Economia

Io sono assolutamente inesperto di politica e, peggio ancora, di economia. Come uomo della strada e cittadino di questa nazione, ascolto, cerco di farmi un’idea per assumere dei comportamenti coerenti alla situazione in cui ci troviamo. Ogni tanto mi pare di sentire dei ragionamenti che mi convincono e che mi aiutano a tirare delle conclusioni.

Qualche giorno fa a Radio Radicale ho sentito un professore universitario che ha affermato che in questi ultimi vent’anni i nostri governanti per “farsi vedere belli” e per motivi elettorali, hanno contratto un debito veramente colossale a tassi molto alti ed invece di investire questo denaro in ricerca, in rinnovamento delle industrie e in conquista dei mercati, ha spendacciato, riempiendo il Paese di una folla di statali e parastatali parassiti che non producono che lungaggini e difficoltà e soprattutto hanno abituato i cittadini ad un genere di vita del tutto superiore alle nostre risorse. Ora non si tratta solamente di sanare in poco tempo l’enorme deficit che ci ha portato al disastro, ma soprattutto di rieducare il nostro popolo alla produttività, all’economia, al rifiuto del consumismo e dello sperpero.

Questo risanamento di certo è molto più impegnativo di quello economico e tutte le agenzie sociali devono impegnarsi a farlo e non solamente il governo.

Libia e Siria

Se il comportamento delle persone è talvolta o spesso egoista, prepotente, illogico, crudele e dissennato, quello degli Stati lo è immancabilmente sempre.

Non ho mai capito perché chi è al potere non si lasci mai dirigere dalla propria coscienza, non coltivi mai i valori della giustizia, della pace, della convivenza, della ricerca del bene comune, del dialogo e perfino del compromesso, ma punti sempre a perseguire il maggior vantaggio economico e politico per il proprio Paese, tentando di cogliere con tutti i mezzi tutto quello che può carpire con la diplomazia o, più spesso, con la forza, incurante dei diritti degli altri Stati.

Un paio di anni fa tutto il mondo occidentale pareva che non potesse più tollerare la dittatura del tiranno della Libia, Geddafi e, Francia in testa, l’hanno rovesciato con una tempesta di bombe. Oggi Assad di Siria pare che non sia per nulla meno spietato e feroce con i suoi concittadini, però la Francia e pure Napolitano, mi pare che rimangano assolutamente “indifferenti al grido di dolore” che si alza dal popolo siriano. Fin quando i governanti continueranno a non ascoltare la voce della propria coscienza per ascoltare la “ragion di Stato”?

Anomalo?

La congregazione religiosa dei Paolini, fondata da don Alberione, si dedica in maniera specifica all’apostolato attraverso i mass media.

Un tempo questi religiosi gestivano delle librerie in tantissime città, avevano un’agenzia per la distribuzione dei films, stampavano un settimanale per ragazzi, “Famiglia cristiana”, il mensile “Jesus” ed un altro mensile, “Vita pastorale”, periodico che viene inviato gratuitamente a tutti i sacerdoti del nostro Paese. In quest’ultima rivista c’è una rubrica condotta dai più famosi liturgisti della Chiesa italiana, che rispondono ai quesiti posti dai sacerdoti.

Fino ad un paio di anni fa leggevo questa rubrica, non tanto per avere informazioni sui vari quesiti di ordine liturgico – perché in questo settore me la sbroglio da solo – ma per la curiosità di conoscere fin dove si spingeva la pignoleria di certi preti che pareva avessero la mania di interessarsi del “sesso degli angeli”.

Io di certo non appartengo alla categoria dei preti che hanno lo sfizio di cambiar parole, formule e gesti, ma neanche ritengo di dover sacrificare il mio spirito all'”idolo” delle rubriche e delle formule liturgiche. La mia tendenza attuale è puntare all’essenziale, considerare il rito in tutte le sue espressioni con solamente uno strumento per trasmettere il messaggio, ma tenermi a buona distanza dal “magico” e soprattutto privilegiare tutto quello che oggi può essere compreso dalla sensibilità dell’uomo di oggi. Se posso condensare il mio senso liturgico in una formula, confido che lo sia tutto quello che è bello, è comprensibile e soprattutto aiuta ad accostarmi al mistero ineffabile di Dio, il resto per me è sicuramente antiliturgico.

Gli eterni scontenti

L’estate scorsa è stata veramente torrida. Da quanto hanno detto gli esperti in meteorologia, erano decenni che non si verificava un’estate così calda. La radio e la televisione ci hanno poi terrorizzato intimando ai vecchi di non uscire, i medici e i dietologi ci hanno ripetuto fino all’ossessione di bere molti liquidi, di mangiare verdura e gli economisti e gli esperti di commercio hanno fatto stime su stime dei danni provocati dall’arsura.

In questo clima la gente, sia per il caldo reale che per quello annunciato dai mass-media, per tutta l’estate si è messa al sicuro nei “rifugi anticaldo”; chi ha potuto evadere, è scappato in montagna, mentre la maggior parte s’è rintanata in casa o nei pochi locali refrigerati.

La prima burrascata di fine agosto, con trombe d’aria, improvvisi diluvi, ha di colpo dissetato i campi e abbattuto la temperatura. Al “don Vecchi” in tre, quattro giorni il prato è tornato verde, però la gente, nonostante questo, ha continuato a brontolare.

Sabato, dopo la messa prefestiva, sono uscito nel parco per vedere il verde dopo la prima frescura. Un piccolo crocchio di anziane, che devotamente avevano partecipato alla messa, come me erano uscite nel vialetto del parco per sedersi in una delle tante panchine, quando sentii una che diceva: «Io sento freddo» ed un’altra: «Per fortuna mi sono portata la sciarpa». E tutte, dopo qualche minuto, sono rientrate in casa.

Oggi la gente brontola per i prezzi, brontola per i politici, brontola per il caldo ed un minuto dopo, per il freddo. Pare che tutti, o quasi, siano solamente capaci di brontolare, non trovando niente di bello e di buono a questo mondo, non ricordandosi della miseria della loro infanzia, del patrimonio della saggezza e dell’antico costume italico pare che la nostra gente non abbia ereditato di meglio che lo “jus mormorandi”, mentre ha dimenticato perfino la saggezza del “bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno”.

Ho l’impressione che sia invalso un costume di autolesionismo che ci impedisce di cogliere quel tanto o poco di bene che ancora c’è. Pare poco vera l’affermazione che “i vecchi sono depositari della saggezza”.

Il patriarca Scola, milanese di mentalità, più di una volta è sbottato a dire che i veneziani devono finire di piangersi addosso e lagnarsi di tutto. Il mondo bisogna prenderlo come viene ed anche se non si arriva alle conclusioni di Bertoldo che era felice quando andava male perché dopo sarebbe andata meglio, credo che dobbiamo tutti imparare a cogliere il meglio di ogni evento.

La peste di Camus

Da più di un anno le biopsie non hanno più registrato cellule neoplastiche, tanto che ormai mi ero illuso che ormai la mia “guerra personale” fosse terminata e che “il nemico” fosse stato vinto in maniera definitiva. Le cose non sono andate proprio così, non so se l’attuale sia una guerra di contenimento o sia una “pace armata”, comunque il nemico è rimasto, anche se meno virulento e temibile di un tempo.

Quando il medico curante mi ha ordinato un altro ciclo di interventi, non so se preventivo o di sbarramento, m’è venuto, per associazione di idee, da pensare al romanzo di Camus che ho letto moltissimi anni fa.

Lo scrittore algerino, ma di cultura francese, immagina che nella città di Orano, nell’Africa settentrionale, sia scoppiata la peste. Le autorità ordinano che sia formato, attorno alla città, un cordone sanitario, in modo che il morbo non si diffonda. Il cuore del romanzo consiste nel dialogo del medico col sacerdote, ambedue soggetti di nobile sentire ed altruisti, ma mentre il sacerdote si impegna contro la peste sorretto dalla speranza nell’avvento del Signore, il medico, che esprime il pensiero di Camus, ateo, e che è il vero protagonista del romanzo, si impegna quanto il prete, ma afferma: «Anche se noi riuscissimo a debellare la peste, i suoi germi si nasconderanno negli angoli più oscuri della città e prima o poi piglieranno il sopravvento». L’uomo infatti, per Camus, è comunque soggetto a soggiacere alla morte e prima o poi essa finirà per vincere la battaglia definitiva.

Chi s’è preso cura della mia salute ha riportato più di una vittoria sul nemico, però esso è sempre in agguato e non mi permette di abbassare la guardia. Ora io mi accingo ad affrontare una ennesima scaramuccia, nella speranza di riuscire a far ancora qualcosa di buono, comunque so che al tramonto succederà una nuova e più bella aurora. Questo non è poco!

Il Seniorestaurant si apre alle famiglie

Qualche giorno fa abbiamo avuto un incontro perché il Catering “Serenissima ristorazione”, che da qualche anno fornisce i pasti ai Centri don Vecchi, possa approntare un centro di cottura presso la cucina del Seniorestaurant. Si trattava di accordarci sul come impostare questo nuovo rapporto.

Da parte del “don Vecchi” erano presenti don Gianni, il nostro giovane presidente, un nostro tecnico preparato nel settore della ristorazione e due nostri consulenti nel campo amministrativo. Con noi il dirigente di questa azienda che si occupa della ristorazione e che sforna ogni giorno più di venticinquemila pasti.

L’incontro è stato quanto mai positivo perché m’è parso che il dialogo per trovare il punto di incontro sia stato portato avanti con estrema correttezza e con un senso di calda umanità. M’è parso che nessuno volesse “fare l’affare” e che si cercasse veramente una soluzione che potesse andar bene per tutti.

Io sono stato particolarmente felice del risultato sia perché avremo “in casa” un servizio quanto mai importante, ma soprattutto per due aspetti collaterali al problema che qualificheranno ulteriormente il polo solidale del Centro don Vecchi.

Ho chiesto se ci avrebbero messo a disposizione ciò che avanzava delle vivande e questo responsabile ha accettato con calore e positivamente la richiesta. Attualmente riusciamo a destinare ai poveri ogni giorno una trentina di confezioni, avendo una quarantina di commensali, spero che in futuro, con 300 pranzi, gli “avanzi” siano in quantità veramente maggiore.

Abbiamo inoltre abbozzato il progetto per offrire alle famiglie di modeste condizioni economiche l’opportunità di poter pranzare, in occasione di battesimi, prime comunioni, cresime e nozze, compleanni ed onomastici, al Seniorestaurant, con menù di tutto rispetto per la cifra di 10-15 euro a persona.

La cosa mi ha fatto veramente felice perché oggi possono dirsi veramente poveri anche gli operai con uno stipendio di 1000-1200 euro al mese. Con un po’ di buona volontà le possibilità di far del bene sono pressoché infinite.

P.S. Purtroppo l’operazione non è andata in porto a causa della solita burocrazia, pignola e ottusa.
Speriamo però di “salvare” almeno “i pranzi low cost” per feste e ricorrenze famigliari della povera gente.

Un cittadino benemerito

Io non ho mai saputo che in via Zanella n°6 vivesse, fino ad un paio di anni fa, un agente di finanza in pensione. Ma un bel giorno un amico di questo concittadino, radioamatore come lui, mi telefonò raccontandomi che questo suo amico gli aveva confidato di voler lasciare la sua casa in eredità al Centro don Vecchi.

La cosa era vera, infatti un paio di mesi dopo la morte, avvenuta a Tolmezzo, suo paese natio, il notaio del luogo mi comunicò che la Fondazione aveva ricevuto in eredità dal defunto Enrico dei Rossi, la sua casa in via Zanella 6 a Mestre.

La pratica seguì il suo iter burocratico, tortuoso come sempre, comunque all’inizio di quest’anno siamo entrati in possesso della villetta. “Villetta” è forse un termine un po’ esagerato, perché chiamare con questo nome vezzoso che ti fa pensare ad un edificio di pregio con giardino, è certamente esagerato per questa casetta, un modesto fabbricato in malarnese, bisognoso di un restauro radicale; pur tuttavia la vicinanza al centro, l’entrata unica, l’ambiente medio-borghese, l’hanno reso appetibile fin da subito.

Abbiamo incaricato un’agenzia che ha valutato l’edificio in 170.000 euro, importo a parer mio un po’ esagerato sia per la condizione dello stabile, ma soprattutto per la crisi attuale dell’edilizia.

Comunque abbiamo concluso il contratto per 124.000 euro – contento l’acquirente e più contenti noi, che disponiamo così di denaro sonante per il Centro don Vecchi 5 per anziani in perdita di autonomia.

Ho fatto un po’ di conti: tenendo conto che il “don Vecchi 5” verrà a costare quattro milioni, ognuno dei 60 appartamenti costerà 50.000 euro. Col suo testamento il concittadino Enrico dei Rossi metterà quindi a disposizione di anziani poveri e in difficoltà, a rotazione, quasi due alloggi e mezzo, in una struttura con servizi e spazi comuni, per almeno cent’anni.

Notizie come queste dovrebbero occupare le prime pagine dei nostri giornali, al posto di quel ciarpame e quella spazzatura di cui sono pieni!

Sommersi e salvati

Tra i fedeli con i quali prego ogni domenica, c’è un magistrato che mi onora della sua amicizia e che spesso mi dona un film, un CD di musica sinfonica e, più spesso, qualche volume. Questo mio caro amico ha fiuto nello scegliere le sue letture e si rende pure conto di quello che mi interessa.

L’ultimo volume donatomi è “Sommersi e salvati” di Primo Levi, uno dei pochi ebrei che fisicamente è uscito dal lager di Auschwitz, ma la cui tragica esperienza non gli risparmiò la vita; infatti Levi è morto suicida sotto il peso insopportabile di questa sua tragica esperienza.

Di Primo Levi avevo letto, in proprio, “Se questo è un uomo!”, una lettura che mi ha segnato per la vita, facendomi scoprire gli abissi dell'”homo, homini lupus”, l’uomo capace di sbranare l’altro uomo. Il volume mi portò davanti agli occhi, alla mente e al cuore, la brutalità di certi elementi del popolo tedesco traviati da un uomo pazzo e sanguinario. Poi lo stesso magistrato mi regalò “La tregua”, in cui Levi narra del suo ritorno fortunoso tra la ragnatela di una burocrazia insensata ed assurda.

Infine mi ha regalato quest’ultimo, “Sommersi e salvati”, volume in cui Levi si lascia andare solo marginalmente al racconto, mentre fa un’analisi lucida e spietata dei comportamenti umani. In questo volume veramente sublime questo ebreo torinese mostra una intelligenza, un intuito ed una capacità di analisi insuperabili.

Ho letto il libro d’un fiato, ma dovrei rileggerlo mille volte per recuperarne tutta la sapienza.

San Paolo fu rapito al terzo cielo e quando mise i piedi per terra disse: «Ho visto cose che occhio umano non ha mai visto e sentito cose che orecchio umano non ha mai sentito». A me è capitata la stessa cosa a proposito del negativo dell’umanità. Di questa lettura dovrei dire mille cose; non ne dico alcuna perché mi è pressoché impossibile e perché spero che ai miei amici venga voglia di leggerlo. Voglio solamente confidarvi la conclusione, a livello emotivo e razionale, a cui la lettura del volume mi ha fatto giungere: “Hitler è stato una bestia feroce impazzita, ma i suoi seguaci, nella loro globalità, non furono da meno. E oggi i tedeschi della Merkel purtroppo fanno gli arroganti per la loro forza economica. Essi sono i figli di chi si è prestato ad eliminare milioni di ebrei, minorati fisici, zingari, dissidenti politici e nemici della mania della superiorità.

Un Papa mancato ed un cristiano realizzato

Proprio un paio di giorni fa ho scritto della mia profonda ammirazione per il cardinal Martini che “da ricco che era s’è fatto povero”. E confessavo che l’odierna sua “povertà” mi convinceva molto di più di quando si presentava in tutta la sua imponenza di Cardinale di Santa Romana Chiesa e di successore di sant’Ambrogio, l’arcivescovo della diocesi più grande e importante d’Italia.

Non ho ancora finito di leggere il suo ultimo volume, scritto mentre il Parkinson gli stava rubando la parola e la vita. Ho udito però alla televisione la morte di questo vecchio vescovo che ha continuato a lavorare fino all’ultimo e ho ripreso in mano il volume “Qualcosa in cui credere” cercando la data in cui fu scritto. Non l’ho trovata, comunque non credo che di Martini sia uscito nulla di più recente.

Ho riletto con tenerezza e commozione la frase scritta in copertina, in cui egli denuncia non solamente la sua fragilità fisica, ma pure la sua fragilità spirituale. Al grande cardinale sembrava che venissero meno le certezze proclamate con enfasi dalla cattedra prestigiosa di Sant’Ambrogio, per vestirsi dei dubbi, delle perplessità e della fragilità spirituale degli uomini del nostro tempo. La sua ricerca dimessa è la confessione di cercare di trovare un terreno ancora solido su cui mettere i piedi della sua vita.

Questo cardinale che ha messo nell’armadio la porpora per vestirsi della veste povera della fede del cristiano di oggi, lo sento vero, lo sento un povero come me, che offre e chiede a sua volta il braccio per non cadere e per continuare il cammino fino alla fine.

La stampa s’è buttata a capofitto e per qualche giorno guazzerà dentro la vita e la testimonianza di questo uomo di Dio. Ho letto che Martini è stato perfino “un Papa mancato”. Di queste cose non me ne intendo e non mi interessano, però posso dire che per me è stato un cristiano felicemente incontrato.

Il diritto alle vacanze e il dovere della carità

Ricordo che quando ero assistente alla San Vincenzo sono arrivato al limite della rottura con i seppur bravi volontari. Per quanto tentassi di ripetere che i poveri d’estate han più bisogno di sempre, non ci fu verso che riuscissi a far desistere qualcuno dall’osservare “il comandamento delle ferie”.

Una trentina di anni fa arrivai alla minaccia: «Se voi continuate a voler chiudere la mensa dei poveri ad agosto, io chiamo le suore della città a mantenerla aperta». Fu un fiasco, perché non ci fu suora che avesse risposto al mio appello. Il risultato massimo che riuscii a raggiungere fu quello di ridurre la chiusura a venti giorni piuttosto che tutto il sacro mese di agosto.

Quest’anno non è andata meglio degli altri. Hanno guadagnato la medaglia d’oro solamente la “Bottega solidale” e il “Chiosco di frutta e verdura del “don Vecchi”, mentre per il resto il KO è stato più o meno vistoso.

Comunque sempre KO è stato: per il Ristoro, la mensa della San Vincenzo, per la mensa dei Padri Cappuccini di via Olivi, per il Banco Alimentare di Carpenedo Solidale. Ancor più grave la sconfitta della mensa dei Somaschi di Altobello, la cui chiusura è arrivata al record di un mese e mezzo.

Proprio questa mattina ho letto nel breviario l’omelia di san Giovanni Crisostomo, il quale, ancor millesettecento-ottocento anni fa ammoniva i cristiani che era illusorio spender denaro per il corpo di Cristo che è in chiesa, mentre si trascurava quello che sta in mezzo a noi nelle vesti del povero.

Anche la Chiesa del nostro tempo ha tanta strada da fare per mettere in pratica l’insegnamento di Gesù. Io non ho l’autorevolezza del Crisostomo, comunque sento il dovere di dare questa deludente notizia.

Eutanasia e accanimento burocratico

Il problema dell’eutanasia, la scelta di suicidarsi in maniera indolore e con l’assistenza medica in una struttura ospedaliera, è ricorrente presso l’opinione pubblica del nostro Paese.

Ben s’intende i radicali sono, come sempre, in prima fila nel richiedere che anche in Italia, come in Svizzera o in Olanda, si legalizzi questa fine della vita, ritenendo che il cittadino sia l’arbitro assoluto della propria esistenza. Si toglie quindi a Dio il compito di stabilire l’inizio e la fine della vita, per affidarlo a qualche mestierante senza scrupoli della medicina o della chimica.

Questo problema ha toccato il culmine della notorietà, un paio di anni fa, con il caso Englaro e qualche settimana fa è stato rintuzzato in occasione della morte del cardinale Martini il quale ha rifiutato l’accanimento terapeutico, che in verità tutt’altra cosa dall’eutanasia.

Per una strana concomitanza di idee mi è venuto un confronto con un’altra forma di accanimento per il fatto che da decenni mi capita di essere impelagato in pratiche infinite per ottenere dal Comune e da enti similari i permessi per aiutare il prossimo.

I burocrati di questi enti pare che invece di aiutare i volonterosi che hanno una sensibilità sociale, abbiano un gusto perverso per complicare e per rendere più difficile l’espletamento di pratiche spesso assurde. Si preferisce che la gente viva e muoia nella melma piuttosto che facilitare chi si impegna per aiutare i poveri.

Le pratiche sono spesso stupide, assurde, formali, incomprensibili: il tutto per incensare un'”idealetto” chiamato regolamento o legge, dimenticandosi che la legge è fatta per l’uomo e non viceversa.

“L’accanimento burocratico” è molto peggiore di quello terapeutico, fa diventare penosa ed amara l’esistenza e porta all’atrofia e alla morte della solidarietà. A questo masochismo assurdo s’aggiunge spessissimo la faziosità e la partigianeria.

Qualche giorno fa ho avuto modo di visitare una struttura comunale per anziani autosufficienti, una struttura costosissima la cui retta si avvicina ai duemila euro. Ebbene, mi è sembrata quanto di peggio si possa immaginare se confrontata con uno dei Centri don Vecchi: equivale alla differenza fra una stamberga e una reggia. Eppure la burocrazia comunale invece di bonificare le sue strutture se la pigliano con quelle del privato sociale che sono infinitamente più belle e nelle quali si paga infinitamente meno.

Il pericolo dell’Isolotto

Mi pare che l’anno scorso sia morto don Mazzi, il prete fioretino che ha dato vita alla “parrocchia” dell’Isolotto.

Don Mazzi fu un prete non privo di intelligenza ed anche di zelo il quale, ai tempi del Concilio Vaticano Secondo, fece un miniscisma a Firenze.

Allontanato dalla parrocchia per le sue idee eccessivamente progressiste, riunì attorno a sé un piccolo gruppo di fedeli con i quali celebrava all’aperto in non so quale parte della città.

Come sempre chi sbatte la porta della “Casa paterna” si riduce in miseria. Così succede per le innovazioni che reggono e che devono essere portate avanti con coraggio, umiltà e pazienza sempre all’interno della comunità; chi rompe si riduce a diventare un transfuga con una sua piccola banda di sbandati.

E’ capitato così anche per i preti riformatori del ’68; si sono volatilizzati e la comunità ha continuato il suo cammino più pigra ed indolente di prima, da un lato perché la ribellione crea anticorpi di autoconservazione e dall’altro perché, essendo la stessa privata di elementi vivaci, intelligenti, assetati di verità e futuro, diventa più tarda, chiusa e meno vivace.

La repressione però degli elementi che mettono in discussione l’apparato, che aprono una dialettica costruttiva con superiori e colleghi e soprattutto tentano costantemente di coniugare la fede e soprattutto la religiosità con i tempi nuovi, è sempre un cattivo agire ed una perdita in assoluto.

Nella Chiesa attuale i veri profeti in questi ultimi tempi sono sempre rappresentati dai “dissidenti per amore” – vedasi don Mazzolari, don Milani, don Benzi e, ultimo della serie, il cardinale Martini.

Guai però costruire monumenti a questi profeti scomodi solo dopo la morte, occorre invece far circolare le loro idee e innestarle nel tessuto reale della Chiesa perché diventino sale e lievito che tormentino ma che diano vita.

E’ un grave errore ritirarsi nell'”isolotto”, ma è altrettanto grave cacciare questa gente che è scomoda e può avere un certo grado di irrequietezza ma che sempre palpita di vita. Il privarsi di loro equivale a privarsi dell’animo e tenersi un corpo tranquillo ma senza vita.

La fede occulta

Il Gazzettino è ritornato più di una volta a parlare della religiosità di quel Nordest a cui appartiene anche Mestre. Normalmente queste analisi si rifanno ad inchieste commissionate ad istituti specializzati. Credo che per i cristiani e soprattutto per preti e operatori pastorali, sia quanto mai importante tastare il polso della situazione per fare progetti, piani di lavoro e scelte coerenti. Normalmente questi sondaggi dell’opinione pubblica riguardano il territorio del Triveneto, però noi della diocesi di Venezia disponiamo dei risultati di una consultazione specifica svolta nel territorio della Chiesa di San Marco, non fatta per campione ma risultante dalla consultazione di tutti coloro che erano oggetto dell’indagine. Mi riferisco al sondaggio promosso una decina di anni fa dal patriarca Scola prima di iniziare la visita pastorale. E’ risultato che i partecipanti al precetto festivo, nella diocesi di Venezia, non raggiungono il venti per cento. Questa è la media ma ci sono delle parrocchie in cui non si supera il dieci per cento.

Il processo di scristianizzazione è evidente e comincia sempre con l’abbandono della pratica religiosa. Eppure sono convinto che per fortuna la fede, magari in maniera occulta, ma è ancora presente. Si tratta quindi di ravvivare il fuoco sotto la cenere grigia ed inerte.

Io premetto sempre un colloquio con i famigliari del “caro estinto”. Spesso mi si dice che egli era credente ma non praticante. Meno frequentemente, magari con qualche difficoltà, mi si dice che aveva un’etica, ma non era credente. In questo caso io mi faccio forte del fatto che nel battesimo il Signore l’ha adottato come figlio. Quindi, partendo dalla convinzione che se anche uno crede di non amare più Dio, Egli comunque continua ad amare i suoi figli di adozione, offro al Signore il sacrificio di Gesù e Gli chiedo di accoglierlo comunque in Paradiso perché, magari nelle forme più inusitate, sostanzialmente s’è rifatto a Lui nella sua condotta.

Pure in questi casi vedo che la gente partecipa, ascolta, prega e perfino, talvolta, si accosta all’Eucarestia. Questo mi dà modo di accorgermi che la fede, magari in maniera occulta, c’è ancora tra la nostra gente. Si tratta quindi di riattizzarla con pazienza e buona volontà.

I miracoli de “L’incontro”

Tantissime volte, a motivo dei costi esorbitanti, dell’impegno gravoso a livello personale e del sacrificio che “impongo” ai miei collaboratori, sarei tentato di chiudere “L’incontro”. Ad 84 anni mi sembrerebbe legittimo sperare che la gente più giovane e più preparata di me dia voce alla coscienza critica dei concittadini e soprattutto dei cattolici mestrini e ponga alla loro attenzione problemi gravi ed impellenti della solidarietà.

“L’incontro” però non adempie solamente a questo compito importante, ma riesce ancora a proporre nuove iniziative, nuove strutture e servizi ed inoltre riesce a stimolare la città a farsi carico dei problemi dei poveri ed a recuperare quei mezzi finanziari necessari a dar volto a servizi e strutture solidali.

Dobbiamo di certo a “L’incontro” le numerose eredità che finora ci sono state destinate e le centinaia di migliaia di euro di beneficenza che hanno reso possibile la costruzione dei 315 alloggi per anziani poveri.

Se non ci fosse stato “L’incontro” a sensibilizzare i concittadini, chi mai sarebbe stato capace di reclutare le centinaia di volontari dei quali dispone “il polo solidale” del don Vecchi e a portare a conoscenza dell’opinione pubblica quel polo solidale a cui ricorrono almeno trenta-quarantamila concittadini in difficoltà?

Vorrei oggi far conoscere uno degli innumerevoli risultati che questa rivista, modesta finché si vuole ma cercata e letta a Mestre, ci ha offerto in questi giorni. Un’azienda ci ha offerto un camion intero di oggetti e decorazioni per Natale. Si trattava di trovare un negozio che a titolo gratuito ci fosse messo a disposizione per organizzare un mercatino natalizio a favore del don Vecchi degli Arzeroni. Neppure due giorni dopo l’uscita del periodico ci è stato offerto un negozio di 150 metri quadri alla rotonda di viale Garibaldi.

Abbiamo trovato i volontari per allestire e gestire il negozio nei mesi di novembre e dicembre. Una persona si è offerta di ottenerci tutti i permessi necessari e c’è perfino un commerciante disposto ad acquistare una parte della merce.

L’incontro fa questo ed altro, non è un rotocalco a colori, però riesce a far miracoli pure in questo nostro tempo così scettico ed egoista.

Un ceto sempre più deludente

Fino a pochi giorni fa il presidente Monti ha sempre detto che come Cincinnato se ne sarebbe tornato a fare il suo mestiere, cioè il presidente della Bocconi, la più prestigiosa università italiana, una volta scaduto il suo mandato. A me Monti piace tanto anche per questo aspetto: s’è messo al servizio del Paese, ha fatto il lavoro meno ambìto e più amaro, che è quello di imporre il rigore per “raddrizzare la barca” per poi tornarsene alla professione che ha scelto e che sa far molto bene.

Mi è capitato di incontrare, qualche tempo fa, una studentessa di quella università e da lei ho appreso quanto sia stimato ed amato dai suoi allievi. E come non si potrebbe amare una persona seria, onesta, sobria e pulita che parla chiaro e non inganna la sua gente? Tutti, fuorché i politicanti avvertono il bisogno di avere come governanti persone oneste, coerenti, che servono e non si servono della collettività.

Ora però che il ceto politico, invece di rinnovarsi, si sta ulteriormente impelagando in diatribe, in rivalità, in massimalismi ed in contese infinite ed inconcludenti, capiamo che in un paio di settimane i vecchi politici interessati, rissosi e millantatori di capacità che hanno abbondantemente dimostrato di non avere, sono desiderosi e pronti a distruggere quanto Monti e la sua squadra sono riusciti a fare in così poco tempo. Nonostante questo, pare che per fortuna Monti si sia mosso a pietà dei suoi concittadini e cominci a prospettarsi la disponibilità a continuare a portare la croce per ancora un po’ di strada.

Prevedo però, con infinita amarezza, che i vari Bersani, Vendola, Berlusconi, Di Pietro da un lato e la pasionaria della CIGL Camusso dall’altro, non accetteranno questa splendida opportunità per non deludere le loro infinite clientele che a decine di migliaia vogliono continuare a vivere in maniera parassitaria sulla pelle degli italiani.

Solo un miracolo ha portato Monti al governo e di miracolo ce ne vorrà un secondo, più grosso, per permettergli di accompagnare il Paese per un altro tratto di strada e portarlo al sicuro. Spero e prego perché anche questo possa avvenire nonostante tutto.