Un mese o due fa avevo celebrato il funerale per suo padre.
Avevo quindi incontrato la figlia che mi aveva tratteggiato la figura del padre in modo che le parole, del commiato, fossero inquadrate da elementi veri e non si riducessero ad un paragrafo di un testo di teologia rivolte ad una persona da manuale.
Il discorso è stato scorrevole ed appropriato, fatto da una donna abituata a parlare ad alunni, il tono della voce caldo, cordiale quasi confidenziale determinato dal fatto che il marito, in tempi molto lontani, era stato uno dei moltissimi ragazzini che militavano tra gli scout. Di certo egli le ha parlato del prete della sua giovinezza, idealizzato dalla memoria di tante avventure felici passate assieme.
Quella signora mi aveva fatto un’ottima impressione, tanto che mi parve perfino bella, di quella armonia propria delle sessantenni, dalla vita pulita, ordinata e sana.
Ci eravamo rivisti per il trigesimo e l’impressione è rimasta inalterata e positiva. Poi l’incontro con il marito che desolato mi ha annunciato la morte pressoché improvvisa ed inaspettata. La rividi quindi per l’ultima benedizione prima che il legno coprisse per sempre il suo volto.
Non l’avrei riconosciuta se accanto non ci fosse stato il marito e fuori della porta l’epigrafe con il suo nome. Lei c’era tutta, ma quella che filosofi e teologi chiamano l’anima non c’era più. Sembrava un cencio inutile, una realtà inerte ed insignificante, quasi sgradevole agli occhi. L’anima, lo spirito è tutto per l’uomo. Gli dà senso, bellezza, vita. Una volta in più ho capito che dobbiamo dedicare all’anima mille attenzioni in più a quelle che insensatamente diamo al corpo.