiore, è una fortuna ed uno stimolo a vivere e non a dormicchiare sopra verità stanche, logore e statiche.

Secondo: Anche oggi la natura, come la “stella” di Betlemme, è uno strumento prezioso ed insostituibile per scoprire il volto di Dio. Dante afferma che Dio letteralmente si “squaderna” nel Creato, perchè ogni creatura porta l’impronta di Dio. Basterebbero “le stelle di Natale” per dirci che Dio ci è vicino e ci ama.

Terzo: La ricerca del Dio presente nel tempo approda, ancora una volta, sulla soglia della vita, dell’amore, dell’uomo, della donna, della famiglia, della Creatura umana fragile ed indifesa.

Mi spiace tanto di non aver saputo indicare ai miei cari fedeli tutte queste splendide realtà. Non mi è restato che offrire a Dio la mia sconfitta sperando che i fratelli ci arrivino da soli a deporre i doni per il Dio in mezzo a noi.

Cerchiamo Dio nei fatti straordinari e non lo vediamo nei piccoli segni del quotidiano…

Ho la netta impressione che per molti, e spesso anche per me, la fede e la religione siano diventate realtà formali che non si coniugano minimamente, o molto poco, con la vita, con le situazioni in cui ci dibattiamo e che sembrano schiacciarci. Talvolta ho anch’io la sensazione che, da una vita, mi porto sulle spalle un malloppo di verità scontate, di riti che dovrebbero dare qualità alla mia esistenza, una religione che talvolta m’appare come qualche cosa di stantio che non innerva, non sostiene e non rende sereno e coraggioso il mio operare.

Qualche volta mi viene da pensare: “Dio, se ci sei, batti un colpo; perché mi hai messo al mondo e poi te ne stai silenzioso e lontano come non ti interessasse nulla di me? Dio mio, dove sei quando ho bisogno? Perché taci, perché non ti fai vedere, perché non mi dai una mano, eppure sei stato tu a tirarmi fuori dal nulla!

Al tempo della contestazione c’era una canzone che diceva: “Dio è morto”. L’uomo di Dio Eliseo irride i profeti degli idoli pagani che saltellano senza riuscire ad accendere il fuoco dell’olocausto e dice loro: «Gridate forte perché forse il vostro dio dorme!» Forse qualcuno potrebbe dire anche a me parole simili.

Qualche tempo fa mi dibattevo in confusi pensieri del genere, quando mi capitò per caso di leggere le riflessioni di una sconosciuta cristiana della lontana America che mi ha offerto una semplice chiave di lettura per aprire e comprendere questo apparente mistero. Lei, prima di me, aveva capito che “Dio è vicino a chi lo cerca con cuore sincero”.

Passo questa piccola “chiave” anche a chi, come me, s’imbroglia in ragionamenti sballati.

«Certe mattine prego per sentire la presenza di Dio accanto a me durante la giornata. Quando però le cose non girano per il verso giusto, mi capita di chiedere: “Dio, dov’eri oggi?”. Invece di sentire il tocco di Dio nella pioggia, mi lamento perché sono bagnata. Piuttosto che udire la voce di Dio in una canzone alla radio, sono insofferente per il traffico bloccato. Presa dal mio lavoro, non so riconoscere Dio nel sorriso della persona che ho incontrato. Nelle giornate come queste, la mia vita frenetica mi impedisce di riconoscere i numerosi segni della presenza e del Suo potere accanto a me: possono essere un forte temporale mattutino, simbolo della sua forza; una certa musica alla radio che solleva il mio spirito; una parola di incoraggiamento da un’amica, un saluto gioviale da un estraneo; la bellezza di un tramonto; i baci di buonanotte dei miei figli. Spesso siamo abituati a ricercare Dio solamente nei fatti straordinari e non vediamo i piccoli segni che ci rammentano la sua presenza quotidiana accanto a noi.

La non violenza insegnata da Gandhi

Qualcuno mi ha regalato un volume che raccoglie una specie di antologia dei discorsi e delle riflessioni di Gandhi, il profeta, lo statista e l’uomo di Dio che guidò l’India all’indipendenza.

Spesso uso questo volume per fare degli inserti che adopero per spezzare la monotonia e la prolissità di certi articoli de “L’incontro”, talvolta troppo lunghi per essere letti volentieri. Il pensiero di Gandhi è veramente sublime, di una poesia, di una profondità che nel cristianesimo si trova solamente nel cantico di san Francesco, il poverello di Assisi.

Io sono letteralmente innamorato del pensiero di Gandhi, provo un’ebbrezza interiore nel cogliere delle verità che egli propone e che contengono una freschezza e una verità che sgorgano limpide e luminose nel suo meditare, quasi sempre controcorrente.

Questo volume dedica, giustamente, un corposo capitolo alla “non violenza”, l’arma culturale, religiosa e civile, che Gandhi ha messo a fuoco e teorizzato come non era mai avvenuto prima di lui.

Qualche anno fa ho letto un altro volume che descrive come il giovane intellettuale indiano esperimenta direttamente la possibilità e, secondo lui, il dovere, di affrontare e risolvere sia i problemi personali che quelli civili col metodo della resistenza passiva e della non violenza. Questo secondo volume narra come il giovane Gandhi riesce ad affermare i diritti civili dei suoi connazionali, che vivevano numerosi in Sudafrica, allora dominata dalla corona d’Inghilterra. Il trovare però la dottrina di Gandhi esposta in maniera ordinata e sintetica, m’ha offerto meglio la possibilità di cogliere tutta la bellezza, la razionalità e il dovere di scegliere il suo metodo non violento per risolvere le inevitabili questioni che ogni cittadino, di qualsiasi Stato, ha l’occasione di affrontare.

Dopo questa appassionata ed esaltante lettura, sono arrivato alla conclusione che questo metodo pacifico e rispettoso delle posizioni altrui, anche le meno condivisibili, esigono però una ascesi personale, una religiosità profonda ed un impegno prolungato, per acquisire quella virtù che, sola, permette all’uomo di essere persona e non una bestia feroce.

Spero sempre di tradurre l’amore di Dio in parole vive, non foglie d’autunno calpestabili!

Una delle parole più ricorrenti durante il ciclo delle celebrazioni natalizie è certamente “Incarnazione”. Tutto il mistero che ruota attorno al Natale è l’Emanuele, il Dio con noi, il Signore che ha piantato la sua tenda tra gli uomini, il Redentore che si è vestito di umanità, il Verbo di Dio che si fa scoprire nella fragilità dell’uomo, specie del più indifeso, del quale è segno il “Bimbo di Betlemme”.

Come tutti i preti, sono intervenuto più volte nei sermoni natalizi su questo argomento, partendo dai discorsi ricchi di poesia e di calda umanità che raccontano la nascita e la prima infanzia di Gesù e sono giunto a quel pezzo forte e complesso costituito dal “Prologo di san Giovanni”, pagina della Scrittura sublime finché si vuole, ma difficile da tradursi nella lingua parlata, ma soprattutto nella vita veramente vissuta.

Ho riflettuto ed ho pregato perché il Signore mi aiutasse a non fare discorsi scontati che sapessero di retorica religiosa o di maniera, senza però approdare a qualcosa che mi abbia convinto completamente e che avesse la capacità di passare la verità che posso ascoltare Dio in ogni situazione, lo posso incontrare nel quotidiano, lo posso amare nell’uomo e servire nel povero. Sono rimasto turbato temendo di non essere riuscito a passare la convinzione che posso immergermi in Dio come quando avverto la dolcezza soave della primavera, lo posso vedere nella natura, negli eventi, lo posso sentire vicino e caro, come quando l’amore canta dentro di me.

Spesso le parole dei miei sermoni mi sembravano come le foglie morte dell’autunno su cui posso passare sopra con disinvoltura ed indifferenza, tanto che in una Messa mi sentii di dire che certi discorsi diventano veri solamente nel pensiero e nella parola dei santi, dei poeti e degli innamorati ed io purtroppo ho la netta sensazione di non essere nulla di tutto questo. Non ho perso la speranza, comunque, perché “a Dio nulla è impossibile”.

Le sagge parole del Cardinale Tettamanzi e di Sant’Agostino

Il Cardinale di Milano, monsignor Tettamanzi, ha affermato che preferisce uno che si dichiara non credente, ma in sostanza è una persona seria e un cittadino integerrimo, piuttosto di chi si dice cristiano ma in realtà è un uomo inconsistente ed un credente puramente formale.

Io condivido da sempre questa lettura del credere e da decenni seguo il vessillo di sant’Agostino su cui è scritto: “Vi sono uomini che Dio possiede e la Chiesa non possiede ed altri uomini che la Chiesa possiede, ma Dio non possiede”. Il nominalismo nel campo della fede è un solenne e potente imbroglio perché etichette, distintivi, pratiche e quant’altro non definiscono in maniera assoluta il pensiero del Figlio di Dio.

Nonostante Gesù ormai venti secoli fa abbia affermato in maniera chiara e solenne: «Non chi dice Signore Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre», più vado avanti negli anni, più capisco che mentre c’è una certa facilità a formare e coltivare bigotti, è molto più difficile costruire “uomini nuovi” che odorino di Vangelo e realizzino l’autentico umanesimo cristiano.

E’ vero che è molto più facile assistere ad una funzione, accodarsi ad una processione o recitare qualche formula al mattino e alla sera, che essere uomini liberi, giusti, pacifici, coraggiosi ed autentici. Però è pur vero che una certa prassi pastorale, una predicazione di maniera, un desiderio smodato d’aver un certo seguito, producono con facilità e naturalezza bigotti piuttosto che gli uomini nuovi di cui parla il Vangelo.

La nostra predicazione, la catechesi e la pastorale, se non puntano a formare una umanità sana ed autentica, fatalmente finiscono per produrre manichini vestiti da cristiani, ma non uomini ricchi di speranza, di buona volontà. Perciò non credo che valga la pena mettere in produzione prodotti falsificati e taroccati checché ne possano pensare le anime pie!

Fra cristiani e mussulmani deve valere il rispetto reciproco!

Io sono vecchio e purtroppo ogni giorno di più scopro d’avere tutti i difetti tipici dei vecchi. Uno fra i tanti, che in questi ultimi tempi ho scoperto, è che mi ripeto maledettamente.

Quando facevo il direttore del mensile “L’anziano” ho pubblicato tante volte preghiere per gli anziani, perché essi potessero chiedere al Signore di emendarli e di liberarli da certe tentazioni e difetti propri della terza età. Ricordo una preghiera che diceva pressappoco così: “Signore, ti ringrazio per aver incontrato anche delle persone più giovani di me che non mi fanno sempre osservare che `quella cosa’ l’ho ripetuta più volte”.

Ebbene, cari amici, per ottenere anche voi questo merito, sentitemi ancora una volta ripetere che al “don Vecchi” ogni settimana quasi settecento persone, per la gran parte extracomunitari, vengono a prendersi i generi alimentari che i volontari del banco alimentare preparano per loro. Spesso mi capita di essere presente alla distribuzione. I volontari, e in particolare le signore che gestiscono questo servizio, son veramente care e gentili, ma soprattutto discrete e rispettose delle regole morali alle quali i mussulmani si attengono con scrupolo.

E’ ormai di dominio comune sapere che i mussulmani non possono bere alcolici e mangiare carni suine, perciò i nostri volontari si guardano bene dall’offrire loro qualcosa che a loro non è lecito assumere. Capita però che talvolta possiamo offrire carne di pollo o di gallina, talvolta abbiamo tortellini confezionati con le verdure o la ricotta, ma essi rifiutano perfino gli omogeneizzati per i bambini.

Di fronte ai loro sospetti ai volontari, e pure a me, riesce difficile comprendere il loro comportamento che lascia intravedere il sospetto che noi attentiamo alla loro fede. Spesso mi viene da osservare come mai allora essi non hanno un minimo di attenzione ai nostri costumi, alla nostra morale e alla nostra religione?

Io concedo ai mussulmani che ospitiamo, oggi molto numerosi nelle nostre città, tutte le attenuanti possibili, però credo che sia ormai ora di attenderci e forse di pretendere la reciprocità di comportamento. La comprensione, la tolleranza e quant’altro, sono cose belle e necessarie, però credo che sia tempo di opporci in maniera più netta e più decisa ad un fondamentalismo che non si esprime solamente con la “guerra santa”, ma che è pure insito nell’integralismo e nell’intolleranza, che sono ancora in loro presenti, mentre noi li abbiamo fortunatamente rinnegati almeno quattro o cinque secoli fa.

L’organigramma del Duomo di San Lorenzo, un’iniziativa da elogiare!

All’inizio dell’anno pastorale 2010-2011, che nelle parrocchie si apre verso settembre-ottobre, la parrocchia del duomo di Mestre, San Lorenzo, che attualmente è guidata da mons. Fausto Bonini, ha pubblicato il suo organigramma con tutte le articolazioni, gli appuntamenti e le iniziative messe in programma per il nuovo anno di attività.

Non credo certamente che don Fausto, che è un prete intelligente, preparato e di grande iniziativa, abbia imparato da me, comunque anch’io avevo intuito la necessità di pubblicare all’inizio di ogni anno pastorale qualcosa del genere, ossia un organigramma ed un calendario di iniziative pastorali da attuarsi durante l’anno. Mi è sembrato che non solo fosse opportuno che la comunità cristiana desse un’immagine ordinata e seria di sé, ma che pure fosse quanto mai opportuno, anzi necessario, che i fedeli avessero punti di riferimento precisi nei riguardi dei responsabili e delle varie iniziative.

L’organigramma di Carpenedo occupava normalmente quattro-cinque facciate della rivista mensile “Carpinetum”. L’attuale patriarca, venendo a Venezia, deve essere stato favorevolmente impressionato dall’articolazione e dall’organizzazione della mia parrocchia, tanto che ad un paio di mesi dalla sua entrata volle rendersi conto, mediante una “visita privata”, del funzionamento di questa parrocchia organizzata fin nei minimi particolari, come “un’azienda” pure se “sui generis”.

L’organigramma-calendario di San Lorenzo però, è di gran lunga migliore di quello di Carpenedo di cinque anni fa; lo è per completezza e precisione di dati, per le immagini degli operatori, per l’eleganza dell’opuscolo di ben quaranta pagine stampate a colori da una tipografia industriale, per l’enorme ricchezza di informazioni, ma soprattutto perché dà la sensazione che la parrocchia si occupi di “tutto l’uomo”, dall’infanzia alla vecchiaia, dalla catechesi alla cultura, dai sacramenti alle attività sportive, dal canto alla ricerca, dalla mistica al tempo libero, dai mass-media più moderni alle residenze per studenti, dal gioco alla recitazione.

Quello che ha attratto la mia attenzione, e che soprattutto ha destato nel mio animo felice stupore ed ammirazione, è la visione globale dell’uomo e quindi della relativa pastorale.

Lo scorso anno scrissi a don Fausto per complimentarmi, quest’anno non l’ho fatto per non ripetermi. Dall’esame attento ed entusiasta dell’opuscolo, che offre l’immagine della parrocchia di San Lorenzo, mi è sorto solamente un sentimento amaro e triste: “Purtroppo San Lorenzo è la mosca bianca”, aldilà dei suoi confini pare che abitino solamente i “barbari”!

Chi guida un paese deve essere esemplare anche nel privato!

Recentemente ho letto, su “Vita pastorale”, l’interessante mensile di vita ecclesiale edito dai Paolini, un articolo quanto mai interessante su un argomento che è all’ordine del giorno: “Rapporto tra la vita privata e la vita pubblica dei politici ed amministratori di realtà sociali”; immediatamente il pensiero va a Berlusconi, ai “festini” con la presenza di “prostitute di rango” che il Presidente del Consiglio pare si conceda con una certa frequenza.

Ho sentito la conferenza stampa concessa da Berlusconi per fine anno, quando uno dei tantissimi giornalisti, con la facciatosta che li contraddistingue, gli ha fatto una domanda in merito. Il capo del Governo, al quale in verità non manca la parola, ha premesso alla risposta della domanda provocatoria, un lungo discorso sul suo lavoro massacrante, sulle notti insonni, sul suo concedersi solamente quattro ore di sonno, per concludere con candore celestiale che non vede nulla di male se una volta al mese si concede una serata da passare con gli amici, anche se tra questi c’è qualche donna piacevole.

Io non so nulla della vita privata del premier; i giornali però, che sono molto meglio informati di me, mi pare che dicano cose tanto diverse. E’ vero che a questo mondo siamo tutti fragili e peccatori, ma è anche pur vero che le guide di un Paese è giusto e doveroso che siano esemplari, checché ne pensino Berlusconi, Fini, Casini e tutti i deputati che si drogano, che conducono una vita disordinata ed eccessivamente spendereccia, che trescano con i faccendieri della finanza.

La rinascita dell’Italia e dell’Europa l’han fatta uomini come De Gasperi, Adenauer, Schuman, persone che oltre ad essere statisti, furono esemplari sotto ogni punto di vista. Questo vale per i politici, gli uomini della finanza, gli intellettuali, gli sportivi, i sindacalisti e, ben s’intende, anche e soprattutto i preti.

La vecchia e sapiente massima recita “Le parole volano, ma solamente i fatti trascinano”. L’Italia ha soprattutto bisogno di governanti onesti ed ineccepibili sotto ogni punto di vista. San Francesco, Teresa di Calcutta, Giovanni XXIII valgono da soli più dei parlamentari di tutta Europa!

I problemi del sud

A cominciare dal presidente Napolitano, per motivi di nascita, a Fini per motivi elettorali, alla Jervolino per motivi di carriera politica, a tantissimi, se non tutti, gli amministratori del sud, per motivi di comodo e di vantaggi economici, non si fa che ripetere, da un secolo e mezzo a questa parte, che la gente del sud Italia è intelligente, di grande potenzialità e risorse intellettuali.

Io, per legami di ordine nazionale e per motivi di ordine religioso, non ho nulla da obiettare al riguardo, però ho l’impressione che con questo paternalismo e protezionismo non si faccia altro che alimentare una situazione di pigrizia, di inerzia e di mancanza di autonomia e di dignità morale. Tutti coloro che usano una benevolenza iperprotettiva nei riguardi del meridione e continuano a dargli la “paghetta”, assomigliano a quei genitori che hanno la sfortuna di avere un figlio discolo e pigro.

Quante volte non ho sentito dire da questi genitori: “Mio figlio è buono e tanto intelligente”, ma poi in realtà la scuola è costretta a mettergli accanto una maestra di sostegno.

Ritorno ancora una volta all’eterno ed irrisolto problema della spazzatura, per la cui rimozione, ad ogni pié sospinto, si spendono centinaia di milioni aggiuntivi, si impegna la protezione civile e perfino l’esercito. Credo che da tanto tempo sarebbe stato giusto pretendere che i meridionali si tengano pulita da soli la loro città, come i milanesi, i torinesi, i veneziani, senza aver bisogno della serva o della badante!

Bossi non è il mio tipo, perché grossolano, sbrigativo, talvolta un po’ volgare e smargiassone, però se vogliamo smetterla di mandar soldi nel sud per risolvere il problema più banale del mondo qual’è quello della spazzatura (per non parlare della giustizia, della sanità, dell’abusivismo edilizio, della mafia, della camorra, dell’assenteismo e della scarsa produttività), al fine di stringere i cordoni della borsa e costringere il sud alla ragionevolezza e a guadagnarsi il pane “col sudore della fronte” e non con le chiacchiere, se non c’è nessun altro che riesce a farlo con le buone – per quanto mi riguarda – sarò costretto a delegare la Lega a farlo con le cattive!

Io preferisco il volontariato!

Qualche anno fa, durante una degenza in ospedale, ascoltando Radio radicale, mi è capitato di sentire l’infinita lettura delle denominazioni dei vari ordini religiosi maschili e femminili che operano in Italia. Il numero sembrava pressoché infinito, anche perché lo “speaker” leggeva la denominazione prima in latino e poi in italiano. La strana iniziativa di Radio radicale era un’ennesima espressione di un anticlericalismo viscerale congenito a suddetto partito, che voleva dimostrare che lo Stato italiano esentava da certe tasse un numero spropositato di enti religiosi.

Quell’ascolto mi pose il problema del perché di questa proliferazione spropositata di congregazioni religiose, che appare, di primo acchito, irrazionale. La risposta che mi sono dato è che, quando una personalità di un certo spicco si propone di realizzare un progetto che gli appare valido, ha bisogno di collaboratori da “assoldare a poco prezzo” e quindi fonda un ordine religioso. Non potrei altrimenti giustificare questa marea di ordini religiosi, spesso esangui e di poca consistenza.

Capitò anche a me una strana proposta fattami dal patriarca Lucani il quale, vedendo le numerose iniziative a livello caritativo che tentavo di portare avanti, un giorno mi disse: «Perché, don Armando, non fondi una congregazione religiosa per queste iniziative?» Il vecchio Patriarca si rifaceva all’esperienza dell’ottocento, secolo in cui le congregazioni religiose spuntarono come i funghi.

Io non ho pensato mai a questo, però in tutta la mia vita mi sono avvalso e mi avvalgo ancora di una schiera veramente numerosa di volontari, senza voti e senza conventi, ma altrettanto, e forse più ancora, generosi ed impegnati. I volontari sono sempre stati la mia forza. Quando ero in parrocchia siamo finiti per averne fino a 450, sparsi nelle varie attività parrocchiali – a “Radiocarpini” ne contavo ben duecento – ma anche ora posso contare sulla collaborazione, diversificata nei vari settori, di più di 250 volontari.

Sono convinto che se i valori e gli obiettivi sono validi, se si domanda ad ognuno quello che può e gli piace fare, e se soprattutto il capo crede alla causa e cammina avanti, anche oggi, senza bisogno di far voti o indossare tonache di sorta, si possono trovare molti uomini e donne di buona volontà.

Definitemi pure col termine che volete, io sono…

Ogni tanto il mio vecchio insegnante di filosofia offriva a noi liceali del seminario delle lezioni brillanti. Monsignor Vecchi era un docente valido ma discontinuo; talvolta tirava a campare, talvolta si lasciava, forse coscientemente, “fuorviare” da noi, che temevamo che corresse troppo col programma e perciò lo sospingevamo sul terreno scivoloso dell’arte, un settore che egli amava quanto mai. Però, abbastanza di frequente, quando aveva la giornata giusta, o gli capitava di trattare un argomento che gli era congeniale, era veramente un “maestro” che incantava e si faceva ammirare.

Ricordo una sua lezione sul nominalismo; pur avendo dimenticato gli agganci e i riferimenti inerenti alla storia della filosofia, mi sovviene forse l’aspetto più banale. Monsignore affermava che spesso certe parole o certe definizioni non sono, in realtà, il segno vero, ossia non rappresentano in maniera adeguata la realtà.

Ho capito questa lezione, talvolta a mie spese, durante la mia lunga vita. Ci sono delle parole, forse le più importanti, che spesso sono ambigue. Ad esempio: amore, libertà, proletariato, democrazia, giustizia, bellezza. Perciò è necessario che spesso ci si metta d’accordo su quello che si intende dire con un certo termine.

Mi son fatto questo discorso ed ho riflettuto su questa questione qualche tempo fa, quando alcuni amici mi accusarono di essere di destra e, dopo pochi giorni, altri amici mi definirono di sinistra. Una volta per tutte desidero dichiarare pubblicamente che io sono per chi si fa carico dei più deboli e bisognosi della società, di chi rispetta la  dignità e la libertà della persona, di chi propugna la giustizia, la pace e la libertà, di chi garantisce al credente di impostare la sua vita ed educare i suoi figli come crede giusto, di chi concepisce lo Stato a servizio dei cittadini e non viceversa, di chi è capace di produrre ricchezze per poterle dividere, di chi tenta che i lavoratori siano compartecipi degli utili delle imprese, di chi esige che ogni cittadino faccia seriamente il proprio dovere, di chi condanna i cittadini violenti che distruggono i beni altrui.

E potrei aggiungere qualche altra cosa, ma qui mi fermo! Non mi interessa assolutamente che a portar avanti questi valori sia la destra o la sinistra, io parteggio e voterò chi, perlomeno, si avvicini a questo programma, sia egli bianco, rosso, nero o verde. E a tutti dico: «Definitemi pure col termine che volete, io sono questo e basta!»

Vivere in pieno anche il tempo della vecchiaia!

I giovani che sognano alla grande, che si battono per i grandi ideali, hanno tutta la mia ammirazione; essi mi fanno sognare e m’aiutano a combattere la mia battaglia per non lasciarmi vincere dal conformismo, dal quieto vivere o dalla preoccupazione di non aver noie.

Sono ben conscio che né John, né Bob Kennedy sono stati dei santi, comunque il loro sogno di “nuove frontiere”, la loro audacia nel proporre un cambiamento radicale, m’han fatto del gran bene!

Non c’è nulla di più bello che dei giovani che sognano, che lottano e si spendono per “missioni impossibili”, però confesso che quasi mi sono più d’aiuto le testimonianze di coerenza e di coraggio dei vecchi che rimangono in trincea e all’attacco anche dopo la pensione.

Mentre scrivo queste “confessioni”, mi passano davanti agli occhi alcuni di questi “grandi” anziani. Vedo Papa Roncalli, il Papa che ebbe il coraggio di promuovere il Concilio per il rinnovamento della Chiesa, quando aveva già superato la soglia della vecchiaia.

Vedo la figura apparentemente gracile del novantenne vescovo di Ravenna, il cardinal Tonini, presente a tutti i dibattiti, prendere posizione con decisione e senza timore di sorta. Ricordo il cardinal Bevilacqua, il vecchio confessore di Paolo sesto, che accettò il cappello cardinalizio a condizione che il Papa gli permettesse di continuare a fare il parroco di una parrocchia di Milano.

Ammiro don Loris Capovillla, l’arcivescovo emerito di Loreto, già segretario di Papa Giovanni che, nonostante abbia superato abbondantemente i novant’anni, scrive, parla e continua a dar voce alla testimonianza profetica del Papa buono.

Assai di frequente mi arrivano delle pubblicazioni di “don Loris”, il giovane prete della Rai veneziana di un tempo, con i saluti scritti con una grafia sconnessa ed incerta, ma che sempre mi edificano, mi stimolano a non mollare e mi fanno intravedere il volto più bello della vecchiaia.

Ho concluso che la “pensione” è una realtà che s’addice ai burocrati e ai fannulloni, ma non agli uomini veri e meno ancora ai preti che credono!

Ho seminato l’amore per la solidarietà fra i giovani che ho incontrato e il raccolto è fonte di gioia!

Un giorno ebbi parole di elogio per alcuni risultati assai brillanti che un mio amico architetto stava ottenendo nel suo lavoro. Questi mi rispose, come se dicesse una verità scontata, che stava raccogliendo i risultati di una vita di lavoro.

Anche a me capita abbastanza di sovente di trovare porte spalancate, appoggi inaspettati, simpatie cordiali, apprezzamenti ed incoraggiamenti da parte di operatori affermati nella nostra società. Poi mi accorgo che questa gente, ormai ben adulta, appartiene a quella schiera infinita di ragazzi e ragazze incontrate nelle aule scolastiche delle magistrali, dell’Istituto Volta, del Pacinotti o delle Tecniche commerciali. Ragazzi e ragazze incontrati tra le file dell’Azione Cattolica, dei gruppi scout, delle classi di catechismo, al confessionale, o semplicemente nelle quanto mai affollate assemblee liturgiche del duomo di Mestre o di Carpenedo.

Chi semina, prima o poi raccoglie, e chi semina con lo stile e la larghezza del seminatore della parabola evangelica, finisce per raccogliere il trenta, sessanta e perfino il novanta per cento!

Ricordo una ragazzina vivace, grintosa ed intelligente delle magistrali che, dopo il diploma, proseguì per la laurea e poi salì tutti i gradini della carriera nell’amministrazione pubblica e che ora occupa un posto di rilievo all’Assessorato della sicurezza sociale. A questa ragazza di un tempo debbo, in buona parte, la riuscita del progetto degli alloggi protetti per gli anziani.

Voglio sperare, o almeno illudermi, che ella abbia colto sui banchi delle magistrali l’ostinazione con cui il suo insegnante di religione era solito parlare dei poveri. Nei momenti più cruciali, nelle battaglie più difficili, nei sogni più ardui, ella m’è sempre stata accanto con coraggio, coerenza ed intelligenza e mi ha aiutato in maniera determinante a superare le difficoltà. Forse è solo la mia atavica ed ancestrale riservatezza che m’ha impedito finora di dirle quanto le sia riconoscente, quanto la stimi e quanto le voglio bene.

Se qualcosa sono riuscito a realizzare lo debbo soprattutto ai ragazzi e alle ragazze che ho incontrato negli anni felici e fecondi della loro fanciullezza e della giovinezza. Sarei tanto felice se tutti sapessero quanto mi sia stato di conforto e di aiuto la loro collaborazione.

Né a destra né a sinistra, io sto con chi opera per il bene di tutti!

Credo che nessuno possa dire che io sia tenero con la classe politica. Talvolta una parte mi ha accusato di non essere abbastanza critico nei riguardi dei suoi avversari, spesso sono quelli di destra a farmi questa osservazione e talaltra sono quelli di sinistra a dire che sono troppo comprensivo con la destra.

So che è ben difficile stare “super partes” perché tutti ti “strattonano” a loro vantaggio; di certo però è che io cerco di non essere di nessuno, perché voglio stare a tutti i costi con i più deboli, i più poveri e quelli che contano meno nella nostra città.

Ho sempre ammirato don Milani quando dice a Pipetta, comunista convinto: «Io sono sulle barricate con te, caro amico, sappi però che quando la tua parte calpestasse i diritti dell’altra parte, io ti tradirò perché mi sei caro, però m’è più caro il bene di tutti». Molto probabilmente don Milani si rifaceva alla massima antica “Amicus Plato, sed magis amica veritas!”

Anch’io condivido la tesi di Platone, però ammiro e scelgo sempre la verità! Qualche settimana fa però mi sono alquanto rappacificato con i politici veneziani. Prima Ordigoni, il sindacalista che ho avuto come parrocchiano a Carpendo, non si lasciò condizionare da certe dimostrazioni plateali da parte di chi era solamente preoccupato del proprio vero o presunto interesse, poi l’intero Consiglio comunale, senza distinzione di sorta e a tambur battente ha approvato all’unanimità la variante che permette la prosecuzione dei lavori del cantiere che sta costruendo il “don Vecchi” di Campalto.

Il voto bipartisan mi fa sperare che sulle cose necessarie per il bene della collettività, anche i politici lavorino concordi per il bene di tutti.

La predicazione al giorno d’oggi

Io ero e sono ancora avido di ascoltare i miei colleghi preti nei loro interventi durante i quali i sacerdoti sono richiesti di proporre una lettura religiosa dei fatti della vita.

Quando ero parroco non perdevo mai l’occasione di ascoltare con attenzione prediche e sermoni dei miei confratelli. Talvolta ne rimanevo veramente edificato per la capacità di inquadrare in una cornice di speranza e di vita questi eventi, rifacendosi essi alle grandi verità cristiane. Più spesso però questi ascolti mi servivano, e molto, in negativo, ossia mi aiutavano a comprendere le strade da non battere e i pensieri da non dire.

Nella predicazione in genere c’è ancora tanto, troppo di ripetitivo, di scontato, di non sentito e non sofferto; tante parole non sanno di riflessione, di appassionata ricerca e di profumo spirituale. Ho l’impressione che oggi la predicazione lasci ancora molto a desiderare.

Ora il mio cammino è diventato tanto solitario e privo di questo necessario confronto, non avendo più occasione di ascoltare i confratelli. Le rare volte che ho l’opportunità di seguire in televisione le trasmissioni che le varie emittenti fanno della messa festiva, mi imbatto spesso in discorsi letti, ineccepibili da un punto di vista di teologia e spiritualità da manuale, ma privi di anima, di respiro umano, di attualità, di incidenza sulla sensibilità e sulle coscienze.

Per molto tempo ho letto la critica artistica di un “esperto” d’arte. Ogni volta avevo l’impressione che questo signore avesse riempito un contenitore di un certo frasario attinente all’argomento, lo scuotesse un po’ e poi, pari pari, mettesse per iscritto quello che occasionalmente veniva fuori. Certi preti credo che non siano molto lontani da questo espediente.

Le mie prediche hanno un campo limitato: il commento del Vangelo della domenica e i funerali. Confesso con rossore che non è infrequente che riceva complimenti per questi miei sermoni che io invece reputo più che modesti e per i quali mi tormento più che mai perché la Parola di Dio e i fratelli sono convinto che meriterebbero molto di meglio. Ogni volta però che ricevo qualche parola di lode, non manco di domandarmi. “Se per così poco le persone sentono il bisogno di ringraziare, quanto povera e deludente deve essere la predicazione nelle varie parrocchie?”