Costi e ricavi

So che il terreno è viscido e pericoloso, però ritengo giusto fare una riflessione che forse non porta da nessuna parte, ma che credo sia un’angolatura da non trascurare nel guardare questo problema.

Fino a poco tempo fa avevo pensato che il signor Mazzacurati, responsabile del Mose, fosse quasi un santo padre della Chiesa. Sapevo che è stato per molto tempo presidente della banca degli occhi, la splendida realtà di Mestre, sapevo che era noto per essere un benefattore di svariate iniziative benefiche, tanto che pur non conoscendolo personalmente mi ero fatto una buona opinione di questo signore che poi, contro tutti, stava portando avanti la mastodontica impresa che, sola, potrà salvare Venezia dallo sprofondare nella melma della laguna.

Tutti ricorderanno che la sinistra, i centri sociali e tanti altri da qualche anno, contro quest’opera gigantesca e ogni altra grande opera, incoraggiavano e reclutavano i “No tutto!”. Credo che solo Mazzacurati e qualche altro abbiano tenuto testa a questa opposizione.

Ora Mazzacurati e molti suoi collaboratori pare siano stati trovati con le mani nel sacco e “dalle stelle siano caduti nelle stalle”, come esprime bene un detto della nostra gente.

Non so se mi sbaglio ma mi pare, vedendo lo scenario che la stampa offre ogni giorno, che le imprese o imbrogliano o falliscono. So per esperienza personale quanto l’uomo sia fragile, quanto il denaro lusinghi, però mi viene un dubbio: non faccio che sentire che imprese chiudono, altre falliscono, altre delocalizzano, altre provano a sganciarsi dalla Confindustria, altre tentano contratti con alcuni sindacati, escludendone altri che invece poi la magistratura reinserisce. E quelle aziende che rimangono in piedi mi pare che ad una ad una la Finanza o la Magistratura scoprano che evadono.

Ieri ho sentito la sentenza contro Marchionne e a favore di Landini della FIOM. Non mi meraviglierei se un giorno o l’altro Marchionne annunciasse: «La Fiat si sposta in America», riducendo le fabbriche di Torino a dei ruderi come quelle di Marghera.

Tutto ciò mi pone una domanda insidiosa e quanto mai amara: “Che tutto questo non avvenga anche a causa dei sindacati, della finanza, della magistratura, della burocrazia e dello Stato?”, i quali rendono impossibile alle industrie sopravvivere se non rubando, evadendo e pagando connivenze?

Mi vien da pensare che sindacati, Finanza, Magistratura, burocrazia statale e parastatale, Parlamento e Governo costino più del costo fattosi pagare per perseguirne le evasioni delle industrie italiane che finora sono sopravvissute. Spero tanto che il mio dubbio non sia vero, se no sarebbe un grosso guaio.

23.07.2013

“Il Redentore”

Non si sono ancora spenti i fuochi artificiali che nella notte del Redentore hanno illuminato a festa il cielo del bacino di San Marco, mentre sto rimuginando il senso di questa festa cristiana che vistosamente, col passare degli anni, è diventata l’involucro di una forma di neo-paganesimo popolare.

Ieri, con assoluta convinzione, ho sentito il bisogno di cantare “l’immortal benefica fede”, mentre oggi sento il dovere di prendere le distanze da una religiosità che ha perso gran parte del suo contenuto cristiano per diventare una manifestazione turistica per attirare folle di “foresti” a Venezia e permettere alla sempre più sparuta schiera di veneziani, che sono ridotti a custodire la città-museo della laguna, di illudersi di essere ancora figli della Serenissima.

Per illustrare meglio il mio stato d’animo, mi par giusto confidare agli amici un piccolo inconveniente che mi è capitato in occasione del Redentore di quest’anno. Questa festa è tipicamente veneziana e soltanto per Venezia la Chiesa permette questa celebrazione con testi propri, mentre per la Chiesa universale si offriva ai fedeli il Vangelo della visita di Gesù alla casa di Marta e di Maria. Io mi ero preparato il sermone su questa pagina di Vangelo, ma, dovendo celebrare anche in parrocchia di Carpenedo, dove sono sempre più ligi di quanto non sia io, dovetti cambiare argomento all’ultimo momento. Di buon mattino ho tentato di mettere a fuoco la celebrazione, cercando pur con fatica, di ripescare il motivo religioso di questo evento, ormai quasi esclusivamente popolare.

Mi rifeci alla storia, raccontando gli eventi così come tramandati attraverso i secoli: nel 1575-76 la città fu colpita da una grave pestilenza. Allora il doge e il patriarca fecero voto di costruire un tempio ed affidarono al Palladio l’incarico di progettarlo e presero l’impegno che ogni anno avrebbero fatto un ponte di barche perché i veneziani potessero ringraziare il Signore anche nei secoli futuri. Almeno su questo Venezia mantiene fede al voto, aggiungendovi però una cornice tanto festaiola da soffocare quasi il mistero cristiano.

Mi fu perfino troppo facile affermare che anche oggi la nostra città è afflitta da una peste di cui non sa liberarsi da sola: droga, malgoverno, ruberie sul Mose, contrasti politici, disoccupazione, ecc., tutti malanni di cui par proprio che non riusciamo a liberarci da soli, tanto che sarebbe il caso di suggerire al sindaco Orsoni e al Patriarca Moraglia di far voto, se non di costruire una nuova chiesa – perché per quei quattro gatti che sono rimasti a Venezia di chiese e di belle chiese ce ne sono fin troppe ma di far di tutto perché quelle che ci sono diventino scuole di vita cristiana.

M’è parso che, se anche un po’ improvvisate, i miei fedeli abbiano annuito alle mie riflessioni. Peccato che forse quei fedeli non fossero quelli che han passato la notte in barca mangiando e bevendo a volontà.

23.07.2013

“Dio è morto?”

E’ da secoli e secoli che qualche pensatore, più o meno intelligente, ma sempre molto pieno di sé, affigge sui muri del mondo l’epigrafe listata a lutto con la tragica notizia: “Dio è morto!”.

Soltanto un paio di giorni fa l’oncologo Umberto Veronesi, in una risposta pur garbata e rispettosa ad una cittadina che gli chiedeva se la preghiera fa bene all’ammalato, ha confessato di essere ateo. Vi sono però altri personaggi che fanno questa affermazione con sarcasmo ed ironia. Tutti ricordano le frasi irridenti alla fede fatte scrivere da un gruppetto di atei militanti sugli autobus di Genova: “Vi diamo una notizia ferale: Dio è morto!”, facendola seguire da una seconda ancora più tronfia di saccenza: “Vi informiamo che la morte di Dio non cambia niente!”.

Io ho sentito Augias alla televisione, ed Oddifreddi alla radio, fare affermazioni del genere con una sicumera degna di miglior causa. Tutti gli atei si rifanno più o meno alla tesi di Sallustio, il pensatore di Roma che ha affermato che l’uomo si è inventato Dio per illudersi che qualcuno lo possa aiutare nelle sue difficoltà. Io non sono affatto uno studioso di storia, ma penso di poter affermare tranquillamente che non ci sia epoca storica in cui qualcuno non abbia fatto affermazioni del genere: dal Rinascimento all’Illuminismo, alla rivoluzione francese, a quella spagnola, messicana, albanese e russa, nella quale per settant’anni uno Stato si è impegnato con ogni mezzo per spegnere la fede in Dio. Però, dopo ogni persecuzione la fede in Dio è rifiorita nel cuore dell’uomo più nitida, più forte e rasserenante di prima.

Qualche tempo fa mi è capitato di vedere Putin, frutto pure lui della rivoluzione bolscevica marxista, farsi la croce e baciare il crocifisso presentatogli dal Pope.

Per molto tempo ho sentito dire da discepoli di questi maestri della morte di Dio, che sono le vecchie generazioni, poco istruite e succubi delle varie Chiese, a credere, ma i progressi scientifici e l’evoluzione in atto faranno piazza pulita di questi retaggi del passato. Lo stesso Casaleggio, il profeta del Movimento Cinque Stelle, ha “profetato” che tra breve la rivoluzione digitale spazzerà via queste vecchie società del passato.

Non so come questa gente possa continuare a fare previsioni del genere, avendo visto pure lei i due milioni di giovani che con Papa Wojtyla, solamente una decina di anni fa, hanno gioiosamente cantato il credo a Torvergata e ha potuto vedere quattro milioni di giovani a Rio de Janeiro. Eppure questi giovani sono nati in questo nostro tempo supertecnologico, emancipato ed essi di certo rappresentano il domani.

La religione in realtà invecchia e deve aggiornarsi, ma la fede è sempre giovane e nuova come il pane, l’acqua, il sole e la luna, checché ne dicano quei poveri grami di atei militanti!

24.07.2013

Dalla sacralità alla santità

Lo scorso anno ho letto molto di Adriana Zarri, l’eremita “sui generis” che scriveva su “Il Manifesto” e “celebrava l’Eucarestia” assieme alla sua gatta, in perfetta solitudine. La Zarri è stata una di quelle cristiane “alla don Gallo”, guardata con sospetto e rifiuto dai cristiani ben pensanti e sorvegliata speciale dalla gerarchia ecclesiastica.

Il pensiero di questa teologa laica non è sempre facile, spesso ho fatto fatica a seguirla e comprenderla nelle sue riflessioni sempre profonde. Ricordo che in uno dei suoi volumi mi sono imbattuto in una tesi che lei sosteneva con convinzione, affermando che dobbiamo abbandonare il mondo della sacralità per abbracciare quello della santità.

Per la Zarri la sacralità sa di magico, quasi che certe parole, certi oggetti, certi riti o comportamenti possano manifestare il volto di Dio ed offrircelo, mentre – lei sostiene – solamente la santità, che è cammino personale per la ricerca di Dio, lo manifesta e dona il Signore.

M’è parso di capire, pur con qualche difficoltà, questo discorso. Oggi però Papa Francesco, salendo in aereo portandosi appresso la biancheria intima nella sua borsa nera, occupando una poltrona uguale a quelle dei giornalisti, ha tradotto la tesi della Zarri in maniera quanto mai convincente facendomi capire che sta conducendo la Chiesa ad imboccare la strada giusta.

Ricordo che un Patriarca di Venezia, che non nomino per carità cristiana, non saliva in auto per venire a Mestre se non aveva la scorta di almeno due vigili della stradale, perché un cardinale “principe della Chiesa” aveva diritto ad essere equiparato ad un principe della Casa Reale. E’ perfino troppo evidente che per Papa Francesco non è la preziosità della cornice che dà importanza alla sua presenza, ma il messaggio che egli offre al mondo e la sua coerenza personale che porta speranza e salvezza.

Questo però comporta che pure per noi preti o cristiani non è la fascia rossa, il distintivo o il titolo accademico che offre agli uomini del nostro tempo l’immagine e il volto di Gesù, ma la nostra santità personale e il nostro amore al prossimo.

22.07.2013

I palazzi della Chiesa

Ho letto recentemente su “Avvenire” e su qualche altro periodico di ispirazione ecclesiale, che il vescovo di Novara e di qualche altra città del nordovest d’Italia, ha destinato una parte del suo palazzo vescovile ad accoglienza per universitari o per qualche altra attività di carattere benefico. Mentre so di certo, e da molto, che il cardinal Lercaro, ai tempi in cui era vescovo di Bologna, aveva destinato una gran parte del suo episcopio agli studenti universitari poveri dei quali si prendeva cura personalmente.

Il venir a conoscenza di queste ultime scelte, mi fa alquanto felice, perché esse sono coerenti al messaggio di Gesù ed anche perché diventano una testimonianza quanto mai significativa anche per i sacerdoti, perché è vero che la gran parte dei preti vive sobriamente, però una parte, che spero piccola, ha bisogno di questo esempio.

Credo che Papa Francesco – se fosse per lui – tornerebbe al “Capitolo delle stuoie” come il suo antico omonimo e santo ispiratore; comunque mi è stato di estrema edificazione il fatto che abbia rinunciato ai regali appartamenti pontifici che, a suo dire, potrebbero ospitare 300 persone, preferendo loro la più modesta dimora di Santa Marta.

Mi sono posto, per puro diletto intellettuale, la domanda di che ne sarà di quei sontuosi appartamenti. Penso che siano poco adatti ad accogliere studenti del terzo mondo o preti che vanno a Roma per prendere la laurea, e d’altronde sarebbe un peccato demolire una memoria storica dei tempi andati, anche se è una memoria poco edificante, non certo tale da inorgoglire il popolo cristiano.

Qualche giorno fa, mentre la mia mente oziava su questo argomento, pensavo che avrei potuto suggerire a Papa Francesco di destinare quegli appartamenti a reddito a favore dei poveri. Credo che tanta gente pagherebbe volentieri il biglietto per visitare quei saloni, mettendoci magari qualche statua di cera per rappresentare il passato e, come custodi, le guardie svizzere con tanto di elmo, alabarda e pantaloni a righe rosse e gialle. Raccomanderei però a chi fosse incaricato di allestire questo nuovo museo, di mettere all’entrata un grande cartello con scritto qualcosa del genere: “Queste sale appartenevano alla Chiesa del passato ed erano abitate dal “Papa-re” che però è definitivamente scomparso con il Concilio Vaticano Secondo e soprattutto con Papa Francesco!”.

Se vi fossero difficoltà per la gestione, potrebbero consultare i lords inglesi che, da secoli ormai, han fatto dei loro castelli, musei a pagamento, purtroppo però non a favore dei poveri!

23.07.2013

Una grazia insperata

Il Banco solidale del “don Vecchi”, gestito dall’associazione di volontariato “Carpinetum solidale”, ha emesso finora circa 900 tessere a livello di famiglia e conta di assistere, con l’erogazione di generi alimentari, circa 3000 persone alla settimana. Le richieste di aiuto sarebbero ben superiori, ma la disponibilità di generi alimentari non è tale da poter soddisfare tutte le richieste.

I generi alimentari sono erogati a persone che abbiano meno di 700 euro di entrate mensili, e tutto questo deve essere documentato con dati ufficiali. Attualmente è sospesa – però almeno fino a settembre – la concessione di nuove tessere, facendo eccezione solamente per chi dimostra di avere bambini piccoli a carico, appunto per la limitata quantità di alimentari che l’associazione riesce a reperire da fonti varie, quali il Banco alimentare di Verona, gestito dalla “Compagnia delle opere” di Comunione e Liberazione, dal discount Dico di Noale e da tante altre realtà di minor consistenza ma che, tutte assieme, fanno giungere una quantità abbastanza rilevante di prodotti.

Da quindici e più anni mi sono battuto strenuamente perché il Comune di Venezia, come tanti altri Comuni della Romagna, del Veneto e del Milanese, stabilisse dei protocolli di intesa con gli ipermercati, detassando i rifiuti ed ottenendo in cambio i generi alimentari non più commerciabili per i poveri.

Con l’assessore Giuseppe Bortoluzzi ero arrivato finalmente ad impostare questo discorso, senonché con l’arrivo dell’assessore Sandro Simionato il discorso si inceppò senza che sia riuscito a farlo procedere. E’ non un peccato, ma un sacrilegio, che ogni giorno vada buttata nella spazzatura una quantità tale di alimenti che sarebbe più che sufficiente a soddisfare tutte le richieste di vecchi, disoccupati ed extracomunitari che attualmente versano in estrema difficoltà.

Il discorso era in stallo da troppo tempo perché potessi sperare in una qualche soluzione positiva, ma per fortuna l’assessore Maggioni, che si occupa di tutt’altre cose ma che, da vecchio scout s’è sentito in dovere di fare “la sua buona azione” come gli ha insegnato Baden Powel, mi ha messo in comunicazione con i responsabili del nuovo ipermercato che la catena Despar ha aperto nella zona commerciale vicina all’Ospedale dell’Angelo. L’incontro di questa mattina è stato estremamente positivo essendosi i responsabili dichiarati disposti non solamente a fornirci gli alimenti non più commerciabili del nuovo ipermercato, ma anche quelli dei loro ipermercati che noi riusciamo a raggiungere con i nostri furgoni.

Scrivo ancora una volta queste cose perché ritengo giusto segnalare alla città sia l’assessore Maggioni che i responsabili della Despar, ma anche perché ognuno prenda coscienza che se ogni cittadino si rendesse disponibile a fare quello che può, molti problemi troverebbero soluzione.

20.07.2013

Perfino Panella!

Ho scoperto ormai da parecchi anni “le beatitudini” de l’anziano.

In questo cantico si dichiara beato, ossia si invoca dal Signore il dono della beatitudine per chi fra l’altro non fa osservare all’anziano che certe cose le aveva già dette altre volte perciò egli è noiosamente ripetitivo.

Spero che questa beatitudine il Signore le conceda benevolmente anche ai lettori del mio diario perché sono purtroppo cosciente di ripetermi. Vengo quindi alla giustificare questa premessa: molte volte infatti ho scritto di essere ascoltatore di radio radicale perché detesto i programmi di musica moderna che mi fanno saltare i nervi e quelli di intrattenimento che considero quasi sempre fatui e banali.

Con questo però non è detto che mi sieda in poltrona per ascoltare di quell’insuperabile logorroico che è Marco Pannella il quale ripete sempre gli stessi discorsi e non la finisce mai!

Ascolto questa emittente durante la decina di minuti che ci metto nel trasferirmi in macchina dal don Vecchi al cimitero o viceversa, o quando faccio un lavoro manuale che non impegna la mente.

Ebbene qualche giorno fa ho sentito Panella, che parlando dell’inciviltà delle carceri e della “criminalità” del nostro Stato che non rispetta i fondamentali diritti dell’uomo, ha affermato, con l’enfasi che gli è propria, che solamente Papa Francesco, l’ultimo “monarca assoluto” rimasto a questo mondo, nei primi giorni del suo “regno” ha abolito nello Stato Pontificio la pena di morte, la tortura e il carcere a vita! Penso però che forse gli altri Pontefici neppure sapessero dell’esistenza di queste vecchie leggi dimenticate e che neppure quei due trecento abitanti dello Stato Pontificio corressero il pericolo di incorrere in queste pene.

Comunque era perfin troppo evidente che quell’anticlericale incallito che è da sempre Pannella, sta subendo il fascino di Papa Francesco che non passa giorno che non compia atti e non dica parole che non vadano a riportare la Chiesa alla semplicità delle prime comunità cristiane della Palestina e Roma.

Questo Papa si dimostra ogni giorno di più un dono di Dio e l’uomo che ha il coraggio e la volontà di riportare la Chiesa allo stile evangelico, liberandola da orpelli rituali e di pensieri quanto mai barocchi e che sempre offuscano e soffocano la freschezza rivoluzionaria del vangelo.

Papa Francesco sta predicando finalmente una chiesa che fa presa non soltanto nel cuore dei giovani e dei “preti Gallo” ma perfino anche nei più incalliti anticlericali rappresentati dai radicali di Marco Panella!

21.07.2013

Matteo

Ieri sera sono stato attaccato al televisore fino a mezzanotte. Per caso mi sono imbattuto in un programma de “La7”, diretto da Mentana, in cui Matteo Renzi rispondeva alle domande pressanti di due politologi di sinistra dei quali non ricordo il nome ma che più volte ho incontrato nella rubrica “Anno zero”.

Il fuoco di fila di domande, ma soprattutto di insinuazioni fu tale e così intenso e prolungato, che per fortuna del sindaco di Firenze, solamente la “pubblicità” gli permise ogni tanto di tirare un respiro di sollievo.

A mezzanotte ho deciso di spegnere il televisore perché alle cinque di oggi la mia sveglietta avrebbe suonato imperturbabile per nulla preoccupata di sapere se ho dormito e quanto ho dormito.

Ho visto Renzi stanco, ma vigile, lucido, determinato a rintuzzare con la consueta arguzia della sua parlata toscana le battute sempre faziose, ma talora anche sarcastiche, dei suoi interlocutori. Io ho tifato per Renzi; se non fossi stato nel chiuso della mia cameretta, mi sarei spellato le mani per le affermazioni convinte di questo giovane politico, che spero ambisca al potere non per superbia o tornaconto, ma per il bene del nostro Paese, così come avrei diretto tutte le parolacce che conosco ai suoi interlocutori che, ripeto, ho sentito talmente faziosi che credo nessuno al mondo riuscirebbe non solo a far loro cambiare idea, ma a ridurli al silenzio di fronte all’evidenza.

Ho ammirato Renzi perché più volte ha affermato che anteponeva gli interessi dell’Italia a qualsiasi altro interesse di partito o fazione. Ho ammirato Renzi perché, senza complessi, ha detto che è stato scout e che è cattolico ed io, che di queste cose penso di intendermene, ho avvertito quanto fosse coerente all’educazione che lo scoutismo e la Chiesa tentano di passare ai nostri ragazzi. Ho ammirato Renzi perché s’è dimostrato libero, pur essendo evidente che gli piacerebbe essere Capo del Governo per far andar meglio i destini del nostro Paese. Anche mia madre di fronte a papà che difendeva sempre e comunque la Democrazia Cristiana anche quando non era difendibile, sbottava: “Vorrei andare io al Governo per far andar dritte le cose!”

Comunque mi pare che Renzi sia sufficientemente libero da rinunciare a questa prospettiva pur di rimanere fedele alle sue convinzioni. M’è spiaciuto di chiudere la TV prima della fine dell’intervista, non solo per il sonno, ma pure perché ero talmente schifato dalla faziosità e dalla meschinità intellettuale dei suoi interlocutori, che sono stato “costretto” a farlo.

18.07.2013

finalmente un galantuomo

Uno che molti, specialmente tra i burocrati, ritengono un difetto – io lo reputo un pregio – è la fretta, o almeno la sollecitudine nell’affrontare e possibilmente risolvere al più presto possibile i problemi che incontriamo sul nostro cammino.

Ritorno ancora una volta su una cosa che i lettori de “L’Incontro” conoscono, ma lo faccio perché spero di dare un’ulteriore picconata ad un sistema ed una mentalità che io reputo essere almeno una delle cause della crisi finanziaria in cui si dibatte il nostro Paese.

Al Centro don Vecchi di Campalto, dopo due anni di carte e controcarte presentate all’assessore alla viabilità, avv. Ugo Bergamo, e al responsabile dell’Anas, pagando tutto noi della Fondazione Carpinetum, siamo riusciti a mettere in relativa sicurezza la possibilità di salire e scendere dall’autobus di via Orlanda per recarsi in qualsiasi luogo. Rimane però l’inghippo che i nostri 80 anziani residenti al Centro, se vogliono fare quattro passi per sgranchirsi le gambe, non hanno che la possibilità di fare il giro della casa, perché chi imbocca via Orlanda è come se avesse deciso, non di fare una morte dolce, ma metter fine ai propri giorni stritolato sotto un camion. Quindi la pista ciclopedonale per andare a Campalto non è uno sfizio o un capriccetto da amanti del podismo o della bicicletta, ma una assoluta necessità per sopravvivere.

Fortuna volle che un consigliere della Fondazione conoscesse l’assessore Maggioni, un giovane professionista al quale, da bambino, gli scout hanno passato la mentalità che vivere vuol dire “servire”. Un mese fa abbiamo avuto un colloquio con l’assessore Maggioni per esporgli il problema. Dopo quindici giorni è venuto un suo funzionario per prenderne visione, dopo un mese è stato predisposto il progetto di fattibilità dal quale ho capito che per fare la pista ci vogliono tanti permessi quanti per costruire la torre Cardin in Piazza San Marco.

Questa mattina c’è stato presentato il progetto, fra quindici giorni l’assessore ha ordinato che i suoi funzionari prendano contatto con l’Anas. Quindi comincerà l’iter per la costruzione. Si spera che nella prossima primavera si dia l’avvio a questa pista indispensabile, anzi improrogabile.

L’incontro mi ha fatto quanto mai contento sia perché sembra che finalmente si sia imboccata la strada giusta, sia soprattutto perché spero d’aver finalmente incontrato un amministratore intelligente, concreto e determinato. Di questi tempi questo non è sicuramente poco!

18.07.2013

il bello e il ridicolo

Ho raccontato ancora che la sagra nella mia vecchia parrocchia aveva fatto il miracolo che né la mia attività pastorale né le mie preghiere erano mai riuscite a fare in tanti anni.

A Carpenedo c’erano quelli della parrocchia e quelli del partito comunista, quelli che venivano in chiesa e quelli che se ne stavano seduti presso il “Bar Centrale” della piazza. Pur essendo stati battezzati, cresimati e sposati, gli uni e gli altri, in chiesa, sembrava che tra loro passasse la grande muraglia cinese a tenerli ben separati.

Fortuna volle che, partendo dalle sagre organizzate dal partito comunista, mi chiesi perché non se ne potesse organizzare una anche in parrocchia. Per raggiungere più facilmente l’obiettivo di riavvicinare i “due popoli”, tentai così di mettere in piedi una “sagra laica” fatta in parrocchia, però mantenendola soltanto “sagra”, quindi: la balera, le crosticine, il tiro a segno e quant’altro, ma niente funzioni religiose o “esche” di ordine ecclesiastico. Fu un successo! Ed un successo che dura da vent’anni!

Non è che vi siano state vistose conversioni, però si arrivò a quell’incontro e a quel dialogo fra le due componenti del vecchio paese che io avevo auspicato fin dal mio primo arrivo in parrocchia.

Lasciando la parrocchia, ho lasciato pure questa iniziativa, ben poco religiosa secondo la prassi ecclesiastica, ma quanto mai vantaggiosa per altri motivi. Non è che nel passato non abbia avuto qualche tribolazione, perché i vicini erano insofferenti per la musica, perché c’era un ingorgo di biciclette e per mille altri motivi che affiorano quando una parrocchia fa qualcosa. In genere dalla parrocchia si pretende tutto, ma purtroppo spesso non si è disposti a concedere nulla.

Quest’anno mi è capitato di incontrare il responsabile della sagra, che ai miei tempi era un ragazzino, e il motivo dell’incontro verteva proprio sulla sagra: perché è arrivata una multa salata avendo i volontari spostato provvisoriamente i cassonetti della raccolta degli indumenti su via Manzoni, che è poi per due terzi di proprietà della parrocchia.

Non ricordo e non credo che ci sia mai stato tanto zelo da parte dei vigili i quali quando servono sono quasi sempre rintanati negli uffici. Ma il colmo dei colmi lo raggiunsero per aver spiccato una multa perché i volontari della sagra avevano fissato uno striscione su uno squallido muraglione che nasconde le belle linee della Villa veneta dei patrizi Michiel.

La motivazione della multa era poi proprio da farsa: il reato consisteva nell’aver appeso lo striscione senza aver richiesto preventivamente il permesso alla Sovrintendenza alle Belle Arti, in quanto il muro è “monumentale”. Quando, semmai, non si capisce come la Sovrintendenza non abbia ancora fatto abbattere quella bruttura!

Le varie burocrazie sembrano proprio insuperabili nella loro stupidità!

19.07.2013

Gli ibiscus

Molti anni fa mi capitava di entrare, con una qualche frequenza, in un vivaio che sta a Riese Pio X, sulla strada che porta ad Asolo, Il proprietario era uno di quei bravi operai, intelligenti e lavoratori indefessi che s’era fatto da sé, arrivando ad avere una bella azienda; la moglie, una cara donna generosa e devota, che mandava avanti la casa trovando però il tempo di dare una mano al marito ed offrendo un tocco di grazia tipicamente femminile al vivaio delle piante da fiore.

Ogni volta che entravo in quell’azienda, che era “casa-bottega”, rimanevo incantato per la stupenda tavolozza di colori e di forme delle piante da fiore. Mi fermavo presso questa piccola azienda a carattere familiare per acquistare gli alberi per i viali e i fiori per Villa Flangini, la splendida villa veneta collocata su uno dei tanti colli asolani.

Villa Flangini era una dimora che mi faceva sognare e della quale ero orgoglioso, tanto che quando vi andavo mi sembrava di essere quasi un patrizio della Serenissima. In realtà essa era ben di più, ospitando gli anziani della mia amata comunità.

Ebbene, un giorno di luglio di tanti anni fa, scoprii nel vivaio dei fiori splendidi di vari colori, grandi quasi una spanna. La padrona mi disse che erano una qualità di ibiscus gigante. Ne acquistai tre piante per il Centro don Vecchi e aspettai con trepidazione l’anno successivo per vederne la fioritura.

A fine giugno, l’anno dopo, sbocciarono questi fiori giganti. Una pianta li faceva bianchi, la seconda rosetta e la terza rossi: uno spettacolo che incantò gli abitanti del Centro.

L’Olinda, una residente che ha il pollice verde, raccolse i semi, a primavera li seminò e ancora oggi, all’inizio di luglio sbocciano a chiazze questi fiori che si rifanno alla Belle Epoque.

La mia sorpresa però non si fermò alla grandezza e alla bellezza del fiore, ma anche alla sua durata. Gli ibiscus giganti si aprono al mattino e col tramonto del sole si chiudono, stanchi, come si fossero affaticati per la loro sfilata di bellezza: un fiore meraviglioso che dona il meglio di sé, ma che però conclude il suo dono in semplici otto ore.

Al mattino, quando passo e vedo le corolle ormai chiuse in se stesse e avvizzite, esse mi fanno pensare che pure noi uomini dovremmo dare ogni giorno il meglio di noi stessi, perché, come dice il poeta: “si fa subito sera” e la Bibbia suggerisce che “c’è un tempo per tutto”: guai a noi non fiorire nel tempo fissato dalla Divina Sapienza.

18.07.2013

Ora basta!

Non ho mai seguito con molta convinzione le vicende della banca del Vaticano, un po’ perché non mi intendo di finanza a quei livelli così complicati e un po’ perché ho sempre provato disagio e vergogna scoprendo che nella propria “casa” c’è qualche cosa di “irregolare”. Ora però, con lo scandalo di mons. Scarano, che noleggia perfino un aeroplano per portare a spasso tra la Svizzera e il Vaticano decine e decine di milioni, mi pare si sia arrivati veramente a quel colmo che già vent’anni fa pensavamo di aver raggiunto.

Ricordo gli imbrogli col Banco Ambrosiano, con quei tristi figuri di Sindona, di Calvi e di Marcinkus, ma purtroppo da allora le cose sono andate di male in peggio ed a scadenze ravvicinate sono scoppiati scandali su scandali.

Oggi apprendo dalla stampa che l’amministratore Gotti Tedeschi, che Papa Ratzinger aveva chiamato per ripulire la banca e che altri hanno cacciato con motivazioni davvero infamanti – motivi che mi avevano sorpreso per la loro crudezza – ora è completamente assolto, anzi pare che sia stato mandato via perché avrebbe voluto mettere ordine nei conti ingarbugliati e, pare, truffaldini dello IOR.

Oggi mi pare che si debba dire con decisione “BASTA!” con questa gente che sporca le vesti della “Sposa bella”!

Qualche giorno fa ho visto alla televisione delle carrellate sull’incontro avuto da Papa Francesco con i seminaristi, i chierici che si preparano al sacerdozio e le novizie che si preparano a fare i voti di povertà, castità ed obbedienza per diventare suore a servizio del popolo di Dio. Erano volti bellissimi, puliti, sani, profumati di giovinezza e di ideali e poi mi venne d’istinto di confrontarli con quelli dell’ammucchiata di monsignori che stanziano perennemente a San Pietro come una macchia di papaveri rossi in un campo di grano. Provo veramente rabbia e ribellione!

Quando penso alle tante mamme che educano i figli alla fede, a quei meravigliosi missionari che lasciano tutto per diffondere il messaggio di Gesù, agli innumerevoli martiri che ancora oggi versano il sangue per rimanere fedeli a Cristo, ai vecchi parroci che, nonostante l’età e mille altri disagi, vivono per le loro comunità, e poi vengo a sapere che laici ed ecclesiastici sporcano il volto della Chiesa con intrallazzi di carattere finanziario, provo rabbia e ribellione, perché è intollerabile che ci sia in Santa Madre Chiesa della gente che continua ad offendere il sacrificio di milioni e milioni di cristiani onesti e coerenti.

16.07.2013

L’ebbrezza del prete

La mia fortuna, o meglio la grande Grazia che il buon Dio mi ha fatto, è stata quella di aver sempre avuto nel cuore la certezza che il messaggio cristiano è quello che di più valido sia mai esistito nella storia del mondo ed è quello che dà le migliori risposte delle quali l’uomo ha bisogno per vivere.

Spesso tento di far capire, e talvolta lo dico apertamente, che senza quel messaggio la nostra vita sarebbe un assurdo o, peggio, una beffa.

Il mio ministero da vecchio prete a tanti potrà sembrare marginale o di poco conto, anche perché esso si riduce al sermone domenicale, alla breve riflessione durante l’Eucarestia feriale o alla predica ai funerali, eppure ho la sensazione di trovarmi in una situazione privilegiata e di poter offrire le soluzioni cardine sul senso della vita in assoluto.

Oggi ho celebrato il funerale di una persona a me sconosciuta, un uomo che ha avuto una vita intensa, talora brillante e talora drammatica, che ha vissuto momenti di gloria e di ricchezza e momenti di disperazione, stroncato da un infarto che, come una fucilata, l’ha colpito al cuore. La chiesa era gremita di gente del bel mondo, gente abbronzata, elegante, ma sgomenta ed attonita perché la morte aveva colpito uno di loro, uno che aveva tenuto allegra la loro compagnia, che era stato amato e forse invidiato per il suo charme.

Confesso che ho provato un’ebbrezza sconfinata nel poter offrire un varco di luce tra tanto buio. L’avere la possibilità di assicurare che Dio è padre, che Dio perdona anche chi ha sbattuto “la porta di casa” per vivere in libertà l’avventura della vita, che Dio aspetta a braccia aperte chi comunque ritorna a Lui, è un qualcosa di grande e mi ha fatto sentire quanto è stato gradito questo discorso. Le parole del Vangelo, quando sono pronunciate con convinzione, toccano i cuori e li aprono alla speranza.

Un signore di mezza età che, per il suo modo di fare ho capito che apparteneva a quel mondo brillante e fatuo, è venuto in sagrestia a dirmi: «Padre, usciamo di chiesa più fratelli e migliori» Ed una ragazza giovane, bella ed elegante, sulla soglia della chiesa mi ha stretto la mano per dirmi «Grazie!».

Sono stato felice perché quel “grazie” non andava a me, ma alla parola di speranza offertaci da Gesù.

15,07.2013

Cristani e part time

Ho l’impressione che papa Francesco sia per la Chiesa quello che Kruscev fu per la Russia comunista.

Ormai quella stagione è tramontata, ma anche le persone di mezza età ricorderanno il discorso contro il culto della personalità: per suo merito gli idoli del partito finirono nella polvere. Inizialmente pareva che i mutamenti fossero solo di facciata, però poco tempo dopo saltò il muro di Berlino e i Paesi satelliti ritrovarono l’indipendenza. Poi lo sconquasso fu tale che la società russa subì dei mutamenti radicali.

Non tutto andò per il meglio, però perlomeno è caduta la cosiddetta dittatura del proletariato che provocò tanto sangue e tanta miseria. Ora c’è solo da sperare che il popolo della santa Russia prenda totalmente in mano il suo destino.

Nella Chiesa di papa Francesco la “rivoluzione” è stata invece indolore, ma non meno radicale. Il nuovo Pontefice infatti pare che stia aiutando il popolo di Dio ad abbattere la sacralità, il ritualismo e il verticismo. non passa giorno che non arrivi una picconata, apparentemente garbata e gentile ma che scuote i cuori e mette in crisi le coscienze.

Qualche giorno fa è arrivata quella: “che la Chiesa non sa che farsene dei cristiani a part-time, ossia quelli che presumono di essere tali solamente perché “pagano le tasse a Dio” con l’andare a messa la domenica e poi, durante la settimana, girano a ruota libera come se il Vangelo non esistesse”.

Sono convinto che queste parole pronunciate con bonomia, come se si trattasse di un fervorino di un vecchio parroco di campagna, finiranno per mettere in crisi preti e fedeli, impegnandoli pian piano ad un cristianesimo da Vangelo e non da precettistica della tradizione religiosa..

Mi auguro che le parole e la testimonianza coerente e costante di Papa Francesco ci aiutino a capire che il cristianesimo non è l’abito bello da indossare per le feste, ma la tuta da lavoro che ci permette di sporcarci le mani per rinnovare questa nostra società, rendendola più umana, più solidale e più fiduciosa di vivere nella speranza sotto lo sguardo paterno di Dio.

Papa Francesco sta aiutandoci a capire che la religione è in buona parte una realtà da reinventare.

15.07.2013

Alla ricerca delle cause

Ho appena letto sul settimanale della diocesi un ottimo servizio del dottor Paolo Fusco, il brillante giornalista di questo periodico. Il servizio di Fusco è quanto mai documentato e mette il dito su una piaga aperta e sanguinante. Già il titolo fa rabbrividire chi ha a cuore la Chiesa di Venezia: “Il battesimo non è più scontato” e segue l’occhiello ancora più amaro: “Nella nostra diocesi per due bambini su dieci niente fonte battesimale”. Ciò significa che già un quinto dei nostri bimbi, da un punto di vista rituale e sacramentale, non è più cristiano!

Per il matrimonio siamo sotto il cinquanta per cento, ora la frattura fra Chiesa e cittadinanza locale comincia ben prima e questo divario è una prospettiva molto più grave, perché mentre i novelli sposi in qualche modo hanno ricevuto una catechesi, con il mancato battesimo si arrischia che venga meno anche questa cultura di fondo.

Sono profondamente grato al giornale della diocesi che ha fatto suonare questo campanello d’allarme. Quello di “Gente Veneta” è una scelta di onestà ed è un servizio che il giornale fa alla Chiesa veneziana per svegliarla dal torpore tipico dell’acqua cheta della laguna. Spero, ma con un certo margine di dubbio, che finalmente questa denuncia la scuota da quell’atteggiamento di rassegnazione abbastanza diffuso e dall’accontentarsi dei grandi paroloni, ubriacandosi con toni altisonanti quali: “Anno della Fede”, “Nuova evangelizzazione”, ecc, quando poi tutto resta fermo come prima.

Il periodico riporta poi i rimedi suggeriti dagli esperti e dagli attuali primi responsabili. Ho letto con attenzione le analisi, le soluzioni dettate dal vicario generale don Pagan, dal provicario don Barlese, dal responsabile dell’evangelizzazione don Perini, da don Berton, vicario per Marghera ed infine da monsignor Bonini, che un tempo era responsabile per Mestre ed ora non so più cosa sia, ma che comunque è una voce autorevole. Ognuno dice delle cose valide, anche se da vecchio parroco avrei qualche dissenso su alcune di esse. Pur non interrogato, mi permetto di aggiungere qualche parere concreto che potrebbe, spero, marginare il fenomeno.

  1. Manca in moltissime parrocchie il presidio, seppur minimo, del territorio. Ricordo a questo proposito un signore che mi ha chiesto di andare a benedire la sua casa perché non era riuscito a convincere il suo parroco a farlo: “Vede don Armando, mi disse, abito da 25 anni in questa strada; qui sono nati bambini, dei giovani si sono sposati, alcuni sono morti, ma in questa strada nessun prete, in 25 anni, ha mai messo piede”.
  2. Molte parrocchie hanno totalmente trascurato l’associazionismo. Mi scuso ancora una volta per il mio peccato di autoreferenzialità, ma nella mia vecchia parrocchia avevo 100 chierichetti, 200 scout, 60 cantori, 400 volontari e, se non avessi avuto l’opposizione di qualche cappellano, avrei avuto anche il coro dei ragazzi e con l’ACR poi ogni anno portavamo almeno 250 ragazzi e 400 anziani in vacanza. Almeno 150, 200 sposi facevano parte dei gruppi di spiritualità familiare, 50 giovani più gli adulti della San Vincenzo.
  3. Quasi tute le parrocchie mancano di strumenti di comunicazione o di informazione, eccetto qualche eccezione i “foglietti” parrocchiali fanno pietà per numero di copie e soprattutto per contenuti.

In parrocchia avevo una rivista mensile con l’obiettivo di una proposta cristiana, rivista che mandavo per posta ad ogni famiglia, ed un settimanale che stampavamo in 3500 copie. Avevamo inoltre un altro mensile, “L’Anziano”, diretto alle persone che avevano superato i sessant’anni e che veniva spedito anch’esso a domicilio. Per vent’anni, con duecento volontari, abbiamo gestito “Radiocarpini” con contenuti esclusivamente pastorali, che poi ho passato alla diocesi perché ero convinto che dovesse avere un bacino di utenza più vasto e perché costava troppo per la parrocchia.

Non ho per nulla la pretesa di insegnare agli altri, ma avevamo in parrocchia il 42 per cento di presenze al precetto festivo e i non battezzati li contavo sulle dita di una mano.

14.07.2013