“Come sarebbe la mia vita se quella culla di Betlemme fosse rimasta vuota?”

Certi peccati, particolarmente gravi, pur confessati, riaffiorano sempre, per cui nasce quasi il bisogno di confessarli ancora. Questo stato d’animo si ripete, per me, non solo per i peccati, ma anche per certe carenze “professionali”.

Predicare, per me, rappresenta un tormento, predicare poi durante le grandi feste cristiane, il tormento diventa sempre più un tormentone. Come fanno tanti preti a ripetere pensieri banali, verità scontate, discorsi fuori corso e per nulla incidenti sulla coscienza e sulla vita della gente normale?

Motivo per cui la ricerca di un qualcosa di valido e convincente diventa affannosa, piena di preoccupazione insistente.

Quest’anno per Natale il problema si ripetè come al solito finché il Signore volle che un filo di luce illuminasse il mio spirito e pian piano approdassi su un terreno che mi è parso solido.

“Gli amici del presepio” portarono il presepio, da metter sotto l’altare della cappella del cimitero, poco dopo l’Immacolata. Così che per una quindicina di giorni sono passato davanti alla culla vuota che attendeva Gesù per il 25 dicembre. In verità mi faceva un po’ di tristezza quella culla vuota, tanto che una mattina, mentre solo soletto, nella chiesa deserta e fredda, guardavo Maria e Giuseppe, che a loro volta erano accanto a quella culla vuota, mi dissi: “Come sarebbe la mia vita se quella culla di Betlemme fosse rimasta vuota?” la mia mente si mise in moto: non saprei da dove sono venuto, perché sono a questo mondo, e a che parasse il mio vivere. Mai avrei potuto immaginare che in Cielo ci fosse qualcuno che mi vuole bene, mai avrei potuto pensare di poterlo chiamare io “Padre”, mai avrei potuto immaginare che Egli è disposto a perdonarmi, ad aspettarmi in fondo alla strada della vita, ad’accogliermi ancora nella sua “casa”! Il mondo senza Gesù sarebbe ben squallido, pieno di mistero e di desolazione.

Quest’anno per Natale dissi ai miei fedeli che ci è stato dato un autentico tesoro e noi corriamo il pericolo di comportarci come sia un mucchio di pietre false.

Un doveroso riconoscimento

Per Natale è venuto a farmi gli auguri Tobia Zordan, uno degli adolescenti che don Gino ha lasciato in eredità alla parrocchia, quando il Patriarca l’ha mandato a Mira a fare il parroco.

La notizia del trasferimento mi giunse inaspettata ed amara mentre il mio giovane cappellano era alla Malga dei Faggi con uno splendido gruppo di una quarantina di adolescenti, tra cui c’era anche Tobia, il ragazzo che ha mantenuto anche dopo vent’anni quel suo volto innocente e sempre trasognato.

Il tutto mi pare cosa dell’altro ieri, mentre in realtà Tobia ha fatto in tempo a laurearsi in architettura, crearsi uno studio in cui lavorano una quindicina d’architetti, vincere un concorso perciò ogni mese insegna una settimana nell’Università cinese di Shangay. Sposare una gentile collega e mettere al mondo un angioletto di bimba che porta un nome da amazzone, troppo impegnativo per una bimba fragile e bella: Camilla.

Tobia come sempre è stato caro e gentile con quel suo parlare accattivante, dal tono caldo e sommesso.

L’incontro si svolse nella hall del don Vecchi, ma durante tutto il tempo un pensiero mi frullava insistente in testa, tanto insistente che dovetti dargli voce: “Tobia, ringrazia tuo padre per non avermi dato il permesso di fare la trentina di stanze progettate nell’interrato sottostante alla hall”. A quel tempo l’architetto Zordan era assessore ai lavori pubblici e, per quanto avesse voluto aiutarmi, le norme erano decisamente contrarie. Avrei costruito una polveriera sotto ai piedi dei 250 anziani del don Vecchi. A quel tempo ci rimasi male, ora finalmente ho capito che facendo il proprio dovere si aiuta il prossimo!

Il riconoscimento della dirittura professionale dell’assessore è giunto tardi, ma era doveroso riconoscerlo!

Dio ci chiede di fidarci di Lui

Tutti sono convinti che un prete più diventa vecchio e più gli riesca facile predicare, potendosi rifare a discorsi già fatti in precedenza.

Per me le cose non stanno proprio così, anzi confesso che più vado avanti con gli anni e più mi diventa difficile e faticoso commentare la parola del Signore.

Nel passato, come d’altronde continuo a fare, quando preparo la predica fisso in un foglio gli appunti, lo schema del discorso che sto per fare. Un tempo li custodivo sperando che mi potessero tornare utili, poi avendo capito che non mi sarebbero più serviti a nulla perché mi sembravano pensieri morti o perlomeno avvizziti, finii per buttarli via.

Anche oggi continuo a fissare i pensieri sulla carta, ma ora a differenza del passato, butto subito gli appunti nel cestino, sapendo con certezza che il pensiero vivo si sviluppa, cresce, si modifica, si adegua alle attese della gente, che vive oggi e poi muore e non serve più!

La quarta domenica di avvento si è letto la pagina di Luca che racconta l’Annunciazione, ossia la proposta che Dio, per mezzo dell’Angelo, fece a Maria. Ho tentato con tutte le mie risorse di aiutare la piccola assemblea, riunita in ascolto attorno all’altare, a decodificare il messaggio, di liberarlo da tutte le impalcature fatte dalla tradizione dalla letteratura e dalla teologia, riducendo l’evento ad una illuminazione integrale, che una brava ragazza ebrea ebbe, illuminazione che sconvolgeva tutti i suoi progetti. Parlai del suo disagio della sua paura e delle sue perplessità, finendo ella però con un atto di fiducia, dicendo a Dio “Eccomi, sono pronta, mi abbandono a te!”

Conclusi tentando di far fare anche agli ascoltatori l’esperienza di Maria che determinò la salvezza.

“Oggi l’Angelo parla a noi, ognuno ha i propri progetti, i propri sogni, la paura, la preoccupazione e la coscienza della propria fragilità. Dio ci chiede di fidarci di Lui, di adeguarsi al suo progetto, di seguirlo sulla sua strada, a noi non resta che dirgli di sì e di fidarsi di Lui”.

Quando terminai non si sentiva neppure un respiro, spero proprio che tutti i presenti abbiano detto di sì al progetto di Dio nei propri riguardi!

Il buon Dio scrive bene anche con la mano sinistra

I regali e le testimonianze di affetto mi giungono sempre graditi, ma ci sono certi doni che veramente mi toccano il cuore.

Quest’anno me ne è giunto uno particolarmente gradito.

Qualche giorno prima di Natale, un’agenzia di spedizioni, mi ha portato, al don Vecchi un dolce ed una serie di confezioni di olio di oliva, tra i più pregiati, prodotti dalla ditta Carli.

Immediatamente ho cercato di scoprire chi mi aveva mandato questo dono natalizio. Con mia sorpresa c’era nella bolla di accompagnamento solamente il nome della famiglia senza ulteriori note, il nome poi di questa famiglia, di primo acchito, non mi diceva nulla. Sì c’erano alcuni cognomi, di gente conosciuta, che gli assomigliavano, ma normalmente chi fa un dono non gioca sulle lettere!

Pian piano emerse il nome di una famiglia con cui ho avuto qualche rapporto, ma precario e certamente tale da non poter immaginare che ci fossero dei motivi per un gesto tanto generoso.

D’altronde sarebbe stato tanto scortese non tentare di ringraziare chi era stato tanto caro nei miei riguardi. Con comprensibile imbarazzo dissi a questa famiglia con discrezione cosa mi era capitato e se loro avessero potuto darmi qualche aiuto.

Compresi immediatamente che il dono veniva proprio da loro. Tale signora mi aveva, nel passato, dichiarato il suo poco entusiasmo per la chiesa, per la fede e per il mondo dei preti. La conversazione che ne seguì è stata ancora più bella del dono; questa creatura mi confidò la sua simpatia per questo povero vecchio prete, un po’ fuori dalle righe, e mi confidò ancora che quello che di buono aveva imparato gli veniva dalla cellula o dalla sezione del partito comunista, che aveva lungamente frequentato!

Per me, che ho frequentato sezioni ben diverse, questa notizia mi è giunta particolarmente cara ricordandomi ancora una volta che il buon Dio scrive bene anche con la mano sinistra!

La televisione che farebbe bene a tutti!

Alla domenica pomeriggio sono sempre combattuto tra il desiderio di concedermi la visione di qualche rubrica televisiva che mi interessa e la necessità di lavorare per “L’incontro”. Normalmente finisco sempre per optare per questa seconda soluzione anche perché al mattino di ogni lunedì si va in stampa!

In occasione delle vacanze natalizie ho fatto un’eccezione, concedendomi il lusso di guardare una parte della rubrica “Alle falde del Kilimangiaro”, condotta da una brava, intelligente e simpatica giornalista televisiva.

Quando ho aperto la trasmissione era già in corso ed ho poi chiuso prima della fine, sempre per lo scrupolo di perder tempo e di non fare fino in fondo il mio dovere.

La ventina di minuti di svago mi ha permesso di vedere due “pezzi” che mi hanno fatto del bene ed hanno favorito la dolce atmosfera natalizia di cui pur io sono desideroso.

Il primo episodio riguardava una cooperativa, sorta all’interno di un carcere italiano, che descriveva la vita di un gruppo di detenuti impegnati nel settore della pasticceria.

Un detenuto, dopo aver vissuto cinque anni in isolamento (penso che la deve aver fatta proprio grossa!), arrabbiandosi con il mondo intero, ha trovato un motivo per vivere e per rigenerarsi, con questo lavoro. Le parole semplici e sentite di questo detenuto, mi hanno letteralmente commosso e convinto che veramente il Verbo ha scelto di abitare nel cuore dell’uomo, di qualsiasi uomo; l’incarnazione è veramente una bella e splendida realtà.

Il secondo episodio, che ha commosso la giornalista Licia Colò che ama veramente gli animali, ci ha mostrato come un cane ha tentato di trascinare in zona di sicurezza un altro cane investito da un auto ed un leone allevato in casa da due fratelli, messo poi in libertà nella foresta, dopo un anno di vita selvaggia, abbraccia con commovente tenerezza i fratelli che si erano presi cura di lui.

Questa è la televisione che amo e questa è la televisione che farebbe bene a tutti!

Cosa significa oggi “buon Natale”?

Il mio rapporto con l’Annunziata, la giornalista della televisione, potrei definirlo con una frase fatta “un rapporto di odio ed amore”.

Ben si intende che nessuna formula riesce a definire qualcosa di personale che in realtà è unico e irripetibile, comunque, tutto sommato, spesso l’ammiro, questa donna, per la sua intelligenza e la sua preparazione professionale e talvolta la rifiuto per la sua faziosità.

L’ultima volta che l’ho vista e sentita, conduceva un dibattito sulla moralità dei politici tra Violante e Flores D’Arcais. Si è destreggiata con abilità ed intelligenza tra Violante, che ora fa il moderato e D’Arcais che fa il massimalista nella maniera più intransigente ed assoluta.

Comunque a parte l’argomento e gli interventi intelligenti ed arguti, mi ha fatto pensare la conclusione, quando come commiato ha augurato più volte ai due contendenti “Buon Natale”, augurio ricambiato con calore e cordialità sia dall’uno che dall’altro, fatto che mi ha posto una domanda che è abbastanza naturale per un prete quale io sono: che cosa significa “Buon Natale” per l’Annunziata, per Violante e per Flores D’Arcais? Tutte e tre militanti nella gamma ormai sfumata e vasta della sinistra italiana, che naturalmente non si evidenzia per l’aderenza al messaggio cristiano. Cosa significa il Natale per la massa di gente che si è messa in viaggio, anche in questo anno di crisi economica, per quella più grande ancora che ha affollato ipermercati e botteghe per festeggiare il Natale, per chi ha affollato la chiesa per la messa di mezzanotte, per chi, incontrandosi, si è stretta la mano e fatto gli auguri, per chi ha parlato dell’incarnazione rifacendosi a vecchi schemi spesso ininfluenti sulla vita reale?

Io non so rispondere a queste domande così complesse. Spero solamente che il Natale di quest’anno abbia perlomeno ridestato il desidero di solidarietà, di attenzione ai deboli, di speranza e di desiderio di un mondo migliore.

Spero che almeno sia nell’Annunziata che in Violante, che in Flore D’Arcais, che in ogni uomo abbia almeno fatto emergere la parte migliore del cuore che spesso è seppellita sotto tanti fallimenti e tante cattiverie!

Il Signore evidentemente chiama ancora!

Qualche giorno fa ebbi modo di avere un colloquio con un personaggio di rilievo nel mondo delle aziende cittadine di pubblico interesse.

In quell’occasione questo personaggio mi presentò un funzionario di grado elevato dell’Ente da lui diretto. Il discorso verteva su un servizio che da molto tempo mi sta a cuore perché rappresenta una delle tantissime tessere carenti nel mondo della solidarietà a Mestre.

Da tanto tempo vado ribadendo che la nostra città, relativamente giovane, è carente di tantissimi servizi dei quali altre città, più antiche, più intraprendenti e più generose, ne sono fornite da tantissimi anni.

Mestre a questo riguardo è assolutamente svantaggiata, non solamente per la sua “giovane età”, ma pure per la carenza di una classe dirigente locale, di un ceto di benessere economico consolidato, di una amministrazione pubblica che vive in isola e, non da ultimo, di una chiesa che ha i responsabili a Venezia e perciò lontana dai problemi reali del popolo mestrino. Ebbene questo funzionario, per farmi capire che condivideva le mie istanze, in un momento confidenziale, mi disse che apparteneva ad una associazione di laici consacrati; la cosa mi fece tanto piacere perchè potrebbe sembrare che in questo momento storico, le scelte integrali dell’ideale evangelico stanno letteralmente scomparendo.

La sera dello stesso giorno, alla trasmissione della rubrica di Santoro, venni a sapere che un magistrato, di cui si stava parlando, anche lui disse candidamente di appartenere alla stessa associazione a cui mi si fece cenno al mattino e a cui pare appartenga pure il Governatore della Lombardia.

Il Signore evidentemente chiama ancora e sembra che le risposte giungano da un mondo che un tempo era di esclusivo appannaggio dei laici, dei massoni o dei beneficiati della sinistra!

“Sono troppo giovane per fare cose troppo grandi”!

Ricordo di aver letto che l’abitudine è un nemico sempre in agguato, pronto a svuotare di contenuto anche i segni più sacri e più sublimi, riducendoli a dei banali gusci vuoti.

Un gesto umile, quale può essere un bacio pulito e casto, più esprimere il sentimento più alto e nobile qual è quello dell’amore umano. Se però quel bacio diventa una pura formalità o lo strumento per provare solamente una sensazione gradevole scade della sua sacralità per ridursi a qualcosa di banale ed insignificante.

Se tutto questo vale per gli aspetti del sentimento, dei rapporti umani, a maggior ragione l’abitudine diventa un nemico insidioso e pericolosissimo per quanto concerne i riti religiosi ai quali si rifanno i più grandi misteri cristiani.

I riti di culto sono estremamente ridotti all’essenziale e quindi quasi disincarnati e riassuntivi e soprattutto sono ripetitivi e perciò il pericolo che non veicolino più ricchezza umana e spirituale è veramente estremo.

Talvolta mi capita di vedere alla televisione riti suntuosi celebrati nelle cattedrali in cui pare emergere forte il senso del mistero e del divino, ma quando invece la celebrazione e spoglia di ogni suntuosità e la cornice è estremamente povera, quale può essere quella della mia povera cappella cimiteriale, viene a mancare anche lo sfondo che dà suggestione!

Tutte queste carenze possono essere supplite solamente dalla fede e dalla tensione interiore del celebrante, dalla proprietà delle vesti e dell’ornato e dalla capacità appunto del sacerdote di trasmettere alla comunità degli oranti la ricchezza e la sublimità del mistero che si sta celebrando.

Quando penso a questa responsabilità, a tale compito, mi sento impaurito, angosciato ed indignato sapendo che le mie parole ed i miei gesti debbono almeno far intuire che in quel momento e in quel luogo avvengono cose sacre e sublimi!

Come capisco Geremia il quale dice al Signore: “Sono troppo giovane per fare cose troppo grandi, almeno il tuo angelo bruci con il carbone ardente le mie labbra perché possano dire le tue parole, Signore!”

Il rapporto con le altre confessioni religiose

Quando ero ragazzino e soprattutto con l’inizio e la prosecuzione degli studi in seminario, sono stato educato a vedere solamente il lato negativo nelle confessioni religiose diverse da quella cattolica.

Ricordo che durante il liceo o la teologia d’aver pure sostenuto un corso di apologetica, materia in cui erano messi in luce i pregi del cattolicesimo da un lato e dall’altro lato le deficienze e le incongruenze del mondo protestante ed ortodosso.

Erano di quel tempo le mie letture dell’umorista inglese Bruce Marshall “Il miracolo di padre Malachia” “Ad ogni uomo un soldo” romanzi scorrevoli e piacevolissimi, ma tutti in polemica con le chiese riformate.

Immagino che anche sul versante dei protestanti si ripagasse con la stessa moneta i deprecati papisti, simoniaci, creduloni e superstiziosi!

A questa stagione successe quella dell’ecumenismo per cui immagino che questa acrimonia sia calata.

Però, nonostante il cambiare del vento, ho la sensazione che “il mio peccato originale” sia rimasto, o perlomeno non sia stato cancellato totalmente. Una certa riserva ed un pizzico di sospetto suppongo che sia rimasto in fondo al mio animo.

Qualche settimana fa mi ha raggiunto inaspettatamente una telefonata di Padre Abraan, il pope moldavo che officia la chiesa ortodossa di via Monte Piana a Mestre, per invitarmi il sabato o la domenica mattina per una liturgia importante per la sua comunità. Quasi a giustificarsi mi disse: “Avremo piacere di averla con noi sapendo quanto si dà da fare per noi stranieri!”

L’invito mi ha fatto enorme piacere, perché l’ho sentito ricco di fraternità spirituale. Purtroppo non ho avuto la possibilità di parteciparvi per precedenti impegni. Scrissi però a questo degno ministro di Dio per ringraziarlo e per assicurarlo della mia partecipazione interiore sentendo che un altro po’ di “peccato originale” era cancellato per merito di padre Abraan.

Meglio esser realisti a questo mondo

Di mestiere faccio “il predicatore”.

Per indole e per scelta predico il bene piuttosto che fare reprimende contro i vizi della nostra società.

Da sempre preferisco indicare sante utopie, mete sublimi, virtù, piuttosto che tuonare contro i malanni del nostro mondo.

Certo, è abbastanza semplice indicare mete ambiziose, ideali alti, il difficile però è il riuscire a realizzarli. Quindi ho una certa dimestichezza, anzi forse troppa, nell’indicare ai fedeli modelli di vita e di società nobile. Bastasse però la predica a convertire la gente e modificare in meglio il malcostume di rapporti amari, tutti pregni di egoismo, di prepotenza, poco o nulla attenti alle esigenze e alle aspettative del prossimo.

Mi capita di sovente, che quando qualcuno si sente mortificato, offeso, maltrattato, venga a manifestarmi la sorpresa nel constatare questa malevolenza tanto contraria agli ideali cristiani quasi a rimproverarmi perchè non predico sufficientemente il rispetto, la comprensione e la benevolenza!

Bastasse una predica per convertire il mondo!

Qualche giorno fa mi è giunto qualcuno meravigliato e sdegnato per la mancanza di rispetto nei suoi riguardi, a suo dire, in un “mondo come il nostro” che dovrebbe essere un modello di solidarietà e di comprensione!

Al mio interlocutore mostrai tutta la mia comprensione e partecipazione, promettendo che sarei pur intervenuto per fargli giustizia però nel contempo l’avvertii che questo è il mondo, bisogna imparare a convivere con esso perché sarà ben difficile intervenire e correggere soprattutto gli altri e pretendere da essi quel rispetto che noi non sappiamo offrire.

Monsignor Vecchi era solito ripetermi: “Don Armando, se pretendi un mondo di perfetti, ti troverai sempre solo, perché gli uomini sono tutti limitati, vanno accettati e amati come sono!” Un sano realismo può essere un buon antidoto contro le pretese a senso unico e soprattutto nei riguardi degli altri mentre si è alquanto comprensivi nei riguardi dei nostri limiti!

I miracoli dell’amore

Ci sono dei piccoli gesti così carichi di poesia e di calda umanità, che certamente non risolvono ne i grossi problemi della vita, ne i medi e forse neppure i piccoli, eppure allargano il cuore e aiutano a guardare con più ottimismo la vita, la gente e il domani.

Da parecchi anni conosco un magistrato, ora in pensione, che periodicamente mi portava delle somme, per me consistenti, da destinare ai poveri o alle opere delle quali, man mano, mi stavo occupando.

In tempi relativamente vicini ha perduto la moglie, che l’ha preceduto alla casa del Padre dopo un lunghissimo periodo di infermità. La simpatia, l’amicizia e poi questo lutto, a cui ho partecipato con vera fraternità, hanno fatto sì che spesso lo veda umile e dimesso tra la piccola comunità di fedeli che partecipa ai divini misteri nella cappella del cimitero.

Talvolta questa presenza mi mette perfino un po’ a disagio, essendo perfettamente consapevole della modestia dei miei sermoni!

Il giorno di Santa Lucia, lo notai come sempre tra i fedeli un po’ più numerosi del solito, per chiedere aiuto alla Santa degli occhi. Finita la messa mi si accostò porgendomi una busta ed un po’ commosso mi disse:  “Io e mia moglie per Santa Lucia, da buoni veronesi, ci facevamo un regalo secondo l’antica usanza della nostra terra; oggi ho pensato di offrire a lei il mio dono per Cristina, mia moglie”.

Ricevetti come un qualcosa di umanamente sacro quel “fiore” di gentilezza e di affetto, che trovava modo di fiorire, nonostante che la moglie da più di un anno si sia trasferita in cielo.

Miracoli dell’amore!

Chi vive come un autentico discepolo di Cristo?

Una volta ho sentito un prete che sentenziava con convinzione che i cristiani si contano alla balaustra!

Immagino, anzi sono sicuro, che questo sacerdote voleva dire che il cristiano vero è quello che si accosta di frequente e con pietà all’Eucarestia.

Sarei perfettamente d’accordo con questo sacerdote se voleva dire che il gesto della comunione significa che il fedele accoglie integralmente nel suo cuore e soprattutto nella sua vita il Cristo, nell’integrità del suo messaggio, dice di sì, come la Madonna all’Angelo, in una parola è totalmente disponibile ad impostare ed adeguare la sua vita al messaggio di Gesù e non riduce il gesto ad una pia pratica religiosa, che non modifica per nulla la sua vita privata o pubblica.

Io sto vivendo in maniera drammatica il problema di una religiosità sganciata da un lato dal messaggio originale di Gesù e dall’altro lato sganciata dalla vita reale.

Mi pare che anche Sant’Agostino aveva avvertito questo problema quando ha affermato: “Ci sono fedeli che sono parte integrante della chiesa, ma che Dio non riconosce come suoi discepoli, ed altri uomini che si definiscono laici, liberali, agnostici e perfino atei, abbastanza di frequente nella sostanza vivono come autentici discepoli di Cristo”

Vengo ad un esempio che mi ha colpito in questo ultimo tempo: Un giornalista mestrino, pur battezzato e cresimato, (ma chi non lo è da noi) ma che penso sia una specie di libero pensatore, per nulla praticante, il quale ogni volta che si accorge che il Samaritano si sta insabbiando tra le scartoffie della burocrazia rilancia con vigore l’argomento con articoli frizzanti e pungenti per creare opinione pubblica attorno all’argomento, pestando certamente i piedi a qualcuno.

Mi domando, ma che cosa stanno facendo i praticanti, a difesa dei poveri, mentre il Cristo che ricevono nell’Eucarestia afferma “Ama il prossimo tuo come te stesso!”

I musulmani, testimonianza vivente di una fede che interpella la nostra coscienza

Io sono sinceramente edificato quando vedo nei giornali o alla televisione folle di fedeli musulmani che nelle moschee, o in qualche sala di fortuna o anche all’aperto, in questo rigido inverno, si chinano fino a terra in un gesto di adorazione verso Dio.

Quando poi osservo che non sono bimbetti o vecchierelle, ma solamente giovani ed uomini nel pieno vigore della loro età, l’ammirazione diventa ancora più consistente.

Sono felice di questa testimonianza di fedeli che non hanno rispetto umano, sono edificato da queste manifestazioni di fede fatte in pubblico sotto gli occhi di tutti.

Mi fa inoltre molto piacere che i nostri Vescovi dicano al governo che non sono per nulla contrari che si offra, ai discepoli di Maometto, di avere luoghi di culto idonei per la dignità umana e per questa loro manifestazione di fede.

Di una nostra certa religiosità formale che si identifica con la tradizione o con la cultura, che non incide nelle scelte della vita e che si riduce a qualche gesto formale, compiuto ogni tanto, ne ho piene le tasche!

Ringrazio veramente il Signore per averci mandato tanta gente in Italia, non solamente si fa carico dei mestieri più pesanti e meno retribuiti, ma ci offre pure questa testimonianza di fede che interpella la nostra coscienza, che ci mette in crisi e ci spinge ad una verifica interiore!

Gli arabi e i musulmani si stanno macchiando di gravi crimini di terrorismo, però pagano con la vita, sono mossi da nobili ideali e si muovono con i mezzi che hanno, mentre noi pensiamo di non sporcarci le mani, colpendo i paesi poveri con aerei e carri armati sofisticati, soldati rambo e usando con assoluta disinvoltura strumenti finanziari per continuare a schiacciarli e sfruttarli!

E’ meglio lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Spero di non essere venale, ma talvolta sarei quasi tentato di chiedere un qualche compenso ai miei fratelli che usano il mio nome come certificazione di sana provenienza. Mio fratello Luigi, successore di mio padre nella minuscola azienda di falegname, più di una volta mi ha confessato candidamente, che quando si presenta per un lavoro dice di essere mio fratello come garanzia di serietà.

Lucia, invece figura storica di infermiera all’oculistica in ospedale a Mestre, che ha legato la sua vita alla notorietà del prof. Rama, delle sue imprese filantropiche in Kenya, teme che la mia presunta fama oscuri le sue gesta umanitarie, però non si fa scrupoli di dispensare il mio “diario” per aumentare il suo prestigio nell’ambito dell’ospedale o forse per poter fare i regali di Natale a buon mercato, anzi senza oneri!

Comunque qualche giorno fa mi riferì che il primario dell’urologia aveva gradito il dono, leggeva volentieri il volume, ma che avrebbe gradito una mia dedica.

C’è da notare che suddetto primario, segue i miei guai, perciò gli sono particolarmente grato per essersi fatto carico dei malanni che mi affliggono.

Mi è parso perciò opportuno promettergli, con un po’ di spirito goliardico, che gli avrei volentieri donato metà dei meriti che avrei acquisito durante il tempo in più che mi avrebbe eventualmente donato con le sue cure. Poi ci ho pensato un po’ più seriamente perché in suddetto tempo potrei combinare dei guai e perciò sarebbe stato opportuno che accettasse l’offerta col beneficio dell’inventario.

Comunque meglio di tutto è lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

C’è un mio coinquilino del don Vecchi, che sente la chiamata all’apostolato e pensa di doverla esprimere mediante la stampa e quindi di tanto in tanto mi passa degli articoli.

Più di una volta gli ho fatto presente che “L’incontro” persegue una certa linea editoriale, della quale i suoi articoli non ne tengono per nulla conto. Tanta è però l’insistenza di questo maturo aspirante giornalista, che non pare per nulla convinto delle mie osservazioni, tanto che mi presenta con insistenza i suoi scritti per cui ogni tanto finisco per cedere e pubblicare i suoi pezzi sulla Sindone, sull’esistenza di Dio, sulla validità del cristianesimo ed altri argomenti che io do per scontati per i lettori de “L’incontro”

L’ultimo articolo che mi ha messo sotto la porta riguarda lo Stato Pontificio, fornendo alcune informazioni sulla sua superficie, sul numero delle guardie svizzere, la loro carriera e su quanto riguarda la popolazione di questo piccolo stato, rimasuglio dello Stato Pontificio terminato nel 1870 con la presa di Porta Pia da parte dei bersaglieri.

Riflettendo su questo fatto d’armi, che sa più da operetta che da battaglia, anche se ci sono stati morti veri, mi domandavo qualche mese fa, in occasione dell’11 settembre, se era giusto come cristiano, deprecare la caduta dello Stato in cui il Papa era monarca assoluto o festeggiare quella data come liberazione del Vicario di Cristo, da una posizione impropria, mortificante o fuorviante dal compito del rappresentante di Colui che disse: “Il mio Regno non è di questo mondo!”

La questione romana non mi ha mai appassionato, nè lo Stato Pontificio, con tutto il suo vecchio apparato, non mi ha esaltato più di tanto.

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

Il mio Gesù e il mio Papa rimangono tali anche senza vecchie cornici che finiscono per essere sempre tarlate!