Un funerale disertato

Sono cinquantacinque anni che faccio il prete, ma stamattina è stata la prima volta che, dopo che i necrofori hanno portato la bara di fronte all’altare, mi sono trovato completamente solo.

Già da tempo denuncio una tendenza che non depone a favore della nostra civiltà.

Da ragazzino un’insegnante aveva citato in classe una sentenza di un filosofo greco in cui si diceva che non c’è mai stato popolo in cui non si sia praticato il culto dei morti.

A proposito di questo comportamento umano c’è l’imbarazzo della scelta nel cogliere pensieri sublimi che questo culto determina nella coscienza umana.

Nel nostro tempo e nella nostra città il culto dei morti pare sempre meno sentito, sembra che, tutto sommato, come tendenza generale ci sia quasi fretta di sbarazzarsi di una salma che non serve più e pochi pare trovino il tempo e soprattutto il coraggio per fermarsi di fronte al mistero della vita e della morte per riflettere e trarre insegnamento da questo evento e dalla storia di chi è, tutto sommato, sogno di questo evento.

La cosa mi preoccupa assai perché temo che tutto si banalizzi e si affidi alla catena dei servizi che in maniera anonima e formale risolve sempre più sbrigativamente a pagamento la rimozione dell'”ingombro”!

Stamattina però la situazione fu emblematica. Usciti i necrofori rimasi solo di fronte ad una bara del costo di poco più di un centinaio di euro.

L’addetta alla sacrestia, compresa la situazione, uscì per rimediare al caso, una vecchina che trascorre tutto il giorno tra le tombe, entrò e rimase in chiesa, poi entrò anche uno dei necrofori, ed assieme abbiamo chiesto al Signore che accogliesse e desse pace a quella povera concittadina.

Per un attimo mi balenò nella mente un ricordo un po’ irriverente: alla Fondazione Cini, talvolta in occasione di conferenze internazionali, essendo la sala totalmente vuota, si precettava la servitù ad ascoltare la conferenza!

Spero che i miei tre fedeli siano stati un po’ più partecipi all’evento della partenza da questo mondo di una figlia di Dio.

Però sto cominciando a dubitare che ancora per molto tempo potremo considerarci un popolo civile.

Scrivo per costruire non per demolire

Non mi è capitato di frequente, ma in verità non è neanche l’unica volta che qualche sacerdote mi chieda una copia dei miei volumi.

Normalmente non riesco ad accontentarlo perché, per la mia “mania” che nulla vada sprecato, sono sempre stato preoccupato di far circolare non solo fino all’ultimo foglio dei periodici, ma anche dei libri; conservo una o due copie solamente per i momenti di ripiegamento sul passato e di nostalgia. Non sono mai partito con l’intenzione di scrivere un libro, non ne avrei le risorse né il coraggio di farlo. Le mie sono sempre state antologie o raccolte di interventi fatti nelle occasioni più disparate che colgono lo stato d’animo, l’atmosfera, il fatto o l’illuminazione interiore del momento. Passata l’emozione, il momento di rivolta, la scoperta o la luce di una verità che mi si manifesta, pare che tutto si spenga dentro di me e che diventi non interessante.

Qualche giorno fa una “pecorella” del mio ovile raccogliticcio mi chiese, a nome del suo giovane parroco a part-time, i volumi che lui non aveva. Non potei accontentarlo, ma mi fece enorme sorpresa questa richiesta perché sono sempre stato convinto, a me pare a ragione, che le mie tesi fossero per nulla condivise dai confratelli, tanto d’aver paura d’essere un don Chisciotte fuori tempo che combatte una inutile battaglia!

Se la mia ricerca interiore e tradotta in parola o con la penna potesse interessare o mettere in crisi positivamente qualche collega, specie se giovane, questo mi darebbe molto conforto e tanta gratificazione.

Spero di non aver mai preso la penna in mano col desiderio di demolire o di far del male alla chiesa che ho considerato sempre come madre, ma mi ha sempre mosso il desiderio di promuovere autenticità, coraggio, coerenza, speranza.

Se a qualche confratello tutto questo potesse essere di una qualche utilità potrei intonare in pace il “Nunc dimittis” Perché vorrebbe dire che anch’io avrei incontrato il Salvatore, il Risorto!

Il mio modo di annunciare il Vangelo

Potrà sembrare strano ma alla mia veneranda età, ottant’anni suonati, sento il bisogno di non rileggere, ma di reinterpretare i Vangeli.

La lettura fatta fino ad oggi mi risulta ognor più angusta, di scarso respiro e soprattutto limitativa e povera, tanto che mi pare quasi di offendere il Signore e di fargli fare brutta figura con una interpretazione che non ha quell’apertura che la parola di Dio merita.

Ricordo, quando mezzo secolo fa, quasi sconsolato dissi al mio vecchio parroco di allora che era Monsignor Da Villa, un predicatore che inchiodava con un’oratoria appassionata gli ascoltatori e pareva che li prendesse per il bavero perché s’aprissero al messaggio del Signore: “Quest’anno, Monsignore ce l’ho messa tutta per spiegare ed attualizzare il Vangelo di questa domenica, ma il prossimo anno che cosa potrò dire di nuovo?”

“Non preoccuparti, il prossimo anno in una situazione certamente diversa, il Vangelo avrà pure una luce, un’eco, una risonanza nuova!” Aveva ragione.
Per più di mezzo secolo è avvenuto così!

Qualche giorno fa ho letto al piccolo gregge una volta ancora “la moltiplicazione dei pani”. Capii ben presto che le letture precedenti non avevano più presa nel mio cuore perché s’era fatta strada l’idea che Gesù ci insegna che il dovere di provvedere al pane per i poveri non può e non deve partire dalla disponibilità di mezzi o di denaro che hai bensì dal bisogno dei fratelli!

Questo mi appare subito come una luce nuova, l’unica luce che Dio mi offre per affrontare la problematica del bisogno.

Non posso rassegnarmi a dare quello che ho sulla madia, ma debbo contare i bisognosi e di là deve partire il mio impegno, indipendentemente dai soldi e dalla disponibilità. Ho capito che leggendo il fenomeno da quell’ottica il pane salta fuori, si deve trovare!

Alla verifica dei fatti constato che questa è l’unica logica efficace!

Io mi faccio sempre degli appunti prima di prendere la parola, una volta commentato il Vangelo, li butto via perché so che non mi serviranno mai più!

Le parole di Gamaliele fanno riflettere

Quando comincio a celebrar messa sento il bisogno di fare ogni tentativo perché non si riduca ad un rito “magico”, ma diventi invece l’occasione per prendere coscienza della nostra miseria e delle nostre incongruenze, inquadri la vita alla luce dell’infinito e faccia sì che i fedeli riescano a cogliere dietro l’immagine povera e deludente di questo vecchio prete, le parole sagge e vivificanti di Gesù.

Qualche volta mi pare di riuscirci, spesso però io stesso entro nella routine e mi ritrovo all'”andate in pace” senza quasi accorgermi.

Quando invece l’incanto del mistero mi avvolge o quando le parole di Cristo entrano come lame affilate nella coscienza, e mi aprono orizzonti infiniti di verità, allora ho la sensazione che la piccola comunità vibra e sento veramente la presenza dell’Altissimo.

Oggi sono stato incantato e turbato dalle parole di Gamaliele, il vecchio e saggio maestro di Israele, che interviene presso i colleghi, preconcetti, nei riguardi della predicazione degli apostoli, solamente preoccupati che la nuova dottrina non scalfisse il loro prestigio.

Gamaliele fa un discorso veramente da uomo saggio “Se la cosa (il movimento cristiano) viene dagli uomini, non preoccupatevi, non avrà futuro, cade da sola e perciò non c’è bisogno di qualsiasi nostro intervento, ma se viene da Dio, che non ci capiti di trovarci a combattere contro Dio, perchè allora sarebbe un gran guaio!”

Quanta saggezza e quanta santità in queste parole. Il discorso di Gamaliele mi ha turbato forse anche per il fatto che ieri sera ho risposto in maniera decisa ad un lettore de “L’Incontro” che non condivideva la mia presa di posizione circa il dramma o la tragedia di Eluana. Ci avevo pensato tanto ed onestamente sono arrivato alle conclusioni che tutti sanno. Però, un margine di dubbio ed incertezza rimane sempre.

In questa materia non ci sono certezze matematiche né per me né per chi non la pensa come me!

Mi spiacerebbe tanto e poi tanto di combattere contro Dio ossia contro il bene e la verità!

Commiato per un vecchio parrocchiano

La figlia di un mio vecchio parrocchiano mi ha pregato di partecipare al funerale del padre.

Avrei un invito al giorno se accettassi tutte le richieste, ma qui si trattava di una cara famiglia che mi ha sempre voluto un gran bene, che mi ha sempre accolto a braccia aperte a casa loro, ma soprattutto verso la quale ho nutrito tanta stima ed affetto.

Don Danilo, con tanta cortesia, mi ha offerto l’opportunità di un breve intervento, ho però declinato l’offerta, da un lato perché non amo le cose sbrodolose e dall’altro lato perché ero stato informato che a fine messa il nipote avrebbe detto una parola di addio al nonno. Ho fatto bene a fare questa scelta perché il nipote, avvocato, ha tratteggiato la storia, lo stile di vita, i pregi e i difetti del nonno in maniera perfetta sia nella sostanza che nella forma.

Dalle parole di questo giovane avvocato, che io avevo conosciuto da bambino assieme al fratellino, e che pur non avendoli più visti per tanti anni, li ricordavo perché il padre, cultore della Bibbia a suo modo, li aveva chiamati Habram ed Isach, nomi poco frequenti da noi!

Terminata la messa gli ho chiesto il testo perché l’avrei pubblicato volentieri, ma l’estensore si è schernito quasi per modestia.

Il signor Rallo, più che novantenne, cristiano da Pasqua e Natale come pratica, ma di grossa taratura cristiana nella sostanza, è stato veramente una gran brava persona che, tornato dalla ritirata dell’Armir in terra di Russia, s’è fatto da sé lavorando sodo fino all’ultima età.

Era un uomo sano, schivo, amante della famiglia, generoso, basti dire che tutti i suoi inquilini, e ne aveva molti, parlavano bene del loro padrone di casa, cosa pressoché inaudita!

Sono stato contento di aver partecipato al suo commiato perché, per me, meritava almeno il vescovo ausiliare per i suoi funerali.

Mentre ascoltavo con estremo interesse, le parole franche e commosse del nipote che salutava con onestà, rispetto ed ammirazione il nonno, tra me e me pensavo che molto volentieri avrei offerto al vecchio parrocchiano, lavoratore e galantuomo, il posto di Napolitano, l’avrebbe meritato e avrebbe fatto fare più buona figura al nostro Paese!

Un modo concreto per riporre in Dio ogni ansietà

Le prediche e i discorsi ufficiali dei preti e peggio ancora dei vescovi ed anche dei cristiani impegnati consistono spessissimo, anzi quasi sempre, in elucubrazioni macchinose e complicate che hanno ben poco da spartire con il discorso normale.

Mentre a ben pensarci tutta la vita si impernia in cose normali e perfino banali, motivo per cui ogni volta che mi imbatto in discorsi di buon senso e concreti rimango quasi incantato. Stamattina l’argomento della meditazione verteva su questo passo del profeta Isaia: “Riponete tutte le vostre ansietà in Dio, poiché Egli ha cura di voi”.

Io credo, pur da povero cristiano condivido pienamente questa affermazione del grande profeta dell’antico testamento. Per natura e temperamento però mi lascio poi non solo coinvolgere, ma angosciare dai problemi, dei drammi della vita. Spesso anche per cose che col passare del tempo si rivelano banali e di poco conto, mi fermano la digestione, mi tolgono il sonno e soprattutto mi fanno perdere la pace interiore.

Se in quei frangenti ricordassi l’affermazione di Isaia, che poi corrisponde anche alle mie convinzioni ed esperienze, probabilmente rimarrei più sereno ed affronterei più pacatamente i problemi relativi.

Il guaio però è questo che nei momenti di preoccupazione ben difficilmente mi tornano in mente le rassicurazioni di Isaia.

Il pastore della comunità cristiana del fratello di fede, che ha steso il testo della meditazione, in un sermone aveva suggerito ai fedeli di portarsi dietro un piccolo oggetto che ricordasse loro la “cura di Dio e la possibilità di riporre in lui ogni ansietà”.

Questo cristiano aveva seguito il consiglio decidendo di portare in tasca un coltellino multiuso che egli stesso adoperava per le piccole riparazioni domestiche. Il suggerimento ha funzionato talmente bene che egli finì di levigare suddetto oggetto tanto l’ha toccato. Ho fatto subito il proposito “da oggi in poi il mazzo di chiavi che porto sempre in tasca non mi servirà solamente per aprire le porte, ma anche e soprattutto per ricordarmi di riporre le mie ansietà in Dio, poichè Egli avrà certamente cura anche di questo suo povero figlio spesso smemorato, che non si ricorda della benevolenza del Signore”.

Decidere di schierarsi, come fece San Giorgio

Per me la festa di San Giorgio è importante anche se i testi liturgici non ne fanno cenno, affermando che l’icona del cavaliere che colpisce mortalmente con la lancia il dragone, fa parte di quella cultura cristiana in cui la storia e la leggenda si mescolano in maniera molto disinvolta.

I motivi della mia simpatia per San Giorgio, giungono da lontano e sono molteplici; per molti anni sono stato assistente degli scout per i quali il loro fondatore, da buon suddito della corona d’Inghilterra, lo ha scelto come santo protettore.

Per il 23 aprile, festa di questo santo coraggioso ed indomito, i miei ragazzi e io stesso con loro, rinnovavamo la promessa di seguire la legge scout.

Ma San Giorgio mi è caro anche per un altro motivo, che si rifà al mio carattere e alle mie scelte esistenziali: egli si schiera e combatte vittoriosamente anche la potenza del maligno rappresentato dal drago. Con coraggio San Giorgio pianta la sua lancia sulla bestia feroce colpendolo a morte.

A me sono sempre piaciuti gli uomini che decidono da che parte stare, che escono allo scoperto e che combattono quello che ritengono il male, pur coscienti della loro fragilità e della potenza delle forze delle tenebre e dei figli relativi.

Il decidere di schierarsi, di impegnarsi è per me un dovere ed un merito comunque. Stare alla finestra, calcolare col bilancino le probabilità della vittoria, giocare in difesa, non avere la sicurezza di avere valori grandi da difendere e da offrire è comunque segno di viltà e di pochezza umana.

A San Giorgio pare gli sia andata bene, ma io sono convinto che comunque va bene a chi, come David, pur contando solamente su una fionda e su un ciottolo da fiume, sfida il prepotente di turno.

Per tutto questo oggi ho fatto festa e pregato San Giorgio in barba agli addetti alla liturgia!

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”

Ho sempre ammirato ed invidiato gli americani, che pur discendenti da popoli e culture tanto diverse, si riconoscono tutti nella costituzione elaborata dai “padri fondatori”.

Avere un punto di riferimento riconosciuto da tutti come valido è certamente una ricchezza e un denominatore comune, seppur tenue, a cui rifarsi, facilita la comprensione ed il confronto.

Questo va bene, ma fare della costituzione italiana, una specie di talismano da accettare supinamente, intoccabile ed assoluto è un’altra cosa!

La nostra costituzione è recente, frutto di un compromesso fra culture diverse, nata in un momento storico di reazione ad una dittatura e vicina ad una guerra e ad uno scontro politico profondo che nasceva da fedi radicalmente diverse ed opposte perciò risente di tutto questo in maniera evidente.

Ora mi ritrovo Franceschini, che eletto segretario del PD, fa la trovata di giurare sulla costituzione quasi che il segretario di suddetto partito fosse il custode del “santo sepolcro”, sentire il capo dello Stato che pontifica “ex cattedra” su questo sacro testo e radicali e similia che ad ogni piè sospinto fanno professione di fede su questo documento diffidando i cattolici di rifarsi ai comandamenti piuttosto che alla costituzione, pare onestamente un po’ troppo!

Oggi durante la messa è intervenuto in merito San Pietro, il successore di Gesù, in maniera autorevole ai componenti del Sinedrio, che gli volevano proibire di predicare in nome di Cristo risponde chiaramente: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.

Ora, siccome a giudicare la mia vita sarà il Figlio di Dio, piuttosto che Napolitano, Pannella, Franceschini, almeno per me spero di essere più attento alla Bibbia che alla costituzione e in caso di eventuale contrasto, sceglierò e consiglierò di scegliere la parola di Dio piuttosto di quella di Togliatti e di De Gasperi!

Arriveranno anche le elezioni comunali

So che le elezioni comunali non sono molto lontane e col Comune ho rapporti frequenti, difficili e talvolta deludenti.

Ho parlato più volte della vicenda del Samaritano per cui avevo avuto promesse ed impegni precisi e in maniera disinvolta elusi senza spiegazione alcuna. Non voglio neppur parlare della situazione della cappella del cimitero e della nuova chiesa.

Ho in atto i problemi inerenti ai trecento anziani residenti nei Centri don Vecchi, che il Comune auspica che non vadano in casa di riposo per motivi umanitari ma, confessiamolo pure, anche per motivi economici perchè il mantenimento in casa di riposo di un anziano non autosufficiente costa un occhio della testa.

Anche in questo campo nonostante la buona volontà di qualche funzionario, tutto sommato, l’assessorato competente, risulta latitante. Ho pendente il problema del recupero dei generi alimentari in scadenza, che taluni grossi comuni hanno risolto da un decennio, mentre il nostro Comune sta bagolando tra le nebbie della laguna.

Mancanza di personale?
Mi risulta da fonte certa che il Comune di Venezia ha 4600 dipendenti e ne dovrebbe assumere altri 400 che ora sono precari e che il problema maggiore, per chi si occupa del personale, è quello di fare passare il tempo senza che si annoino e vadano in depressione per mancanza di compiti precisi.

L’organizzazione del Comune di Venezia è sempre stata sgangherata, ma ora poi con Brunetta ministro veneziano e la crisi economica in atto, la cosa risulta vergognosa.

Spero che assessori e consiglieri che oggi sono al potere girino al largo in tempi di elezione, perché li metterei alla porta a suon di legnate.

Il Signore vuole che la vita ad ogni livello sia sana e bella

Questa mattina, di buonora, ho riflettuto un po’ sulla pagina del Vangelo che la liturgia feriale di questo periodo dopo Pasqua, offre all’attenzione dei fedeli. Il passo della Scrittura riferito, da qualche tempo mi interessa quanto mai, tanto da diventare un punto fermo nella mia riflessione a livello religioso: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio non per condannarlo, ma per salvarlo”.

Per me questa affermazione evangelica è un punto fermo, un elemento di forza, quasi un chiodo piantato nella roccia, a cui posso aggrapparmi, perché regge nonostante l’inclemenza del tempo e lo scatenarsi degli elementi, costituisce una di quelle “idee” chiare e distinte capaci di reggere nonostante tutto.

Dio vuole salvare l’uomo, altro che le visioni di qualche giansenista nello spirito che “vedeva le anime andare all’inferno come cadono i fiocchi di neve d’inverno”. Dio vuole aiutare l’uomo a raggiungere la pienezza di vita non solo nell’aldilà, ma aiutarlo a vivere una vita piena, intensa e positiva anche in questo mondo.

A me è sempre piaciuta la tesi di Origene, ripresa poi dal nostro Papini, in cui si afferma che il buon Dio, di cui Gesù nella parabola del figliol prodigo ci ha presentato come Padre dal cuore infinitamente generoso, finirà col salvare tutti. Don Mazzolari ha manifestato speranza perfino per Giuda, credo perciò che non sia un azzardo, sperare per tutti.

Questa mattina poi il cristiano, che ha steso il testo su cui ho meditato, affermava che Gesù è venuto non solamente per la salvezza dell’umanità, ma anche del mondo, ossia del creato.

Il Signore desidera che pure i fiumi ed il mare abbiano acque limpide e fresche, le foreste alberi verdi e sani, il cielo limpido e con l’aria pura e frizzante. Il nostro Dio vuole e farà di tutto perché l’uomo e il suo habitat vivano in maniera autentica e la vita ad ogni livello sia sana e bella.

Questa visione non solo mi piace, ma la ritengo una proposta su cui puntare ogni sforzo e il far questo diventa anche un canto di lode al Creatore.

Sconcezze che possono distruggere una società

Qualche tempo fa mi sono lasciato vincere dalla tentazione ed ho visto un programma alla televisione fino quasi all’una di notte.

Mi sono seduto in poltrona, come al solito, dopo il rosario e come al solito, mi sono addormentato quasi subito. Per me la televisione rappresenta sempre uno dei più potenti sonniferi che mi fanno vincere l’insonnia, anzi favorisce un sognare strano in cui le voci della televisione finiscono col mescolarsi con l’immagine che ci mette la mia fantasia facendo nascere uno strano cumulo in cui il reale e il fantastico si sommano facendomi vivere esperienze estremamente stravaganti.

Sul tardi, forse la scomodità della poltrona probabilmente mi ha svegliato, mentre si trasmetteva “Porta a Porta”

Il facondo Vespa conduceva, con la sua indubbia maestria, la trasmissione con interventi di esperti, spezzoni di filmati e tutto il resto che condisce questa vecchia e veneranda trasmissione.

L’argomento verteva sulla colpevolezza più o meno dei tristi protagonisti del delitto di Garlasco.

Come da copione in questi casi si contrapponevano gli innocentisti ai colpevolisti. Ma non è questo aspetto che mi ha colpito, ma invece sono stato veramente stordito da quello che è avvenuto fuori dalla vita intima di quella ragazza che tutti dicevano “solare” e peggio ancora quello che è stato scoperto sul computer di quel ragazzo dall’aspetto pulito e dall’aria tanto sana.

Non avrei mai immaginato che nella vita privata di ciascuno e nei rapporti tra i due ci fossero tale e tante sconcezze.

Chi si nutre di cose del genere non solo può arrivare al delitto, ma anche al genocidio. Quando si sono sconvolti tutti i canoni della moralità e del buon vivere, si scardina la coscienza e si distruggono tutti i valori.

Spero che quella macabra e squallida vicenda costituisca un caso particolare, perché se ciò fosse una prassi per i giovani d’oggi, la nostra civiltà sarebbe non solo sulla via del declino, ma della completa dissoluzione. Forse solamente stanotte ho scoperto le insidie di quello che molti definiscono “il prodigioso” internet!

“Libero e fedele”

Ho letto con tanto interesse un articolo, passatomi da un mio carissimo amico, su don Primo Mazzolari. Nulla di straordinario sentir parlare di don Mazzolari, dato che era l’anniversario della sua morte.

In queste ultime settimane ne hanno parlato un po’ tutti i giornali, sia quelli di estrazione cattolica, sia la stampa laica. Don Mazzolari è una personalità di tale levatura che supera tutti gli steccati che normalmente ingabbiano le figure di minor respiro umano, sociale e religioso.

Lo strano è che l’articolo passatomi era del “Secolo d’Italia” e faceva eco alla commemorazione che Fini ha fatto alla Camera e il segretario del PD a Bozzolo, la vecchia parrocchia di don Primo.

Io sono quasi geloso di questa splendida figura di prete, lo considero un padre del mio sacerdozio, anzi un salvatore. Se non ci fosse stato lui a darmi della chiesa, della religione e del sacerdozio una lettura alta e nobile, credo che le infinite meschinità ecclesiastiche avrebbero finito per nausearmi e sommergermi.

Di don Mazzolari ho fatto mio, e spero di esservi sempre sostanzialmente rimasto fedele, il suo motto: “Libero e fedele”. Ho imparato da lui il coraggio di oppormi al male, che purtroppo s’annida anche nella chiesa, combattendolo dall’interno.

La prima reprimenda e purtroppo o per fortuna non l’unica, l’ho presa perché in seminario leggevo “Adesso” il periodico di don Primo che ha inciso così profondamente, che ancora mi fa sognare e mi impegna a lottare per una chiesa povera, libera, schierata con i poveri, baluardo contro ogni compromesso e prepotenza contro l’uomo.

Don Mazzolari, don Zeno, don Milani sono per noi preti italiani, bandiera talmente bella e gloriosa per cui nessuna battaglia ti sembra inutile o troppo impegnativa.

Noi preti siamo sempre meno, ma se in Italia ce ne fossero ancora solo una mezza dozzina al secolo, di preti di questo stampo sarebbero sufficienti per far conoscere all’intero Paese il volto più vero e più entusiasmante della nostra chiesa.

Letture protestanti

Non cito il nome della testata dell’opuscolo mensile che m’aiuta, da un paio di anni, a far meditazione. Non lo faccio perché so che confratelli e fedeli impegnati si scandalizzerebbero che un prete, ultra ottantenne, adoperi un testo così elementare e soprattutto edito da una confessione religiosa non cattolica, invece che riflettere sulle encicliche o i testi prodotti da teologi di grido.

Confesso, io sono ancora allo stadio elementare nella mia vita spirituale, amo la concretezza, i discorsi che intercettano il quotidiano piuttosto che riferirsi ai massimi sistemi.

Proprio in questi giorni mi è capitato di riflettere sulle caratteristiche del testo che mi aiuta a riflettere e pregare all’inizio di ogni giorno.

L’aspetto certamente positivo e la constatazione che nel mondo protestante la familiarità con la Bibbia sembra più intensa di quanto non possa avvertire tra i cattolici.

Nonostante in questi ultimi 30-40 anni ci siano stati sforzi notevoli nella chiesa cattolica per lo studio della Bibbia con la pubblicazione di una infinità di volumi di tutti i tipi e la promozione di corsi e scuole bibliche, il testo sacro sembra meno conosciuto e meno familiare di quanto non avvenga tra i protestanti delle diverse confessioni.

Nel contempo mi pare di constatare nelle riflessioni contenute in queste confessioni una forma di fideismo, abbastanza elementare, che nasce da una lettura letterale dei testi sacri avulsa da una ricerca che coinvolga la totalità del messaggio della Bibbia e che inquadri i discorsi, in una visione globale della proposta che Dio fa all’uomo mediante la Sacra Scrittura.

Perciò mi pare che quella protestante sia una lettura di corto respiro, poco coniugata alla cultura e alla sensibilità del mondo d’oggi.

Mi sembra di avvertire un certo infantilismo religioso, poco proponibile ad una società secolarizzata, molto critica nei riguardi di un messaggio ingenuo e fideista, che non si può imputare al testo che in ogni caso va decodificato ed incarnato nella società e nella realtà degli uomini d’oggi.

Democrazia e capacità decisionale

Un mio amico sacerdote, prete intelligente anche se un po’ furbastro, il quale faceva l’uomo di sinistra ed ammiccava spesso con la fronda religiosa, ma che in realtà era estremamente autonomo nelle scelte e nei giudizi, motivo per cui le regole della democrazia valevano soprattutto quando gli erano favorevoli o collimavano con le sue idee, era solito sentenziare che per lui il governo ideale per qualsiasi società piccola o grande era: la democrazia ma con a capo un forte leader.

Praticamente, per quanto lo riguardava lui era il leader, e perciò decideva lui come e quando gli piaceva in barba ai pareri degli altri.

Questo atteggiamento io lo ritengo profondamente ipocrita, e diffido d’istinto dei capi che tanto di frequente hanno professioni di democrazia, ma in realtà decidono loro soli. La professione democratica spesso rappresenta la tipica foglia di fico che mal cela la vergogna autoritaria.

In realtà però non sono neppure un grande ammiratore dei responsabili di qualsiasi organismo i quali sono letteralmente in balia dei consigli e dei pareri spesso irresponsabili di chi, non avendo responsabilità diretta, si toglie la voglia di suggerire o piuttosto pretendere quello che loro non avrebbero la capacità o il coraggio di fare. Per me, un capo deve avere il coraggio di fare le sue scelte, di comandare, di pretendere, di rischiare e perfino di poter sbagliare. Spesso belle realtà sono allo sbando perché il capo è ignavo, pauroso, eccessivamente preoccupato d’essere coperto alle spalle dalle decisioni altrui.

Fare il capo non deve corrispondere ad un’ambizione, ma deve essere sempre un servizio svolto per il bene della collettività, servizio che ha sempre un costo di fatica, di rischio e spesso di impopolarità.

Realtà, come la chiesa, che soprattutto nel passato, non “conosceva” la democrazia, corrono spesso il rischio di produrre capi imbelli ed insignificanti, che spesso sono la rovina della comunità perché non sanno decidere, anche dopo aver ascoltato il parere degli organi di controllo.

Io la penso così

Un mio collega mi ha inviato la fotocopia della presa di posizione di un Vescovo in pensione del Centro Italia.

Mons. Casale, già avevo sentito parlare, dalla stampa laica e di sinistra, di questo Vescovo che, tutto sommato, condivideva le tesi portate avanti da questa parte politica che è supportata da una comune cultura, non solo laica, ma pure atea.

Non avevo però letto in dettaglio le motivazioni di questo Vescovo. Sapevo, già da molti anni, che il mio collega condivideva spesso le posizioni della sinistra e anche nel caso di Eluana, aveva manifestato nel quotidiano della città, questa condivisione della tesi portata avanti non solo dalla sinistra, ma pure da laici e liberali in genere.

Tutto l’armamentario ideologico, espresso con forza dalla stampa, in parlamento, e decisamente contrario alle posizioni della chiesa ufficiale e da gran parte del Centro destra, non mi lasciano indifferente e ritengo veramente giusto che debbano essere attentamente valutate perché anche esse possono certamente dare un contributo positivo nella cultura e nella legislazione del nostro Paese.

Detto questo desidero ancora una volta motivare la mia scelta di campo.

1) Ritengo che una volta intaccato il principio “non uccidere” che per me vale sempre e comunque, si apre una crepa che fatalmente porta alle conseguenze più disastrose e la storia lo sta a dimostrare con fin troppi esempi tragici. Il “tu non uccidere” è per me prima che un principio religioso, un principio etico assoluto.
2) La sinistra e qualsiasi altra componente della nostra società deve accettare la democrazia, perciò è la maggioranza sia di destra che di sinistra, sia laica che religiosa che deve fare le leggi, la minoranza può obiettare finché vuole, ma deve accettare le norme. Per uno stato laico non ci deve essere spazio per “rivelazioni” di sorta.
3) In una società ordinata non si può accettare l’arroganza di alcuno. Forse nel passato l’arroganza era una prerogativa dei credenti, ma ora mi pare decisamente sia la feccia dei non credenti!

Detto questo ritengo sia giusto e doveroso discutere. Nel nostro mondo c’è spazio per mons. Casale come per Papa Ratzinger! Assieme possiamo forse scoprire un po’ di più di verità!
Per ora confesso, che le motivazioni degli altri non hanno intaccato le mie convinzioni e perciò me le tengo!