Talvolta non basta il buon cuore

Quando mi imbatto in un problema, esso mi accompagna per lungo tempo perché la soluzione risulta sempre difficile. Spesso un affanno lo supero quando ne incontro uno di nuovo e di più urgente e di più grosso.

Ritorno quindi su un tormentone a cui ho accennato ieri, ossia l’urgente e grave necessità che nella nostra diocesi, o almeno nella nostra Mestre, venga creato un centro direzionale ed operativo che coordini i servizi caritativi esistenti, indirizzi a quello rispondente al bisogno del richiedente, accompagnandolo con una presentazione e soprattutto faccia opera di monitoraggio sulla situazione esistente segnalando alla città e ai suoi responsabili le carenze registrate perché vi si possa provvedere.

Oggi ritengo doveroso ritornare sull’argomento con un caso concreto. Da un paio di mesi peregrina per la città una famigliola rumena composta dal marito – credo poco più che trentenne – da un bimbo di un paio di anni e dalla moglie incinta che, a giorni avrà un secondo figlio. Alle spalle c’è uno sfratto per morosità, una incoscienza radicale unita a nessuna volontà di lavorare da parte del marito ed una completa e passiva incoscienza da parte della giovane sposa.

Da alcuni mesi questa famiglia sopravvive a Mestre chiedendo una casa e un lavoro ai passanti e ai preti. Una vita certamente molto grama; però essi non riusciranno mai a uscirne da soli e in città per loro non c’è una facile soluzione. Per caso li ho incontrati per strada indicando loro un possibile tentativo, ma molto probabilmente hanno trovato più conveniente continuare a vivere di espedienti. Finché si sono imbattuti in un giovane parroco della periferia, un prete intelligente, ma soprattutto generoso che momentaneamente, non sapendo da che parte voltarsi, ha offerto loro il suo garage. Fra qualche giorno sulla porta del garage della parrocchia apparirà un fiocco per “il lieto evento”.

A quest’uomo avevo suggerito di rivolgersi alla “Casa famiglia” della Giudecca che avrebbe ospitato sia la sposa che il bambino e quello nascente, oppure al “Movimento per la vita” che avrebbe aiutato questa famiglia di disperati, ma lui non ne fece nulla del mio consiglio.

Chi mai, incontrando prima o poi questa gente, potrà trovare una soluzione e chi potrà stare con l’animo in pace dopo aver incontrato un dramma del genere?

Solamente sapendo che la città e la chiesa sono così ben organizzate da poter offrire sempre una soluzione, magari provvisoria, ma sempre pronta ed esaustiva, un cittadino o un cristiano che poi contribuisca al suo mantenimento, può stare con la coscienza in pace, qualora incontrando questa famiglia le possa indicare con certezza chi è attrezzato ad aiutarla, senza che questa gente continui a pietire o ad approfittarsi del prossimo.

P.S. Al momento di andare in macchina abbiamo appreso che questa famiglia è stata aiutata a ritornare in Romania.

Un centro direzionale

Per una sensibilità, molto probabilmente ricevuta da madre natura, o dal fatto di essere nato in una famiglia di modestissime condizioni economiche, o forse per aver letto il Vangelo da un’angolatura particolare, fin da sempre sono sensibile alle condizioni dei poveri. Le situazioni di disagio incontrate lungo la vita, mi hanno sempre coinvolto e, per l’educazione ricevuta, ho sempre guardato con sospetto le grandi proclamazioni di principio privilegiando l’impegno concreto, anche se mi rendevo conto che raramente fosse risolutivo.

Quel poco che sono riuscito a realizzare è sempre nato da queste convinzioni e da questa filosofia di vita. Spesso sono stato incompreso, altrettanto spesso sono stato criticato dai vendivento del momento o da quanti predicano la carità preoccupati però d’avere la pancia piena e che le attese dei poveri non turbino la loro vita piccolo borghese.

Per grazia di Dio ho sempre tirato dritto ed ora, che sono giunto al tramonto dei miei giorni, non ho nessunissima ragione di cambiare. Mi rendo conto però sempre più che la mia Chiesa, ossia la diocesi di Venezia, avrebbe assoluto ed inderogabile bisogno di avere una cabina di regia.

Nella comunità cristiana di Mestre e di Venezia fortunatamente e per grazia di Dio vi sono numerose e belle iniziative di carattere solidale, parecchi servizi funzionanti ed un esercito di volontari che in essi sono impegnati, però sono tutte iniziative acefale, raramente intercomunicanti e per nulla messe in rete. Ritengo che la creazione di un “cervellone” – ed ora ci sono mezzi tecnici a disposizione per approntarlo – con qualche operatore a tempo pieno, magari assunto regolarmente e pagato dalla comunità, potrebbe mettere in rete e sviluppare sinergie quanto mai efficaci.

Io ho tentato di creare un sito mettendoci dentro le soluzioni per le richieste più diversificate, chiamandolo con la denominazione “Mestre solidale“, però da un lato non sono riuscito ad aggiornarlo e propagandarlo. Soluzione simile l’ha tentata monsignor Bonini del Duomo e, più di una volta, la Caritas diocesana, però questi tentativi restano strumenti freddi e inerti. Mentre credo che serva, si, uno strumento aggiornato al massimo, che fotografi le opportunità e i servizi disponibili per ogni singola situazione e sollevare il disagio degli operatori che suggeriscono ed accompagnano il povero che chiede aiuto.

I codini

Un tempo le persone un po’ effeminate ed untuose che fanno la corte agli uomini che contano, quelli che si lasciano andare a forme di servilismo esagerato, erano denominate “codini”, lacchè, portaborse. Ora pare che la società accetti più pacificamente queste forme di adulazione più o meno interessate che un tempo erano proprie dei servi, dei segretari, dei barbieri e categorie del genere.

Attualmente mi irritano certi rimasugli di questi atteggiamenti servili che mi pare di riscontrare negli addetti alle imprese di pompe funebri nei riguardi dei famigliari “del caro estinto”. Questo fenomeno, ahimè, lo riscontro ancora ben presente nell’ambiente ecclesiastico nei riguardi della gerarchia, un atteggiamento adulatorio e servile verso l’autorità, per possibili vantaggi a livello di carriera che si nasconde dietro la virtù dell’obbedienza.

Una lunga tradizione ed educazione mistica, favorita certamente da chi detiene il potere, per motivi perfino troppo facili da comprendere, ossia per facilitare il governo, è venuta a esaltare la “virtù della santa obbedienza” inducendo praticamente gli inferiori al “signorsì” del mondo militare.

Ritengo che l’obbedienza sia tutt’altra cosa che l’esporre con rispetto le proprie opinioni che talvolta possono essere diverse e perfino opposte a quelle del superiore. Io non arrivo a parlare, come qualcuno ha teorizzato, della “virtù della santa disobbedienza”, però ritengo che il rapporto debba essere sempre franco, onesto, virile, perché solamente così si dimostra rispetto per l’autorità e soltanto così si può trovare il coraggio di obbedire anche su qualcosa che non si ritiene giusto ed opportuno.

Purtroppo talvolta è più comodo e più facile offrire un consenso formale; questo è un doppio male perché non si è onesti, non si ha vero rispetto per l’autorità e soprattutto si abitua il superiore a non confrontarsi e ad accettare opinioni diverse dalla sua.

Rosmini ha parlato delle cinque piaghe della Chiesa, non so se il servilismo sia una di queste, comunque di certo è uno dei suoi difetti.

Il mio piccolo mondo antico

Ho ancora intelligenza per capire che il mio è un mondo crepuscolare, intinto di nostalgia per delle realtà umane e spirituali che ho intensamente vissuto, ma che ormai sono al margine della vita. Sono perfettamente cosciente che la società oggi corre su binari nuovi e diversi, che sono percorsi con disinvoltura dalle nuove generazioni, anche se mi capita molto di frequente di domandarmi come fanno gli uomini del nostro tempo, e soprattutto le nuove generazioni, a godere di questo nuovo modo di vivere che a me pare tanto arido, desolante e decisamente brutto.

Quando mi rifaccio alla razionalità, che fortunatamente non ho ancora totalmente perduto, concludo che non è il mondo che è diventato insipido, superficiale e assurdo, ma sono i miei occhi stanchi che non ne colgono la validità. Non è che il mondo sia più brutto, ma la mia vecchiaia, che non è più capace di leggere con attenzione e stupore il libro della vita.

Ieri sera, a “Rai storia”, il canale televisivo che ho scoperto con l’avvento del digitale terrestre, ho seguito un programma su Beniamino Gigli. Minoli, il conduttore onnipresente, raccontava la vita del grande tenore presentando una serie di spezzoni di musica lirica e di canti popolari di questo tenore dalla voce calda e melodiosa.

A dire il vero avvertivo nella figura ed anche nella voce, un qualcosa di vecchio e di passato che invece non ho mai avvertito in Pavarotti, che pur cantava le stesse arie, ma quando confronto parole e melodia di Gigli con quelle di Vasco Rossi o Jovanotti o qualcuno di peggio ancora, non posso non dire che i cantanti di oggi, anche i migliori, sono l’espressione di un mondo sconclusionato senza sentimento, senza poesia e senza ideali.

Dall’altro lato sono assolutamente certo che se parlassi di questi confronti alle ragazzine che sono andate al Lido per “adorare” i nuovi divi, mi guarderebbero come chi indossa vesti ammuffite, sgualcite e polverose trovate in soffitta.

Così va la vita, nonostante i miei criteri che ritengo seri e oggettivi!