I tre mucchi

In questi giorni mi viene spesso il pensiero su come un tempo riuscivo a mettere dentro alla mia giornata tantissime cose. Attualmente ho invece l’impressione di farci stare molto poco!

Quando da assistente degli scout preparavamo i nostri ragazzi a fare lo zaino per i campi estivi, insegnavamo loro un suggerimento di Baden Power, il fondatore degli scout.

Diceva questo grande educatore: “Dividete tutto il materiale che pensate che vi serva, per vivere al campo, in tre mucchi: nel primo mettete tutto quello che pensate renda gradevole la vostra vita in tenda, nel secondo mettete tutto quello che ritenete veramente utile; nel terzo metteteci solamente l’indispensabile per poter sopravvivere. Poi lasciate a casa i primi due mucchi e mettete nello zaino solamente quello che avete scelto per il terzo mucchio!”

Penso che dovrò rivedere le mie occupazioni quotidiane, alla luce di questa dottrina, se non voglio farmi sopraffare da un senso di frustrazione continua e dalla convinzione di non cambiare più niente.

Ho deciso di mettere nel terzo mucchio: la preghiera (messa, breviario, meditazione), il nutrimento (i sacchi vuoti non stanno in piedi), il sonno dalle 23 alle 5,30, il lavoro (redazione de “L’incontro”), visita quotidiana ai volontari, qualche visita a persone in difficoltà. Tutto il resto sono costretto a lasciarlo fuori dalla mia giornata: quale il passeggio, letture dei giornali, studio, il coltivare amicizie, televisione, musica ed altro ancora!

Nonostante però abbia preso questa drastica decisione, m’accorgo che faccio fatica a metterci nello zaino, per la vita giornaliera, anche queste poche cose essenziali.

Alla verifica mi sono accorto che ad ottant’anni ci metto più tempo in tutto; dal farmi la barba a rifarmi il letto o a lavare i piatti. Forse per questo da sempre ho sentito gli anziani che dicevano “Beati i giovani!”

Se dovessi dare un consiglio ai giovani, ma non mi arrischio, direi: “Correte finché avete le gambe buone, ad ottant’anni sarete fortunati se non sarete costretti ad usare il deambulatore!”

Piccoli gesti di grande valore

E’ arcinota e ancora essenziale la frase di Gesù: “non di solo pane vive l’uomo, ma anche della parola del Padre”

Teniamo ben presente questa massima evangelica, eviteremo tante delusioni e non inseguiremo miti ed obiettivi che alla fine risultano fatui ed inconsistenti.

Quando ero ragazzo e nel dopoguerra sentivo parlare di riforme, di giustizia sociale, immaginavo che finalmente l’uomo sarebbe stato felice in una società giusta e pacifica, in cui ognuno avrebbe avuto la casa, garantita l’assistenza medica ed un lavoro retribuito in maniera congrua.

Col passare del tempo non solamente ho capito che questa è un’utopia, ma ho capito altresì che l’uomo non ha bisogno solo del pane ma anche di tanti altri valori che si rifanno alla poesia, al sentimento, alla tenerezza ed a tanti altri aspetti che rendono gradevole la vita e ti fanno sentire dentro un mondo amico e caro.

Mi salgono alla mente queste considerazioni in rapporto a qualche esperienza che ho fatto durante la giornata che mi ha reso particolarmente felice. Sono fatti minuti che non hanno cambiato per nulla la mia vita eppure a motivo di essi ho passato una giornata particolarmente bella.

Il primo: una mia anziana coinquilina mi si è avvicinata e con fare sornione e sorridente, mi ha consegnato una busta dicendomi: “L’Inps mi ha aumentato la pensione; ho pensato di investirli sulla carità!” C’erano 20 euro, ma mi ha fatto contento come se ci fossero stati i due milioni che mi mancano per il don Vecchi di Campalto.

Secondo: stavo riempiendo de “L’incontro” l’espositore che sta all’Angelo; un signore si è avvicinato e mi ha offerto 50 euro per il periodico. I 50 euro non risolvono i problemi economici de “L’incontro” però che qualcuno lo apprezzi, tanto da darmi dei soldi incontrandomi per caso, mi ha molto gratificato.

Terzo: un direttore di un ipermercato mi ha telefonato per consegnarmi generi alimentari in scadenza. Ho perso mezza giornata per ritirarli, ma spero di aver aperto una breccia nella muraglia cinese e mi fa felice pensare che sulla tavola dei poveri ci saranno anche delle leccornie!

L’anima

Un mese o due fa avevo celebrato il funerale per suo padre.

Avevo quindi incontrato la figlia che mi aveva tratteggiato la figura del padre in modo che le parole, del commiato, fossero inquadrate da elementi veri e non si riducessero ad un paragrafo di un testo di teologia rivolte ad una persona da manuale.

Il discorso è stato scorrevole ed appropriato, fatto da una donna abituata a parlare ad alunni, il tono della voce caldo, cordiale quasi confidenziale determinato dal fatto che il marito, in tempi molto lontani, era stato uno dei moltissimi ragazzini che militavano tra gli scout. Di certo egli le ha parlato del prete della sua giovinezza, idealizzato dalla memoria di tante avventure felici passate assieme.

Quella signora mi aveva fatto un’ottima impressione, tanto che mi parve perfino bella, di quella armonia propria delle sessantenni, dalla vita pulita, ordinata e sana.

Ci eravamo rivisti per il trigesimo e l’impressione è rimasta inalterata e positiva. Poi l’incontro con il marito che desolato mi ha annunciato la morte pressoché improvvisa ed inaspettata. La rividi quindi per l’ultima benedizione prima che il legno coprisse per sempre il suo volto.

Non l’avrei riconosciuta se accanto non ci fosse stato il marito e fuori della porta l’epigrafe con il suo nome. Lei c’era tutta, ma quella che filosofi e teologi chiamano l’anima non c’era più. Sembrava un cencio inutile, una realtà inerte ed insignificante, quasi sgradevole agli occhi. L’anima, lo spirito è tutto per l’uomo. Gli dà senso, bellezza, vita. Una volta in più ho capito che dobbiamo dedicare all’anima mille attenzioni in più a quelle che insensatamente diamo al corpo.

Il valore da trasmettere alla nuove generazioni

In questi ultimi giorni mi sono incontrato con un coetaneo molto acciaccato, costretto ormai a vivere in casa in solitudine, nonostante che l’amore e la sollecitudine dei figli provvedano alle sue necessità e una cara donna dell’est riordini la casa e gli stia accanto con quella tenerezza ed amabilità che solamente le donne hanno la capacità di offrire.

Il colloquio è cominciato con i soliti convenevoli, ma ben presto si è avviato verso un discorso serio ed essenziale sul senso della vita e sulla lettura più disincantata e perfino amara delle problematiche della fede e soprattutto su quelle della religione.

Normalmente la gente s’aspetta che il prete faccia il difensore d’ufficio della proposta religiosa ufficiale ereditata dall’educazione ricevuta. Con me le cose non potevano andare così; gli ero troppo amico per prendere le difese anche di ciò che credo che sia indifendibile, ma soprattutto le sue problematiche erano anche le mie.

Chi ha poco tempo davanti, chi sente d’essere ormai al capolinea, non può più accontentarsi di discorsi scontati, di argomentazioni poco condivisibili o di risposte su problemi marginali.

Una volta constatato di aver giocato il passato con onestà, d’aver perseguito un’utopia condivisibile per tutti, di avvertire che un mondo senza una realtà suprema che l’ha creato sarebbe semplicemente assurdo, non ci rimanevano in mano se non queste certezze, quella che la solidarietà è un valore etico assoluto, e costituisce la risposta al dono di Dio più certa, quella di cogliere ogni rito come strumento per rafforzare e vivere queste certezze e quindi l’opportunità e il dovere di continuare a dare con semplicità e con coerenza la nostra testimonianza senza dissacrare nulla di quello che ci ha aiutato a vivere e sta aiutandoci a morire.

Spero che almeno questa onestà possa essere compresa, apprezzata e condivisa dalle nuove generazioni.

Il Centro don Vecchi quattro

Si è concluso il lungo e tormentoso travaglio che darà alla luce il don Vecchi quattro.

Un anno fa, dopo che l’Ulss si era offerta di costruire, a proprie spese e in tempi brevi, la struttura per accogliere i familiari dei malati che giungono da luoghi lontani, nel nostro prestigioso ospedale dell’Angelo, abbiamo acquistato, col denaro destinato al Samaritano, il terreno e la struttura dell’ex Centro don Milani di Campalto.

Dapprima pareva che con pochi soldi si sarebbe potuto ristrutturare, ma quasi subito si è capito che bisognava prima demolire l’esistente.

Poi, dopo doverose ed opportune indagini, era velleitario e pericoloso avventurarsi nelle sabbie mobili di un complesso per extracomunitari come precedentemente si era sognato. Abbiamo abbandonato questo progetto perché era apparso sui muri che i sindacati avrebbero costruito presto l’albergo per i lavoratori stranieri, secondo perché abbiamo compreso che non avevamo nè esperienza, nè cultura, nè forze, soprattutto, per gestire una realtà tanta insidiosa ed impegnativa e terzo perché le richieste degli anziani non abbienti in cerca di un alloggio solidale stavano aumentando piuttosto che diminuire!

Pian piano è maturata la scelta di proseguire su un terreno noto e collaudato. Infine risolti i problemi di cubature, di permessi, di convenzioni col Comune, abbiamo affrontato ed impostato il problema finanziario.

Banca Prossima ci mette a disposizione la somma necessaria e noi ci impegniamo a restituirla al massimo entro 10 anni a tassi sopportabili!

Ora il dado è tratto. Da ora non possiamo che andare avanti!

Non voglio essere una star

Mi sono appena congedato da una giornalista di Raitre, che con un cameramen della Tv di Stato, ha girato un breve servizio per il telegiornale di questa sera (questo appunto mel diario di don Armando scritto risale ad alcune settimane fa, NdR)

La mia zazzera bianca, la mia corposa figura, un po’ ingobbita, apparirà stasera sui teleschermi dell’alta Italia.

La Rai mi aveva appena chiesto un sevizio sulla filiera di aiuti che in pochi anni abbiamo messo in atto, grazie alla generosità di quasi 150 volontari delle due associazioni Onlus “Carpenedo solidale” e la più recente “Vestire gli ignudi”. Tutto il seminterrato del don Vecchi è oggi impegnato al servizio dei bisognosi.

Oggi al don Vecchi si può trovare dai mobili per arredare un appartamento ai supporti per gli infermi, dai vestiti per tutte le taglie e tutti i gusti ai generi alimentari. Il Centro don Vecchi sta diventando pian piano la cittadella della solidarietà.

Al piano nobile, al secondo e al terzo piano, 194 alloggi per anziani poveri e nel seminterrato la holding della carità.

Tutto questo mi fa molto felice; un po’ meno il fatto che la televisione metta in mostra la mia decadenza fisica, ma soprattutto il fatto che l’opinione pubblica ecclesiale già mi giudica un ambizioso che desidera diventare una star, nonostante l’età. E il nuovo servizio riconfermerà questa convinzione!

Se questo è il prezzo per poter aiutare il mio prossimo, accetto di pagarlo, anche perché chi non fa le mie scelte non può sapere che solo i mass-media offrono un biglietto di presentazione valido per ottenere ciò che serve per aiutare il prossimo!

Ateismo militante

L’anno scorso, alcuni amici, credendo che l’argomento trattato potesse interessarmi, mi hanno regalato il volume di Augias scritto assieme ad un bibblista di Bologna.

Il volume s’inserisce in una campagna di un gruppo di atei militanti che tentano con ogni mezzo di combattere la fede, la chiesa e quanto il cristianesimo rappresenta nel nostro popolo e nella nostra cultura.

Non sono riuscito a leggere il volume per intero, tanto mi ha indisposto la sicumera faziosa degli autori che tentano in ogni modo di smontare la figura di Gesù per ridurlo ad un velleitario, che non aveva un messaggio originario, che non intendeva fondare la chiesa e che in ogni caso non ha nulla o quasi da offrire all’uomo d’oggi.

Mi sono documentato, leggendo delle critiche autorevoli, che tutto sommato affermavano quanto io, da non esperto, ero riuscito a capire.

In questi giorni è uscito un altro volume di Augias, scritto in collaborazione di un certo Mancuso, che io non conosco. Ho letto due critiche, una su “Famiglia Cristiana”, che non stronca la sicumera, l’arroganza intellettuale e il disprezzo, autentico disprezzo, che Augias nutre e manifesta per la chiesa. A suo dire un prete malizioso e sporcaccione, incontrato durante la sua fanciullezza, gli avrebbe aperto gli occhi e gli avrebbe fatto conoscere la degradante malizia di questa realtà che si richiama a grandi valori. Augias non mi ha sorpreso, mentre mi ha sorpreso ed amareggiato “Famiglia Cristiana”, che da qualche tempo pensa di emanciparsi facendo la progressista non solo in politica. Ho letto invece un’altra critica su “Avvenire”, di ben altro tono, che dice ad Augias e al suo compagno, quello che si merita. Gli atei militanti che pontificano oggi da “pulpiti di prestigio” non sono molti, ma sono comunque perfidi e saccenti.

Mi permetto quindi di dire ai miei amici: “non gradisco ricevere in dono questo volume, anzi lo sconsiglio decisamente”

La chiesa è certamente criticabile perché fatta d’uomini, ma non merita certamente la malizia, la cattiveria e la saccenza di questa gente che approfitta del prestigio offerto dalla Tv di Stato, per buttare fango su quello che tutto sommato, c’è di più sano nel nostro Paese!

Echi lontani

Ora finalmente capisco come i preti, che non sono in linea di combattimento, spesso sembra che non si lascino coinvolgere più di tanto sulle problematiche della fede e della pratica cristiana, anche in occasione delle celebrazioni più importanti dei misteri cristiani.

Un tempo smaniavo al pensiero delle lunghe ed interminabili file di fedeli in attesa di confessarsi, penavo a non finire quando in occasione della settimana santa la chiesa mi sembrava meno gremita degli anni precedenti, mi lasciavo letteralmente travolgere dalle varie iniziative che si ponevano in atto per coinvolgere il popolo cristiano nel dramma della passione, morte e resurrezione di Cristo.

In quarant’anni di parroco quanti tentativi, quante sfide, quante proposte perché “l’ondata di monta” raggiungesse anche gli indifferenti, anche i lontani.

Ricordo quando decisi di uscire dalla sacrestia in occasione del venerdì santo. Dal ’68 in poi le parrocchie non ebbero più il coraggio di fare una processione per le strade della parrocchia. Quando mi dissi perché dovevo soggiacere alla prepotenza di non molti scalmanati e mascalzoni? Ci fischiarono, ruppero i cartelli delle stazioni della Via Crucis, ma finimmo per averla vinta. Anche oggi si può fare di tutto; è solo questione si convinzione e di coraggio!

Quello che però mi faceva male era come una certa frangia di preti di Curia, di scuola o non direttamente impegnati in parrocchie, se ne stesse beatamente da parte, non partecipasse, anzi pensasse ad una vacanza o ad un riposo straordinario.
Ora faccio parte anch’io di questa categoria.

Sì, pulisco, abbellisco, sono presente nella mia chiesetta tra i cipressi, ma l’eco della settimana santa giunge attenuato sia in cimitero che al don Vecchi.

Ho dovuto fare uno sforzo anche quest’anno perché il Cristo crocefisso e poi risorto lo sentissi presente e l’incontrassi nel mio vissuto!

La pensione produce purtroppo anche questo!

Ottenere un po’ di aiuto a volte è difficile

A Mestre gli ipermercati sono nati una quarantina di anni fa e ad aprire  loro le porte della nostra città e a concedere loro le chiavi relative è stato un prete; monsignor Vecchi.

Ricordo tutto questo per le infinite e puntigliose discussioni avvenute in canonica. Monsignore vedeva nell’apertura della Standa in via Carducci, la possibilità di una operazione commerciale che gli avrebbe permesso di realizzare grosse strutture sociali quali: Ca’ Letizia e il palazzo della Comunità. Noi cappellani temevamo l’abbattimento del patronato e la perdita dei campi da gioco per i ragazzi delle nostre associazioni; e così fu nonostante tutte le promesse di monsignore!

Nei quarant’anni che seguirono, gli ipermercati hanno invaso la nostra città, hanno imposto la loro filosofia di vendita ed hanno guadagnato un sacco di soldi che soprattutto all’inizio sono andati a finire a Milano, Genova e Torino.

In tutto questo niente di male!
Ossia le leggi di mercato si impongono comunque, però c’è un limite per tutto.

Negli ultimi vent’anni ho tentato in tutti i modi di ottenere l’invenduto, il non più commerciabile, le merci in scadenza. Non c’è niente da fare, la logica del mercato alla quale si rifanno padroni e gregari. è talmente inesorabile per cui bisogna sempre guadagnare e guadagnare il più possibile! Anche se una parte del bacino da cui gli ipermercati traggono profitto è in difficoltà e si potrebbe aiutare senza impegnarsi o spendere più di tanto.

Io sono stato sconfitto, mi sono arreso senza condizioni. Ora ci sta provando il Comune, che ha strumenti ed armi infinitamente più potenti delle mie. Spero che il Comune ottenga o semmai imponga una maggiore attenzione ai poveri del territorio.

Arrivando se non ci fosse altro mezzo, a ritirare le licenze di esercizio, altri Comuni con le buone o con le cattive ci sono arrivati. Spero che il nostro Comune non sia da meno e che gli assessori Bortoluzzi e Simionato possano finalmente spuntarla!

Quando è Pasqua?

Quella di quest’anno è stata la cinquantacinquesima volta che dovevo predicare sulla resurrezione di Cristo in occasione della Pasqua.

Come sempre mi ha colpito il tormentone che mi turba quando devo prendere la parola, ma particolarmente in occasione delle celebrazioni cardine della nostra fede, e Pasqua ne è notoriamente il pilastro portante.

San Paolo già venti secoli fa aveva intuito tutto questo quando affermava: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede!”

Col passare degli anni uno va sempre più al cuore dei problemi, motivo per cui oggi, in cui vivo i tempi supplementari della mia vita, parlare di queste realtà senza che il discorso sia intimamente e sostanzialmente coniugato ai problemi veri del vivere, sarebbe non solo assurdo, ma mendace ed irriverente alla fede. Io poi che ho un orecchio attentissimo alle parole e ai ragionamenti dei non credenti, e soprattutto degli atei militanti alla Augias o alla Severino, divento estremamente esigente con me stesso e con i miei sermoni.

Quest’anno arrivai pian piano ad impostare così il mio discorso: “Quando è Pasqua? Non certamente quando il calendario segna in rosso questa data. Questa annotazione è semplicemente farisaica, formale e ridicola.

Per me è Pasqua quando non mi sento più sconfitto dal male e dalla vita, quando ho vinto la paura della morte perchè già intravedo la vita nuova, quando mi sono convinto che alla fine della strada del dolore c’è la vittoria del bene, quando come la Maddalena o i discepoli di Emmaus sento di avere una splendida notizia da offrire agli uomini del mio tempo, quando guardo con fiducia e desiderio il domani perché so che là incontrerò il Risorto, quando sono certo di poter vincere ogni forma di male, quando so intravedere il volto di Cristo risorto nelle parole e nelle opere degli uomini onesti di qualsiasi bandiera e di qualsiasi credo. Quando infine in me queste certezze non sono più coperte da una pietra tombale, ma gli altri le possono scorgere nei miei occhi e nelle mie azioni. Quando vivrò tutto questo allora per me potranno suonare le campane di Pasqua! Quello è il suo giorno!”

Una scelta infausta!

A molti giorni di distanza provo ancora l’amarezza e un senso di colpa per la “Via Crucis” che quest’anno ho offerto ai miei anziani il Venerdì Santo.

Durante la Quaresima al don Vecchi conduce il venerdì la Via Crucis, suor Michela perché io celebro la santa messa proprio a quell’ora nella chiesa del cimitero.

Il Venerdì Santo, essendo libero da questa celebrazione, normalmente sono io a condurre la pia pratica della via dolorosa.

Vi partecipa circa un centinaio dei residenti al Centro. Facciamo le cose per benino.

Un anziano porta una rozza croce di legno formata da due rami di albero, altri due anziani gli sono accanto con le torce accese; il percorso è piuttosto comodo perché percorriamo il sentiero lastricato che gira attorno ai due grandi edifici. Normalmente si forma una lunga fila perché la stradina misura appena due metri, ma con l’altoparlante portatile tutti, benché duri d’orecchio, vi partecipano devotamente.

Quest’anno la sorte si è accanita contro di noi, da un lato perché, all’ultimo momento il microfono gracchiava terribilmente e perciò non potei usarlo e dall’altro lato ebbi l’infausta idea di affidarmi alla lettura di un libricino stampato recentemente. Gli avevo dato una sbirciata mi era sembrato abbastanza buono, perciò rinunciai ad un commento personale delle 14 stazioni perché avevo una voce fioca, come ogni anno mi ero stancato assai.

Non so chi abbia scritto quel testo, di certo era un cristiano che doveva vivere fuori dal mondo. Un discorso pieno di frasi scontate, di pensieri rifatti, con un repertorio da predica fine ottocento. Ormai ero in ballo e andai fino alla fine, però mi sentivo così lontano, così estraneo e così in atteggiamento di rifiuto di una religiosità in disuso e stantia per cui ho giurato nel mio cuore che mai più farò una cosa simile. Molto meglio il testo di S. Bernardino da Portomaurizio con tutta la sua enfasi e passionalità che quella prosa melensa e fuori corso!

Uscire dalla crisi

Sono maestri insuperabili in questo settore i vecchi comunisti, i radicali e i padroni dei mass-media, i quali ripetono fino alla nausea un discorso, tanto che anche se privo di ogni fondamento esso finisce per imporsi sull’opinione pubblica e pian piano diventa un dogma, ossia una verità certa, indiscutibile, assoluta.

Questo è motivo per cui affermare qualcosa contro queste “verità di fede” ti porta ad essere “scomunicato” o visto come uno degli untori della peste di manzoniana memoria.

Oggi tutti dicono che siamo in crisi, tutti affermano che le aziende chiudono, che milioni di lavoratori rimangono disoccupati. Tutto questo è vero. Ma è altrettanto vero che tutti si aspettano che Berlusconi, il Governo o che so io, risolva questa sciagura!
Faccia una legge, emani un provvedimento, scopra gli evasori, tassi i ricchi, ecc…. escogiti insomma qualcosa che faccia tornare il sereno in maniera tale che si possa lavorare meno, con più vacanze, togliersi qualche capriccio in più. Nel frattempo, in attesa del “miracolo” i concittadini non vogliono più fare certi lavori faticosi, aumentano gli italiani che a Pasqua si sono scelti una vacanza, le strade sono sempre più intasate di automobili, per pranzare al ristorante bisogna fare la fila.

La verità sulla crisi e sui relativi rimedi rimangono indiscusse e certe come la tavola della legge di Mosè.

Brunetta sarà anche piccolo, bruttino ed antipatico, ma con qualche piccolo decreto ha “guarito” gran parte degli statali. Io spero ardentemente che continui su questa strada, nonostante che l’enorme esercito dei sindacalisti che campano bene senza lavorare gli sia decisamente contrario.

La ministra dell’istruzione mi pare lo segua a ruota, e credo se qualche altro ministro e soprattutto la gente della carta stampata, dello schermo avranno il coraggio di parlare onestamente, corriamo il “pericolo” che questa crisi ci salvi davvero!

Impegno, lavoro, competenza, sobrietà di vita, intraprendenza, consapevolezza che ogni lavoro onesto è nobile, vita morale, queste sono le uniche ricette che non solo ci porteranno fuori dalla crisi, ma ci salveranno davvero da una vita fatua e da una società corrotta!

Come testimoniamo, oggi, il Risorto?

Qualche domenica fa il brano del Vangelo raccontava che alcuni greci chiesero a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù”, Filippo si consultò con Andrea e poi li accompagnarono dal Maestro.

E’ abbastanza comprensibile, che data la fama acquisita di Cristo con i suoi discorsi e i suoi interventi ci fosse qualcuno che, mosso dalla curiosità, volesse conoscere personalmente Gesù. Il fatto poi che fossero greci, quindi appartenenti ad un popolo evoluto e critico, mi ha fatto pensare che il desiderio di “vederlo” significasse in realtà “conoscerlo”.

Sono passati duemila anni, ma sono convinto che gli uomini del nostro tempo coltivino lo stesso desiderio: conoscere questo Cristo e soprattutto le soluzioni che Egli prospetta circa la vita, la morte, il domani, perché gli uomini di oggi sono ancora più soli, più frastornati con meno certezze e valori di un tempo.

Questo desiderio più che legittimo essi giustamente lo pongono a me, discepolo dichiarato di Cristo come a Filippo, e lo pongono alla chiesa.
Quindi io, la comunità cristiana, abbiamo il dovere di far loro incontrare il Cristo.

In questo tempo di Pasqua mi è venuto più volte, da pensare che io del Risorto non posso che presentare vecchie icone, dipinti incorniciati dal tempo in cui sono stati fatti, però sono assolutamente certo che i miei contemporanei non cercano un Cristo da museo o da pinacoteche, ma sentono struggente il bisogno di incontrare il Cristo vivo, vittorioso sulla morte, sul male, sulla solitudine e sulla disperazione.

E chi se non il cristiano e la comunità cristiana ha il dovere di offrire questo volto, questa immagine?
Quando penso a questa responsabilità mi sento desolato.

A Roma nei primi secoli della chiesa definivano i cristiani come “coloro che si amano”, era già una splendida immagine! Ma ora? Meravigliarci perché la gente se ne va è veramente ipocrita!

La chiesa, quindi io, ha bisogno di una conversione radicale. Presto! Prima che sia ormai troppo tardi!

A proposito di scuole pubbliche e private

Mi ha fermato una gentile signora che mi ha detto che segue con interesse “L’incontro”.

Aveva però un’osservazione da farmi su un articolo di fondo che ho scritto qualche settimana fa, prendendo lo spunto dalla presentazione di Padre Gemelli, l’ideatore e fondatore dell’università cattolica del Sacro Cuore.

La tesi che la signora sosteneva era certamente valida e non mi sognerei mai di contestarla. Diceva questa signora, che probabilmente era un’insegnante in pensione o forse la figlia di un’insegnante, che non tutte le scuole statali sono da rifiutare per insufficienza o per poca serietà e non tutte le scuole private sono valide sotto ogni punto di vista e sfornano allievi modello.
Sono perfettamente d’accordo.

Però anche fatte le debite proporzioni numeriche, la percentuale di validità non penso che propenda per la scuola di Stato, perché se non altro per avere alunni la scuola privata deve affermarsi per la validità dato che comporta un costo aggiuntivo per le famiglie.

Io mi scuso pubblicamente se dal mio scritto è emerso che la scuola privata è eccellente. Il bene e il male, il vero e il falso non sono mai divisibili con un taglio netto. Quello che invece volevo affermare è che anche nel campo scolastico la competizione, il confronto sono sempre vantaggiosi e doverosi. Finché lo Stato finanzierà soltanto la scuola pubblica questo non potrà mai avvenire e anche le scuole di Stato con gli insegnati peggiori e con una pessima organizzazione sopravviveranno comunque, mentre la scuola privata questo non se lo può assolutamente permettere o meglio ciò può avvenire quando si vendono le promozioni, ma per questo lo Stato ha mezzi più che sufficienti per non permetterlo.

Il terremoto

La sorpresa di primo mattino di lunedì santo è stato il terremoto all’Aquila. Immagini desolate: macerie, gente per strada, vecchi smarriti, soccorritori affannati e cronisti che imperversano macinando continuamente le poche notizie.

Qualche dichiarazione politica rassicurante, promesse di pronta ricostruzione alle quali purtroppo si prevedono lungaggini, imbrogli e mafia.

Questa notizia ha smorzato, fin dal primo giorno della settimana santa, il sogno di una primavera prorompente quale cornice e segno di resurrezione di vita nuova.

Durante la settimana santa ho cercato di scandagliare il fondo della mia coscienza per scoprire sentimenti, reazioni e stati d’animo da coniugare con i misteri pasquali che la liturgia una volta ancora ci proponeva.

In quest’ultima settimana più volte ero rimasto turbato per il riaffiorare di un ateismo militante che, con arrogante supponenza si rifà al secolo dei lumi o all’anticlericalismo ottocentesco di stampo liberale o socialista, si è manifestato abbastanza frequentemente mediante articoli, pubblicazioni di volumi, trasmissioni televisive, la pubblicità negli autobus genovesi.

Questo tentativo di rivalsa agnostica ed atea, tronfia che sventola i vessilli della scienza, della libertà mi ha fatto ritornare in mente il racconto che il Guareschi premette a “Mondo piccolo”. Il buon Dio, pur paziente, alla fine si stanca della traballante torre di Babele con cui gli uomini tentano di sbalzarlo dal suo trono e muove l’ultima falange del dito mignolo e la torre rovina a terra in un mucchio di macerie.

Io non so se il buon Dio abbia fatto questa volta, tutto questo, certamente no, ma comunque l’abbiamo abbondantemente meritato!