Forse il mio atteggiamento e il mio desiderio di appartenere ad una chiesa bella, viva, pulita, aperta al domani, generosa e coerente è talmente forte per cui rimango triste e desolato quando alla prova dei fatti m’accorgo che essa è ben poco di tutto questo.
Io ho fatto una delle mie prime esperienze ecclesiali nel duomo di San Lorenzo di Mestre, e quindi della storia di questo diacono, della prima comunità cristiana di Roma, ne ho sentito parlare tante volte in largo ed in lungo. La bella immagine di questo giovane uomo di Dio e della chiesa, che all’invito del Prefetto romano a presentargli i tesori della sua chiesa gli presenta un folto gruppo di miserabili, non ha inciso solamente nella mia fantasia, ma anche nella mia concezione di chiesa.
La mia chiesa non può essere che la chiesa dei poveri, la chiesa che lava i piedi, la chiesa in “grembiule” come amava definirla don Antonino Bello, l’indimenticabile Vescovo di Barletta.
Questa immagine è rimasta così incisa nella coscienza, che quando ai Magazzini San Martino o al nostro Banco alimentare vedo una folla di poveri di tutte le razze, vestiti con le fogge più diverse, sento un’ebbrezza particolare, mi pare di assistere ad un pontificale, in una cattedrale tra le più belle del mondo e i volontari e le volontarie mi paiono i più venerati ministri della chiesa di Dio!
Dicono che il Vescovo è il presidente della carità, se le cose stanno così, il nostro Patriarca, un giorno sì e l’altro pure, dovrebbe venire nell’interrato del don Vecchi, dai Cappuccini, a Ca’ Letizia o ad Altobello.
Queste realtà sono per me le più belle e vere chiese di Mestre!