Eutanasia e accanimento burocratico

Il problema dell’eutanasia, la scelta di suicidarsi in maniera indolore e con l’assistenza medica in una struttura ospedaliera, è ricorrente presso l’opinione pubblica del nostro Paese.

Ben s’intende i radicali sono, come sempre, in prima fila nel richiedere che anche in Italia, come in Svizzera o in Olanda, si legalizzi questa fine della vita, ritenendo che il cittadino sia l’arbitro assoluto della propria esistenza. Si toglie quindi a Dio il compito di stabilire l’inizio e la fine della vita, per affidarlo a qualche mestierante senza scrupoli della medicina o della chimica.

Questo problema ha toccato il culmine della notorietà, un paio di anni fa, con il caso Englaro e qualche settimana fa è stato rintuzzato in occasione della morte del cardinale Martini il quale ha rifiutato l’accanimento terapeutico, che in verità tutt’altra cosa dall’eutanasia.

Per una strana concomitanza di idee mi è venuto un confronto con un’altra forma di accanimento per il fatto che da decenni mi capita di essere impelagato in pratiche infinite per ottenere dal Comune e da enti similari i permessi per aiutare il prossimo.

I burocrati di questi enti pare che invece di aiutare i volonterosi che hanno una sensibilità sociale, abbiano un gusto perverso per complicare e per rendere più difficile l’espletamento di pratiche spesso assurde. Si preferisce che la gente viva e muoia nella melma piuttosto che facilitare chi si impegna per aiutare i poveri.

Le pratiche sono spesso stupide, assurde, formali, incomprensibili: il tutto per incensare un'”idealetto” chiamato regolamento o legge, dimenticandosi che la legge è fatta per l’uomo e non viceversa.

“L’accanimento burocratico” è molto peggiore di quello terapeutico, fa diventare penosa ed amara l’esistenza e porta all’atrofia e alla morte della solidarietà. A questo masochismo assurdo s’aggiunge spessissimo la faziosità e la partigianeria.

Qualche giorno fa ho avuto modo di visitare una struttura comunale per anziani autosufficienti, una struttura costosissima la cui retta si avvicina ai duemila euro. Ebbene, mi è sembrata quanto di peggio si possa immaginare se confrontata con uno dei Centri don Vecchi: equivale alla differenza fra una stamberga e una reggia. Eppure la burocrazia comunale invece di bonificare le sue strutture se la pigliano con quelle del privato sociale che sono infinitamente più belle e nelle quali si paga infinitamente meno.

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