I Santini

C’è stato un tempo in cui i libri delle “Massime eterne” prima e dei “Messalini” poi, erano gonfi di “santini”.

Le nostre nonne e le nostre mamme avevano il culto per queste immaginette che portavano da un lato la figura della Madonna o di un santo e nel retro una preghiera relativa.

C’erano immagini per tutte le problematiche e per tutti i guai dell’uomo, perché in quel tempo, che ormai ci sta definitivamente alle spalle, i santi erano ritenuti soprattutto dei protettori ed intercessori piuttosto che dei testimoni e degli interpreti del messaggio evangelico, come li pensiamo oggi. Dai “santini” pian piano, c’è stata una evoluzione verso delle immagini della natura con qualche frase interpretativa, per passare alla fine al collezionismo.

Ora i famosi “santini” si comprano e si vendono dai collezionisti perché ormai c’è un mercato anche per questi poveri santi segni!

Da ragazzo e da giovane è capitato anche a me di fare una raccolta di immagini della Madonna, ma l’ho fatta solamente perchè non avevo mezzi per acquistare libri d’arte.

Qualche giorno fa, riordinando le mie carte, rimasugli del trasloco da Carpenedo, è emerso un pacchettino di “santini” della mia ordinazione sacerdotale, una dolcissima Madonna del Luini con alle spalle un paesaggio collinare, in calce la scritta “Spes nostra” e nel retro: “Venezia 27.VI.1954 – anno mariano” l’immagine è povera ed un po’ ingiallita, ma racchiude nella sua povertà 54 anni di vita da prete.

Mi ha fatto piacere ritrovare l’immagine della mia ordinazione sacerdotale, me la guardo con riconoscenza ed affetto cento volte al giorno, sembrandomi quasi impossibile che possa custodire più di mezzo secolo di fatica, di drammi interiori, di speranze e di delusioni.

Sono riconoscente a questa Madonna del Luini così pudica ed armoniosa, che mi ha protetto per tanto tempo, tutto sommato posso dire che mi è andata bene!

Parlando di società segrete

Quando ero bambino passavano, talvolta per la stradina su cui si affacciava la mia casa, le zingare. Avevamo dalla mamma l’ordine di non intrattenerci con loro e di non farle entrare in casa, perché la mamma diceva che portavano via i bambini.

L’incontro con queste donne, dai sottanoni lunghi fino alle caviglie, dalla forbice appesa con una fettuccia, dai capelli scapigliati e dalla carnagione scura, mi incuteva un sacro terrore.

A questa categoria di persone misteriose accomunavo anche i massoni, dei cui riti segreti avevo letto e sentito parlare come aderenti a sette segrete e pericolose, qualche tempo dopo finii di associare anche i comunisti. Per me tutta questa gente rappresentava un mondo oscuro, torbido e pericoloso. Ora capisco, per altri motivi, che non avevo tutti i torti.

Mi sono ritornate alla mente queste sensazioni remote e buie qualche giorno fa quando una persona autorevole affermò che un personaggio noto e importante in città, era massone. Alla mia sorpresa costui aggiunse altri nomi di personaggi che io conosco.

Pensavo che questa gente dal compasso e dal grembiulino e dai riti strani fosse scomparsa ormai dalla scena della nostra società.

Ora mi è venuto però qualche dubbio anche se sono convinto che l’adesione a queste società segrete, tanto prospere nell’ottocento, sia determinata quasi esclusivamente da motivi economici e di potere e che non appartengono ad esse soltanto i vecchi illuministi credenti nel grande architetto, ma tanti opportunisti, assetati di denaro, di potere, disposti a pagare questa sete anche col ridicolo e che appartengono non solamente a tutto l’arco politico, ma a tutte le articolazioni della nostra società povera di tutto.

Un restauro radicale del cristiano

Credo di essere per costituzione e per formazione, oltre che per necessità contingenti, un uomo pragmatico e concreto, piuttosto che un mistico, seppur tendenziale. Molte volte ho confessato pubblicamente di preferire mille volte San Giacomo, che inchioda i discepoli del Signore alla carità concreta ed immediata, a San Giovanni che si lascia andare a discorsi tanto sublimi che talvolta mi appaiono perfino fumosi.

Stando così le cose del mio spirito, il meditare mi è stato sempre piuttosto difficile, spesso il pensiero parte da verità di ordine spirituale e poi prende strani sentieri che mi riportano ai miei problemi concreti che non ho ancora risolti. Quando mi scopro così lontano dalla rotta preordinata do un colpo di barra e per un po’ tengo la rotta, per poi ritrovarmi nel vasto mare della vita. Talvolta però ho la fortuna di imbattermi in una immagine o in una verità che mi affascina, allora tento di conquistarla ad ogni costo. Mi è capitato l’altra mattina che chi commentava un passo del Vangelo cominciò alla larga rifacendosi ad una sua recente esperienza concreta.

Aveva deciso di restaurare un vecchio mobile che aveva in casa, tentando di riportarlo allo stato di origine perchè nel tempo l’avevano più volte colorato, impasticciandolo.

Cominciò a sverniciare, passare con la carta vetrata, a raschiare finché riemerse il bel e caldo colore del larice di cui era fatto.

Concludendo che anche l’uomo, il cristiano talvolta ha bisogno di questo restauro radicale per tornare alla bellezza originale.

Il pensiero mi è parso valido; quanto non ho desiderato poter entrare nell’archivio di Dio per prendere visione di come il Creatore mi ha progettato per confrontare la mia vita al progetto originale. Certamente il progetto è più bello, ordinato, armonioso di come mi sono ridotto.

Se non farmi nuovo, almeno credo sia ancora possibile un restauro radicale per far emergere la bellezza dell’impianto originale.

Allora non c’è che a metter mano alla carta vetrata e allo sverniciatore!

“Bonsignor Bottacin” di Chirignago

Ognuno tira fuori dal cassetto le vecchie glorie che crede di avere. Roma dice di essere stata fondata da Romolo e Remo, Padova da Antenore. Chissà poi quanto sarà vero?

Questi non erano espedienti del passato o delle grandi città, ma vi ricorrono anche le piccole o ignote comunità. Chirignago non ha mai goduto di grande fama anche se si tratta di un vecchio paese che fino al 1928 apparteneva alla Marca Trevigiana.

C’era un detto popolare, che i più vecchi e il popolino indigeno ricorda ancora, che affermava che “a Chirignago piantavano fagioli e nascevano ladri”. Andare controcorrente per glorificare questo borgo credo che non sia troppo facile. Se poi si pensa che l’attività più eminente è stata fino al recente passato una fabbrica di scope di saggina e che prima dell’ultima guerra fu un popolo di fede decisamente fascista e terminata la guerra divenne e rimase una comunità prevalentemente comunista, nonostante tutti i richiami del loro parroco d’allora, non c’era granché per nobilitare la parrocchia perché perfino il comune fu soppresso dal duce nel 1926.

Mio fratello don Roberto, attuale parroco di quel paese della periferia mestrina, si ricordò che pure Chirignago aveva una gloria da mettere sul piatto: monsignor Bottacin, un parroco proverbiale per la sua carità, parroco ancora ricordato dai vecchi che condivisero la miseria di prima e dopo l’ultima guerra.

Gianni Montagni, mio lupetto ai Gesuati, giornalista in pensione de “Il Gazzettino” e trasferitosi con l’abitazione a Mestre, accettò l’incarico di scrivere la vita e le opere di questo “Bonsignor”, così infatti lo chiamava la gente.

Durante la breve degenza in ospedale ho letto questo volume per ammazzare il tempo. Montagni ha fatto ricerche, interviste ed ha riportato a galla tutto quello che era umanamente possibile riportare. Il volume tipograficamente è bello e costoso perché curato dall’editore Marciano, questo storico improvvisato fa sfoggio di tutta la sua cultura tentando di inquadrare questa persona facendo riferimento a tutti i possibili riferimenti religiosi, sociali e culturali, ma sarebbe bastato che avesse scritto che mons. Bottacin, era molto caritatevole, e questo non è davvero poco, ed uomo di preghiera, per il resto sarebbe stato meglio che l’avesse coperto con un velo di pietoso silenzio.

Piazza maggiore e il futuro di Mestre

Nota: don Armando ha scritto queste righe alcune settimane fa durante un breve ricovero all’Ospedale dell’Angelo.

Mentre tento di ammazzare il tempo ogni tanto alzo le testa da “Piazza maggiore”, il giornale dal grande formato della Comunità di San Lorenzo, perché il mio sguardo attraversi la grande vela di vetro dell’Angelo, accarezzi leggermente i prati verdi che fanno da cornice al nuovo ospedale e si spinga più in là dove inizia la nostra città.

Sono entusiasta nel vedere come si coniuga la città descritta nell’interessante periodico del Duomo; il ricordo caro che porto nel cuore  della città in cui ho vissuto molti anni della mia prima esperienza pastorale e il domani prospettato per quella, che fino ad un paio di decenni fa, era descritta Mestre come la città dormitorio.

D’istinto sono portato a pensare che le lontane radici di questo sforzo di coniugare il destino civile con quello cristiano siano state poste a metà del secolo scorso quando mons. Vecchi cominciò la sua “rivoluzione”: la fine di parrocchie autarchiche per impiantare la chiesa di Mestre, la ricerca di dialogo tra i gruppi ecclesiali col segretariato della gioventù ed una crescita culturale con respiro cattolico mediante il Laurentianum.

Io c’ero, e fui partecipe cosciente e pieno di speranza di questo inizio di tempi nuovi.

Ora leggendo con calma “Piazza maggiore” in una stanza linda e spaziosa nell’ospedale dell’Angelo, ospedale che è pure una pietra miliare avanzata di questo percorso verso il domani, sono più che certo che don Fausto, il ragazzino di un tempo, che ho incontrato più di mezzo secolo fa sulla fondamenta delle Zattere ai Gesuati, ha preso ben saldo in mano il testimone e lo sta portando avanti con intelligenza, sicurezza e decisione.

Sono così felice nell’apprendere come mons. Bonini dialoga con la città e i suoi amministratori, scruta ed interpreta il domani ed irradia di contenuti religiosi la ricerca e l’azione pastorale, che se non avessi la mia veneranda età, mi metterei a sua disposizione per condividere la bella avventura cristiana in questo contesto ricco di attese e di prospettive!

La gente non vuol fare i mestieri che richiedono sacrificio

Finora l’Angelo l’ho conosciuto soprattutto dal lato estetico. Ripeto per me il nuovo ospedale è una delle sette o nove meraviglie del mondo, di cui vado fiero.

Prima di questo ultimo ricovero, ho ammirato il paesaggio collinare che lo circonda, i cipressi che mettono in rilievo il verde dei prati e l’incrocio armonioso delle strade, l’entrata solenne, il giardino pensile che ti fa sentire in una isole delle Hawaii, la cappella in cui celebro da più di due mesi, le celle mortuarie, ma non mi ero reso conto dell’immensità della struttura e della sua estrema funzionalità, checché ne dicano i critici di turno e i politici che per quarant’anni hanno speso in sovrabbondanza soldi e chiacchiere. Ora ho sperimentato da dentro il disegno e la disposizione intelligente per rendere più efficiente la struttura e per risparmiare sul personale.

Credo che noi dobbiamo andar fieri circa la sanità a Mestre: pulizia estrema, abbondanza e nitidezza nella biancheria, efficienza nel corpo infermieristico, competenza ed umanità in quello medico.

Cibo vario, abbondante e buono, strumentazione d’avanguardia.

Ho potuto, per onestà, notare due fattori, non dico negativi, ma che fanno pensare.

Il primo, si chiede al personale di lavorare sodo, credo che tra l’altro si sia studiata la struttura in modo tale per cui gli operatori non possono rintanarsi e perder tempo. Ricordo che molti anni fa un infermiere mi tolse la flebo dicendomi: “Don Armando questa notte la lascio riposare” e il mattino dopo un suo collega mi confidò che nella nottata avevano fatto una splendida spaghettata!

Non credo che all’Angelo sia facile ripetere questa impresa!

La seconda che il personale infermieristico è composto solamente da giovani donne, belle, con belle divise premurose finché vuoi, ma solo donne. Pare che i giovani disertino questo lavoro perché non sufficientemente retribuito, fatto di turni, di riposi collocati nei tempi meno appetibili. Per le retribuzioni non dovrebbe essere difficile ovviare a questa difficoltà, ma per quanto riguarda il sacrificio la cosa è certamente più impegnativa.

In Italia bisogna, a mio parere, avviare una rivoluzione culturale perché non è possibile che non ci sia più chi vuol fare il panettiere, l’apprendista, l’artigiano solo perché richiede sacrificio. Se le cose andassero ancora così, vorrebbe dire che la decadenza è ormai fatale!

I cittadini a cui dobbiamo rispetto

Nell’ultimo, fortunatamente breve, soggiorno all’Angelo ho condiviso la bellissima stanza con ogni confort, ben diversa da quelle in cui avevo soggiornato nel vecchio Umberto I°, con due anziani signori.

Il primo di questi colleghi di “sventura” non ho fatto quasi in tempo a conoscerlo, primo perché siamo rimasti insieme poco più di una mezza giornata, secondo perché tra un letto e l’altro esce dalla parete una tenda linda a cannocchiale che divide la stanza in due parti e ti garantisce una privacy quasi completa.

Col secondo però le cose sono andate un po’ meglio anche se la notevole sordità del compagno e quella parziale mia, non hanno reso facile il dialogo.

Il collega era un vecchietto arzillo di 87 anni, mi pare, con un figlio ingegnere ed una figlia affezionatissima al papà che l’ha seguito in quei giorni con tanto amore.

Credo di non fargli torto raccontando la sua storia perché lo faccio solamente per ammirazione.

Richiamato in guerra, il 9 settembre 1943, si trovò la caserma circondata dai tedeschi, i quali lo spedirono in carro bestiame, in cui non riuscivano neanche a sedersi, nella Germania del nord. Pesava 75 chili quando fu internato in un lager e quando fu liberato dai russi, poco più di 30.

Tornato a casa nell’ottobre del ’45, fu assunto alla Sava di Marghera ove lavorò per ben 40 anni; messo in pensione lavorò altri 20 anni “in nero” per costruirsi la casa e far studiare il figlio ingegnere.

Fece il muratore, curò i giardini ed ogni altro lavoro che gli capitava, comperandosi un lotto di 500 metri di terra e costruendovi una casetta ove vive felicemente, con la moglie, curando l’orto, leggendo il Gazzettino, in un rapporto affettuoso e caro con la moglie, figli e nipoti.

Se avessi stima nelle onorificenze chiederei a Napolitano perlomeno il titolo di commendatore per questo cittadino e se fossi il titolare del ministero del lavoro, gli concederei la croce al merito per i 40 anni di lavoro in bianco e più ancora per i 20 in nero.

Questi sono i cittadini probi a cui dobbiamo rispetto e riconoscenza altro che i tanti fannulloni dell’Alitalia e dei relativi sindacati che sono la vergogna del nostro Paese!

Voglio ricordare le cose come le ho lasciate

Tra la posta ho trovato, con lieta sorpresa, una cartolina proveniente dalla Malga dei Faggi di Gosaldo, la casa di montagna della mia vecchia parrocchia.

Rita, la proverbiale “governante”, che con l’uscita dal servizio attivo in canonica, come l’Araba Fenice è risorta dalle ceneri a vita nuova.

Nonostante la sua veneranda età si è trovata un nuovo servizio nella parrocchia di S. Nicolò dei Mendicoli a Venezia e fa, non solo la spola tra il don Vecchi e la nuova canonica del giovane parroco don Paolo, ma accompagna i ragazzi in montagna e vive e partecipa alla loro avventura estiva.

La cartolina, che ho fatto stampare più di 20 anni fa, riporta un gruppo di ragazzini che gioca sotto la croce che abbiamo piantato sul prato per ricordare Paolo Vesnaver, lo scout morto tragicamente tantissimi anni fa e che in quei prati aveva vissuto giorni spensierati e felici.

Quanti ricordi, quanta nostalgia ha suscitato nel mio animo questa cartolina un po’ ingiallita, testimone di tempi andati!

Tutti mi dicono che la casa in montagna della parrocchia è tenuta bene, continua la sua funzione di offrire ricordi felici alle nuove generazioni di bambini, la cosa mi fa tanto felice perché mi testimonia che non ho faticato invano. Non altrettanto qualcuno mi riferisce di Villa Flangini, la casa asolana per gli anziani.

Io voglio ricordare strutture, persone ed atmosfere belle ed efficienti come le ho lasciate, il resto non mi appartiene e non ne sono più responsabile.

Io sto con la minoranza della minoranza…

Un mio collega, avendo letto una pagina in cui ho espresso un certo gaudio sociale perché il popolo italiano ha dato un calcio sul sedere all’estrema sinistra, massimalista e nostalgica di un progetto fallito sotto ogni punto di vista, ha pensato che io provassi almeno eguale gaudio per la vittoria di Berlusconi, verso cui egli esprime disprezzo e rifiuto.

Quando capitano queste cose io provo un enorme imbarazzo e veramente non so come uscirne.

Nell’arco politico esistente non ho ancora trovato chi a livello di indirizzo sociale, di coerenza personale, di saggezza e di sano realismo interpreti le mie posizioni ideali e perciò quando mi pare che qualcuno passi il limite del lecito, mi viene di tentare di dargli una sonora ”legnata”.

Con ciò non mi sento nè di destra nè di sinistra, nè di centro, nè con le fazioni che annacquano qualcuna di queste tendenze, che sia dalla parte dei poveri, degli oppressi, dei senza parola, mi pare scontato. Lo sono per nascita, per istinto, per coerenza religiosa, per scelta personale, infatti nella vita sono sempre con la minoranza della minoranza e le legnate ideali le ho sempre prese sia dall’una che dall’altra parte ieri ed anche oggi.

Speravo, ed in verità lo spero ancora, che la vita che ho fatto, gli obiettivi su cui mi sono impegnato, la decisione di condividere la fine degli ultimi della nostra città dovrebbe essere una garanzia. Certo avrei potuto far meglio, però anch’io ho dei limiti che non sono stato capace di superare perciò resto ammirato quando uno riesce a far meglio di me.

Un tempo di raccolta gioiosa

C’è una frase della Bibbia che in certi momenti amari della mia vita mi ha donato conforto, sollievo e speranza: “C’è chi semina nel pianto e chi raccoglie nella gioia”.

In questa frase sembra siano due i protagonisti degli eventi amari e di quelli lieti. Però credo che la sentenza biblica si possa interpretare come riguardante la stessa persona in momenti diversi.

Nel lontano 1971, in un momento di devastante contestazione mi trovai a diventar parroco in un momento veramente burrascoso in cui sembrava pressoché impossibile tenere la rotta voluta dentro un uragano così scatenato.

Pensai subito che dovevo crearmi uno strumento per poter comunicare con tutte le componenti della comunità per non essere travolto da quelle più irrequiete e più radicali. Creai “Lettera aperta” il settimanale che portava come sottotitolo: “Circolare settimanale del parroco” in modo che nessuno potesse pretendere di prendere in mano il “megafono”. Così fu.

I giovani più esagitati tentarono più volte di far diventare il foglio come veicolo del pensiero della comunità, che poi in realtà avrebbe veicolato solamente il loro pensiero malato. Tenni duro, ed ebbi ragione.

Nacque poi sulla stessa linea il periodico “Carpinetum” e all’interno di questo la rubrica “Il diario del parroco” che mi permise di parlare in maniera sciolta, non troppo impegnata, usando tutte le corde: dal sentimento all’humor, alla poesia o al patetico.

Rimasi solo, ma potei comunicare e raggiungere tutti.

Don Gino Cicutto, che mi fu accanto per molti anni, capì la validità della soluzione e nella sua parrocchia di Mira la tradusse con “Gli appunti di don Gino” e adopera attualmente questo strumento in maniera disinvolta ed efficace. Ora mi capita di scoprire che anche un altro giovane prete, don Cristiano Bobbo, adotta la soluzione con un titolo pure diverso: “I giorni del prete” nel suo periodico “Comunità e servizio” con gli stessi risultati positivi.

Il mio pare ormai tempo di raccolta gioiosa; la ricerca, la fatica non è andata perduta, ma sta germogliando non appena trova intelligenza e buona volontà!

Una testimonianza edificante all’ospedale

Mi sono reso disponibile, prima e dopo la messa dell’Angelo, di amministrare i sacramenti della penitenza, dell’Eucarestia e dell’Unzione agli ammalati o per dare una parola di conforto o di una benedizione a qualche paziente che ne avesse fatto richiesta.

La suoretta dell’ospedale mi aveva chiesto l’altro giorno di dare gli “olii santi”, come si diceva un tempo, ad una anziana signora che era degente in un determinato reparto.

Appena smesse le vesti liturgiche dopo la celebrazione, stavo prendendo il vasetto dell’olio santo, allorchè due signori, piuttosto preoccupati, mi chiesero di andare subito a dare una benedizione alla loro mamma che, a loro dire, stava per morire.

Dissi che non appena avessi evaso la richiesta precedente sarei andato immediatamente da loro. Mi parvero preoccupati per questo ritardo ed insistettero perché andassi subito dalla loro mamma. Se non che pian piano capii che la loro pressante richiesta e quella della suora riguardavano la stessa paziente.

Andai con sollecitudine e di buon grado. In una stanzetta linda, appartata, che si affacciava sui prati verdi, in cui è immerso l’ospedale, c’era una cara nonnetta, accanto a lei due figli affettuosi, una nuora ed un nipote. Dissi due parole di preparazione prossima, ma non ce n’era bisogno perché lei era pronta e tutti gli altri partecipi al sacro rito, quasi desiderosi che io purificassi e vestissi a festa la loro mamma perché potesse presentarsi pulita, in ordine e bella al cospetto di Dio. Rimasi tanto edificato per la fede di questa cara donna e per quella che aveva trasmessa ai suoi cari, tanto che le domandai che mi tenesse un posto per me lassù accanto a Dio.

Mi sorrise e mi benedisse. Forse ora ha già messo un giornale nella sedia accanto alla sua perché questo povero vecchio prete non debba stare a lungo in piedi ad attendere.

“Il cristianesimo se non diventa solidarietà si riduce ad aria fritta!”

Il dottor Marco Doria, docente universitario a Ca’ Foscari e consigliere di amministrazione della Fondazione Carpinetum, che attualmente gestisce i centri don Vecchi e i progetti solidali in fase di realizzazione, oggi mi ha presentato lo studente di Economia e Commercio che ha vinto una borsa di studio per una tesi di laurea sulla dottrina sociale ed economica che sottintende questa struttura residenziale per la terza età.

Il laureando, residente a Marghera, figlio o nipote di esuli Giuliano Dalmati, è un giovane sveglio ed intelligente che ha colto la palla al balzo di aver subito una tesi, un tutor nel dottor Doria che lo guiderà, un argomento attuale ed interessante, ed infine una gratificazione economica che gli permetterà di sostenere le spese e di aver pure un introito economico con cui affrontare i primi tempi per cercare un lavoro.

Io sono felice che l’università studi e dia un supporto scientifico a quella che per me è stata un’intuizione nata dal condividere le esperienze e i drammi amari degli anziani.

Abbiamo passato assieme a questo studente e al dottor Doria un’oretta di conversazione cordiale in cui ho tentato di puntualizzare le motivazioni di fondo, che attingono a principi di fede e quindi ho illustrato le mediazioni intermedie che hanno tradotto gradatamente in scelte sociali, strutturali ed organizzative il progetto nato da questi principi religiosi.

Mi pareva di essere tornato ai tempi di scuola in cui il professore di storia monsignor Altan, tipo intelligente, ma originale, quando incominciò a parlarci della riforma protestante distinse le cause remote da quelle prossime. Le cause remote della riforma, secondo lui, risalivano al peccato di Adamo ed Eva!

Credo che avesse ragione.

Traducendo, nel caso del don Vecchi, sono convinto che la causa remota sia la mia profonda ed assoluta convinzione che il cristianesimo se non diventa solidarietà si riduce ad aria fritta!

Da questa convinzione con infinite mediazioni si è arrivati pian piano al don Vecchi. Quindi se togli questo principio crolla tutto!

L’arcobaleno mi emoziona

Ogni tanto riscopro in fondo al mio animo emozioni provate nei tempi lontani e che con sorpresa ricompaiono, riaffiorando da spazi interiori che non sapevo quasi più di avere.

Qualche giorno fa me ne ritornavo a casa, percorrendo la circonvallazione che dal nuovo ospedale conduce velocemente al don Vecchi.

Ero entrato in ospedale quando incombevano, sulla periferia che incontra i primi campi ancora coltivati, dei nuvoloni neri, bassi e cupi e stavano cadendo i primi goccioloni pesanti di pioggia.

Entrato in ospedale incontrai un’atmosfera dolce e serena nel giardino pensile bello ed accogliente, come ci trovassimo in una isola del Pacifico.

Celebrai assieme ad un gruppetto di degenti che, con me, chiedeva al Signore salute e serenità per i tanti ospiti accomunati dalla preoccupazione e dalla sofferenza.

Ripresi la mia vecchia Fiat, dopo aver passato i vari check-point, per uscire sono sbucato sul nuovo vialone che prima punta, per un breve tratto, a nord e poi volta a destra conducendomi in un battibaleno al don Vecchi. Il cielo era ancora un po’ cupo ma uniforme e sulla grande volta del cielo mi apparve quasi per incanto l’arcobaleno, nitido, enorme con i colori della pace. Era talmente grande che pareva che nascesse da piazza Grande di Treviso e terminasse, dopo l’alto arco, in piazza Ferretto.

Provai un’emozione profonda a questa visione insolita; ritornai indietro di almeno settant’anni ritrovando la meraviglia, lo stupore, la certezza che il buon Dio si è rappacificato con noi, ha desistito dal proposito di punirci e ci riprometteva un domani più sereno.

Ho dimenticato le nozioni di fisica sulla rifrazione ed ho abbracciato frettolosamente la visione biblica del mondo.

Sono tornato certo che il nostro domani sarà più bello.

Sport, complicazioni e veri problemi del mondo

Questa estate ho corso il pericolo di prendere una sbornia da sport.

Da mattina a sera, ma soprattutto nei momenti del pranzo e della cena, tempo in cui mi concedo un po’ di televisione per i telegiornali, mi è capitato di imbattermi nella musichetta cinese e dovermi sorbire classifiche su classifiche i risultati degli sport più strampalati che potessi immaginare.

Confesso che sto stancandomi anche dello sport, che tutto sommato dovrebbe essere una delle attività umane tra le più pulite, innocenti e disinteressate.

Parlando dei tuffi, pensavo che si trattasse di qualcuno che si butta in acqua da una certa altezza, invece no, c’è chi si tuffa da 10 metri, chi da 20, chi fa lungo la traiettoria una capriola, chi due, chi si avvita, chi…..

Mi pare che si sia giunti ad una sofisticazione tale più vicina all’artificio che allo sforzo per cui uno esprime tutte le splendide potenzialità del corpo umano.

A tutto questo, che mi provoca in partenza una reazione istintivamente negativa, si aggiunge l’enfasi dei giornalisti specializzati su ogni singola prova, che fanno comparazioni risalenti fino ad Adamo ed Eva e adoperano una terminologia epica degna di miglior causa.

Il terzo motivo di stanchezza e di tendenziale rifiuto mi viene dal fatto che gli italiani sono quanto mai deludenti, specie negli sport che richiedono maggior sforzo fisico.

Se non siamo gli ultimi della classe poco ci manca anche se nel medagliere abbiamo qualche medaglia spelacchiata. Ma soprattutto quello che mi rattrista infinitamente è il pensiero delle migliaia e migliaia di persone che vivono, lucrano di questa attività per nulla produttiva e per nulla incidente a risolvere i terribili problemi del pianeta: fame, guerre, disuguaglianze, soperchierie, attentato alla vita del pianeta.

Quanto sarebbe più giusto che uomini e Stato si impegnassero con uguale passione, fatica e sforzo per appuntare appuntare nel medagliere di ogni cittadino meritevole l’oro per la solidarietà, per la pace, per la democrazia, per la libertà, per….

Questo tipo di impegno desterebbe di più il mio interesse e tiferei più calorosamente per i campioni di questi valori!

Sono stato raggirato!

Dopo parecchie esperienze negative mi ritenevo ormai un esperto che non correva più il pericolo di essere abbindolato dai furfanti che con gli espedienti più diversi spillano denaro ai cittadini e soprattutto agli anziani.

A questo proposito avrei da raccontare un vasto repertorio di fatti accadutimi durante la mia lunga vita di prete, vita in cui questa gente che campa di espedienti, mi ha spillato denari, ma soprattutto mi ha fatto correre il pericolo di negare l’aiuto a chi ne aveva veramente bisogno.

L’essere ora al don Vecchi, in questa isola fuori dal mondo, mi rendeva più sicuro che mai, invece, ci sono cascato come un perognocco!

Fortuna ha voluto che il lestofante si sia accontentato di poco, appena 120 euro, ma se avesse voluto credo che avrei pagato molto di più per la mia dabbenaggine.

Faccio un appunto sull’evento per ricordarmi che l’aiuto ai poveri lo debbo dare per scelta, non per raggiro!

La vigilia dell’Assunta mi telefonano dalla segreteria che il signor tal dei tali mi voleva dare un saluto. Non ricordavo il nome, ma per me sono molti di più i nomi di amici che non ricordo che quelli che ricordo.

Mi accolse nella hall con tanta familiarità, disse che stava andando in vacanza e che lavorando come ingegnere alla Sony aveva dei televisori, dei computers, stampanti ed un sacco di altre cose da regalare perché in sede tenevano solo gli ultimi modelli.

Volle gli estremi della Fondazione, per preparare la ricevuta, lo portai in segreteria dove chiese i programmi da inserire. Una vera manna per i collaboratori de “L’incontro” che adoperano macchine vecchie e sorpassate!

Tutto bene se non che mi disse quasi con imbarazzo, che certi cavi li doveva comprare anche lui perché le macchine potessero funzionare, cose che lui avrebbe pagato a prezzo scontato.

Chiesi: “Dica quanto ha bisogno? “Centoventi euro”
Mi venne un dubbiolino, perché chi mi offre roba non fa mai questi discorsi.
Fugai il dubbio e gli diedi il denaro.
“Alle venti, prima di partire, le porto tutto”

Probabilmente alludeva alle venti dell’anno 3000!