Resto fedele alle mie origini!

Io da sempre mi sono schierato per la povera gente, non per vezzo, per moda o per vantaggio. Sono schierato con i poveri più che per motivi ideali, perché vengo da quel mondo, mi sento della stessa pasta e voglio condividere la stessa sorte.

Qualcuno pensa che abbia scelto di trascorrere la mia vecchiaia al don Vecchi perché è stata una mia opera, perché vi sono affezionato?

No! Ho scelto di terminare al don Vecchi perché voglio vivere come “loro”, come i vecchi poveri della città in cui sono vissuto. Le mie ribellioni, contro i ricchi, contro chi comanda, contro chi si è emancipato e s’è scrollato dalle spalle le ansie e le abitudini dei poveri è certo una nobiltà fittizia pagandola al prezzo di voltar praticamente loro le spalle, nasce appunto da questo voler rimanere con i paria della società e volerne condividere le condizioni esistenziali.

Nel mio alloggio incontro mille volte le foto di papà e mamma e il loro sguardo mi ricorda mille volte al giorno le mie origini, i drammi e le difficoltà della mia gente e del mio passato.

La mia solidarietà ai poveri abbia come motivo: le vacanze passate in bottega di mio padre a scaldare la colla e a raddrizzare i chiodi per poterli riutilizzare, le interminabili giornate passate con i fratelli e i bambini vicini di casa, a raccogliere fagioli, a zappare il granoturco, a togliere le patate dai solchi della bonifica, dopo aver fatto una decina di chilometri di strada in due sulla stessa vecchia bicicletta, il mangiare seduti per terra sotto le piante di granoturco, poi quando era terminato il raccolto, tre parti erano per il padrone e un terzo per noi!

Pensavo a queste vecchie storie qualche giorno fa vedendo gli operai che posavano il porfido davanti all’ingresso del cimitero. Il sole scottava ed erano già là curvi a posare questo rozzo mosaico, arrivò il temporale e rimasero sotto la pioggia. Non potevano permettersi di perdere una giornata! Perché a fine mese dei 1200 euro avrebbero tolto l’equivalente di una giornata di lavoro!

La mia famiglia è sempre vissuta così! Come potrei tradire questa gente perché ho studiato un po’ e la mia categoria socialmente mi tratta meglio?

L’Italietta che ci danno i nostri politici

Una delle tante utopie che sto inseguendo è quella ambiziosa e quanto mai ardua di permettere agli anziani che godono della pensione minima (516 euro mensili), e non sono pochi gli anziani al don Vecchi in queste condizioni, di poter vivere decorosamente senza mendicare presso i loro figli quel denaro necessario ad arrivare a fine mese.

Già scrissi di un’anziana signora, mia coinquilina da qualche mese, che andò a servizio presso una signora di Venezia a otto anni di età ed ha continuato a servire fino agli ottantatre anni, tempo in cui è stata accolta al don Vecchi; ebbene questa anziana signora per i suoi 75 anni di lavoro percepisce 710 euro.

Come volete che io abbia rispetto per il nostro Stato, per il Senato, per il Parlamento e per l’intera classe politica e sindacale quando avvengono cose del genere?

Tornando all’utopia, mettendo in atto tutti gli stratagemmi possibili e inimmaginabili (lo spaccio della frutta e verdura, il banco alimentare, e l’attenzione che non avvengano sprechi anche minimi), faccio pagare affitti che talvolta non raggiungono neanche i 100 euro, finora pare che i nostri anziani ce la facciano!

Certamente non possono andare in vacanza a Cortina e debbono vestire ai magazzini S. Martino! Se non che ogni tanto a qualcuno capita la “grandinata” allora sono guai!

L’altro giorno sempre una mia compagna di ventura, dovette farsi levare un dente, non ne poteva più dai dolori. Mi confessò, pur riconoscente quanto mai al nostro dentista che fa sconti impossibili e poi dona al don Vecchi quel poco che percepisce, togliere un dente le è costato 200 euro, se avesse applicato la tariffa sarebbe costato 300-350 euro. Allora da cittadino informato le dissi: “perché non è andata alla ULSS?”.

E lei prontissima: “Avrei dovuto portarmi il mio mal di denti per sei mesi!”

Questa è l’Italietta che i politici, che qualche giorno fa abbiamo votato, ricambiano per la fiducia che abbiamo riposto in loro.

Finché le cose non cambiano non sarò certamente fiero nè per le ville di Berlusconi nè per il veliero di D’Alema ed altrettanto per gli stipendi dell’intero apparato dello Stato Italiano!

Canti liturgici a un Dio sorridente

Una sera, alla messa vespertina, la signora Maria Giovanna, la maestra del coro S. Cecilia che anima le liturgie prefestive al don Vecchi, ha intonato una nuova canzone. Diciamo nuova perché non è mai stata eseguita alla messa degli anziani, ma che ha aperto praticamente la primavera del rinnovamento dei canti religiosi, una stagione fresca e luminosa che chiudeva quella di “Noi vogliam Dio Vergine Maria”.

Gli anziani hanno eseguito il canto senza accentuare il ritmo, con cui i ragazzi per tanti anni hanno cantato questa canzone, ma comunque la cadenza veloce ha portato un soffio di primavera e di ottimismo. A me poi “Lui mi ha dato” non soltanto mi ha donato una ventata di entusiasmo, ma anche un’ondata di dolci ricordi e di tanta nostalgia.

La prima volta che udii questa canzone, accompagnata dal ritmo della chitarra, fu durante una S. Messa celebrata nel grande prato di Valbona a Misurina, sotto un cielo limpido in quella stupenda vallata circondata da una abetaia sconfinata.

Attorno all’altare cantavano con voci fresche e sorridenti una cinquantina di ragazzi, cantavano con le loro voci squillanti di giovinezza ma cantavano anche il corpo, gli occhi, i piedi che segnavano il tempo.

Ricordo con infinita gioia che mentre i ragazzi cantavano: “Non so proprio come far per ringraziare il mio Signor, mi ha dato i cieli da guardar e tanta gioia dentro il cuor” e poi ricaricavano la voce e l’entusiasmo con il ritornello: “Lui mi ha dato i cieli da guardar, Lui mi ha dato la bocca per cantar, Lui mi ha dato il mondo per amar e tanta gioia entro il cuor” avevo la dolce sensazione che la chiesa avesse riscoperto la vita, il mondo vero e interpretasse la gioia del vivere, di contare su un Dio sorridente, accomodante, non quello musone, riservato e taciturno che mi avevano presentato al catechismo.

Sono passati quarant’anni, non tutto il sogno s’è avverato, ma almeno per qualcuno finalmente la chiesa s’è sintonizzata al passo delle attese degli uomini d’oggi!

Un prete di sinistra

Una parente di una mia coinquilina al don Vecchi, ebbe una reazione di sorpresa e di biasimo represso perchè ho concesso alla signora Zaccariotto, come d’altronde avevo fatto con Zoggia, una settimana prima delle elezioni, di poter parlare ai residenti del Centro, i quali hanno ascoltato il sermone dopo il pisolino pomeridiano e poi hanno gustato volentieri egualmente il rinfresco di Centro destra come quello di Centro sinistra.

Poi suddetta signora mi ha mandato, a mezzo internet, una lettera di un prete genovese, del quale leggendola si capiva subito che era deciso nel parteggiare per Franceschini e company e nel combattere Berlusconi e tutti coloro: cittadini, preti e soprattutto gerarchie ecclesiastiche in odore di appoggio al Centro destra. Comunque due erano i bersagli primari: il suo Vescovo Cardinal Bagnasco e il capo del Governo Berlusconi.

Sono sempre stato convinto che i preti di sinistra sono tremendi, pur non sapendo perché e neppure da che cosa nasca un simile livore.

Le accuse e la violenza verbale contro Berlusconi e Bagnasco sono tali, in codesto scritto, che ho provato perfino pietà e tenerezza verso questi due personaggi, che umanamente non mi sono troppo simpatici. Il primo perchè un po’ sbruffone e il secondo un po’ troppo untuoso, pur ritenendoli due persone intelligenti, capaci e tutto sommato una ricchezza per la chiesa e il nostro Paese.

Del prete genovese condivido solamente il sogno d’avere capi religiosi, politici, onesti, coraggiosi, coerenti, sani e santi, ma poi mi domando: “sarà altrettanto santo quel prete e pure io sono tale da poter pretendere tanta virtù?”

In rapporto a questa considerazione allora preferisco mandare a Bagnasco, Berlusconi e allo stesso prete genovese una preghiera piuttosto che una scomunica o una condanna inappellabile!

Buon seme

In uno dei miei tanti ricoveri in ospedale per degli interventi fortunatamente di breve durata, incontrai un paziente che l’indomani doveva subire un’operazione chirurgica abbastanza impegnativa.

Mi salutò in maniera confidenziale, facendo il mio nome come se mi conoscesse da lungo tempo. Poi quasi per giustificarsi del tono confidenziale, mi ricordò che era stato mio allievo al Pacinotti.

Non lo rammentavo a livello di persona, ma ricordavo bene la classe perché era formata quasi tutta di maschi con solamente una ragazza.

Ricordo questa classe perché tutti quei ragazzotti vivaci e scanzonati avevano un’autentica ammirazione per la loro compagna, una ragazza semplice e pulita, che si faceva voler bene e stimare dai suoi compagni, sembrava che la tenessero come la loro mascotte.

In seguito a questo approccio in ospedale, ci vedemmo ancora qualche volta, ad intervalli di tempo ed ogni volta notavo l’aggravamento del pallore. Questo ragazzo, più di quarant’anni fa, era diventato un bravissimo tecnico, s’era fatto una famiglia con una donna dolcissima e cara.

Passando i mesi dovetti andare io a casa sua, non ce la faceva più ad uscire. Volle confessarsi. Gli portai la comunione e mi chiese infine l’estrema unzione, ch’egli chiamò con il vecchio nome senza l’addolcimento di “olio degli infermi”. Chiese a sua moglie che fossi io, il vecchio insegnante, a celebrare il suo funerale.

Una volta si diceva di questo comportamento: “fece una morte santa”; anch’io ne sono convinto. Talvolta ci sono dei preti sfiduciati, specie nei riguardi dei giovani. La mia esperienza è diametralmente opposta. Ci sono dei semi che in quattro quattrotto nascono, crescono e sfioriscono, altri ci mettono forse mezzo secolo per diventare alberi maturi, ma poi sono forti come la roccia e sfidano anche le burrasche più grosse.

Io di ragazzi ne ho incontrato di tutti i generi, ma ho constatato che quando hai seminato buon seme esso, prima o dopo, porta il suo frutto; per mia fortuna tanto di frequente ho potuto fare questa bella constatazione!

I doveri di un capo

Un tempo mi è capitato di leggere uno di quei pezzi brillanti, mediante cui, con un dosaggio attento ed appropriato di parole, si definisce un problema o una persona.

Sono pezzi che poi cominciano a girare specie tra i periodici di ispirazione religiosa e vengono ripresi da una rivista ad un’altra, tanto da diventare abbastanza noti.

Chi, a proposito, non ha mai letto il pezzo, ormai famoso sul “sorriso” o quello di quell’autore, dell’America latina, in cui il protagonista descritto si lagna con Dio perché nel momento del maggior bisogno non ha scorto le tracce di Cristo accanto alle sue e la risposta di Gesù: “le tracce che hai visto erano quelle dei miei piedi, le tue non c’erano perché in quel momento ti portavo in braccio!”.

Un tempo ho letto uno di questi pezzi sulle qualità del capo. Era un pezzo un po’ ironico: “il capo non dorme, ma pensa, il capo si sacrifica sempre per gli altri, il capo non cura i suoi interessi, ma quelli dei dipendenti e via di questo genere!” Fosse vero!

Mi piacerebbe essere capace di scrivere qualcosa di questo genere, sui doveri del capo: “Il capo deve decidere, il capo deve assumersi sempre la responsabilità, il capo non deve nascondersi dietro la decisione del consiglio. Il capo deve chiamare fannullone chi è tale, il capo deve combattere decisamente l’egoismo, l’arroganza, le azioni dei furbetti. Il capo deve impedire agli ingordi di approfittare delle situazioni favorevoli, il capo non deve favorire i privilegi, il capo deve avere il coraggio di essere impopolare, di ricordare a chi è favorito dalla società di ricordarsi di chi sfortunatamente non gode di suddetti privilegi. Il capo deve tener conto di non favorire alcuni a scapito di altri, ecc..”

Mi piacerebbe saper scrivere bene cose del genere per ricordarmi dei miei doveri, e per ricordare a quel piccolo popolo di privilegiati, tra cui vivo, che anche gli altri vecchi hanno diritto d’essere aiutati e non soltanto loro! Purtroppo anche il don Vecchi non è composto soltanto di anziani santi, ma ci sono anche i peccatori che il capo ha il dovere di mettere in riga!

L’autogestione al don Vecchi Marghera

Il dottor Piergiorgio Coin era un grande amico di monsignor Vecchi, spesso lo veniva a trovare e talvolta si fermava a mangiare con noi. Monsignore non aveva complessi, anche se per pranzo avessimo avuto aringhe lesse, invitava come se si fosse preparato un pranzo di gala per l’illustre ospite. Al dottor Coin, che in quel momento era al massimo della sua azienda, piaceva offrire lezioni nel settore di cui si occupava.

Ricordo una di queste lezioni, che nel tempo ho verificato quanto saggia fosse. Ci disse che quando un’azienda ha più di un certo numero di addetti ai servizi, finiscono di darsi lavoro uno con l’altro e perciò di pesare piuttosto che rendere.

Io ho sviluppato ulteriormente questa teoria, arrivando alla conclusione che se una azienda non ha alcun dipendente, lavora meglio e costa meno.

Al Centro don Vecchi di Marghera, ho applicato integralmente la teoria che il dottor Coin ha appreso in America e che io ho sviluppato in Italia.

I residenti a Marghera, sono circa una settantina, e sono quasi tutti coinvolti nella gestione.

Al mattino tengono la portineria ed il telefono gli uomini, al pomeriggio le donne, il taglio dell’erba è fatto in proprio, la cura delle rose e delle piante interne ed esterne è curata dai residenti, la preparazione per il pranzo, la sparecchiatura avviene sempre in autogestione.
In una parola solamente gli invalidi sono dispensati dal servizio.

Il lavoro fa bene, aguzza l’ingegno, tiene viva l’intelligenza e in allenamento il corpo, rende corresponsabili e costa niente. Allora perché spendere per prendere bili, per vedere le cose mal fatte e per sprecare denaro?

Credo che siamo già un passo più avanti di Brunetta!

La macchina nuova

Per motivi di salute i medici mi hanno sconsigliato sia il motorino che la bicicletta. Ora faccio il signore, usando per i miei spostamenti, don Vecchi-cimitero-don Vecchi-ospedale e don Vecchi-Marghera, la mia Fiat Uno regalatami da suor Teresa.

Mi è costato molto separarmi dal mio primo amore, la cinquecento bianca che mi costringeva, ogni giorno, a certe contorsioni per entrarvi tanto che da molti anni mi sono dispensato dalla ginnastica suggeritami dal medico.
Ora è in vista un secondo divorzio.

La gente che mi sta vicino, ha fatto una tale propaganda che l’auto è vecchia, senza confort, col fondo che sta bucandosi per la ruggine, che un anziano coinquilino dal cuore generoso, ha deciso di donarmi una Fiat Punto in ottimo stato.

Il dono è coinciso con le mie nozze di diamante: 55 anni di sacerdozio.

Sono felice del gesto, la gente del don Vecchi è fin troppo cara con me!

Anche se l’automobile m’è stata regalata da un vecchio lupo di mare, un po’ solitario e riservato, ma di una calda e generosa umanità, lo considero un dono di tutti perché sono certo che se tutti potessero permettersi di farlo, lo farebbero volentieri.

Al don Vecchi sono fin troppo ricambiato del mio servizio perché avverto tanta tenerezza e tanto affetto, nonostante io sia tanto riservato, spesso rinchiuso nel mio romitaggio per mandare messaggi di solidarietà alla città che tanto amo e a cui ho donato i tempi migliori della mia vita.

Spero che la nuova “consorte” che veste di bianco, si adegui, come la vecchia, alle mie disattenzioni e al mio modo un po’ strano di tenere la briglia.

La mia Fiat Uno di colore rosso era come “la cavallina storna” che conosceva la strada e andava e veniva indipendentemente dai miei comandi.

Spero che anche la nuova auto, seppur più giovane e vezzosa, si abitui alla mano di questo ottantenne che non intende far preferenze per alcuno.

Una buona partenza

La mia sveglia suona, imperterrita d’estate e d’inverno, alle ore 5,30, perché sono ancora convinto che “il mattino ha l’oro in bocca!”

Il primo pensiero, anche se interessato, lo dedico al buon Dio: “Signore aiutami”. Tanta gente incontrandomi mi dice che mi trova in ottima forma, che sono inossidabile, però io, non soltanto so, ma anche sento tutti i miei ottant’anni; non uno di meno.

A ottant’anni tutto diventa più faticoso e più lento.
Così comincia la mia giornata.

Per temperamento sono abbastanza abitudinario e perciò ogni mattina seguo un procedimento di operazioni quasi fossero dipendenti una dall’altra e debba conservare scrupolosamente la sequenza.

Apro la finestra della camera da letto, dello studiolo e dell’ingresso che fa anche da cucina, soggiorno e sala da pranzo.

Aprendo la portafinestra che s’affaccia nel poggiolo, mi pare che il Signore mi risponda con una carezza: m’investe un dolcissimo profumo di gelsomino che in questo tempo è tutto in fiore. Il linguaggio di Dio che preferisco di più è quello della bellezza, della poesia. Al mattino il Signore mi fa quasi sempre il discorso più caro e convincente della giornata: il profumo del gelsomino, la bellezza di due vaschette di petunie viola, intercalate da piante dai fiori bianchi e sorridenti, poi il grande campo con ai bordi le ultime propaggini della città. Talvolta mi sorride da lontano la catena del Grappa.

Mi pare che il Creatore mi dia un forte abbraccio, che rincuora la mia vecchiaia e mi avvia alla giornata dandomi la sensazione di una buona partenza. Così ogni giorno d’estate e d’inverno; i colori, le atmosfere cambiano ma fortunatamente il discorso del Signore sussiste!

C’è crisi!

Mio fratello, don Roberto, è un prete nel fulgore delle sue risorse e siccome è un prete vero, è molto impegnato nel far crescere i suoi fedeli a livello di un cristianesimo reale e non di facciata! Perciò le sue prediche e i suoi interventi, normalmente non accarezzano le nubi di un cielo tutto azzurro, ma si calano là dove si muovono le problematiche vere della vita.

Il Signore poi ha dotato, questo mio fratello, di un linguaggio concreto, mordente per cui pare prenda per il bavero la gente e la metta con le spalle al muro e anche quando scrive, ha uno stile immediato, con battute brevi, tanto che le sue frasi sembrano sciabolate rapide ed efficaci o talvolta usa fendenti micidiali che lasciano senza fiato chi lo ascolta con attenzione.

Non so invece come la gente, e nel suo caso i fedeli, che come la maggior parte dei cristiani d’oggi s’intruppano e pensano con i luoghi comuni e vestono pure il pensiero alla moda, reagiscono ad un parlare e ad uno scrivere che mette a nudo incongruenze, banalità e comportamenti fatui e pretestuosi.

Ho letto, qualche settimana fa, un breve trafiletto di don Roberto sulla crisi vera o presunta, in occasione del fatto d’aver dovuto celebrare per gli scout che avevano passato una giornata nella pineta di Jesolo.

File impossibili di auto, ristoranti con la fila, le spiagge veri formicai. E la crisi?

Taluni si meravigliano perché i cristiani accettano i misteri; per me la crisi come tanti altri fenomeni della vita moderna, sono misteri più inestricabili di quelli religiosi.

L’altro mio fratello, il falegname, mi diceva, qualche giorno fa, che se in questo momento tutti gli extracomunitari se ne tornassero a casa l’edilizia, l’agricoltura e tante altre attività più faticose e meno retribuite, andrebbero in crisi assoluta!

Ho paura che uno dei tanti difetti di questo mondo sia quello che non siamo onesti, ciò vale per i politici, i sindacalisti, i lavoratori e i preti.

C’è crisi!

Viviamo allora più sobriamente, facciamo vacanza nel parco della città, rinunciamo a spese superflue; questo vale per l’ultimo manovale, ma vale pure per il capo di qualsiasi realtà di cui è fatto il nostro Paese!

Una vita che non è vita

In questi giorni ho incontrato nella Sacra Scrittura una provocazione che mi ha fatto riflettere a lungo.
“Dice il Signore: ti ho messo di fronte il bene e il male, la vita e la morte perché tu faccia la tua scelta”

Altre volte avevo letto questo passo, ma mai mi era venuto in mente che il Signore equiparasse il bene alla vita e il male alla morte!

Questa affermazione fa veramente pensare e ti pone un problema importante, anzi essenziale: “Cos’è la vita e cos’è la morte!”

Finora avevo letto questi termini in un’ottica totalmente diversa: vivere è respirare, pensare, muoversi, mangiare, amare, sorridere. Morte invece: immobilità, disfacimento, corruzione, mistero assoluto!

Certamente anche questa è un’eccezione al problema, ma visto da una angolatura meramente temporale, semmai è un avvertimento a non perdere il tempo utile per vivere e per guadagnarsi la salvezza, quindi si è messi di fronte alla verità che c’è, prima o poi, un momento del non ritorno!

Riflettendo però più accuratamente sull’ammonizione biblica, mi pare che Dio mi avverta che c’è una vita che in realtà e non è vita, cioè morte!

Non amare, non cercare la verità, non donare pace, non perseguire veramente la felicità materiale, non essere rispettosi della legge naturale, non vivere in maniera solidale, non fruire del dono della libertà, non essere autentici, non impegnare le nostre risorse interiori per costruire un mondo migliore, non rispettare la natura, pare che Dio dica: questo è un modo per non vivere, o per vivere una vita talmente rinsecchita e fatua per cui ciò equivale a morte.

Ho pensato a lungo ed ho concluso che Dio ha ragione. Ho letto che in America i condannati a morte vengono chiamati: “morti che camminano”! Credo che nella nostra società siano ormai molti gli uomini che praticamente non “vivono” più!

Partiti cattolici

Le vicende del nostro Paese mi interessano; eccome! Spesso però non riesco a comprendere le scelte politiche, le motivazioni di questa strana guerra di parole che spesso si combatte con veemenza oratoria.

Franceschini che dichiara solennemente che non ha paura, Berlusconi che irride e sfotte, Casini perennemente preoccupato delle sorti della famiglia!

Ho seguito con curiosità ed interesse le vicende del ballottaggio per le elezioni della provincia, una realtà che dicono abbia poco spazio operativo e che soprattutto sia destinata ad essere eliminata tra poco.

Da quanto ho potuto apprendere sembrava che l’esito potesse essere determinato dalla scelta di campo di Casini e del suo partito rappresentato localmente dall’avvocato Ugo Bergamo, già sindaco di Venezia.

La vicenda delle trattative, vi confesso che non mi ha proprio edificato, anche perché mi pare che il partito di Casini sia l’unico che dichiara apertamente di rifarsi ai valori cristiani. Avrei approvato e condiviso la scelta di questo movimento se avesse detto: “Voteremo per il Centrosinistra ogni volta che ci parrà che suddetto schieramento faccia una scelta giusta o per il Centrodestra quando invece sarà esso a proporre una soluzione migliore”.

Nei giorni tormentati che hanno preceduto il ballottaggio i quotidiani locali non hanno fatto altro che parlare del tiramolla perché il partito di Casini voleva due assessori e al Popolo della Libertà pareva un prezzo troppo alto. Che dei cristiani facciano delle scelte ideali lasciandosi determinare solamente dai vantaggi politici (che in fondo si riducono a stipendi) non mi pare proprio un bell’esempio di coerenza. Perfino la Banca Cattolica ha rinunciato a questo aggettivo nobile, non sarebbe ora, se si scelgono questi comportamenti, di lasciar perdere valori e principi ed anche oggetti che si rifanno alla fede?

Cristo è presente nelle nostre città

Anche quest’anno, in occasione della festa del Corpus Domini, che per me è la celebrazione dell’umanità di Cristo e, in senso più largo, dell’umanesimo cristiano, ho approfondito ulteriormente la verità di dove e come scoprire, oggi, il volto e l’umanità di Cristo.

Questa riflessione, per un certo lato, mi ha fatto intravedere delle verità inebrianti e da un altro lato ha ulteriormente messo in crisi una visione religiosa ritualistica, spesso avulsa dalle problematiche vere della vita.

Fino a non molti anni fa il mio animo era pervaso di ricordi dolci, pieni di nostalgia e di sentimento. Mi rifacevo alla processione, di primo mattino, per le vie del mio Paese nativo, con i bambini che spargevano petali di rosa ove sarebbe passato il Sacramento sotto il baldacchino portato da cappati. Univo il mistero dell’Eucarestia, quando da chierichetto suonavo il campanello mentre il parroco, quasi ansimando, pronunciava la formula della consacrazione: “Hoc est corpus meum!” e la gente che spesso si lasciava andare a qualche chiacchiera, durante la celebrazione, faceva finalmente silenzio. A quel tempo era verità unica ed assoluta che Cristo si rimpiccioliva nell’ostia bianca e nel vino genuino del calice.

Ora questa immagine è ancora presente nel mio cuore, ma la mia testa rincorre le altre affermazioni di Gesù: “Avevo fame, avevo sete, ero ignudo, ammalato, in carcere, senza tetto e tu?” oppure più serenamente, ma altrettanto decisamente il mio animo va al Cristo che sorride, accarezza, ama, s’arrabbia e chiama Erode, piange sulla sua città, oggi espresso dalla passione dal coraggio e dalla solidarietà di uomini e donne meravigliose che continuano a dare un volto vivo e pieno di fascino al Figlio di Dio.

Quando assumo il Pane consacrato, sento di abbracciare in maniera appassionata questo Cristo vivente presente nel volto e nelle azioni degli uomini migliori, discepoli autentici di questo Gesù che vive in Piazza, in fabbrica, allo stadio, nei supermercati o nelle periferie anonime della nostra città.

Spero che questa sintesi teologica non mi porti fuori dal cuore del popolo di Dio, ma è l’unica in cui riesca a credere e a dare pregnanza alla mia vita.

Sulla Chiesa del cimitero e le giuste scelte di vita

Nota: don Armando ha scritto queste riflessioni prima che l’amministrazione comunale e la Curia raggiungessero l’accordo per realizzare nel cimitero di Mestre una chiesa prefabbricata compresa di banchi, altare, impianti tecnologici e climatizzazione. Il nuovo edificio in legno lamellare e ampio 20x15m (300mq) sarà inaugurato in occasione delle celebrazioni di “Tutti i Santi” e dei Defunti di quest’anno. Altre informazioni sul Gazzettino di Venezia:

http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=703902&Data=20090728&CodSigla=VE

Da quando ho scritto alla Vesta, al Comune, al Patriarca e all’architetto Caprioglio che getto la spugna per quanto riguarda la nuova chiesa del cimitero, mi sento sollevato come se mi fossi tolto un grosso macigno dallo stomaco.

L’idea che un gruppo di cristiani, desiderosi di seppellire in un luogo sacro i resti dei loro cari e di poterli ricordare in un luogo in cui si prega e s’avverte più intensa la presenza del Signore, mi faceva felice, e il fatto che avessero così finanziato la costruzione della chiesa e contemporaneamente una sala in cui i fratelli non credenti avessero potuto accomiatarsi dai loro cari in un luogo dignitoso, mi esaltava letteralmente.

Al Comune e alla Vesta non si chiedeva un centesimo, ma solamente che avessero favorito mediante la loro organizzazione questa operazione; nessuno avrebbe potuto dir nulla: né i politici di ogni sponda, né cristiani o preti di ogni convincimento perché un gruppo di credenti, spontaneamente e liberamente, si sarebbe fatto carico di tutto!

Era troppo bello. Il diavolo quindi ci ha messo la coda: presentando un conto di 5 milioni di euro.

Tutto questo m’era assolutamente insopportabile e contrario alle mie scelte di vita. Ho celebrato per quarant’anni ogni giorno nella piccola cappella, buia, poco arieggiata, fredda d’inverno e calda d’estate, la gente è sempre venuta, riempiendola e partecipando all’esterno.

Spero che il Signore mi aiuti a farlo ancora per quel poco di tempo che mi resta.

Ora dormo in pace perché continuo a vivere povero come sono sempre vissuto!

Un umile strumento

Talvolta sarei tentato di scoraggiarmi, perché spesso mi capita di meditare assieme alla mia piccola comunità, che condivide con me l’ascolto dei messaggi di Cristo, e di avvertire che la mia gente vibra con me nell’ascoltare certe proposte così vere e coinvolgenti.

Quasi sempre mi impegno a fondo perché l’attuazione del messaggio sia quanto mai adeguata alle nostre situazioni ed attese esistenziali, e mi pare d’avvertire, dal silenzio assoluto e profondo dei partecipanti alla liturgia, la condivisione e perfino l’entusiasmo esaltante di fronte a verità che danno conforto e significato alla vita. Però ho poi la sensazione che, passato il momento di emozione interiore, nulla cambi; i fedeli non escono nuovi, rigenerati nello spirito, non avvenga quella conversione radicale per cui ci poniamo di fronte alla vita e al quotidiano in maniera diversa, cioè da credenti e da discepoli veri del maestro.

Nonostante batta ogni settimana il chiodo che il nostro incontro non è teso a ricordare avvenimenti, per quanto nobili ed importanti, ma a vivere un’esperienza religiosa personale ed attuale, ho poi la sensazione che passata “la grandinata di Spirito Santo” tutto, in poco tempo, torni come prima.

Ho un bel dirmi che la cultura generale dei praticanti è quella di partecipare ad un rito, ad adempiere ad una prescrizione ecclesiastica, e non certamente di partecipare ad un incontro per scoprire il volto vero di Dio! Neanche mi consola che se anche un prete riuscisse sempre con una predica a far cambiare idea agli ascoltatori, questo sarebbe quanto mai pericoloso perché vorrebbe dire che non ci sarebbe più in essi difese personali non solo per il bene, ma soprattutto per il male!

Chissà che il Signore mi aiuti a voler seminare sempre e a lasciare a Lui il raccogliere quando e come crede più opportuno! Bisogna che mi ricordi più spesso che io sono e rimarrò sempre un umile strumento, ma la musica la compone e la suona solamente il buon Dio che conosce molto meglio di me il mestiere di salvare i suoi figli!