Coraggio e fantasia per trovare Cristo nel domani

Spero, o forse mi illudo, che sia il grande amore che nutro per la mia chiesa e per le parrocchie che le danno volto, che mi rende così critico ed esigente nei loro riguardi.

Quando registro che comunità parrocchiali di cinque o seimila abitanti si accontentano di un paio di messe domenicali, quando constato che le chiese rimangono chiuse per la gran parte della giornata, quando vengo a sapere che un parroco non visita le sue famiglie nemmeno una volta all’anno, anzi che i cristiani vivono e muoiono senza che certi preti neppure se ne accorgono, quando mi dicono che in certe parrocchie dopo la cresima, magari impartita a undici o dodici anni, non esiste null’altro per adolescenti e giovani, quando i giornali scrivono che gli avvenimenti, gli incontri, la vita si svolge non più attorno al campanile, ma all’ombra del centro civico o del municipio, quando avverto cristiani e preti rassegnati alla sconfitta e all’abbandono e soprattutto quando non noto nuove iniziative, tentativi, sperimentazioni pastorali coraggiose ed innovative, il mio animo diventa triste fino alla morte.

La nostra chiesa e le nostre parrocchie sembrano ripiegate sul “glorioso passato” timorose ad impaurite del domani mentre il Cristo della resurrezione, quello vero, ossia l’unico Salvatore, lo possiamo incontrare solamente avanti, nel futuro ove la vita sboccia e si fa storia.

Allora prego e spero che arrivino finalmente profeti, testimoni, cristiani folli e preti coraggiosi che cerchino il Signore oltre la trincea. Oggi la nostra chiesa ha bisogno di novità, di fantasia, di coraggio, di eroismo, di ricerca e di sperimentazione, ma per questo ci vogliono preti e cristiani disposti a pagare l’alto prezzo di questo modo di vivere e trasmettere la fede, convinti che solo così si incontra il Signore della vita!

Vivere davvero la Passione e la Resurrezione

La settimana santa è arrivata anche quest’anno puntuale e legata al plenilunio, per prepararci alla Pasqua.

La liturgia ci presenta i brani del Vangelo che inquadrano la passione, morte e resurrezione di Cristo.

Nei discorsi di noi uomini di chiesa si dà per scontato che nella celebrazione dell’Eucarestia non solo c’è la commemorazione, ma anche il memoriale di questi misteri che danno significato e pregnanza della vita.

Noi preti poi parliamo con disinvoltura della domenica come la Pasqua della settimana. Sono discorsi scontati che possiamo equiparare ai nostri “buongiorno e buonasera” che quasi sempre non evocano niente mentre li pronunciamo cento volte al giorno.

La ricorrenza liturgica arricchisce il messaggio e provoca una certa emotività ed una maggiore partecipazione al “mistero cristiano”.

Osservavo anche quest’anno come sia l’assemblea di anziani al don Vecchi che quella della chiesa del camposanto, ha ascoltato in un silenzio ricco di emotività e di partecipazione il racconto della passione di Cristo. Tutto sommato la lettura ha evocato fatti lontani, seppur importanti e significativi, però tutta la mia preoccupazione era quella di rendere attuale la passione, la morte e la resurrezione del Cristo vivente nell’umanità degli uomini d’oggi.

Se il dramma divino non diventa il nostro dramma, se non ci sentiamo parte integrante di esso, se non riusciamo a scoprire all’interno del mondo in cui viviamo il Cristo che oggi è nell’orto, che è deriso, che è flagellato, il cui trionfo è effimero e formale, se non lo scopriamo in croce, se non lo incontriamo risorto, arrischiamo di commemorare, di partecipare ad una recita teatrale, ma non a vivere oggi positivamente la nostra redenzione!

Un dolce castigo

Ho già confessato che nel mio subconscio mi ero quasi risentito col Signore perché ci aveva fatto mancare la nostra meravigliosa primavera, riducendoci alla stregua dei paesi nordici il cui cielo è sempre cupo e piovigginoso, l’atmosfera fredda e il sole quasi sempre latitante e quando appare in cielo è malinconico ed imbronciato. Mi sembrava che il buon Dio ci avesse privato di un qualcosa che ci era dovuto.

In fondo sentivo, anche se non volevo ammetterlo, che noi abitanti di questa terra benedetta non abbiamo alcun titolo per pretendere un cielo azzurro, un sole tiepido e luminoso, prati verdi e fioriti, e per di più non volevo confessare che tutte le cattiverie della nostra gente dovrebbero riservarci un tempo molto più brutto, più amaro di quello che abbiamo avuto in questa stagione deludente e grigia.

Senonchè in questi ultimi giorni è scoppiata improvvisamente primavera. Il buon Dio pare che mi rimproveri, non con delle solenni legnate e con giorni tristi e nebbiosi, ma con la ritrovata bellezza delle stagioni e dei tempi migliori.

Il grande prato a ponente del don Vecchi è tutto d’oro, una distesa continua e sorridente di fiori gialli trapunti da una miriade di margherite, i rami dei salici si sono ricoperti di un verde fresco e leggiadro e nel prato a levante chiazze di azzurro, fiammate di forsizie ed una tempesta di arbusti che sembrano rivestiti di una trine bianca. C’è un’ebbrezza una dolcezza tutto attorno che accarezza gli occhi e il cuore.

Il dolce “castigo di Dio” per il mio egoismo e la mia diffidenza mi fa arrossire e nel contempo benedire il Signore.

Le chiese potrebbero riempirsi di ragnatele…

Al don Vecchi opera un gruppetto di signore, che io definisco, adoperando una terminologia impropria e certamente roboante: “circolo ricreativo culturale” ma che comunque organizza assai di frequente concerti, commedie e gite turistiche.

Qualche domenica fa il gruppo “il circolo ricreativo culturale”, mi si passi una volta ancora questa definizione pomposa, ha invitato il coro “Voci d’argento” del quartiere di Favaro Veneto. Il coro era formato da una trentina di coristi tra uomini e donne, tutti con una divisa appropriata ed elegante, forniti di una strumentazione tecnica adeguata e diretta da una giovane ed avvenente “maestro”

In verità il coro che ha eseguito un repertorio di canti popolari e di canzoni veneziane, aveva un timbro ed uno stile lirico piuttosto che un andamento da canti folk. Comunque i toni robusti e vigorosi, impressionarono favorevolmente il nostro pubblico di anziani che non ama le lagne o i preziosismi canori.

Ascoltai tutto il concerto sia per dovere che per piacere, ma soprattutto mi interessò il discorso del presidente del coro e del gruppo anziani di Favaro: 700 iscritti, un gruppo numeroso di volontari che si rendono utili per ogni incombenza sociale.

Accanto a me si sedette un vecchio camionista in pensione, presidente invece, del gruppo bocce del nostro quartiere: 180 soci ed un gruppo consistente di volontari disponibili per ogni incombenza sociale.

D’istinto confrontai il gruppo anziani della mia ex parrocchia 400-450 anziani ed attività di ogni genere, ed ora ridotto al lumicino, il gruppo della sagra mediante cui finalmente si riconcilia la piazza con la parrocchia.

Pare che i preti di oggi non abbiano capito che la comunità si costruisce con gli uomini veri, non con i manichini vestiti da chierichetti. Ho l’impressione che molto velocemente non sarà più il campanile il baricentro della comunità ma la casa comunale. Se andiamo avanti di questo passo le nostre chiese saranno abitate dalle ragnatele!

Usare con i fratelli una lingua comprensibile

Oggi ho celebrato il commiato di un concittadino che ho incontrato per la prima volta senza poterlo vedere perché la bara era già chiusa, ma che ho conosciuto comunque attraverso le parole scarne ed oneste di sua moglie.

Già me ne aveva parlato quando era ricoverato in ospedale; lei forse sperava che una mia visita l’avrebbe riconciliato con Dio e con i preti, non sapendo, questa cara donna, che per queste cose ci vuole una frequentazione tale da acquisire stima personale, cosa che solamente il cappellano dell’ospedale, se ci fosse, potrebbe fare!

La moglie, credente e praticante, desiderava che il marito se ne andasse da questo mondo accompagnato dalla preghiera della comunità, ed io pure più di lei, desideravo che la chiesa si accomiatasse da lui con un atto di riconciliazione e di amore.

Nel salutarlo ho parlato con il cuore e il più onestamente possibile.

Cominciai col dire come Sant’Agostino che “ci sono uomini che Dio possiede anche se la chiesa non possiede, e purtroppo ci sono uomini che la chiesa possiede ma che Dio non possiede” e sono quest’ultimi che combinano i più grossi guai a livello religioso e provocano rotture insanabili per il loro fariseismo e per la loro religiosità bigotta e formale, nei riguardi degli uomini più veri e più onesti.

Continuai col dire che se i preti avessero fatto conoscere a questo fratello il Padre del prodigo e non un Dio carabiniere e di corte vedute, certamente egli non l’avrebbe rifiutato.

Terminai ringraziandolo per la sua critica a noi preti, forse solamente la critica, talora aspra ed amara, di questa gente può aiutarci a non diventare funzionari gretti, interessati e poco umani dell’azienda chiesa e dal predicare una religione stantia, per nulla interessante e disincarnata.

Sono certo che ci siamo lasciati in pace, io porterò un buon ricordo di lui e spero che anche lui ricorderà con affetto questo vecchio prete che gli ha parlato con una lingua comprensibile e condivisibile.

Una guerra giusta per aiutare i poveri!

Non ho proprio alcun desiderio di passare alla “storia” e neanche all’opinione pubblica corrente, come il rompiscatole di turno, che coltiva qualche mania o vuol farsi notare sollecitando i mass-media ad occuparsi di qualche problema presente nella nostra città.

Però, quando mi accorgo del disinteresse di chi si è offerto spontaneamente ai concittadini per gestire al meglio l’amministrazione della città e soprattutto non posso contare su altri mezzi civici per promuovere certe iniziative tese ad aiutare i cittadini più indifesi, allora non disdegno, anzi ricorro decisamente ai mass-media per creare opinione pubblica e pungolare gli amministratori della città ad affrontare e risolvere i problemi.

Una decina di anni fa “scoprii” il “Banco alimentare” e mi diedi da fare finché nacque “La bottega solidale” che opera tutt’oggi nella parrocchia di Carpenedo. In seguito, forse quattro anni fa, feci altre due “scoperte”: la legge chiamata “Samaritano” che autorizza ristoranti, mense e aziende del genere a mettere a disposizione dei poveri quei generi che avanzano. Però nonostante molti tentativi sono riuscito ad acquisire molto poco; è più facile buttare in pattumiera che mettere a disposizione del prossimo il cibo avanzato! La seconda “scoperta” è stata la notizia che il Comune di Bologna aveva concluso con gli ipermercati della città la cessione dei generi alimentari in scadenza abbattendo in cambio la tassa per lo smaltimento dei rifiuti. Ne parlai all’assessore Delia Murer, la quale mi promise solennemente un immediato interessamento. Sono passati inutilmente due o tre anni. Qualche giorno fa ho “scoperto” che anche Verona e Vicenza hanno concluso un accordo del genere. Ne parlai in assessorato con un funzionario, pareva che anche Venezia stesse concludendo un accordo simile. Nel frattempo ci siamo attrezzati per la distribuzione, però il Comune “lumaca” sonnecchia ancora.

Ora basta!
E’ intervenuta “La nuova Venezia” con un articolo, “Antenna Veneta” con un servizio, ma se il Comune non si muove “sparerò” a zero con tutto l’arsenale di cui dispongo, riservando “l’atomica” per le prossime elezioni amministrative.

Questa è certamente una guerra giusta!

Vedere Gesù, non riti e cerimonie

Sono appena tornato dalla messa che ho celebrato in cimitero. Credo che sia stata in assoluto la messa con meno fedeli di quante ho celebrate negli ultimi quarant’anni.

I motivi che hanno determinato questa scarsità di partecipanti, sono molti. Stanotte è avvenuto il cambio dell’ora solare con quella legale e perciò la celebrazione si è anticipata di un’ora, oggi nel nostro territorio non possono circolare le automobili e il cimitero non è servito da mezzi pubblici, il cielo poi è cupo, color fumo di Londra ed una pioggerella uggiosa non cessa di cadere, la scarsa illuminazione della cappella ha fatto il resto.

Anche se il tema del Vangelo era uno di quelli che mi coinvolgono profondamente, la situazione mi ha messo in panne! Perciò il sermone è risultato impaniato e poco convincente, tanto che desidero rifare la mia predica a questa carta bianca del diario.

L’evangelista Giovanni scrive che dei greci che erano saliti al tempio per la Pasqua chiedono a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù!” E’ la richiesta esistenziale degli uomini d’oggi!

E’ la ricerca di quel Cristo che tanti o tutti sperano sappia dare risposte agli interrogativi della vita, richiesta che è struggente ed universale anche se non sempre manifesta.
Allora Filippo con Andrea li accompagnano da Gesù, il quale fa una volta ancora la sua proposta.

Ma oggi da chi io li posso portare?

Per carità, no ad una delle tante messe smorte e passive, no certo a vedere la carità in una delle nostre parrocchie, perché non esiste o è del 1800!

No ove i cristiani fanno politica, perchè appartengono tutti alla casta! No ove si vuole pace, giustizia perché i discepoli di Cristo sono benpensanti e là ci sono i no-globals, no al pontificale, perché esso è più vicino al teatro che alla vita! No …! Ma allora da chi li porto? Neanche dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, perché là c’è una fila infinita!

Stando così le cose, se non vogliamo cambiare, bisogna proprio che ci rassegniamo alla diserzione dei fedeli; essi vogliono vedere Gesù; non riti e cerimonie delle quali non sanno cosa farsene perché al cinema o alla televisione la fanno tanto di meglio!

A proposito di Berlusconi

Berlusconi ha ottenuto il suo trionfo in occasione della fondazione del “Popolo della Libertà”!

Anche i suoi avversari più accaniti, pur a denti stretti, sono stati costretti a riconoscergli la sua bravura.

Abbiano visto, alla televisione, un popolo esultante, felice, concorde, tutto proiettato in avanti ed orgoglioso del proprio leader carismatico.

Non sono proprio certo che all’interno ci sia la coesione tanto conclamata, anzi temo che aspirazioni, ambizioni siano ben presenti, ma che siano astutamente occultate per manifestarsi a tempo debito!

Berlusconi è certamente tanto bravo a tener la briglia ed incoraggiare, dirigere e frustare tanti cavalli irrequieti e bizzosi. Quello che però mi ha sorpreso è che questo capo, di indubbie capacità, non sia ancora pago dell’autorità che si è conquistata sul campo e che, a parer suo, non è ancora sufficiente per poter ben governare.

Il popolo e la gente pare che, tutto sommato, sia contenta di quest’uomo che mostra coraggio, determinazione e che si impone con autorità, perché è certamente stufo delle divisioni, degli estremismi, delle risse e delle utopie sconclusionate di certi personaggi e certi movimenti che pare non abbiano mai i piedi per terra.

Molti sono convinti che sia Berlusconi ad imporre questa via e questo stile un po’ autoritario e decisionista.

Io sono invece d’accordo con un mio vecchio maestro che affermava che, non è un uomo che impone una certa linea, ma invece il popolo, la gente e l’opinione pubblica che promuovano un uomo con una determinata linea.

Oggi la nostra gente vuole concretezza, ottimismo, principi sani, buon governo, uomini che sappiano governare ed imporsi perché ha ormai la nausea di mentalità, comportamenti da centri sociali, da no-globals, da nostalgie di un mondo sconfitto dalla storia.

A me spiace che Veltroni sia fallito nel suo intento, anzi l’abbiano fatto fallire i suoi “amici”.

Due uomini del genere, diversi ma pur simili, ci avrebbero dato la possibilità di un’alternanza che avrebbe favorito or l’una or l’altra tendenza che essi rappresentavano per ottenere il meglio per il Paese!

Una strada buona per aiutare i più deboli

La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.

La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.

In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!

Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.

Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.

A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.

Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!

Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.

Una scelta sempre difficoltosa

In tempi abbastanza lontani uno dei tanti poveri che bussavano alla porta della mia canonica aveva finito per confidarmi una certa prassi che io ignoravo in via assoluta.

Qualche questuante più scaltro ed intelligente degli altri era riuscito a fare una doppia raccolta: da una parte intascava le elemosine e dall’altra compilava una lista di preti e di cristiani che erano più propensi a fare la carità.

Nella nota c’era quindi nome del prete, il suo domicilio e la cifra che normalmente era solito donare. Il furbastro poi vendeva ad un compagno di ventura il “portafoglio” della clientela che pian piano aveva raccolto.

Immagino che questa prassi sia ancora in vigore, osservando come pian piano si stia formando un gruppo di questuanti che vengono a scovarmi in cimitero, luogo che normalmente non fa parte del bacino dei benefattori.

Io sono convinto che bisogna aiutare il prossimo, anche se questo dovrebbe essere scontato per un cristiano e soprattutto per un prete, anche se purtroppo così non avviene!

Ormai a giorni fissi della settimana giunge quello da 5 euro, quello dei 10 o quello che usa una prassi diversa: venendo ogni due o tre mesi chiede una somma diversa!

Ora mi trovo in una posizione che se non è drammatica, mi provoca qualche scrupolo di coscienza ed ecco il perché!

Sto risparmiando per il don Vecchi di Campalto e tento quindi di dedicare ogni centesimo a questo progetto per il quale mancano all’appello ancora tanti soldi. Quello che do in elemosina perciò lo sottraggo “all’elemosina strutturale”.

Il solito Monsignor Vecchi mi diceva, spero con sapienza e grazia: “Vedi don Armando, se tu dai 10 euro ad un povero fai bene, ma se tu la stessa somma la destini ad una struttura di carità finisci a far del bene a tante più persone e per di più lo fai per almeno cent’anni!”

Mi pare che non avesse tutti i torti, ma mi riesce però veramente difficile mandar via a mani vuote chi ti dice di aver bisogno ora e un bisogno diverso da quello della casa.

Sul fermarsi al momento giusto

Più tempo passa e più mi accorgo che il pensiero di Monsignor Vecchi ha inciso più di quanto pensavo nella mia mentalità e nelle mie scelte.

Io sono nato quando, in Europa e non solo, andavano di moda i dittatori “assoluti” o “relativi”.

In Italia c’era il duce, in Germania Hitler, in Spagna Franco, in Portogallo Salazar, in Francia De Gaulle, in Russia Stalin, questi per citare i principali, ma poi c’erano tutti i corollari in paesi più piccoli.

La maggior parte di loro era andato al potere, non con un colpo di stato, ma con l’appoggio della gente che sentiva il bisogno di un po’ d’ordine in mezzo al caos che normalmente le sinistre allora, ma anche oggi, sono specialiste nel creare.

Di fronte alle mie perplessità, Monsignor Vecchi era solito dirmi che: -“Gli uomini della Provvidenza”, in sé non sono stati malvagi, ma il loro guaio era che non sapevano fermarsi al momento giusto e perciò finivano, non solo per rovinare quel po` di bene iniziale che avevano fatto, ma portavano fatalmente alla rovina quella società che si erano riproposti di salvare.-

Credo che Monsignor Vecchi avesse ragione!

Ora fortunatamente è finita la stagione dei dittatori a livello nazionale, però non pare ancor terminata quella “domestica”.

Ci sono persone che partono in quarta con gruppi, iniziative, associazioni, essi realizzano, fanno cose belle, dimostrano di avere capacità e carattere, però vale anche per loro la vecchia legge, non sanno fermarsi a tempo debito, perché il sapore del potere li inebria e finiscono per scontentare tutti e distruggere non solo quello che di bello e positivo hanno fatto, ma mettono anche le premesse per far emergere ancora una volta anarchia, disordine e disfattismo.

L’idolatria al giorno d’oggi

I miei studi biblici sono stati assai approssimativi. L’insegnante non era granché preparato, per cui approfittava di ogni pretesto che noi studenti gli offrivamo senza tanti scrupoli per parlarci di cinema o di sessuologia, materia in cui sembrava molto più preparato.

E’ umano che in qualsiasi scuola ci siano docenti più o meno portati per l’insegnamento e più o meno preparati nella materia che sono costretti ad insegnare.

Le mie lacune generali e specifiche sono anche per questo motivo abbastanza consistenti.

Lo studio della Bibbia è poi particolarmente difficile perché si tratta di recepire un messaggio che passa attraverso una cultura lontanissima dalla nostra mentalità.

Nonostante queste deficienze spesso sono quasi costretto alla riflessione perché i testi proposti dalla liturgia esigono un’interpretazione non solo religiosa ma anche convincente.

Qualche giorno fa sono incappato nella questione del vitello d’oro. Mentre Mosè in solitudine sul monte medita sulla legge civile e religiosa da dare alla sua gente, il popolo ebreo guarda un vitello d’oro e comincia ad adorarlo.

Sembra veramente un’assurdità, una scelta così banale che si è quasi costretti a tirare in ballo il fatto che si trattava di un popolo primitivo per arrivare a venerare una statua costruita con le loro mani.

A pensarci la cosa non è proprio così assurda se anche la gente d’oggi, nonostante i millenni di storia, si comporta allo stesso modo.

La moda, la macchina, l’igiene, la linea, i gioielli, le vacanze, il look, i divi, i calciatori, valgono ancora meno del vitello d’oro, eppure gli uomini d’oggi per essi si sacrificano molto di più, si compromettono e spendono la vita per idoli insignificanti, banali, fatui e deludenti!

Pare che decine e forse centinaia di secoli non ci hanno ancora liberato dall’idolatria, mentre i sacerdoti se ne stanno sul monte a studiare le soluzioni da proporre al Popolo di Dio!

La Legge Naturale e la Costituzione

Quando lavoro “manualmente” su “L’incontro” mi concedo il lusso di ascoltare Radioradicale, non perché i radicali mi siano molto simpatici o perché condivida molte delle loro tesi, ma solamente perché è l’unica radio che trasmette l’attività della camera, i congressi dei partiti, convegni e dibattiti vari.

Qualche tempo fa ho ascoltato il dibattito al Parlamento sul testamento biologico. Tantissimi sono stati gli interventi, profondi, intelligenti, ed estremamente impegnativi.

Ho capito che nel nostro Parlamento non mancano le persone intelligenti, preparate, colte, invece non sono troppe le persone sagge, rette di coscienza, non preconcette e non faziose, disposte ad arrivare, seppur con fatica, al dialogo e a punti di convergenza. Comunque mi è parso che, i due schieramenti che attraversavano i confini di schieramento politico, si rifacessero a due punti di riferimento come sponde sicure; i cattolici e similari alla legge di natura, i laici e la sinistra in genere alla costituzione.

A sentire parlare i rappresentanti del popolo questi due punti di riferimento sembravano certi, sicuri, indiscutibili.

Io, da persona di modesta intelligenza e di poca cultura, ho avuto l’impressione che ambedue gli schieramenti barassero alla grossa.

Cos’è la legge naturale oggi?
I millenni della storia umana ne hanno gradualmente modificato il volto e l’anima, specie in questi ultimi secoli; quindi un valore estremamente discutibile!

Cos’è la costituzione?
Il frutto di un compromesso raggiunto faticosamente più di mezzo secolo fa; una realtà nata precaria, che gradualmente è diventata più fragile, inconsistente, quindi una specie di mito con i piedi d’argilla.

Non riesco onestamente ad abbracciare le tesi né dell’uno né dell’altro.

A mio parere lo Stato dovrà essere sempre più laico, sia dalle religioni che dalle dottrine del momento.

Lo Stato ormai deve garantire spazio a tutti ad ognuno dovrà proporre e soprattutto testimoniare le tesi in cui crede. Tutto il resto sono chiacchiere, demagogia e tentativo di soprafazione ideologica!

I miei nuovi amici

Sono cinquant’anni che vivo a Mestre e sono sempre vissuto entro comunità assai numerose quali, la parrocchia del Duomo di San Lorenzo e poi quella, pur popolosa di Carpenedo.

Inoltre avendo insegnato per molti anni nelle scuole superiori, essendomi occupato di associazioni a livello cittadino e soprattutto essendomi sempre impegnato nel settore della stampa, collaborando per molti anni con il quotidiano per eccellenza della nostra città “Il Gazzettino” e avendo diretto per vent’anni l’emittente Radio Carpini, ho conosciuto tantissima gente e più gente ancora conosce me.

A Mestre mi sento veramente in famiglia e non mi sorprendo affatto sentendomi salutare da tantissima gente in ogni luogo in cui capiti di andare.

Tutto questo mi fa molto piacere. Ora però, da quattro anni, vivo un po’ in “convento” al don Vecchi, un paesino di 230 anime anziane e celebro nella chiesa più piccola di Mestre, appena quaranta posti a sedere, mal riscaldata d’inverno, calda d’estate e soprattutto collocata tra tombe e cipressi.

I miei nuovi amici li incontro al momento della partenza da questo mondo quando mi capita di dar loro l’ultimo abbraccio e l’ultimo saluto, proprio quando stanno lasciando questo povero mondo per trasferirsi nella Terra promessa.

Ora i miei nuovi amici abitano tutti in cielo, però confesso che queste nuove amicizie mi sono quanto mai care, mi danno tanto conforto, tanto coraggio e tanto aiuto.

Le croci bianche piantate per terra e le stelle accese in cielo mi fanno sentire in compagnia dolce e rasserenante di queste belle creature celesti.

Non mi sento un minuto solo; so di poter contare in ogni occasione sull’aiuto di queste anime che amo tanto e per cui prego ogni giorno. Gli amici del Cielo sono ancora più cari di quelli, pur cari e vicini, di questa terra!

Don Roberto e la sua Comunità

Per il mio compleanno è venuto a trovarmi perfino mio fratello più piccolo, don Roberto.

Non ci vedevamo da mesi perché sia lui che io, ci lasciamo travolgere dagli impegni forse perchè non sappiamo dosare bene il nostro tempo e le nostre energie.

Don Roberto ha vent’anni meno di me, è più intelligente, parla e scrive molto meglio di me. Questo non solo non mi mortifica, ma invece mi riempie di orgoglio.

Don Roberto ha una bella parrocchia, che ama perfino troppo, ed ha un vivaio di ragazzi, che a parer mio, è il più numeroso e valido, non solo della nostra diocesi, ma penso che possa tranquillamente misurarsi con qualsiasi parrocchia del Veneto.

E’ venuto dopo la visita pastorale, attesa da anni, e presentata dalla stampa diocesana come un evento messianico, tanto che l’opinione pubblica locale ne è talmente satura, per cui se non finisce presto arrischia di diventare controproducente.

La visita vera e propria si è esaurita in poche ore nonostante, a parere di mio fratello, il Patriarca sia stato felice nei suoi interventi e penso non gli abbia fatto mancare i complimenti, perché la comunità di Chirignago è veramente bella.

Ho incontrato in don Roberto un prete un po’ stanco, un po’ sgonfiato e perfino un po’ deluso dei suoi giovani, che pur sono veramente il fiore all’occhiello della sua comunità.

Mio fratello forse non ha ancora capito che per certi preti la loro comunità è per loro, padre, madre, moglie, amante, tutto, mentre per i parrocchiani anche nel migliore dei casi, è soltanto un po’ di tutto questo, perchè hanno molte altre cose per la testa, soprattutto quando sono giovani!