“L’uomo propone e Dio dispone”, anche per la Chiesa del cimitero!

Assai di frequente persone mi chiedono informazioni sulla telenovela della nuova chiesa del cimitero.

La stampa cittadina ne ha parlato più volte, riportando il parere dei vari protagonisti di questa vicenda, ognuno dei quali ha presentato il problema dal suo punto di vista, ingenerando così una confusione per cui nell’opinione pubblica c’è un sicuro disorientamento.

M’ero ripromesso che non sarei più ritornato sull’argomento che per me è definitivamente chiuso, ma ritengo opportuno che chiarisca le varie posizioni in maniera che ognuno ne tragga le conclusioni che crede.

L’assessore Fincato, la più diretta interessata a questo problema per l’assessorato che guida, ha affermato più volte che la chiesa si farà.

In pratica però ha fatto approvare un atto di indirizzo in cui si dice che il Comune è favorevole e che la cosa deve avvenire senza spesa alcuna da parte dell’amministrazione.

La Vesta, nella persona del dottor Razzini, amministratore delegato, dice che non è contrario, ma serve che il Comune finanzi la spesa, oppure essa sia finanziata anticipatamente con l’introito della vendita dei 1350 loculi previsti nei deambulatori laterali, oppure si aspetti quando la Vesta avrà soldi da stanziare per questo scopo.

Mognato, prosindaco, ha affermato che la spesa è eccessiva, e preferirebbe qualora avesse i soldi, impiegarli per fare case per gli operai.

L’architetto Caprioglio, afferma che a Mestre è dovuta un’opera degna per cui caldeggia il suo progetto.

Io, don Armando, avendo sentito dall’ingegnere Marchini della Vesta, che il costo previsto per realizzare il progetto dell’architetto Caprioglio, servono 5 milioni di euro, dapprima sono rimasto sbalordito ed incredulo, soprattutto confrontando questo costo con chiese più grandi e nobili costruite recentemente, poi ho deciso di ritirare la mia richiesta in maniera pubblica e definitiva, preferendo a questo costo iperbolico, quella attuale piccola e disadorna e quasi inospitale.

Se si degna il Signore di abitare nella cappella del cimitero, chi sono io per non farlo?

Il dottor Razzini della Vesta ha ventilato la soluzione provvisoria di un prefabbricato.

Il Comune e la Diocesi hanno accettato questa proposta e dietro l’impegno con cui si sta lavorando, tutto fa supporre che per fine ottobre la nuova chiesa sarà agibile.
Un vero miracolo!

Una volta ancora si dimostra vero che l’uomo propone e Dio dispone, non vale proprio la pena di prendersela troppo!

Oltre il punto di non ritorno per tanti progetti importanti

Quasi tutto è realizzabile, però bisogna essere disposti a pagare dei prezzi tanto più consistenti quanto sono più importanti i progetti che si perseguono.

Pare finalmente che sia sul binario giusto il progetto della Casa di accoglienza per familiari che vengono da lontano per assistere i loro congiunti ospiti nell’ospedale dell’Angelo. Ormai i giornali della città parlano sempre più di frequente e sempre più nei particolari della struttura per la cura dei tumori mediante i protoni.

Il “Samaritano” è come la barchetta legata a questo transatlantico; quanto grande, come verrà realizzato, chi lo gestirà, sono elementi ancora avvolti nel mistero, però pare che in due-tre anni s’arriverà in porto.

Quante pressioni, quante varianti, quante delusioni, quante arrabbiature… spero che non ci siano ancora aumenti di prezzo!

Per il don Vecchi di Campalto, con infinite modifiche, preoccupazioni, telefonate, suppliche pare che ormai siamo prossimi al fischio di partenza.

Non tutto è ancora risolto, ma mi pare che ormai si sia superato il limite di non ritorno!

Per la chiesa del cimitero si è passati dal monumento alla baracca, dalla cattedrale al prefabbricato, comunque per novembre e quindi per l’inverno i fedeli potranno pregare al riparo della pioggia e al caldo.

Già amo appassionatamente la “mia nuova chiesa in grembiule” la chiesa povera per la gente che crede e va al sodo!

Per i generi alimentari le cose vanno ancora meglio. Con tanta fatica e buona volontà abbiamo messo su una struttura d’avanguardia, con una catena del freddo invidiabile, con un corpo di operatori affidati ed efficienti.

Spero soltanto che l’assessore Bortollussi dia l’ultimo tocco e ci dia la possibilità di “raccogliere evangelicamente gli avanzi” del miracolo della moltiplicazione dei pani! (don Armando ha scritto questo appunto prima che la cosa si compiesse, NdR)

Costi? Notti insonni, blandizie ai giornalisti, telefonate agli amici, pazienza, costanza, faccia tosta e fiducia nella parola di Cristo “A chi batte sarà aperto, a chi domanda sarà dato!”

Però quando il bimbo è nato, la mamma dimentica le doglie ed è felice!
Così è per me!

Grazie al Comune per la mia chiesa “in grembiule”!

Sono felice, anzi orgoglioso d’avere ora la mia chiesa “in grembiule”

E’ di don Antonino Bello, il compianto vescovo di Molfetta, la sunnominata e felice espressione della “Chiesa in grembiule”, cioè della chiesa dimessa, povera, in servizio discreto ma generoso verso gli ultimi.

Non che non avessi gradito la bella chiesa progettata dall’architetto Caprioglio, che cantasse la gloria di Dio con la sua armonia e lo splendore dell’arte, nella quale la presenza dei resti mortali di quasi 1500 fratelli di fede avessero costituito un coro che avesse mescolato la sua voce purificata dalla misericordia del Signore, con le preghiere di noi peccatori viandanti verso la casa del Padre.

Il nostro Dio merita questo ed altro! Ma la sensazione di vestirmi dei panni poveri di una chiesa prefabbricata, senza pretesa di sontuosità, mi fa tornare alle mie umili origini e mi aiuterà a vivere più intensamente gli ideali che mi hanno accompagnato e sorretto durante tutta la mia vita di prete e di cristiano.

Quando penso alla chiesa sull’Appennino di don Milani, alla chiesa di Bozzolo di don Mazzolari, o ancor meglio alla chiesa del curato d’Ars, nella sperduta ed infinita campagna francese, questa somiglianza mi farà sentire in gran compagnia, mi aiuterà a parlare meglio di solidarietà, di precarietà della vita e di bisogno di infinito, di assoluto.

Il Comune ha fatto veramente il più bel regalo che potesse fare a questo povero e vecchio prete!

Quei lavori nobili sconosciuti ai più

Pare che ora vada di moda il porfido, anche a Mestre il progetto di rendere meno brutta la nostra città passa principalmente per il porfido. Non c’è strada in cui, quando il marciapiede passa davanti ad un edificio che abbia una qualche nobiltà, non la si costruisca con cubetti di porfido. Così è avvenuto per il grande piazzale del cimitero. Il nuovo arredo è costituito principalmente con la posa in opera, in maniera diversificata, della pavimentazione in porfido, contornato con qualche aiola di verde, l’impianto di alcuni cipressi ed una ristrutturazione del disegno della viabilità e dell’interno del piazzale. Tutto sommato la risistemazione del piazzale da un senso di freschezza e di novità.

Giustamente credo che per motivi economici e di manutenzione, si siano messi da parte sia la fontana che qualsiasi altro monumento.

Tornando però alla moda del porfido, ho avuto modo di osservare per due tre mesi, il lavoro e soprattutto il sacrificio dei posatori, sole e pioggia tutto il giorno accoccolati in una posizione scomoda, martellare i masselli in maniera che prendano la posizione giusta.

Qualche soddisfazione credo che l’abbiano anche questi lavoratori, ma quanto sacrificio, quanta fatica e sofferenza esposti da mattina a sera ai capricci del tempo e spesso alla sua inclemenza.

Tutti i lavori sono nobili, ma certuni, quale quello dei posatori del porfido o di chi asfalta le strade, comportano un supplemento di fatica e di sacrificio che temo non siano minimamente remunerati più degli altri lavori.

In questi mesi mi sono sentito in colpa, confrontando il loro impegno col mio, la loro fatica con la mia, il loro sacrificio col mio.

Spesso mi sono accorto che fruiamo tranquillamente e senza scrupoli della fatica di uomini e donne che qui e anche in terre lontane si sacrificano senza soddisfazioni e con poca retribuzione per i miei e i nostri capricci o semplicemente per soddisfare una qualche pretesa estetica.

Cosa fare? Niente o quasi!
Però ho sentito il bisogno di portare un paio di bottiglie e di inviare al cielo una preghiera per questa povera gente che serve con poche soddisfazioni le nostre pretese.

Bisogna avere più fiducia nella testa e nel cuore che nelle carte!

Ho avuto un lungo colloquio col responsabile di “obiettivo lavoro” l’ente che, a nome del Comune, fornisce ore di assistenza agli anziani poveri e in difficoltà, in rapporto al loro deficit e ai mezzi economici di cui dispongono loro e il Comune.

Mi rendo perfettamente conto che è ben difficile fornire un’assistente familiare proprio nel momento più necessario per i barcollanti residenti al don Vecchi.

Fatalmente “Obbiettivo lavoro” seguendo i protocolli distribuisce un’ora o due di assistenza fissando il giorno e l’ora in rapporto ad una infinità di elementi.

Capita quindi che l’assistente inviata impieghi mezz’ora per il trasferimento ed arrivi proprio nel momento che l’anziano dorme o non sa proprio cosa farsene dell’aiuto offerto.

La fatica quindi nello spiegare che se potessimo noi, pur usando del tempo fissato dall’assistente sociale del Comune, gestire direttamente l’operatrice familiare, abbatteremmo così i tempi morti, faremmo fare gli interventi nel tempo debito.

Si tratterebbe quindi di non modificare sostanzialmente il contributo del Comune, ma di gestirlo in maniera intelligente ed opportuna.

Pare che ci siamo capiti ed abbiamo concordato sulla linea dell’intervento. Ora si tratta di adottare o meglio ancora di interpretare ed applicare le norme che sono state studiate in maniera valida, ma vanno applicate con intelligenza nelle situazioni concrete.

Pensavo stamattina a San Paolo, quando duemila anni fa ha affermato che “la lettera uccide, mentre lo spirito vivifica”

Solamente la disponibilità al discorso dell’altro, il coraggio di assumersi una qualche responsabilità, l’amore all’uomo reale, risolvono i problemi, ma allora ci vuole più fiducia nella testa e nel cuore piuttosto che il garantirsi dietro le carte che spesso documentano stupidità e disinteresse!

Un po’ d’ordine

I temporali e la pioggia violenta di questi ultimi giorni hanno fatto cadere un altro pezzettino della volta del porticato di sinistra che allarga le braccia ad accogliere i concittadini che ogni giorno, numerosi, vengono a salutare i propri morti.

I miei ultimi interventi presso la Vesta evidentemente hanno mosso qualcosa; ho visto che s’è tagliata l’erba, s’è rabberciato il terreno del campo a sinistra ove sono avvenute le ultime esumazioni, ho visto gli operatori diserbare presso alcune tombe, l’ingegnere responsabile della manutenzione fare una visita, hanno sostituito tre neon dell’illuminazione della cappella, ed ho pure notato alcuni addetti ai lavori che per un paio di mezze giornate hanno fatto rilievi e discusso sugli intonaci delle volte del porticato ch’era stato transennato con nastro bianco e rosso, ma che il vento ha spazzato via. Di certo non sono scomparse le pozzanghere e il fango, l’asfalto è pieno di buche e i fiori di plastica, scorazzano ad ogni ventata un po’ seria, i campi a prato verde sono tali per definizione, ma in realtà basta qualche giorno di sole perché prendano il colore della steppa, molto probabilmente manca un impianto di irrigazione e se c’è di certo non funziona!

Tra qualche settimana avremo un bel piazzale, sperando che il Comune provveda anche alla manutenzione, certamente sarà più accogliente di prima, però non avremo un bel cimitero. Si dirà che dipende dai fondi a disposizione, dal numero degli addetti. Io non credo, e non ho mai creduto a questi discorsi. Si tratta invece di civiltà, di convinzioni, di capi, di senso di responsabilità. Credo che il Comune di Venezia sia tra i comuni del nordest che ha in assoluto il numero più grande di dipendenti eppure non brilla per efficienza e Treviso, Belluno, Padova ma anche Castelfranco e S. Donà potrebbero fargli da maestri.

Al sindaco Cacciari, all’inizio di uno dei suoi precedenti mandati, gli dissi che se avesse messo a regime i dipendenti del Comune, sarebbe stato solo per questo un ottimo sindaco. Non è avvenuto!

Sarei curioso di vedere, se la lega avesse un Gentilini qualunque ma coi baffi, riuscirebbe a metter un po’ d’ordine!
Fare una prova, non casca il mondo!

I lavori nel piazzale del cimitero

Il cantiere per il nuovo piazzale del cimitero ha messo in crisi la mia “parrocchietta”. Da un anno le ruspe e i “mostri” della tecnologia moderna, che scavano, ripianano con quegli enormi e poderosi bracci d’acciaio, hanno messo a soqquadro tutto lo spazio antistante al cimitero.

Hanno spostato il “monumento” all’obbrobrio e alla bruttezza dell’enorme antenna dei telefoni, e questo non è stato male, ma hanno pure messo a repentaglio l’accesso dei vivi e dei morti al nostro camposanto.

Non c’era più posto per le automobili e perciò i fedeli, in maggioranza anziani, una volta arrivati in prossimità del cimitero, non sapevano dove scendere e se venivano a piedi avevano tutte le trincee col filo spinato da superare.

A Dio piacendo, anche se in ritardo, pare che ci avviamo verso la fine e tutto possa ritornare alla normalità.

Mi auguro che quel popolo che si è disperso durante i lavori ritrovi la strada per accendere un lumino, per unirsi alla preghiera di suffragio per i loro cari del cielo.

Ora poi che l’intero piazzale è stato trasformato in un giardino fiorito e pare che vi siano anche le panchine, mi auguro che una volta salutati i propri morti e pregato per la loro pace, i nostri anziani si siedano per fare quattro chiacchiere prima di imboccare la strada del ritorno.

Spero poi tanto che nel budget per il riordino dell’intero piazzale, ci sia anche una voce per la manutenzione delle aiuole e per la pulizia, che non avvenga come all’interno del cimitero che, una volta piantate le begoniette, non gli hanno più dato una goccia di acqua e non c’è stato un minimo di custodia tanto che quelle che non sono morte per l’arsura, non solamente le buone signore le hanno rubate, ma ne hanno perfino asportato la terra dalle vasche!

Un labirinto di egoismo

Nota: questo commento risale a prima che l’annosa questione trovasse una soluzione.

Il dialogo con l’amministrazione comunale, al fine di ottenere i generi alimentari in scadenza, sembra piuttosto che un percorso di guerra, un labirinto in cui pare impossibile venirne a capo e trovarne la via d’uscita.

Non ripercorro la storia triennale di questo progetto per ottenere un protocollo di intesa con gli ipermercati che Bologna ha realizzato da più di cinque o sei anni e che alcune città del Veneto hanno concluso più recentemente.

Da noi la trattativa s’è impantanata tra le secche della laguna e sembra affondi nella melma di una amministrazione comunale bizantina, tanto più inerte quanto più è numerosa e l’egoismo infinito delle società che gestiscono gli ipermercati mediante funzionari talmente indottrinati dai loro padroni che non riescono ad aprirsi alle esigenze di una società da cui traggono immensi profitti e che alla lunga tornerebbe loro conto aiutare recependo la simpatia della popolazione.

Mi fermo all’ultimo incontro tra una funzionaria dell’assessore Bortolussi e una decina di responsabili degli enti assistenziali di Mestre, tutti di ispirazione religiosa, che con immensa difficoltà assistono tre-quattromila concittadini italiani e stranieri in forte disagio economico.

La testimonianza vivace, accorata e ricca di esperienza di questo drappello di volontari, si incontrò con un progetto fumoso, incartapecorito e pressappochista da parte comunale.

A detta dello stesso assessore, il Comune possiede “armi” per forzare l’indifferenza e l’indisponibilità di queste aziende solamente impegnate a guadagnare il più possibile e per nulla sensibili ai bisogni della povera gente.

Da parte mia credo che a questo punto non ci sia altro da fare che proporre il boicottaggio, la denuncia all’opinione pubblica sia del Comune che di queste aziende.

Facciano pure tutti gli affari loro, ma almeno sappiano del disprezzo da parte della città.

Guai cimiteriali

Qualche tempo fa ho incontrato, casualmente in cimitero, l’ingegnere Marchini, responsabile tecnico della Vesta per quanto riguarda gli undici cimiteri del Comune di Venezia.

La denuncia del degrado fatta da uno dei membri del Centro studi storici per Mestre e la maretta nata in occasione delle ormai note vicende circa la nuova chiesa, con l’aggiunta del tormentone infinito del piazzale antistante al camposanto, probabilmente l’ha costretto a scendere in campo per dare un’occhiata a come stanno le cose.

Ha convenuto, onestamente, che il tutto non è proprio in ordine.

Basta un venticello un po’ più gagliardo del solito, perché i fiori di plastica si spargano in ogni dove, l’erba dei prati verdi, che da un pezzo sono marrone, perché l’impianto di irrigazione, non so se ci sia, ma comunque non funziona, le esumazioni a scacchi portano polvere e fango per le strade interne, l’asfaltatura è ormai un ricordo, le begoniette di arredamento sono state da poco piantate, ma mai nessuno le ha innaffiate e perciò sono morte o rubate perché non ci sono più custodi, il porticato storico che affianca i lati della chiesa pur essendo stato restaurato da pochi anni, è chiuso da un nastro di plastica con l’avvertimento di non avvicinarsi perché pericoloso, le sedie per le celebrazioni domenicali sono sparse un po’ ovunque. Gli operai, una ventina, che mi sembrano bravi ragazzi, dicono che non ce la fanno perché devono badare a più cimiteri (Dese, Marghera, Chirignago, Zelarino ecc.).

Certo se si confronta il nostro cimitero con quelli dell’Alto Adige, accoccolati attorno alla chiesa, il divario è abissale, ma anche se il confronto avviene con Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Mogliano e quelli dei paesetti vicini, le cose stanno ben diversamente.

Io non sono in grado di dar suggerimenti, ma mi pare che anche in questo settore che, dovrebbe essere indici della civiltà della nostra gente, siamo gli ultimi della classe.

Talvolta penso che sia la gloria del passato che pesa troppo sulle spalle della nostra città!

Sulla Chiesa del cimitero e le giuste scelte di vita

Nota: don Armando ha scritto queste riflessioni prima che l’amministrazione comunale e la Curia raggiungessero l’accordo per realizzare nel cimitero di Mestre una chiesa prefabbricata compresa di banchi, altare, impianti tecnologici e climatizzazione. Il nuovo edificio in legno lamellare e ampio 20x15m (300mq) sarà inaugurato in occasione delle celebrazioni di “Tutti i Santi” e dei Defunti di quest’anno. Altre informazioni sul Gazzettino di Venezia:

http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=703902&Data=20090728&CodSigla=VE

Da quando ho scritto alla Vesta, al Comune, al Patriarca e all’architetto Caprioglio che getto la spugna per quanto riguarda la nuova chiesa del cimitero, mi sento sollevato come se mi fossi tolto un grosso macigno dallo stomaco.

L’idea che un gruppo di cristiani, desiderosi di seppellire in un luogo sacro i resti dei loro cari e di poterli ricordare in un luogo in cui si prega e s’avverte più intensa la presenza del Signore, mi faceva felice, e il fatto che avessero così finanziato la costruzione della chiesa e contemporaneamente una sala in cui i fratelli non credenti avessero potuto accomiatarsi dai loro cari in un luogo dignitoso, mi esaltava letteralmente.

Al Comune e alla Vesta non si chiedeva un centesimo, ma solamente che avessero favorito mediante la loro organizzazione questa operazione; nessuno avrebbe potuto dir nulla: né i politici di ogni sponda, né cristiani o preti di ogni convincimento perché un gruppo di credenti, spontaneamente e liberamente, si sarebbe fatto carico di tutto!

Era troppo bello. Il diavolo quindi ci ha messo la coda: presentando un conto di 5 milioni di euro.

Tutto questo m’era assolutamente insopportabile e contrario alle mie scelte di vita. Ho celebrato per quarant’anni ogni giorno nella piccola cappella, buia, poco arieggiata, fredda d’inverno e calda d’estate, la gente è sempre venuta, riempiendola e partecipando all’esterno.

Spero che il Signore mi aiuti a farlo ancora per quel poco di tempo che mi resta.

Ora dormo in pace perché continuo a vivere povero come sono sempre vissuto!

“Peritis in arte credendum”

Presso la gente che frequento non ho riscontrato una grande considerazione per il direttore della Ulss 12 di Mestre, il dottor Antonio Padovan.

Dicono che è di destra, e per qualcuno, che si attarda su vecchi schemi politici ormai sepolti da un pezzo, la “destra” rappresenta la reazione, il male, i padroni, la conservazione, mentre la “sinistra” pare che debba rappresentare “il sole dell’avvenire” i poveri, la difesa degli operai… in una parola il bene!

Io non conosco bene questo signore, anche se ho avuto modo di parlare più di una volta con lui. Di certo è di poche parole, molto sbrigativo. A mio parere è un timido, ed io ne so qualcosa di questa caratteristica!

Quando però questo signore mi mostra il biglietto da visita coll’immagine dell’ospedale di Mestre, mi levo tanto di cappello e tutte le critiche altrui scompaiono come per un colpo di spugna.

Qualche giorno fa, di primo mattino, quando faccio per conto mio la rassegna stampa a mio uso e consumo, sono stato colpito dal titoletto. “La lettera” e quindi dal titolo quanto mai stuzzicante, “I pazienti impazienti”.

Lessi tutto l’articolo anche se conteneva un rimando a pagina IX cosa che solitamente non gradisco fare.

Le argomentazioni del direttore della Ulss erano quanto mai logiche e stringenti, e valide le conclusioni in cui si denunciavano le conseguenze pesanti a livello economico e gestionale.

Viviamo ormai in un mondo di sapientoni in cui ognuno vuol dire la sua e quanto più e stupido tanto più vorrebbe pretendere dagli esperti del mestiere di adeguarsi alle sue attese, altrimenti si ricorre all’avvocato o fa causa.

Già venti secoli fa a Roma s’era giunti a questa conclusione “Peritis in arte credendum” bisogna prestar fiducia agli esperti del settore!

Di certo questo non è un principio assoluto, ma un po’ di maggior umiltà, pazienza, fiducia e moderazione, non farebbe male.

Una lettura frettolosa di una pagina di internet o della Treccani non possono sostituire anni ed anni di studio e di ricerca!

Le più belle chiese di Mestre

Forse il mio atteggiamento e il mio desiderio di appartenere ad una chiesa bella, viva, pulita, aperta al domani, generosa e coerente è talmente forte per cui rimango triste e desolato quando alla prova dei fatti m’accorgo che essa è ben poco di tutto questo.

Io ho fatto una delle mie prime esperienze ecclesiali nel duomo di San Lorenzo di Mestre, e quindi della storia di questo diacono, della prima comunità cristiana di Roma, ne ho sentito parlare tante volte in largo ed in lungo. La bella immagine di questo giovane uomo di Dio e della chiesa, che all’invito del Prefetto romano a presentargli i tesori della sua chiesa gli presenta un folto gruppo di miserabili, non ha inciso solamente nella mia fantasia, ma anche nella mia concezione di chiesa.

La mia chiesa non può essere che la chiesa dei poveri, la chiesa che lava i piedi, la chiesa in “grembiule” come amava definirla don Antonino Bello, l’indimenticabile Vescovo di Barletta.

Questa immagine è rimasta così incisa nella coscienza, che quando ai Magazzini San Martino o al nostro Banco alimentare vedo una folla di poveri di tutte le razze, vestiti con le fogge più diverse, sento un’ebbrezza particolare, mi pare di assistere ad un pontificale, in una cattedrale tra le più belle del mondo e i volontari e le volontarie mi paiono i più venerati ministri della chiesa di Dio!

Dicono che il Vescovo è il presidente della carità, se le cose stanno così, il nostro Patriarca, un giorno sì e l’altro pure, dovrebbe venire nell’interrato del don Vecchi, dai Cappuccini, a Ca’ Letizia o ad Altobello.

Queste realtà sono per me le più belle e vere chiese di Mestre!

Paesaggi in fiore

Fortunatamente i miei percorsi sono sempre quelli e avvengono sempre alle stesse ore.

Non per questo il paesaggio non cambia d’aspetto e non appare con luci e prospettive diverse. Altro è percorrere la strada che va dal don Vecchi al cimitero di prima mattina, altro è fare lo stesso percorso col solleone, che repentinamente ha cacciato tutti i piovaschi dell’inizio di questa primavera.

Io preferisco di gran lunga il panorama che incontro con le prime luci, quando la città è ancora addormentata e la natura s’è appena svegliata dal riposo della notte.

Esco dal don Vecchi verso le 7,20, imbocco la piccola strada della “Società dei 300 campi”, attraverso via Vallon e percorro tutta la graziosa via Sem Benelli, che mi ricorda infallibilmente l’autore del corposo romanzo “Il mulino sul Po”. Sbocco su via Trezzo, incontrando i platani secolari di Villa Franchin, mi immetto in via Santa Maria dei Battuti, che mi ricorda la congregazione dei flagellanti, per arrivare alle 7,30 alla mia amata chiesetta tra i cipressi del camposanto.

La mia Fiat Uno conosce la strada così bene che se anche mollassi il volante e togliessi il piede dall’ acceleratore, sono certo che, come la “Cavallina storna” mi porterebbe da sola alla solita meta.

Stamattina non ho fatto altro che guardare i fiori, di tutte le forme e di tutti i colori, che fioriscono sugli alberi che costeggiano queste vie.

Mi hanno detto che sulle rive del lago di Como, c’è una villa con un tripudio di azalee, ma io posso pur affermare che tutto il tragitto, che mi porta ogni mattina al mio luogo di lavoro, è fiancheggiato da alberi di tutte le specie con fiori di tutti i colori.

Anche l’albero più umile e modesto quale il salice, è in fiore. Una tavolozza infinita, sempre varia, perché basta un soffio di brezza o una nuvola in cielo perchè la scena cambi.

Questa mattina ho fatto la meditazione, concludendo che se ogni uomo, giovane o vecchio, maschio o femmina, fiorisse come ogni pianta, vestendosi al meglio, il mondo sarebbe semplicemente stupendo, per i miliardi di fiori diversi che ogni uomo può sfoggiare.

Chissà che un giorno scoppi primavera anche tra i figli di Dio!

Vivere di politica

E’ un fatto scontato che l’evoluzione oggi è estremamente più rapida che nel passato. Certi processi sociali che nel passato avvenivano in un secolo, oggi avvengono in meno di dieci anni.

La campagna elettorale intorno alla metà del `900 era da noi un fatto epico. Ricordo benissimo quella del ’48. La mia famiglia, con un figlio in seminario, era impegnata fin sopra i capelli: la guerra dei manifesti, a cui pure io ho partecipato, era una specie di crociata. I comitati civici avevano la canonica come fortino o trincea, e la casa del popolo ove operava il fronte democratico.

Ricordo mio padre che non finiva mai di raccontare una sua “impresa gloriosa”, quando ha trafficato una notte intera, assieme ad un suo amico fabbro, per imbastire un marchingegno con la figura di Garibaldi, simbolo delle sinistre, e dopo qualche istante la figura si rovesciava per mostrare il baffuto e sanguinario dittatore della Russia sovietica Giuseppe Stalin. La mamma che diceva alle amiche che se avessero vinto “loro” avrebbero portato via i bambini in Russia per educarli senza Dio.

Erano cose d’altri tempi che Giovannino Guareschi ha immortalato nei suoi racconti.

Ora tutto è molto più prosaico: non ci sono più utopie, non c’è più dottrina, non c’è aria di rivoluzione, non si sa più per che cosa si dovrebbe votare, uno piuttosto che un altro.

Un mio amico mi ha fatto una confidenza che mi ha veramente agghiacciato: “Don Armando, gli uomini della politica oggi, vivono di essa e vivono bene, se non fossero rieletti non hanno più nè arte nè parte sanno fare solo i politici ossia non sanno fare niente!”

Sono passati i tempi del vecchio Cincinnato che abbiamo conosciuto sui banchi della scuola, “Se non mi volete al governo della Repubblica, tornerò tranquillamente a fare il contadino! Se mai ne avreste bisogno venite a cercarmi nei campi”.

In questi giorni mi sono trovato spesso a pregare per gli aspiranti della politica, mi fanno pena, tenerezza e rabbia. Molti di loro sono piuttosto tranquilli perché nei momenti delle “vacche grasse” si sono comportati come l’amministratore infedele del Vangelo, facendo assumere un mucchio di amici al Comune.

Pare che a Venezia vi siano 4600 dipendenti che si contendono le carte da girare!

Altri però temono e a ragione la minacciata scure di Berlusconi e ne hanno ben ragione.

Stiano pur tranquilli c’è sempre posto per i furbi!

La lettera anonima

Nella periferia mestrina si usa ancora purtroppo mandare lettere anonime; è un costume ormai molto marginale e non frequente, però esiste ancora.

Io, nella mia vita, ne ho ricevute più di una di queste lettere. Il fatto che ho sempre tirato dritto per la mia strada, che non mi sono mai adeguato alle mode di pensiero e di comportamento praticato dalla maggioranza, che spesso ho risposto per le rime a critiche che ritenevo non giuste e soprattutto immotivate, e non da ultimo che mi sono sempre preso la libertà di dire con la parola e con la penna ciò che pensavo, ha fatto si che qualcuno non abbia resistito alla tentazione di insultarmi con volgarità e con cattiveria sempre mantenendo l’anonimato.

Quando sono uscito di scena dalla vita pubblica, pensavo che la cosa fosse ormai finita. Invece no! Almeno tre quattro volte c’è stato qualcuno, sempre della stessa cerchia e dello stesso ceppo di pensiero e di comportamento che non è riuscito a non farlo.

Era però almeno un paio di anni che non avveniva più, motivo per cui quando è successo ne ho avuto un contraccolpo piuttosto amaro, perchè se ho sempre contato poco, ora sono proprio il signor nessuno.

La lettera anonima, firmata (si fa per dire) da un ex parrocchiano, è di una volgarità e di una meschinità quasi insuperabili.

Questa volta, forse spinto dal prurito irresistibile di ferirmi, il collega ha avuto la dabbenaggine di scrivere a mano, per cui mi è stato perfino troppo facile individuare il mittente. La sua è stata un’imprudenza veramente imperdonabile.

Stia però pur tranquillo, non procederò certamente a denunce di sorta! I giudici hanno ben altro da fare!

Mi sono ricordato di Saul che fugge mentre qualcuno da lontano, approfittando della sua debolezza l’insulta. Quando una guardia del corpo propone e Saul di trafiggerlo con la spada per i suoi insulti, Saul glielo impedisce, affermando se lo fa è il Signore che glielo permette.

Io non sono Saul, non ho potere alcuno e mi riconosco un povero peccatore e perciò credo che mi possa far bene anche qualche insulto. Ero tentato di pubblicare la lettera anonima, ma poi ho pensato che metterebbe troppo in cattiva luce il collega, che di stima ne ha proprio bisogno!