La bellezza degli auguri

Anch’io mi lascio andare ai riti imposti dalla tradizione e spesso lo faccio molto volentieri anche se in fondo all’animo il solito “grillo parlante” interviene criticamente con le sue battute scoccianti, ma arrischiano di rappresentare lo spillo che fa scoppiare la bolla iridata del sogno.

Come non dovrei gradire la cordialità degli auguri di capodanno?

Gli auguri sono una espressione di simpatia, di amicizia e di fraternità che allarga il cuore ed aiuta a sentirsi in un mondo più caro e più amico.

Ora poi che la gente è più espansiva e meno inibita del passato e che il bacio, l’abbraccio hanno superato i tabù di un tempo, pur nella semplicità e nella limpidezza diventano segno caldo di questi sentimenti cari e promettenti.

Per il capodanno di questo 2009 ho fatto e ricevuto molti auguri e ciò mi ha fatto molto felice, anzi mi è dispiaciuto non aver potuto abbracciare tutti i miei concittadini per sentire il loro calore ricevuto e donato di una cordialità che dovrebbe essere presente in tutti i rapporti umani.

Io presto sarò solo da museo!

E’ triste destino dei vecchi l’avvertire di essere superati dalla mentalità, dalla cultura e soprattutto dalla tecnica.

Io vivo ormai da anni questo disagio esistenziale. Pur ammirando i pregi e la vitalità della giovinezza, non l’invidio nè la rimpiango perché sono esperienze che ho già provato a mio tempo, provo invece frustrazione di fronte alle tecniche offerte dal progresso scientifico che avverto non essere io più in grado di servirmene per raggiungere quegli obiettivi che sono connaturati alle mie scelte di fondo e alla mia missione.

Per un prete è assolutamente essenziale possedere strumenti idonei ed aggiornati per offrire il messaggio che è motivo delle scelte e della vita di un sacerdote.

So usare il microfono, la comunicazione scritta mediante la stampa in genere ed in particolare dei periodici (vedi le numerose esperienze di libri e di periodici). Comprendo ed uso con sufficiente dimestichezza la comunicazione radiofonica (vedi la bella esperienza di Radiocarpini). Conosco l’efficacia e riesco ad utilizzare la comunicazione televisiva. Mentre mi rimane purtroppo sconosciuta l’ultima generazione dei mass-media: telefonini, internet, computer.

Avverto che i nuovi strumenti mediatici stanno ogni giorno di più sostituendo e soppiantando velocemente i precedenti, che pur sono di uscita recente, ed io mi sento ogni giorno sempre più tagliato fuori da questi mezzi di comunicazione portentosi, veloci e di grande efficacia.

Questi mezzi poi stanno modificando stile, mentalità e modalità nel linguaggio e questo mi fa sentire ancora più vecchio e sorpassato, fuori non solo dalla moda, ma anche dalla vita.

Oggi servono preti ma soprattutto preti nati in questo contesto tecnico, perché solo loro possono servirsi, con disinvoltura, di questi nuovi strumenti con cui annunciare il messaggio cristiano.

Io presto, tanto presto, sarò solo da museo!

I cattolici del comune di Venezia

Pirandello, anche se oggi non è più di moda e non si mettono più frequentemente in scena le sue numerosissime e caustiche commedie, rimane uno scrittore arguto che mette con decisione il dito sulla piaga delle debolezze e delle incoerenze umane.

In questi giorni il mio pensiero è andato a lui essendo io intervenuto, presso la civica amministrazione, per far presente alcune carenze riguardanti il piazzale del cimitero e la chiesa del camposanto. Per dare maggior forza ed autorevolezza al mio dire, ho pensato che era opportuno battere un tasto di carattere politico, affermando che i cattolici del comune di Venezia, assomigliano ai protagonisti della commedia di Pirandello “Sei personaggi in cerca di autore”

Con la dissoluzione della Democrazia Cristiana, che ambiva rappresentare il mondo cattolico, si è instaurata, per me opportunamente, la dottrina che i cristiani potevano, rimanendo tali, militare sia tra i moderati di destra che di sinistra.

Quelli che sono fiduciosi di risolvere i problemi del Paese con le ricette della destra moderata hanno certamente spazio e rappresentanza, mentre, ahimè, quelli, e non sono pochi, che hanno più fiducia delle soluzioni prospettate dai nuovi rappresentanti della sinistra moderata, non hanno assolutamente più rappresentanza politica, nè a livello nazionale e tanto meno a livello locale.

A Venezia tutti i posti sono saldamente già occupati da ex comunisti, che hanno sì cambiato bandiera, ma pare mantengano ancora saldamente ideali e obiettivi che avevano 20-30-40 anni fa e questo non rassicura per nulla i cattolici che non solo non condividono tale impostazione ma l’hanno da sempre combattuta!

La religione della famiglia

La mia specializzazione e la mia occupazione prevalente, essendo cappellano in cimitero, verte, per varie ragioni, sul settore del lutto. Il suffragio rappresenta l’oggetto primario del mio servizio sacerdotale.

Normalmente tento di incontrare qualche parente o un amico del “caro estinto” per avere un’immagine, pur sommaria, del fratello o della sorella da cui la famiglia e la comunità prende commiato e per cogliere la testimonianza globale che ogni persona lascia in eredità ai fratelli che ha incontrato durante la vita. Quasi sempre gli abbozzi che mi consegnano sono abbastanza simili; d’altronde non sono molte le personalità ben definite e di pregio. Comunque io ritengo sempre opportuno cogliere in positivo e talvolta in negativo, in maniera tale che i presenti al commiato ne possano trarre vantaggio dalla testimonianza offerta da chi ci lascia.

Qualche settimana fa, a rispondere alla mia richiesta, è stato il fratello del defunto, il quale mi diede qualche nota abbastanza scontata e comune quali la bontà, l’altruismo e la laboriosità.

Quando però gli chiesi qualche notizia sulla religiosità del fratello scomparso, si affrettò a dirmi che era certamente credente anche se non praticante; poi per specificare meglio, soggiunse che il fratello scomparso aveva soprattutto “la religione della famiglia”, per esaltarne certamente la dedizione per i propri cari.

In cuor mio mi domandai se il Giudice Supremo riconosca questa religione.

I teologi che ho studiato in seminario di certo non parlano di questa “religione” ma mi ricordai delle “Chiavi del Regno” di Cronin, romanzo in cui questo autore inglese sostiene che sono molte le strade che portano al Regno; di certo una di queste può essere la dedizione alla propria famiglia! Lo affidai quindi più fiduciosamente alla misericordia di Dio sperando che anche il buon Dio sia d’accordo!

Il Primario delle anime

Ora mi reco con minor frequenza, di quando collaboravo a livello pastorale, con lo staff di addetti alla pastorale presso il nostro ospedale, ma anche ora almeno un paio di volte la settimana, vado all’Angelo per portare “L’incontro”.

Qualche giorno fa mi hanno salutato con calore due coniugi mentre stavo armeggiando per parcheggiare la mia Fiat Uno.

Il marito, un omone di eloquio cordiale e vivace, mi disse: “Don Armando non hanno dato neppure a lei una tessera per parcheggiare gratis?”

Io, che ero e sono convinto di non aver motivi particolari per un privilegio del genere e pensando che il mio interlocutore non sapesse che non ero più in servizio attivo in ospedale, risposi che non avevo titolo alcuno per la gratuità.

Al che egli ribatté, suppongo non avendo compreso il senso della mia risposta: “Ma lei è un primario”, poi per spiegarsi soggiunse: “Primario a livello delle anime!”

Ci lasciammo con un sorriso ed un saluto molto cordiale.

Ci pensai a questa promozione sul campo datami, non dai miei superiori, ma da un uomo della strada.

Con 55 anni di servizio attivo come prete dovrei veramente aver raggiunto da un pezzo il “primariato”, a meno che non sia veramente una zucca!

Il problema mi ha interessato almeno per qualche giorno. Le fabbriche quando mandano in pensione un dipendente anziano, spesso lo adoperano come “consulente”, mentre da noi preti pare che la pensione sia veramente la fine!

Già da tempo sto riflettendo allo spreco di esperienze che la chiesa si concede con troppa disinvoltura!

L’insegnamento di Monsignor Bosa

Ogni tanto emergono nella mia memoria ricordi di tempi lontani, ricordi popolati dalle persone che ho incontrato e che hanno concorso alla mia educazione.

Qualche giorno fa, non so in occasione di che, è emersa, nella nebbia ovattata dei tempi del seminario, la particolare, ma bella figura di Monsignor Bosa. Questo prete prima di essere il Vicario generale, è stato, per me, l’insegnante intelligente ed apprezzato di scienze, di fisica e chimica. Lo ricordo particolarmente perché, questo studioso, che aveva curato una bellissima e vasta raccolta di lepidotteri, di farfalle e di cristalli e si occupava pure dell’osservatorio meteorologico e del sismografo esistenti in seminario, mi aveva scelto come suo assistente, motivo per cui mi assentavo spesso dalla vita di gruppo per occuparmi di queste attività scientifiche quanto mai interessanti.

Qualche giorno fa mentre mi sentivo vuoto, inconcludente e dispersivo, mi è venuta in mente una sua lezione. Diceva, questo eminente scienziato, che se si fossero potuti eliminare gli spazi tra atomo e atomo, la terra si potrebbe ridurre ad un cubetto di pochi centimetri cubi. Al quel tempo questa verità scientifica mi sbalordì e mi sbalordisce ancora, ma ricordando questo mi venne in mente, per una strana associazione di idee, che se dalla mia vita potessi eliminare tutti i tempi vuoti, quei tempi inconcludenti e passati banalmente, potrei fare tantissime altre cose.

Spesso mi avvilisco pensando che altri riescono meglio, realizzano di più, riempiono meglio il loro tempo dedicandolo in maniera più proficua al bene della gente.

Poi sono costretto a rassegnarmi ed accettarmi come sono, con tanti limiti e pochi pregi!

San Paolo ha molto da insegnare ai cristiani d’oggi

Il 2009 è stato dedicato all’apostolo delle genti: San Paolo.

Credo che la chiesa in genere e quella veneziana in particolare abbia veramente bisogno di confrontarsi con  l’apostolo San Paolo, il grande convertito, che rimane anche per i cristiani e le comunità del nostro tempo il campione insuperabile della fede e soprattutto dell’apostolato.

Paolo è per antonomasia il testimone del coraggio, dell’intraprendenza, dello spirito di sacrificio e della convinzione assoluta che il messaggio di Gesù offre agli uomini, di tutti i tempi, la soluzione più valida umanamente e spiritualmente per dare significato e valore alla vita. Per raggiungere questo obiettivo San Paolo si spende tutto, senza risparmiarsi e conclude la sua testimonianza con il martirio.

Mi commuove e mi fa sempre arrossire quel brano di una lettera di questo apostolo in cui elenca tutto quello che ha affrontato e subito per essere fedele al suo Vangelo: quella confessione sembra una lunga litania di pericoli, di sacrifici e di generosità illimitata!

Mi auguro tanto che noi preti, ma anche i laici cristiani, rileggano quest’anno San Paolo quasi per accendere un faro che metta in luce le pigrizie, le incongruenze, le storture, le meschinità di una vita cristiana piena di compromessi, vissuta senza entusiasmo, ridotta a qualche rito celebrato senza convinzione, preoccupati di garantirci una vita borghese più che di apostoli di Gesù.

Quella piccola libreria in via Verdi…

Fino ad una trentina di anni fa operava anche a Mestre una giovane congregazione religiosa, fondata da don Alberione, che si occupava prevalentemente della stampa e dei mass-media.

Queste suorette paoline gestivano in via Verdi una piccola libreria sempre  affollata di sacerdoti e di cristiani che cercavano pubblicazioni di carattere religioso e films per i loro patronati. Suddette suore allestivano frequentemente mostre di libri nei sagrati delle chiese della città e spesso passavano per le case per la diffusione della “buona stampa”. Erano quei tempi in cui il periodico “Famiglia cristiana” aveva in ogni parrocchia decine e decine, talvolta perfino centinaia, di lettori.

Poi suddette suore tutte giovani, motivate ed intraprendenti, che davano l’impressione di essere l’ultima e più bella edizione di giovani donne consacrate a Dio e ai fratelli, passarono in via Poerio in una libreria più vasta, più in centro e più moderna. Ma la freschezza e l’entusiasmo pareva spegnersi a poco a poco e s’avvertiva più aria di bottega che di apostolato.

L’attività esterna scomparve completamente, finché un brutto giorno, si ritirarono in una loro casa di Treviso e subentrò la libreria S. Michele, gestita dalla parrocchia.

Meglio poco che niente, però il personale dipendente pare non abbia lo slancio, la motivazione e l’intraprendenza di chi si rifaceva allo spirito di S. Paolo, l’apostolo delle genti.

Nella chiesa della mia città, salvo qualche lodevole eccezione, pare che si respiri aria di rassegnazione e di resa. Tutto questo alla mia età fa male, molto male. Il mio ideale di chiesa rimane quello d’assalto non quella di ripiegamento come ora sembra di moda.

Vallo a capire quest’uomo!

Talvolta, vedendo certi comportamenti e certe reazioni, ti viene da classificarlo in un certo modo, metterlo in un certo posto nel casellario umano, corrispondente ad una certa tipologia precostituita, in verità la realtà umana è così difficile, complessa e sfuggente per cui certi giudizi affrettati sono talmente sballati che dovremmo arrossire e pentirci di averli pronunciati con tanta leggerezza.

L’uomo è sempre unico ed irripetibile, soltanto Dio poteva continuare a dar vita a miliardi di creature, apparentemente quasi uguali ma in realtà veramente diverse, anzi uniche. Non sbagli quasi mai quando ti accosti ad una persona con rispetto, con delicatezza, con discrezione considerandolo comunque una persona e Figlio di Dio.

A proposito della complessità dell’animo umano ed il pericolo di giudizi superficiali ed affrettati, mi sono sempre rifatto a due esperienze delle quali avrei dovuto imparare più di quanto abbia effettivamente imparato e messo in pratica.

Un giorno un omone, con due baffoni alla Guareschi, mi chiese di parlarmi e quando fu sicuro che non c’era alcuno a vederlo e ad ascoltarlo, mi confidò singhiozzando: “Vede, padre, io amo perdutamente mia moglie, ma in trent’anni di vita in comune non glielo ho mai detto e questo mi strazia il cuore!” A vederlo tutti l’avrebbero giudicato un cerbero senza pietà!

Un’altra volta, quando insegnavo alle magistrali, un alunno chiese di parlarmi, quando fummo soli mi disse: “Vede professore, mi pare che lei l’abbia su con me perché mi richiama tanto spesso”. Era vero; sembrava irrequieto e disattento. Poi soggiunse: “Mia madre è in ospedale da due mesi, mio padre ha i nervi a fior di pelle…” Compresi, e da quella volta siamo diventati amici e lo siamo ancora benché pensionati ambedue!

La vita e il cuore dell’uomo sono davvero un gran mistero!

Il mistero dell’incarnazione oggi

Io sono letteralmente affascinato dal mistero dell’Incarnazione che la chiesa ha recentemente celebrato durante le festività natalizie.

Mi entusiasma il pensiero che Dio non si sia lasciato incartapecorire in astruse formule filosofiche e teologiche, per diventare invece vita nello spirito pure nel corpo dell’uomo, di ogni uomo.

In tutti i miei sermoni, quest’anno, ho tentato con tutte le mie forze di mettere in luce questa stupenda verità: il Signore del cielo e della terra, del tempo e dell’eternità ha voluto prender dimora e farsi trovare ed amare in quella povera spelonca che è spessissimo il cuore dell’uomo, anche del più misero e deludente.

L’umanità del Figlio di Dio ha voluto svestirsi degli abiti regali per farli indossare all’uomo, come dice Leone Tolstoi nella sua leggenda, per vestirsi dei cenci dell’uomo povero e fragile di tutti i tempi.

E Gesù, la Parola di Dio, non si limita ad essere presente nello squallore della sua creatura, ma da quella culla parla, sorride, consiglia, ama, perdona ed insegna.

Qualche giorno fa è venuta a farmi gli auguri la signora Maria, la cara creatura che ormai da anni offre il sorriso, la consolazione, il conforto e l’ospitalità di Dio presso il Foyer San Benedetto, ai familiari degli ammalati degenti nel nostro ospedale. Mi disse come, fra l’altro, consola chi è in pena: “Stasera, mangia, sii sereno, dormi di gusto, domani sarà un altro giorno e se anche dovessi affrontare una prova o un dolore, il Signore ti sarà accanto per aiutarti”.

Mentre mi parlava, con il suo bel sorriso franco e spontaneo, avevo proprio la sensazione che lei offrisse labbra e suono ma che le parole fossero del Gesù a cui lei ha offerto dimora nel suo cuore di donna!

Regalare una parola d’affetto prima che sia tardi!

Nel nostro territorio, praticamente i concittadini deputano sempre il sacerdote a celebrare il commiato dei fratelli che ci precedono in Cielo.

Lo stesso sacerdote in tale occasione guida la preghiera della minuscola comunità che si riunisce in chiesa per onorare la memoria del caro estinto, si sforza di inquadrarne la morte alla luce della speranza cristiana, ma avverte che, sostanzialmente, i congiunti del defunto s’aspettano che il prete “dia l’ultimo saluto” ossia praticamente esprima i loro sentimenti, avvertendo il forte bisogno di manifestare a chi li lascia le parole di stima, d’affetto e di riconoscenza che forse non gli hanno mai detto o glielo hanno detto raramente e non con quel calore con cui nel momento del distacco, quasi sentendosi in colpa, amerebbero aver fatto mentre era in vita.

Io senza fatica, anzi con molta partecipazione umana e spirituale, mi accollo questo compito e mi accorgo assai di frequente, dai ringraziamenti che ricevo, che non mi riesce difficile accontentare il mio prossimo colpito dal mistero della morte. Però, confesso, che ogni volta penso nel mio animo quanto sarebbero state felici le mamme, le spose, i figli se si fossero sentite dire le parole, che io dico loro nel sermone, dai loro congiunti mentre erano in vita!

Da parte mia ho fatto questo proposito, per quanto mi riguarda. Pur continuando ad essere quello scontroso e quell’introverso che sono, quando ci riesco, vedo quanta gioia con nessuna fatica, dono al mio prossimo.

Ad ottant’anni è tardi, ma spero di avere ancora qualche opportunità di farlo!

I miei educatori

Ora che sono vecchio provo ogni giorno di più riconoscenza ed ammirazione per i miei educatori.

Ogni tanto prendo coscienza che debbo a loro il meglio di me.

A mio padre e a mia madre debbo il senso della sobrietà nel vivere, la coscienza dell’impegno e del lavoro. Ai sacerdoti della mia fanciullezza, don Nardino Mazzardis e don Giuseppe Callegaro, il senso del sognare un mondo buono e pulito, a don Giuliano Bertoli la convinzione che è possibile guidare i ragazzi e i giovani alla solidarietà e di farne degli uomini onesti e generosi, a Monsignor Vecchi la volontà di perseguire mete impossibili e di farlo con un atteggiamento di appassionata avventura, a don Silvio Tramontin l’amore per la storia e la letteratura, a Mons. Umberto Mezzaroba la passione per le anime, una passione assoluta che non ammette che alcuno ne sia escluso, a Mons. Aldo da Villa, l’impegno a parlare onestamente, a predicare col cuore, a non dire frasi fatte o luoghi comuni, ma a dare messaggi alti e sublimi. Ancora a Monsignor Vecchi il gusto per l’arte e la pittura in particolare.

Queste persone hanno tracciato sulla mia coscienza dei segni profondi ed indelebili che non potrei cancellare anche se lo volessi. Ma non lo voglio perché credo che essi siano il meglio di me.

A questi educatori vicini si aggiungono le splendide figure dei profeti del nostro tempo: da don Mazzolari a don Milani, da Giovanni XXIII al Cardinale Agostini il Patriarca di Venezia dimenticato, ma che per me fu ed è ancora una figura di prete e di vescovo integerrimo, da don Antonino Bello al Cardinale Ferrari, da Monsignor Facileni a don Gnocchi, da La Pira a De Gasperi.

La morte delle persone care, realtà amara e misteriosa

Qualche settimana fa, essendo andato a benedire una salma presso l’obitorio dell’ospedale all’Angelo, obitorio che si trova nel retro della porta principale della bella struttura, quasi ad illudere che chi entra da quella porta ne esce sempre guarito, mentre invece si vuol purtroppo illudere i cittadini, facendo uscire i morti dalla porta di servizio; ebbi una brutta sensazione.

In una delle porte della stanzetta accanto a quella in cui giaceva la salma del defunto che ero andato a prelevare c’era la foto di una persona che rassomigliava alla figura di uno dei miei ragazzi che mi erano stati affidati in seminario, più di cinquant’anni fa.

Lessi frettolosamente il nome, avendo poco tempo, e fortunatamente c’era scritto Evelio Miatto, mentre io avevo conosciuto Bepi Miatto!

Cercai di rassicurarmi che non era quel ragazzo di un tempo con cui avevo mantenuto rapporti, seppur saltuari di amicizia. Infatti durante l’estate, quando celebravo all’aperto e non c’era nessuno a leggere le letture della messa, saliva all’altare e con voce pacata e partecipe leggeva il testo sacro per l’assemblea.

Per me poi, nonostante avesse i capelli grigi e sapessi che era ormai in pensione da anni, lo vedevo con gli occhi dell’assistente che giocava assieme con lui, in maniera appassionata, nei cortili del seminario.

Me ne andai tentando di convincermi che non si trattava del caro amico. Se non che, qualche giorno dopo, mi si presentò, dopo la messa celebrata nella cappella del cimitero, una signora dimessa, vestita di nero, assieme a due figlie dicendomi: “Ha saputo, don Armando, della morte di Bepi?” Gli raccontai del mio dubbio ed ella mi informò che suo marito tutti lo chiamavano Bepi, ma in realtà all’anagrafe era stato denunciato come Evelio.

La risposta al mio dubbio mi rattristò alquanto. Purtroppo la morte quando è un’espressione generica è anche facile denominarla con Francesco d’Assisi “nostra sora morte corporale”, ma quando riguarda una persona cara è soltanto morte, realtà amara e misteriosa, almeno per me!

La giuste parole di Obama sulla crisi economica

Qualche tempo fa, quando qualcuno cominciava già ad essere preoccupato perché pareva che calassero i consumi, scrissi un mio modesto parere in proposito. Dissi che il segnale a me sembrava promettente ed incoraggiante, un po’ perché convinto che lo spreco sia veramente un sacrilegio in un mondo in cui una notevole parte dell’umanità muore letteralmente di fame e dall’altra perché sono decenni che si levano voci per condannare il nostro mondo consumistico ed ora che pare che cominci a perdere colpi non c’è che da esultare.

Quando scrissi però queste mie considerazioni, lo feci con preoccupazione e in punta di piedi perché, a cominciare dal nostro capo di governo e per continuare con illustri economisti, si sentiva un coro di voci che invece invitavano ad avere fiducia e a continuare a sostenere i consumi!

Non è che io mi lasci condizionare troppo da quello che pensa l’opinione pubblica, però sono stanco di sentirmi isolato e solitario nel presentare le mie opinioni, non essendo nè un sociologo nè un economista.

In verità sono convinto che potremo benissimo dimezzare i consumi, così non si perderebbe tempo per frequentare le palestre per diminuire di peso, le città non sarebbero intasate all’inverosimile di automobili, l’aria sarebbe più respirabile e la coscienza più tranquilla verso chi mangia troppo poco perché il mondo occidentale, che è lo sprecone e il dissipatore di ricchezza, lo depreda dei suoi prodotti e lo ha ridotto alla fame.

Oggi però mi è giunta una voce che mi ha confortato alquanto e mi ha fatto sentire meno solo e meno ingenuo. I soliti osservatori sociali affermano che una delle parole più usate in questo tempo da Obama, il neo presidente americano che rappresenta il Mosè del nostro tempo che tutti sperano che ci aiuti a passare il Mar Rosso, è la parola “sobrietà”

Bravo presidente se continuerai su questo tono faremo tanta strada assieme!

La presenza cristiana nel mondo della cultura costa!

A motivo di un funerale ho “scoperto” la figlia e il marito di una mia “antica” collaboratrice di Radiocarpini, l’interessante avventura radiofonica che mi coinvolse, in maniera forte e talvolta drammatica, per una ventina d’anni del mio recente passato. Col mio abbandono dell’emittente, prima il piccolo esercito di quasi duecento collaboratori si sciolse rapidamente sostituito da un piccolo staff di professionisti pagati, poi è scomparso il marchio ed infine si è annacquata l’identità, tanto che dell’avventura radiofonica non è rimasto quasi più neanche traccia.

Comunque la mia collaboratrice recentemente si è rifatta viva, in occasione di una intervista, poi, in occasione del funerale di un suo congiunto, ho finito per conoscere il marito e la figlia che vive a Milano e lavora all’Università Cattolica.

La mamma, come sempre fanno le mamme, mi ha presentato il suo “gioiello”, in verità credo che sia veramente tale, una ragazza giovane, piacente, sciolta e laureata che lavora nel settore dell’attività bibliotecaria alla Cattolica di Milano

La conversazione si accese subito con naturalezza, soprattutto per il fatto che mi confidò d’appartenere al movimento di Don Giussani.

Comunione e Liberazione e l’Università Cattolica sono stati due temi su cui ho riflettuto recentemente per motivi diversi, per primo, avendo incontrato una “Memores Domini” e per secondo, ho intenzione di dedicare un editoriale su Padre Gemelli, fondatore di tale Università.

Alle mie richieste sull’identità culturale ed ideologica della Cattolica, ella mi disse che purtroppo sta annacquandosi l’identità cristiana di suddetta università, essendo venute meno le offerte dei fedeli e subentrati gli aiuti dello Stato. Peccato!

S’arrischia ancora una volta che la presenza cristiana nel mondo della cultura sbiadisca perché i cattolici non sembrano disposti a pagarne il prezzo necessario!