A molti giorni di distanza provo ancora l’amarezza e un senso di colpa per la “Via Crucis” che quest’anno ho offerto ai miei anziani il Venerdì Santo.
Durante la Quaresima al don Vecchi conduce il venerdì la Via Crucis, suor Michela perché io celebro la santa messa proprio a quell’ora nella chiesa del cimitero.
Il Venerdì Santo, essendo libero da questa celebrazione, normalmente sono io a condurre la pia pratica della via dolorosa.
Vi partecipa circa un centinaio dei residenti al Centro. Facciamo le cose per benino.
Un anziano porta una rozza croce di legno formata da due rami di albero, altri due anziani gli sono accanto con le torce accese; il percorso è piuttosto comodo perché percorriamo il sentiero lastricato che gira attorno ai due grandi edifici. Normalmente si forma una lunga fila perché la stradina misura appena due metri, ma con l’altoparlante portatile tutti, benché duri d’orecchio, vi partecipano devotamente.
Quest’anno la sorte si è accanita contro di noi, da un lato perché, all’ultimo momento il microfono gracchiava terribilmente e perciò non potei usarlo e dall’altro lato ebbi l’infausta idea di affidarmi alla lettura di un libricino stampato recentemente. Gli avevo dato una sbirciata mi era sembrato abbastanza buono, perciò rinunciai ad un commento personale delle 14 stazioni perché avevo una voce fioca, come ogni anno mi ero stancato assai.
Non so chi abbia scritto quel testo, di certo era un cristiano che doveva vivere fuori dal mondo. Un discorso pieno di frasi scontate, di pensieri rifatti, con un repertorio da predica fine ottocento. Ormai ero in ballo e andai fino alla fine, però mi sentivo così lontano, così estraneo e così in atteggiamento di rifiuto di una religiosità in disuso e stantia per cui ho giurato nel mio cuore che mai più farò una cosa simile. Molto meglio il testo di S. Bernardino da Portomaurizio con tutta la sua enfasi e passionalità che quella prosa melensa e fuori corso!