“Sia fatta la tua volontà!”

Nota: questo appunto nel diario di don Armando risale ai primi giorni di dicembre 2008.

Ieri sera ho avuto la visita del mio medico curante, una carissima signora della mia vecchia parrocchia.

La dottoressa, pur usando un linguaggio scientifico, mi ha informato dello stato della mia salute con tono affettuoso e rasserenante e nello stesso tempo onesto ed obbiettivo. Gliene sono riconoscente per l’una e per l’altra cosa.

Il carcinoma, che ha dato di se la prima avvisaglia ben cinque anni fa e che innumerevoli volte gli urologi hanno tentato di decapitare, pare non abbia voglia di andarsene neanche dopo le ultime instillazioni chemioterapiche.

Lo confesso che la notizia non mi ha lasciato indifferente, anche perché le persone che mi stanno curando, pur trattando innumerevoli volte dell’argomento, me l’hanno presentato come un ospite indiscreto e non desiderato, ma neanche troppo preoccupante!

Il pensiero dello sgomento del Cardinal Martini, già arcivescovo di Milano e le parole forti e taglienti di padre Maria David Turoldo, mi hanno confortato e mi hanno aiutato ad accettare con più serenità anche la mia preoccupazione.

Se poi ci penso bene dovrei soltanto benedire e ringraziare il Signore; sono giunto agli ottanta anni, vent’anni fa il buon Dio mi ha graziato da un tumore, da cinque anni, nonostante il guaio che mi angustia, ho potuto vivere ed operare senza grosse difficoltà.

Cosa posso desiderare di più, quando in moltissime parti del mondo appena metà o poco più raggiunge l’età che ho raggiunto e so ancora che nella maggior parte sarebbero morti da un pezzo se avessero avuto i malanni che mi hanno colpito?

Stanotte svegliandomi, durante sonni irrequieti, mi è venuto spontaneo dire “Sia fatta la tua volontà!”

“La speranza non delude”

Qualche domenica fa, un gruppo di genitori, che purtroppo hanno in comune la morte precoce di un figlio giovane, mi hanno chiesto di essere ospitati al don Vecchi per una giornata di riflessione e di preghiera.

La cosa era possibile e ben volentieri li ho accolti.

Anche lo scorso anno, era avvenuta la stessa cosa, ma mentre allora erano tutti di Mestre e Venezia, quest’anno provenivano da tutti i paesetti e le cittadine dell’interland.

Il gruppo che incontro mensilmente nella chiesetta di San Rocco, aveva organizzato l’incontro di questa ottantina di genitori, relativamente giovani, che si aiutano con l’amicizia e con la preghiera a rimarginare la ferita mortale e a ritrovare un po’ di serenità e di pace.

Ha celebrato l’Eucarestia don Massimiliano, un giovane ed intelligente sacerdote che con parole calibrate e ricche di fede ha tentato di dare uno sfondo di speranza e di fiducia al dramma di questa povera gente. Al don Vecchi ci siamo fatti in quattro per offrire loro una accoglienza fraterna ed un pranzo confortante.

Oggi, tempo in cui i valori fondamentali e la fede si sono di molto appannati ed indeboliti sono molte le persone che colpite dal lutto, sentono il bisogno di trovare qualcuno che le aiuti ad elaborarlo.

Ci sono psicologi, che a pagamento, applicano le regole del mutuo aiuto, però sono convinto che solo la fraternità e la fede riescono a rimarginare la ferita e a leggerla con frate Francesco, il poverello di Assisi, in maniera positiva.

Andandosene essi mi hanno donato una palla intessuta da fragili fili argentati con una frase di S. Paolo: “La speranza non delude”.

L’ho appesa alla lampada sopra la scrivania per ricordare questi fratelli e per ricordarmi che la speranza è un dono grande del Signore!

Una fede che si realizza nella carità

Una signora mi ha chiesto per telefono un appuntamento per un consiglio; io credo poco ai consigli da parte mia, perché non sono nè saggio nè imbroglione e perciò non posso aiutare il mio prossimo solo con le parole, e da parte di chi li chiede perché, più o meno consciamente, uno domanda ciò che ha già deciso o vorrebbe fare.

Incontrai questa signora di mezza età che non conoscevo, lei fece di tutto per farmi capire che era amica di tante persone che mi conoscevano. Mi trovai di fronte una donna piacevole, intelligente ma, nonostante questo, mi sembrava imbarazzata, tanto che dovetti aiutarla per arrivare al dunque.

Mi raccontò la sua vicenda amara e drammatica e intuii l’angoscia per il domani che lei riteneva ancora lontano ma che io sentivo molto prossimo. Le era crollato addosso il mondo intero, perdendo il benessere economico, il marito che aveva amato e che l’aveva tradita, la sicurezza per il domani!

Qualcuno, giustamente, le deve aver suggerito di venire da me per avere un alloggio che le permettesse di avere almeno un punto fermo nella sua vita in cui tutto sembra franare.

Superata l’istintiva e giusta vergogna, mi confidò di lavorare fortunatamente come commessa, di avere 76 anni (ne dimostrava almeno 30 di meno) e di vivere in una casa pagata dal Comune. Provai infinita tenerezza ed una profonda ebbrezza di poterle promettere un approdo, almeno da un punto di vista abitativo, tranquillo.

Mai, come dopo questa visita inaspettata, sentii nel mio animo la gratificazione per essermi impegnato per una fede che si realizza solamente nella carità.

Invidio l’America per Obama!

Io sono uno dei tanti che fortunatamente hanno seguito la campagna elettorale degli Stati Uniti d’America con attenzione e passione e pur non avendo motivi particolari per rifiutare il candidato repubblicano, ho tifato per Barak Obama, il giovane candidato democratico.

Obama rappresenta, per me, il mondo povero che emerge, la persona che punta sul domani, l’uomo che ha dimostrato di saperci fare nella professione e non è nato, cresciuto ed educato a fare il politico (qualche giorno fa un membro dell’amministrazione della nostra Provincia, mi ha confidato che era l’unico che manteneva la sua professione mentre tutti gli altri non sapevano fare altro mestiere se non quello della politica).

Obama rappresenta, per me, l’uomo pulito e sano che si presenta con la sua famigliola: moglie e due bambine, che incanta col suo sognare e il suo sperare.

Obama, l’uomo che il giorno della sua trionfale elezione, termina il suo discorso con queste parole: “Grazie, che Dio vi benedica e che benedica gli Stati Uniti d’America”.

Lo confesso io invidio l’America che sa esprimere uomini del genere, che sanno di pulizia, di novità e di autenticità.

In Italia ci sogniamo questo stile, questi comportamenti e questo modo di concepire il sevizio al Paese.

Berlusconi appartiene all’antico Testamento, sembra un manichino tirato fuori dal primo novecento; Veltroni è nato e cresciuto nel partito e ne mantiene tutti i limiti; Casini insegue il vecchio metodo dei socialisti di comandare con la minaccia di spostarsi a destra e a sinistra come più gli conviene!

La desacralizzazione della morte

Ho letto con interesse i pareri di alcuni prelati della chiesa veneziana sugli effetti della secolarizzazione per quanto riguarda il discorso sulla morte e sugli elementi inerenti ad essa.

Che ci sia una cultura che progressivamente desacralizza ogni comportamento umano è fuori di dubbio.

Prima l’illuminismo, poi il comunismo, quindi il radicalismo con la relativa rivoluzione francese, rivoluzione russa, hanno creato un clima per cui l’uomo ha perduto non solamente il senso di Dio, ma anche valori quali il sentimento, la poesia, la sacralità della famiglia, via via fino a ridurre l’uomo come lo definisce il filosofo francese Sartre: “un nervo nudo che si contorce o per il piacere o per il dolore” e nulla più.

Quei prelati, forse per non conoscenza, o forse per quieto vivere, non detto nulla delle responsabilità dei preti a questo riguardo.

I sacerdoti in pochissimi anni, penso abbiano contribuito in maniera consistente e forse determinante, per desacralizzare tutti gli aspetti che riguardano la morte.

Un tempo il clero ha costruito un’impalcatura eccessiva di riti, accompagnamenti, benedizioni preghiere e quant’altro, ora con estrema disinvoltura, forse perché anche loro vittime di questa cultura pragmatica, o forse per comodo, hanno pian piano smontato questo meccanismo complesso e si trovano in mano solamente i rimasugli di una realtà impalpabile e misteriosa che costituiva l’aureola della morte nella concezione cristiana.

Temo che siamo solamente all’inizio di un processo a cui manca veramente molto per toccare il fondo. Il funerale è più indietro del matrimonio, ma però e sulla stessa strada!

Don Adriano

Ho incontrato don Adriano il giovane sacerdote che ebbe un ruolo determinante nei miei primi anni di attività pastorale a Carpenedo.

Nel ’71 infuriava devastante la così detta contestazione parrocchiale; si trattava dei colpi di coda del movimento che aveva colpito nel ’68 i centri urbani e che stava scaricandosi ancora con molta forza nelle periferie.

Don Adriano è stato per me veramente un dono di Dio: prete giovanissimo, intelligente, un carattere d’acciaio, innamorato dei giovani, dalla vita sobria e coerente.

Si impegnò fino allo spasimo e dette vita ad un nucleo iniziale, con solidi anticorpi che non si lasciò influenzare dalle utopie irrequiete e nebulose dei giovani che avevo incontrato entrando in parrocchia. Don Adriano rimase non molto tempo in parrocchia, ma lasciò le premesse perché don Gino potesse sviluppare un movimento, a livello di gioventù, quanto mai valido e numeroso.

Don Adriano operò quindi nell’ambiente per altri versi difficile, a Carole e quindi al Lido per finire parroco a S. Marco a Mestre e per laurearsi in diritto canonico a Roma.

Purtroppo un tragico e banale incidente stroncò inaspettatamente le aspettative della chiesa veneziana nei suoi riguardi.

Me lo sono rivisto in questi giorni, traballante, incerto, spesso risucchiato dal passato e in balia della risacca della vita.

Perché questo destino per questo giovane prete così forte e promettente? Una domanda che non avrà mai una risposta esauriente come tante altre domande non andranno più in là del punto interrogativo, oltre quel punto interrogativo c’è spazio solamente per la fede nella Divina Provvidenza!

“prega e lavora”

Da sempre sono un ammiratore di San Benedetto, della sua regola e dei benedettini. Questo ordine religioso è antico, nato in un contesto storico enormemente diverso da quello in cui noi viviamo, eppure i valori portanti su cui poggia sono talmente validi per cui pare che non siano erosi dai secoli che passano: la cura della liturgia, il senso dell’ospitalità, la figura paterna dell’abate a vita, l’equilibrio tra contemplazione ed attività, il lavoro manuale sono elementi tali per i quali il monaco benedettino sembra un signore tra i religiosi.

Una delle regole che spessissimo sono citate: “Ora et labora”, “prega e lavora” è la nota più alta di una visione della vita realistica, che esprime una spiritualità, un’ascesi ed un equilibrio spirituale di somma grandezza.

Queste mete poi si traducono in una norma di estrema saggezza imponendo al monaco di dedicare otto ore alla preghiera (compreso studio e meditazione) otto ore al lavoro manuale ed otto ore al riposo. Tante volte ho fatto conteggi per mettere anch’io, nella mia vita irrequieta, un po’ di ordine. Finora non ci sono mai riuscito e non so ancora se ciò sia anche possibile!

I conti non mi quadrano mai, perché per me il lavoro e la preghiera sono quasi due fratelli siamesi che non si possono separare, ma la campana del convento mi difende dalle commistioni che imbrogliano sempre le carte. Probabilmente dovrò abbandonare per sempre l’idea di potermi rifare a certi schematismi irrealizzabili in questa società irrequieta, veloce e sbrigliata, però credo non potrò, senza grave pericolo, neanche abbandonare totalmente l’impegno di ritagliare tempo per lo spirito, per il lavoro e per il riposo, perché senza questo equilibrio ben difficilmente si può fare qualcosa di costruttivo.

La danza del ventre

Ho confessato più volte che, in questa tarda stagione della mia vita, sono diventato un fanatico ricercatore e raccoglitore di buone notizie.

Qualcuno ricorderà la rubrica che ho tenuto per molti anni su “Lettera aperta” il vecchio periodico della parrocchia di Carpenedo “Il fioretto della settimana”.

Raccoglievo episodi minuti, semplici ma che tutto sommato presentavano particolari del volto positivo della vita. La gente mi pareva ne fosse contenta, difatti quando scrivevo qualcosa di amaro e di triste trovava il modo di farmi capire che dal loro parroco si aspettavano sempre qualcosa che facesse scoprire il volto più bello della vita.

Questo desiderio e questa scelta la nutro ancora, però da qualche tempo mi pare di imbattermi solamente su cardi, ortiche ed erbacce!

Purtroppo anche oggi debbo confessare che la mia attenzione si è fermata su un’erbaccia che è emersa sul prato abbastanza ordinato di questa giornata di inizio inverno.

E’ venuto a trovarmi un giovane professionista per raccontarmi una delle tante tristi e fallimentari storie coniugali. Tutte le parole del suo lungo parlare erano intrise di tristezza, desolazione, rimpianto, ma soprattutto di preoccupazione per la sua creaturina che sta sbocciando in un ambiente brullo, bruciato ed arido mentre avrebbe bisogno di rugiada, tenerezza, di sogni e di poesie.

“Mia moglie torna tardi, perché si è iscritta ad un gruppo che si dedica alla danza del ventre!”

Io non frequento, evidentemente perché prete perché vecchio e soprattutto perchè amante del bello, spettacoli del genere; per caso ad una cena organizzata dall’AVAPO, ho avuto modo però di assistere ad un intermezzo del genere, penando alquanto nella preoccupazione che scivolasse il gonnellino all’improvvisata odalisca.

Come si è ridotta “l’angelo della casa” in questo povero mondo!

Malinconia per un mondo al tramonto

Al don Vecchi, il mio piccolo mondo, c’è un ricambio ora abbastanza veloce; con la media di 85 anni che impera, le partenze per la Terra Promessa, se non sono settimanali, poco ci manca, comunque due tre volte al mese parte il treno per l’eternità.

Una prima tappa a San Pietro Orseolo per l’ultimo saluto, poi la nebbia dell’oblio avvolge tutto nel mistero, mentre in segreteria si affollano i pretendenti al posto rimasto libero.

Questa è la vita!

Qualche giorno fa incontrai all’ingresso del don Vecchi un volto nuovo di donna anziana. Intuii che doveva essere una nuova inquilina che era appena entrata alla chetichella nel nostro borgo di viale don Sturzo.

Difatti appena le chiesi se era una dei nostri, annuì prontamente. Si trattava di una anziana che stava avviandosi verso la quarta età. Le feci qualche domanda tentando di inquadrare la nuova venuta con cui dovrò condividere casa e destino per i pochi anni che forse avremo ancora da vivere. Si trattava di una donna cordiale, spigliata, una veneziana disinvolta dalla battuta calda e pronta.

Le chiesi dei figli; ottimi, come sempre lo sono per tutte le mamme, ma fu la richiesta di notizie sul marito, che pensavo morto, da noi prevalgono le vedove, che mi stupì alquanto.

“Mi auguro che sia ancora vivo!”

Si erano separati da tempo e il coniuge le era diventato talmente estraneo da non sapere neppure se era ancora vivo. Per fortuna non c’era ne malanimo ne rancore, ma una assoluta e totale indifferenza!

Al don Vecchi siamo tutti anziani e dovremmo quindi rappresentare “il piccolo mondo antico”, mentre purtroppo siamo ormai i protagonisti del “mondo moderno” sempre adoperando le definizioni di Fogazzaro, ma credo che di questo autore abbiamo anche il rimpianto e la malinconia del nostro mondo al tramonto!

Sulla crisi economica

Mi pare di essere tornato ai tempi dell’ultima guerra mondiale: allora la radio trasmetteva ogni giorno “il bollettino di guerra” che comunicava gli aerei nemici abbattuti, i carri armati distrutti i prigionieri catturati.

Ora i termini usati sono un po’ diversi perché ogni giorno si parla delle centinaia di milioni di euro di capitalizzazione che sono ogni giorno bruciati, di indici negativi registrati dalle borse d’America, d’Europa o d’Asia.

Dapprima ho fatto un po’ fatica a capire questi “roghi” informatici, poi pian piano, ho finalmente compreso che le valute non rappresentavano più la ricchezza reale, ma rappresentano un mondo fasullo e fumoso, costruito ad arte, da agenti di borsa, pseudo operatori economici e furfanti di ogni risma che campano da nababbi sul sudore dei poveri e succhiano come vampiri i risparmi che la povera gente accumula per la vecchiaia o per i tempi difficili. In mezzo a questa guerra di euro e di dollari, di banche e di borse noi, gente che non conta, siamo come i civili inermi ed impotenti, che sperano aiuto solamente dal cielo.

La mia pensione finora, almeno finché vivo al don Vecchi, mi garantisce una vita relativamente tranquilla, non avendo bisogno né della mercedes, né di viaggi culturali transoceanici, né di vacanze alle Maldive. Quello che però mi preoccupa veramente sono i miei coinquilini dalla pensione di 516 euro al mese, costoro mi sembrano dei naufraghi aggrappati disperatamente al relitto del libretto della pensione.

Non so quanto potranno resistere, o se la guerra di cifre e di perdite in borsa li colpirà ulteriormente?

Prego che il buon Dio mi dia una mano per offrire anch’io a loro una mano, prima che affoghiamo assieme!

Far volontariato oggi è un dovere di tutti!

Una volta ancora il dover presentare ai fedeli il brano evangelico, durante l’Eucarestia domenicale, mi ha creato qualche difficoltà.

Settimane fa la pagina del Vangelo trattava della famosissima frase di Gesù: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

Di primo acchito mi sentii imbarazzato di dover parlare di un argomento che mi sembrava ormai logoro e scontato.

Nel passato questa frase evocava i problemi dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, con le relative problematiche, degli sconfinamenti relativi che hanno generato, da una parte il cesaro-papismo e dall’altra il clericalismo.

Il problema non pare ancora definitivamente risolto. Ora si sono cambiati i termini per definire questo problema, tanto che è attualmente sulla bocca di tutti la “distinzione dei ruoli”, affermata da una parte e dall’altra, anche se poi si sconfina trattando “i ruoli” come elastici che si allungano o si accorciano a seconda del proprio interesse.

Nell’oratoria religiosa si indugia ancora sul dovere di “pagare le tasse” come se i doveri nei riguardi della comunità civile, in cui si vive, si riducessero al dovere di lavorare più di sei mesi all’anno in maniera che il governo possa sperperare senza eccessiva preoccupazione!

Nella mia riflessione mi è parso invece di capire che la “parte di Cesare” consiste soprattutto nel dovere di interessarsi della cosa pubblica, di partecipare attivamente, di reagire uscendo allo scoperto da un lato e dall’altro di mettersi a disposizione mediante il volontariato per supplire, per aprire soluzioni nuove, per tappare i vuoti che l’organizzazione pubblica non riuscirà mai a tamponare.

Sono arrivato a concludere che far volontariato non è una vocazione di pochi, ma un dovere di tutti, perché il Cesare di Roma è sempre lontano, distratto ed incapace di avere attenzione per i drammi spiccioli dei suoi sudditi!

Ammiro il Cardinale Martini

Un mio amico, mi ha passato un ritaglio di giornale in cui appare il volto smunto e sofferente del Cardinale Martini, già vescovo di Milano, in occasione della presentazione di un suo libro circa il problema della morte.

Tutti sanno che dopo il tempo del raggiungimento della pensione, il cardinale, biblista provetto, si è ritirato in Palestina, in un ambiente in cui si respira il profumo della Bibbia ed in un paesaggio che offre una cornice adeguata alle Sacre Scritture, per continuare i suoi amati studi biblici.

Colpito dal male, è ritornato in un convento milanese dei Gesuiti per prepararsi alla morte. In quest’ultimo tempo della vita, questo grande vescovo, della più grande diocesi d’Italia, ha rivolto la sua ricerca e la sua riflessione su un tema che lo tocca molto da vicino e che non lascia alcuno indifferente, anzi che coinvolge in maniera drammatica tutti coloro che si trovano coscientemente nella sua stessa condizione.

Io ho sempre seguito con attenzione l’azione pastorale di questo vescovo, le sue prese di posizione, non sempre allineate al pensiero teologico corrente e anzi spesso, seppur in maniera garbata e prudente, anticipatrici degli orizzonti nuovi che si affacciano all’orizzonte della chiesa.

Ho sempre ammirato la sua pacatezza, il senso di responsabilità e prudenza e nello stesso tempo la sua intelligenza di precursore e il suo coraggio dall’uscire dalle file.

Ora mi trovo di fronte ad un uomo, ad un credente che però si fa domande, ha timore e forse paura del mistero della fine. E’ vero che Quattrocchi disse ai suoi uccisori “Vi farò vedere io come un italiano sa morire!”, però ogni uomo reagisce a modo suo di fronte al mistero, l’intellettuale sopraffine accetta la prova con più consapevolezza e meno ribalderia!

Io? Credo di non saper fare ne questo ne quello, per questo domando aiuto al Signore.

La bella scelta di due settentenni

Nella vita si incontra sempre tanta gente, ma spesso questi incontri assomigliano al solco che una imbarcazione lascia dietro a sé; dopo qualche minuto i bordi delle onde divisi dalla prora si riuniscono e la superficie ritorna piatta come se nessuno sia passato su quella rotta. Altre volte, però, per motivi particolari, di un incontro rimane un segno profondo, pressoché indelebile, che ti ricorda la sensazione e il motivo di quell’ approccio.

Qualche tempo fa sono venuti a salutarmi due cari e vecchi amici, con i quali abbiamo aperto una strada originale nel turismo parrocchiale; le uscite che avevano qualcosa della gita e qualcosa del pellegrinaggio, ma il cui assemblaggio, ben dosato di questi due elementi, diventava quasi un corso di esercizi spirituali condotti in forma piacevole, moderna, ma per questo non meno efficaci della soluzione suggerita da quel grande maestro di spirito che è stato Ignazio di Loyola.

“Don Armando siamo venuti a salutarla prima di partire per un pellegrinaggio al Santuario di San Giacomo di Compostela”. Normalmente di questo percorso i giovani ne fanno qualche chilometro a piedi, mentre gli anziani raggiungono l’antica meta dei pellegrini o in pulman o meglio ancora in aereo; del percorso dei pellegrini si limitano a leggerne la storia.

“Come ci andrete?” – “Evidentemente a piedi, ma ci limiteremo a fare del percorso solamente 200 km, abbiamo raggiunto i settant’anni e vogliamo chiederci, con questo cammino di fede, che cosa il Signore vuole da noi?”

Mi piace immaginare questi due coniugi, con ai piedi le pedule e lo zaino in spalla, riflettere come impegnare l’ultima trance della loro vita!

Quanta gente vive alla giornata, non valuta, non programma, non domanda a Dio luce e aiuto per centellinare giudiziosamente questi ultimi dieci, venti anni che forse rimangono loro da vivere?

La scelta di questi due settantenni mi costringe a pensare sul tempo che per me è certamente più breve!

Ateismo e crisantemi

Mi pare di avvertire che qualche cattolico e perfino qualche prete si senta quasi imbarazzato e confuso di fronte a certe dichiarazioni di ateismo fatte in maniera perentoria e costante sicumera da parte di qualche “luminare” della cultura del nostro Paese e per non far nomi mi riferisco al giornalista Augias, all’astrologa fiorentina, al professor Veronesi, al fondatore di “Repubblica” Scalfari.

So che la listarella è un po’ più lunga, perché ci sono sempre dei caudatari, ma non credo che in realtà sia proprio infinita.

Questi liberi pensatori, questi devoti della presunta dea ragione, ostentano una assoluta disinvoltura e si sentono, a buon mercato, le mosche cocchiere della emancipazione da un mondo credulone ed oscurantista!

Mentre io, che per cultura, sono un anatroccolo, vi confesso che non solo questi personaggi mi fanno pena per la loro prosopopea, ma faccio perfino fatica a compatirli per la loro presunzione!

Ricordo un’espressione dell’entomologo Faber che affermava: “Io non credo in Dio perchè lo vedo nell’istinto degli animali!”

Proprio in questi giorni passeggiando per il parco del don Vecchi, facevo una riflessione vedendo le centinaia di piante di crisantemi, piantati tra fine novembre e metà dicembre dello scorso anno, sul ciglio della passeggiata che abbraccia la grande struttura. Avevo raccolto i ceppi gelati dei crisantemi che la gente buttava nei cassonetti del cimitero, perché rovinate dalla pioggia e dal gelo. Questi ceppi se ne stettero raccolti nel grembo della terra durante l’inverno e a primavera iniziarono a germogliare, affrontarono impavidi, pur soffrendo, le calure dell’estate e poi a fine settembre cominciarono a metter bocci, ed ora, a metà ottobre, a fiorire tutti assieme, come obbedissero ad un ordine perentorio ognuno con la forma e il colore dello scorso anno. Non sarà mica il caso a metter d’accordo queste centinaia di piante, silenziose e modeste, che dico, questi milioni di piante e a comportarsi tutti allo stesso modo, umili ed obbedienti?

Caro Veronesi, caro Scalfari un po’ di sapienza e umiltà vi farebbero fare più bella figura!

“Quando non riesci a pregare come vorresti, prega come puoi, ma prega!”

Le nuove congregazioni religiose, i movimenti e le associazione dei laici, che nonostante la grossa crisi religiosa che sta attraversando la chiesa e la religione in genere, continuano a nascere, hanno come componente costante un tempo cospicuo da dedicare alla preghiera.

Recentemente una giovane signora che appartiene alla comunità di Sant’Egidio, mi diceva che il momento forte della vita di questo movimento era l’ascolto e la meditazione della Parola e soprattutto la preghiera; lo diceva con tale convinzione che ero portato a crederle.

“I piccoli fratelli di Gesù”, che è uno dei movimenti più significativi dell’ ascetica attuale, pone l’accento sul tempo e sulla necessità di una preghiera prolungata. Queste affermazioni ricorrenti e generalizzate, mi creano un certo disagio ed un certo imbarazzo perché credo di non essere mai stato un grande orante.

Spesso durante la recita del breviario, che per un prete rappresenta un dovere importantissimo, mi scopro tra i pensieri e le immagini più impensate e lontane dalle parole che pronuncio con le labbra.

Anche durante la celebrazione dei divini misteri, sono costretto ad aggrapparmi spesso a qualche passaggio più significativo e importante. Per non parlare del rosario, la cui cantilena rappresenta per me un’occasione particolarmente soporifera.

Qualche giorno fa per fortuna ho letto una frase durante la meditazione che mi ha confortato un po’ e che trascrivo semmai ci fosse qualche altro cristiano che incontra le mie stesse difficoltà: “Quando non riesci a pregare come vorresti, prega come puoi, ma prega!”.

Mi auguro tanto che anche il buon Dio la pensi allo stesso modo, perché solamente così potrei riscattare i breviari, le messe e i rosari di tutta la mia lunga vita!