In tempi abbastanza lontani uno dei tanti poveri che bussavano alla porta della mia canonica aveva finito per confidarmi una certa prassi che io ignoravo in via assoluta.
Qualche questuante più scaltro ed intelligente degli altri era riuscito a fare una doppia raccolta: da una parte intascava le elemosine e dall’altra compilava una lista di preti e di cristiani che erano più propensi a fare la carità.
Nella nota c’era quindi nome del prete, il suo domicilio e la cifra che normalmente era solito donare. Il furbastro poi vendeva ad un compagno di ventura il “portafoglio” della clientela che pian piano aveva raccolto.
Immagino che questa prassi sia ancora in vigore, osservando come pian piano si stia formando un gruppo di questuanti che vengono a scovarmi in cimitero, luogo che normalmente non fa parte del bacino dei benefattori.
Io sono convinto che bisogna aiutare il prossimo, anche se questo dovrebbe essere scontato per un cristiano e soprattutto per un prete, anche se purtroppo così non avviene!
Ormai a giorni fissi della settimana giunge quello da 5 euro, quello dei 10 o quello che usa una prassi diversa: venendo ogni due o tre mesi chiede una somma diversa!
Ora mi trovo in una posizione che se non è drammatica, mi provoca qualche scrupolo di coscienza ed ecco il perché!
Sto risparmiando per il don Vecchi di Campalto e tento quindi di dedicare ogni centesimo a questo progetto per il quale mancano all’appello ancora tanti soldi. Quello che do in elemosina perciò lo sottraggo “all’elemosina strutturale”.
Il solito Monsignor Vecchi mi diceva, spero con sapienza e grazia: “Vedi don Armando, se tu dai 10 euro ad un povero fai bene, ma se tu la stessa somma la destini ad una struttura di carità finisci a far del bene a tante più persone e per di più lo fai per almeno cent’anni!”
Mi pare che non avesse tutti i torti, ma mi riesce però veramente difficile mandar via a mani vuote chi ti dice di aver bisogno ora e un bisogno diverso da quello della casa.