Il rapporto dei cristiani metodisti con il mondo d’oggi

Io non dedico, in maniera formale, molto tempo alla meditazione, pur confessando che da mane a sera e talvolta pure in maniera tormentata, non faccio altro che rimuginare le problematiche di ordine religioso.

Al mattino, dopo la recita faticosa del breviario, medito su un passo della Bibbia, attualizzato da cristiani appartenenti ad ogni continente, che si riconoscono nella confessione cristiana della Chiesa metodista.

La paginetta dell’opuscolo bimestrale è scritta da cristiani comuni, uomini e donne di tutti i ceti e di tutte le età, i quali coniugano con semplicità le situazioni concrete in cui vivono con la Parola del Signore e si lasciano illuminare e condurre da essa. Solitamente si tratta di riflessioni elementari, ingenue, di interpretazioni letterali della Parola del Signore. Quindi niente di teologicamente macchinoso, complicato e sublime, ma confidenza di gente che si lascia guidare per mano dalle parole della Scrittura.

Talvolta si tratta di riflessioni toccanti ed originali, talaltra invece di applicazioni un po’ posticce e di carattere emozionale. Sempre però, anche se non condivido il modo letterale di interpretare i singoli passaggi della Bibbia, traducendoli in una linea di condotta o in una lettura degli eventi, sempre mi edifica e mi commuove il fatto che questa gente mostri di fidarsi totalmente nel buon Dio e di lasciarsi condurre per mano da lui.

Da queste letture ho sempre l’impressione di una Chiesa con una fede viva e fresca, però che mantiene la sensibilità e il modo di vivere la religiosità propria di qualche secolo fa e che non s’è sufficientemente preoccupata di dialogare con la cultura e la sensibilità della società contemporanea. Ho l’impressione di comunità cristiane avulse dal nostro mondo.

Uno dei tanti problemi della fede, che pare non compreso e meno ancora risolto, è che l’amore e il pensiero del Signore può vivere ed essere significativo ed efficace solamente quando rivela e si manifesta mediante il cuore e il pensiero dell’uomo del 2011 e non quello dei secoli scorsi, quando è avvenuta la riforma. Noi cattolici abbiamo tanti problemi aperti, ma mi pare che i cristiani delle varie Chiese dallo scisma ne abbiano più ancora.

La mia “sindrome”

Io credo di avere la sindrome di un’anziana pittrice della nostra città. La signora Rita Trotter Cumani era un’artista di notevoli qualità, le sue tele superavano sempre la soglia dell’armonia e della poesia, soprattutto per il dosaggio attento ed appropriato del colore.

La caratteristica che la contraddistingueva era l’uso del rosso in tutte le sue tonalità. Nella vastissima collezione di quadri presenti nella galleria del “don Vecchi” abbiamo una decina di opere di questa pittrice che un giorno, di fronte alla mia osservazione sul tanto uso, quasi ossessivo del colore, mi confidava in maniera un po’ sorniona che se anche avesse intinto il pennello nel verde o nel blu della tavolozza esso avrebbe finito per dipingere la tela di rosso.

Io, per certi versi, le assomiglio: posso riflettere e parlare di un qualsiasi argomento d’ordine religioso, ma alla fine vado a parare sulla verità che la fede, da qualsiasi angolatura l’affronti, mi porta a concludere che Dio ha come unico obiettivo quello di aiutare l’uomo ad avere sempre una più alta qualità della vita.

Per Natale ho avvertito l’irrefrenabile bisogno di affermare che il mistero del “Verbo” incarnato non fa altro che condurci a comprendere che Dio lo possiamo trovare, amare e servire solamente nell’incontro estasiato con la magnificenza impressa da Dio nel volto, nel cuore, nel pensiero e nei drammi della persona umana.

Durante il sermone, forse tra la sorpresa e lo stupore della folla che gremiva la mia chiesa tra i cipressi, affermai: «In voi scopro con meraviglia ed incanto il volto del Salvatore. Voi siete il mio Gesù!»

Se c’è una cosa che mi dà ebbrezza è quella di scoprire nell’uomo, seppur povero e fragile, il tocco di Dio, il segno della sua sapienza e del suo amore. Vi confesso poi che sono molto felice di essere condizionato da questa sindrome che è certamente in controtendenza col modo di pensare la religione oggi.

E’ troppo diffusa una mentalità che non aiuta a risolvere i problemi!

Bravo Patriarca! Apprendo sempre più spesso dalla cronaca – non solo dalla stampa cittadina, ma anche da quella nazionale – che il nostro Patriarca interviene, con sempre più frequenza, sulla situazione sociale del nostro Paese con prese di posizione sagge, stimolanti, libere e condivisibili.

Recentemente ho ammirato un intervento in cui il nostro Patriarca ha detto chiaramente agli amministratori dei vari livelli della cosa pubblica: «Datevi da fare, intervenite tempestivamente; il Paese ha urgenza d’aver indirizzi, soluzioni e provvedimenti; non rimandate alle calende greche quello che dovete e potete fare subito!»

Purtroppo le amministrazioni dello Stato, ma anche delle Regioni e dei Comuni hanno dei ritmi lenti, farraginosi ed interminabili, per cui arriviamo sempre tardi, troppo tardi per le dinamiche di questa nostra società che non ammette ritardi.

Mi pare che da un lato le leggi debbano essere semplificate e dall’altro lato gli operatori pubblici debbano diventare più coraggiosi anche a rischio di qualche critica o di qualche indagine. Chi pretende certezza, sicurezza personale, garanzie burocratiche e teme il giudizio dell’opinione pubblica, non è certamente atto a governare.

In questi giorni sto vivendo in prima persona un “problema”. La vecchia cappella del cimitero è sporca, annerita dal fumo delle candele e perciò ha bisogno di una ridipintura. La Veritas non ha fondi e pare abbia ben altro da pensare.

Un paio d’anni fa un signore s’era offerto di darle una mano di bianco, ma poi ci ha rinunciato perché non intendeva avere difficoltà ulteriori al suo impegno. Un paio di settimane fa un altro imprenditore, vedendo lo stato veramente miserevole in cui è ridotta la chiesetta dell’ottocento, che non ha pretese artistiche di sorta, s’è offerto ufficialmente di farlo a proprie spese ingaggiando un’impresa in piena regola. Per portare avanti questa offerta sta affrontando un vero percorso di guerra e tutto perché il funzionario teme una qualsiasi responsabilità! Con questa mentalità burocratica certamente non si risana il Paese!

Finalmente un politico saggio all’orizzonte!

Lo scorso anno me l’ero presa con Casini e l’UDC perché ero convinto che rimanendo dentro al Polo della Libertà avrebbe potuto influire positivamente sul partito del governo, portando avanti, all’interno di esso, alcune istanze fondamentali della visione della vita da parte dei cristiani.

A questa convinzione s’aggiungeva la sensazione che con la pretesa di formare l’ipotetico terzo polo al centro dello schieramento politico, Casini e i suoi volessero “fare i furbi” tentando di governare il Paese ricattando o ammiccando ora con la “destra” ed ora con la “sinistra”, finendo per imporsi con una piccola minoranza come avvenne con i socialisti al tempo di Craxi.

Scrissi, come il mio solito, le mie riflessioni, come credo abbia diritto di fare ogni cittadino. Invece no! Apriti cielo! Ad uno ad uno vennero a trovarmi i vari apparati della municipalità, del Comune e della Provincia di quel partito, affermando che essi erano gli unici cattolici impegnati a difendere i valori cristiani tra l’indifferenza della Chiesa e della gran parte dei preti che facevano le bave per la “sinistra”. Alcuni degli incontri di questi concittadini mi parvero perfino patetici, pur sembrandomi convinti e seri nella loro crociata.

Ora mi capita di dovermi ricredere su certi giudizi espressi un tempo, forse in maniera un po’ avventata e poco documentata. A mettermi in crisi è stato lo stesso Casini, che mi pare abbia “tradotto” la sua proposta di promuovere un governo della nazione, dichiarando che avrebbe appoggiato e votato tutti quei provvedimenti che erano condivisibili. Mi pare che questa sia la strada giusta: la maggioranza tenga conto del pensiero della minoranza ne recepisca nelle leggi i contenuti positivi. E la minoranza faccia lo stesso, votando tutto ciò che può fare il bene della nazione e non del proprio partito.

Mi pare che questa scelta sia denominata “bipartisan” e sia praticata dalla Germania, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. Bene Casini! Se le cose stanno proprio così ha il mio consenso e il mio applauso perché finalmente apparirebbe all’orizzonte del nostro Paese un politico saggio.

Quante cose vorrei riuscire a fare più spesso!

Talvolta mi accorgo di subire il tentativo di autoingannarmi, ed avverto questo imbroglio che uso nei miei riguardi quando tento di convincermi che non ho tempo per far certe cose perché troppo impegnato.

Quando poi ricupero un po’ di lealtà con me stesso, mi confesso che non basta solamente la buona volontà per fare quello che riterrei opportuno o doveroso fare, ma ci vogliono pure risorse fisiche e mentali che io, a causa dell’età, non ho più.

M’ero riproposto di andare con molta frequenza al “don Vecchi” di Marghera per portare la mia solidarietà e per offrire orizzonti più larghi di quelli che hanno, ai settanta residenti; poi, per un motivo o per un altro, finisco per andarci solamente un paio di volte al mese.

In passato sapevo che don Ottavio, “il parroco territoriale”, era affezionato ed amava il “don Vecchi”, perciò mi dicevo che la mia sarebbe stata quasi una intromissione nella parrocchia di un altro. Ora don Ottavio se n’è andato e il nuovo parroco, per età e per altri impegni, penso abbia poco tempo da dedicare in maniera specifica agli anziani di quella struttura. Sono stato quindi costretto a superare la mia fragilità ed ho accettato, dopo molti rimandi, di celebrare una messa in preparazione al Natale.

La giornata era proibitiva, neve e gelo, ma se avessi mancato sarebbe stato veramente un tradimento che non mi sarei mai perdonato. L’accoglienza è stata festosa, la struttura “vestita da Natale”, la partecipazione totale e il rinfresco da principi, preparato da un cuoco di livello internazionale.

Sono stato felice, mi hanno riempito di doni, e sono ritornato pensando di ripetere tanto più frequentemente questi incontri che danno ricchezza umana alla convivenza; so però che non riuscirò a farlo come sognerei e vorrei. Debbo arrendermi alla realtà che ad ottantadue anni si è vecchi e non si può più fare quello che piacerebbe, o meglio si è convinti di dover fare.

Sempre più frequentemente penso al secondo “pensionamento”, a quello reale! Se non l’ho ancora fatto credo sia perché, nonostante io stia ancora tentando di illudermi, non vedo che esistano persone disponibili per questa avventura cristiana!

Quella verità che insisto a riproporre!

Mio padre era un falegname generico, come si soleva un tempo; era capace di costruire una capriata di un tetto, come fare una finestra, costruire una bara da morto o dar vita ad un mobile. Io sono cresciuto in bottega tra la segatura e i trucioli e perciò m’era familiare il lavoro di mio padre, però quello che attirava maggiormente la mia attenzione era il modo veloce e deciso con cui papà piantava i chiodi. Quando si trattava di inchiodare le doghe dei balconi sembrava che s’impegnasse con ebbrezza ed accanimento in questa operazione.

Forse mi viene da mio padre il bisogno di ribadire certi concetti, di accanirmi nel proporre certe verità quasi ne provassi una soddisfazione profonda ed un’ebbrezza interiore. Durante lo scorso avvento m’è capitato di rileggere e riflettere quel passo del Vangelo in cui Giovanni manda a chiedere a Gesù: «Sei tu il Messia che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?» Gesù risponde: «Riferite quello che vedete: gli zoppi camminano, i vecchi vedono, i sordi ascoltano e ai poveri è annunciato il Regno!»

Questo discorso di Cristo è per me inebriante perché mi riconferma che Cristo è venuto e si fa riconoscere quale figlio di Dio dal suo impegnarsi totalmente per l’uomo. Gesù propone, come elemento di salvezza, la volontà del Padre, non riti, formule o preghiere, ma solidarietà concreta all’uomo, soprattutto all’uomo più bisognoso! Di qui la mia decisione e l’ebbrezza di ribattere con decisione e ripetutamente il chiodo che la nostra religiosità deve naturalmente sfociare nella solidarietà. Il resto arrischia di diventare magia o evasione dalla storia, dalla vita e dalla fede.

La mia decisione nel riproporre questa verità è così convinta che non mi stanco di ribadire questo concetto di fondo, né mi rassegno a smettere, anche se mi accorgo che questo chiodo fatica ad entrare!

Se la Cittadella della Solidarietà è impantanata in pastoie burocratiche, io guardo oltre!

La vita vissuta in équipe, m’è sempre stata molto stretta. Capisco sempre di più d’essere una persona solitaria e profondamente individualista.

Qualche mese fa m’è stato chiesto di “cedere” alla diocesi il progetto della “cittadella della solidarietà”. Ne fui molto felice perché “mi si cavava una castagna dal fuoco” in un tempo che di problemi ne ho fin troppi. Poi ritenevo veramente bello che l’intera Chiesa veneziana prendesse seriamente il discorso di Gesù “Ama il prossimo come te stesso”, discorso ribadito con forza e con concretezza da san Giacomo. Mi affascinava che l’intera Chiesa veneziana si impegnasse globalmente su un progetto che avrebbe testimoniato la sua coerenza al Vangelo.

L’iter intrapreso mi è sembrato subito un difficile percorso di guerra che soldati poco intraprendenti ed audaci avrebbero avuto infinite difficoltà e pretesti per affrontare e risolvere. Infatti stanno passando giorni, settimane e mesi e il progetto rimane solamente una timida bozza di progetto, mentre paesetti come Mirano stanno già costruendo “il villaggio solidale”!

Ancora una volta mi si affaccia la tentazione di abbandonare il progetto della città solidale alla burocrazia della curia e dar vita ad un braccio d’azienda al posto della possibile e futura “cittadella” per risolvere il problema dei magazzini San Martino, San Giuseppe e di tutti i santi della carità.

Mi si regalano trentamila metri di terreno e diecimila di spazio coperto da tetto. Io credo che bisogna cogliere l’opportunità al volo e lasciando il progetto della “cittadella” alla diocesi, noi invece costruiremo “L’Ikea” solidale dei mobili usati e “i grandi magazzini Coin” degli indumenti d’epoca.

Non sarà la Chiesa di Venezia a farlo, comunque sarà un suo vecchio prete in pensione!

L’importanza del rinnovamento del messaggio cristiano

Forse le mie attenzioni e le mie riflessioni sono fatue e profane per un vecchio prete, però anche da questa fatuità il mio animo viene stimolato a pensieri più interessanti.

Con le prime brezze dell’autunno, quando l’estate non era ancora finita, ho cominciato a notare che le donne avevano iniziato, come costrette da una legge misteriosa, a portare stivali di fogge diverse, ma sempre stivali, sopra delle calzamaglie che raggiungevano faticosamente delle gonnelline leggere ed evanescenti.

La nuova moda è cominciata come i piovaschi d’estate: una goccia qui, una lì, un’altra ancora, fin quando pian piano la pioggia scende spessa e pesante dal cielo. In poche settimane non vedo che stivali aggraziati, calzamaglie attillate e gonnellini da “Pantalone”. Ragazzine, ragazze, giovani donne e donne attempate, in un battibaleno si sono vestite come le divise degli eserciti di un tempo.

Io non ho crociate da fare contro la moda, è inutile ed assurdo opporsi, soltanto immagino che il prossimo anno avremo ai Magazzini San Martino un flusso grandioso di stivali, calzamaglie e gonnelline, perché di certo è immaginabile che gli stilisti inventeranno qualcosa di diverso.

Le nostre donne sono evidentemente quelle di sempre però, vestite alla moda, sembrano nuove. Questa osservazione, frivola di certo per un vecchio prete, mi ha suggerito di chiedermi: “Qualcosa del genere dovremmo trovare anche per le verità e i valori cristiani, perché non si riducano ad essere stantii, poco interessanti e fuori moda”.

Il guaio però è che nelle nostre curie e nei pensatoi ecclesiastici abbiamo quasi sempre “stilisti” statici, ripetitivi, che non sanno rendere belle e interessanti e nuove le verità di sempre. Io mi riprometto di darmi da fare, ma ad ottant’anni temo che mi sarà difficile rendere affascinanti e fresche le verità di fede che però renderebbero veramente nuova ed affascinante la vita dei credenti.

Il felice incontro con le opere di padre Enzo Bianchi

Don Marco, il giovane prete che fu mio collaboratore in parrocchia per una decina di anni, sentiva il bisogno di fare ogni tanto delle esperienze d’ordine mistico. Abbastanza di frequente lasciava la parrocchia per qualche giorno per andare a vivere nelle foresterie di qualche convento sia di frati che di monache contemplative.

Negli ultimi tempi in cui rimase a Carpenedo ha frequentato abbastanza spesso la Comunità di Bose, ove è priore un certo frate, Enzo Bianchi. Ebbi quindi modo di conoscere in maniera più approfondita la vita, la spiritualità e il messaggio e la testimonianza di questa esperienza monastica del nostro tempo.

Già nel passato avevo sentito qualche lezione di questo uomo di Dio. In verità non ne ero stato particolarmente entusiasta. La voce un po’ monotona, l’aspetto poco gradevole o perlomeno poco ricco di fascino e gli argomenti che trattò in quelle occasioni, me l’avevano fatto collocare nel comparto un po’ stantio del mondo dei frati.

Una maggiore conoscenza della sua personalità, della soluzione monastica a cui ha saputo dar vita e soprattutto la lettura di un suo splendido libro “Il pane di ieri” del 2008, m’hanno offerto una visione nuova e più felice di questo monaco dei nostri tempi e mi ha riconciliato col monachesimo attuale.

Qualche settimana fa un mio carissimo amico, magistrato in pensione, mi ha regalato l’ultima opera di padre Enzo Bianchi “Ogni cosa alla sua stagione”, un volume che sto letteralmente divorando e che mi apre l’animo su un mondo sconosciuto di infinito incanto mistico e poetico. Don Bianchi parla della sua esperienza di uomo della contemplazione, coniugando la sua esperienza mistica a quella esistenziale del suo passato e della sua terra.

Leggendo le confidenze spirituali di quest’uomo del Monferrato, ho via via avuto l’impressione che anche oggi ci siano delle voci solitarie che “gridano nel deserto: «Preparate la via del Signore!»”

Son felicissimo di aver incontrato quest’uomo del silenzio e della solitudine, con lui ho camminato durante l’ultimo avvento, incontro al Signore.

Non ho una fede politica ma tanti dubbi

Non c’è di peggio che la passione politica. Spesso le scelte in questo campo sono sostanzialmente irrazionali, immotivate, eppure sono così radicali che riescono a scalfire anche la stima e l’amicizia più consistenti verso chi non la pensa allo stesso modo.

Spesso mi sono chiesto che cosa determini questo tipo di “fede”. Non ho finora trovato risposte se non confrontando le scelte politiche con le tifoserie del calcio. Perché uno fa il tifo, s’imbarca in lunghi e costosi viaggi ed è perfino pronto a fare a botte per sostenere l’Inter o il Milan, la Fiorentina o il Napoli? Non lo so! Eppure è sotto gli occhi di tutti quali danni e quali scontri nascono fra tifoserie contrapposte. Credo che sempre, ma soprattutto oggi, le scelte politiche sono ancestrali, nascono dal subconscio e talvolta diventano pericolose o ridicole.

C’è una vecchietta, cara ed affettuosa, una veneziana DOC, che viene spesso al “don Vecchi” a “fare acquisti” ai magazzini San Martino. Va a messa, conosce tutti i preti, ha pure, almeno intrapreso, il cammino neocatecumenale, però è comunista, e comunista più di Stalin. Qualche tempo fa, lagnandosi essa per l’umidità del suo appartamento, mi permisi di dirle che forse col Mose si sarebbe risolto, almeno in parte, il problema dell’acqua alta. Apriti cielo! Per coerenza politica e per fede di partito è nemica a morte del Mose, lo considera una sventura. Questa è la “fede politica!”

Io non sono a questo punto; tento di ragionare, però sono senza appigli sicuri e senza neppure illusioni. Credo di vedere quello che non va nei partiti, mentre non riesco a vedere granché di positivo. Ad esempio mi pare che i cattolici dentro il PD siano simili a Cappuccetto rosso nei riguardi del lupo vestito da nonna, perciò non sono un grande ammiratore né della Bindi né di Franceschini, mi sembrano fagocitati ed ininfluenti sempre. Mi pare che i cattolici più lucidi se ne siano andati e continuino ad andarsene.

Questa è una mia sensazione, posso anche sbagliarmi, e con questo non ho mai chiuso gli occhi di fronte alla “miseria” di qualcuno o di molti dell’altra parte. Mi spiace e m’addolora che qualche caro amico, che ammiro e stimo da una vita, per “passione politica” abbia riserve o rifiuti nei miei riguardi. Sono sempre disposto a “convertirmi”, voglio rimanere aperto alla “verità”, però finché il PD prende sempre posizioni opposte a quelle della Chiesa, credo che continuerò a nutrire dubbi e perplessità. Ma con questo non è che mi senta di avallare chi milita nelle sponde opposte!

“Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!”

San Pietro, in occasione della pesca miracolosa, dopo l’abbondante pescagione, si buttò ai piedi di Cristo e disse: «Allontanati da me perché sono un peccatore!»

Credo che tutti sappiano come sono andate le cose. Pietro e la sua cooperativa avevano pescato a lungo nel lago, ma senza alcun risultato, per cui lui e i suoi compagni erano stanchi e delusi. Sennonché Gesù disse a Pietro, capobarca: «Butta le reti in mare per la pesca». Pietro era pescatore di professione ed anche i suoi amici erano esperti in questo mestiere, mentre era certamente loro noto che Gesù per trent’anni aveva fatto il falegname, motivo per cui non poteva intendersi di pesca.

Pietro allora fece osservare: «Abbiamo tentato tutta la notte di buttare le reti, ma inutilmente». Poi, forse per soggezione o per affetto e per dimostrare al Maestro l’inutilità di quella ulteriore fatica, controvoglia e di malumore, aggiunse: «Ma sì, sulla tua parola, per accontentarti, butterò la rete». Non è però improbabile che in cuor suo abbia anche mandato Cristo a quel paese! Di certo non fu entusiasta e poco rassegnato ad una ulteriore delusione. Ma quando tirarono su le reti, Pietro fu sorpreso e provò un senso di colpa per aver dubitato; da questo, di certo, è nata la sua confessione.

A me sta capitando la stessa cosa. Ho chiesto accoratamente aiuto per il “don Vecchi” di Campalto al Comune, alla Regione, alla Provincia, alla Fondazione Carive, alle banche Antonveneta, Cassa di Risparmio, Banco di San Marco, Banca popolare, alla Associazione Industriali. Risposta: niente!

Allora ho tentato con la sottoscrizione dei “Bond del Paradiso”, come un giovane amico giornalista ha definito la sottoscrizione di azioni della Fondazione di cinquanta euro l’una. Infine mi sono “messo sulle spalle la bisaccia da frate da cerca” e ho suonato a 400 campanelli della città. La risposta a questa iniziativa è stata tra il modesto e il discreto, però non ha mai raggiunto l’adeguatezza ai bisogni.

Stavo per sconfortarmi, sentendomi abbandonato dagli uomini e da Dio, quando improvvisamente ed inaspettatamente s’è fatto vivo il buon Dio, battendomi una mano sulla spalla e dicendomi: «Prete di poca fede!», facendomi balenare una prospettiva, di cui non oso ancora parlare, ma che potrebbe tirarmi fuori dalle angustie. Sulla proposta del Signore, anche se stanco e deluso, ho ributtato le reti in mare, confessando in anticipo: «Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!»

Ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

Per temperamento sono poco o nulla indulgente verso chi non è di parola, rimanda o tira le cose per le lunghe. Non credo di sbagliarmi, ma pur essendo cosciente che aver a che fare (come è costretto l’architetto che ha progettato e cura la costruzione di Campalto) con la burocrazia comunale, non sia proprio una cosa facile e sbrigativa.

Un giorno questo architetto, che io incalzavo più di sempre, avvertendo la mia impazienza per nulla disposta a subire lungaggini e ritardi, a sua discolpa e per giustificare la sua mancanza del rispetto dei tempi stabiliti, mi disse: «Sa, don Armando, lei ha tanta gente che le vuole bene, ma anche della gente che non è troppo propensa ad assecondare i suoi progetti!»

Sono ben convinto che le cose stiano così, non per questo cesserò di pretendere che ognuno faccia il suo mestiere e lo faccia bene, anche se ha la possibilità di insabbiare l’iter burocratico di certi percorsi ad ostacoli ai quali i poveri cittadini sono costretti dalla burocrazia comunale.

Io non ho mai preteso o ambìto di avere il consenso di tutti, perché questo esigerebbe compromessi con la mia coscienza, avallerebbe la pigrizia di certuni, ma soprattutto perché sono convinto che i poveri debbano avere percorsi agevolati e privilegiati.

Io, alla mia età, non domando più nulla per me, ma credo di dovermi fare portavoce dei più indifesi.

Da qualche anno, vedendo la condizione miserrima in cui vivono gli extracomunitari a Mestre, avevo sognato un ostello ove fossero ospitati civilmente. Non appena la stampa diede notizia del progetto, c’è stato qualcuno che abita vicino al luogo ove doveva nascere la struttura, che s’è opposto con decisione e caparbietà. Inizialmente tentai di rassicurare che avrei vigilato perché non avesse fastidi di sorta, ma più tentavo di far presente che anche questa povera gente che viene dalla miseria ha diritto a ricevere una mano da gente civile e cristiana, più costui dimostrava rifiuto ed opposizione, tanto che ad un certo momento la diga della mia pazienza non resse più e sbottai: «A casa mia e con i soldi miei faccio quello che ritengo giusto!»

Poi, per una serie di considerazioni, ripiegai sulla scelta di una struttura per anziani poveri, ritenendomi non preparato per l’altro progetto. Però il mio contestatore se la legò ad un dito e ha tentato con ogni mezzo di ostacolare il progetto del “don Vecchi 4”.

Scrivo questo senza malanimo o rancore di sorta, ma ripeto ai miei concittadini e soprattutto ai fratelli di fede: «La carità ha sempre un prezzo, ed è un prezzo che è doveroso paghino anche i preti, ma non è giusto pretendere che lo paghino solamente loro, e che la loro carità non scalfisca neppure le fisime di chi è solamente preoccupato del proprio tornaconto. E perché tutti sappiano come la penso, mi sento di dover affermare pubblicamente che ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

L’Immacolata spiegata agli uomini di oggi

Quando la Chiesa s’è decisa a non usare più il latino nella liturgia, ha fatto un gran passo in avanti. Era tempo che la gente comune, e non solamente la piccolissima frazione di persone che aveva studiato il latino, potesse comprendere le parole della preghiera della comunità e il messaggio dei testi sacri. Però, ogni giorno di più, mi convinco che quello doveva e deve essere solamente il primo passo perché i fedeli possano comprendere il messaggio cristiano.

L’annuncio evangelico è nato e cresciuto nella sua elaborazione in culture estremamente diverse da quella corrente e perciò parole, e soprattutto concetti, se non sono decodificati e tradotti nella nostra “lingua parlata”, rimangono tuttora discorsi astrusi e, per la sensibilità del nostro tempo, geroglifici incomprensibili per il popolo; semmai possono avere un qualche riscontro solamente entro la casta specifica dei pochi indiziati, ma temo che anche per questi essi rimangano, anche se compresi letteralmente, verità fredde e per nulla incidenti sull’opinione pubblica e sulla sensibilità delle persone del nostro tempo.

Il “mistero” dell’incarnazione rappresenta certamente la volontà di Dio di toccare la mente e il cuore delle creature di ogni tempo specifico per aiutarle a vivere nel modo migliore.

In occasione della dolce e calda festa dell’Immacolata mi sono posto, più di sempre, questa domanda: “Ma che cosa può dire ed interessare ai miei fedeli il fatto che io dica loro che la Madonna fu concepita senza peccato originale?” “Nulla, assolutamente nulla!” Ho tentato quindi di affermare che questa festa ci presenta una donna, Maria, che non è la risultante e l’epilogo di tutte le manomissioni e le debolezze avvenute nella catena delle generazioni passate, ma una splendida creatura, un capolavoro originale in tutto il suo splendore, che il Signore ha voluto presentarci così com’è uscita dalla Sua sapienza e dal Suo amore, senza manomissioni, ritocchi, sfregi e restauri come avviene per ognuno di noi.

Quindi m’è parso di dover suggerire che l’unica cosa da farsi è prendere coscienza ed ammirare la bellezza della Madonna, bella per l’armonia del suo corpo e bella ancora per l’armonia e lo splendore della sua anima.

Avere una Madre così bella, e sapere che noi ne condividiamo la natura, anche – come affermava monsignor Vecchi – se ora siamo ridotti, per il male nostro e quello dei nostri padri, a delle “magnifiche rovine”, può metterci la nostalgia e il desiderio di tendere, o perlomeno sognare, l’antico splendore originario del progetto di Dio nei nostri riguardi. Avere un “campione” sotto gli occhi, con cui confrontarci è certamente una grazia, per la quale è giusto fare una pausa di riflessione l’otto dicembre, festa della Madonna Immacolata.

Villa Salus, un ospedale che trasmette serenità

Mi sento ormai “tutto rappezzato”; sto con fatica in piedi soltanto in forza di molti sostegni farmaceutici che riescono a stento a mantenere certi equilibri che mi permettono di vivere.

L’aspetto è ancora rassicurante, tanto che qualcuno, forse credendo di farmi un complimento, mi dice che sono una “roccia”, mentre in realtà solo io e pochi altri sanno su quali equilibri instabili mi reggo ancora.

Abbastanza di frequente devo ricorrere all'”officina” o per una visita o per tamponare una falla. Mi capita sempre più spesso di andare a Villa Salus, perché la struttura mi pare più snella ed efficiente della nostra “torre”, bella fin che si vuole all’esterno, però legnosa e problematica nella sostanza.

A Villa Salus c’è profumo di efficienza e di cordialità, per cui mi pare di sentirmi di casa. C’è poi in questo ospedale della nostra città “L’angelo della casa” che dà un senso di famiglia e di sicurezza che aggiunge una qualifica in più a questa struttura ospedaliera.

Mi riferisco alla superiora: un esserino minuto, sempre sorridente ed imperturbabile che, come una vecchia nonna, accomoda, ricuce, rasserena e profuma di casa questa struttura in cui sono impegnati ben quattrocento operatori sanitari. Di fronte alla “superiora” sia gli infermieri che i primari sembrano come degli scolaretti rispettosi, felici di assecondarla nel suo sogno di creare non solo un ospedale a misura d’uomo, ma una comunità di fratelli che si aiutano reciprocamente per affrontare con serenità e coraggio l’avventura e le sventure del vivere.

A Villa Salus pazienti ed infermieri al mattino chiedono assieme, senza complessi, a Dio, Padre di tutti, conforto e speranza, con la preghiera comune. Forse per questo in questa struttura ospedaliera si avverte una serenità che invece è ben difficile trovare altrove.

Cristo è venuto e viene anche per l’oggi!

Quando gli amici de “L’incontro” potranno leggere i miei appunti quotidiani, il tempo di Avvento sarà ormai un ricordo, ma io mi ostino a sperare che il seme che ho tentato di spargere, con generosità e passione, nel cuore dei partecipanti alle affollate assemblee liturgiche che si tengono ogni domenica nella mia “cattedrale tra i cipressi”, stia mettendo radici nel silenzio delle coscienze per diventare prima o poi germoglio di vita.

Quest’anno lo Spirito mi ha suggerito di insistere sulla verità che il Verbo, messaggero di salvezza, non prende dimora tra noi solamente quando il calendario segna il 25 di dicembre o quando la gente va a messa, ma che la “verità”, il “bene”, e “l’amore” si affacciano alla nostra attenzione e bussano alla porta della coscienza di ogni uomo nei tempi e nei modi più diversi e che è sempre “Natale” quando uno spalanca, ospitale, la porta del suo cuore perché la luce “brilli” e “riscaldi” l’animo di ognuno.

Ogni momento è tempo di Avvento ed ogni momento offre il “Natale” quando una persona è in attesa vigile, desiderosa dell’incontro col bene, disposto a dare ospitalità alla luce che scende dal Cielo.

Sento sempre più forte ed impellente il bisogno e il dovere di dire con convinzione e passione ai miei fratelli che Cristo è venuto e viene più per l’oggi che per il domani. Sono stufo di sentire preti e frati preoccupati che i fedeli pensino solamente alla vita eterna piuttosto che alla vita attuale, invitino alla salvezza eterna piuttosto che chiedere ed ascoltare Cristo per salvarci oggi, ora da una vita incolore, fatua, egoista e di corto respiro.

L’Incarnazione, cuore del mistero natalizio, deve essere un evento percepito ed accolto in ogni circostanza e situazione, perché irradi dall’interno il nostro vivere. Il percepire e l’aprirci a Dio, che viene a noi, è l’accogliere l’amore, la verità, il bene, perché solamente queste realtà possono far cantare la vita e farla assaporare come un magnifico dono di Dio.