La conversione di Magdi Cristiano Allam

Per Natale, una giovane professionista, che mi aiuta in occasione dell’Eucarestia che celebro i giorni festivi in cimitero, mi ha regalato il volume di Magdi Cristiano Allam, il vice direttore del “Corriere della Sera” che recentemente si è convertito dall’Islam al cristianesimo ricevendo il battesimo, il Giovedì Santo in Basilica di San Pietro, dal Papa Benedetto XVI.

Il suddetto autore racconta la conversione e le motivazioni che l’hanno condotto a questa difficile e pericolosa scelta. Sto leggendo il volume con avidità perché scritto bene, da persona onesta ed intelligente, che conosce profondamente le problematiche che attualmente investono anche il nostro Paese per la presenza ormai di centinaia di migliaia di islamici, presenti in maniera attiva ma che stanno creando difficoltà di non poco conto nei rapporti di convivenza sociale, culturale e religiosa.

Sono convinto che il proseguo della lettura sarà ceratemene stimolante perché la conversione di questo maomettano è passata attraverso queste questioni di carattere religioso.

Voglio qui sottolineare una sua confessione, che per me è estremamente significativa e che dovrebbe influenzare il comportamento pastorale delle nostre comunità e dei singoli cristiani. “La mia conversione non è stata oggetto di un colpo di fulmine conseguente ad un evento traumatico gioioso o triste che sia, così come non è stata per nulla una mera adesione razionale scaturita dalle letture dei testi sacri o dal confronto puramente intellettuale con chi è a favore o chi è contrario alla fede cattolica. E’ stata invece il frutto maturo di un lungo percorso di vita vissuta, fatta di studio e di conoscenza diretta delle genti del sapere ma, soprattutto, di esperienze di incontro con cristiani veri che hanno coinvolto tutto me stesso, sedimentando pian piano nel mio animo e nella mia mente strati sempre più consistenti di adesione spirituale e razionale”.

Precedentemente a questa confessione Magdi aveva citato in maniera pignola una serie sconfinata di incontri con uomini e donne di fede che avevano testimoniato con la loro vita la validità del messaggio cristiano.

Tutto questo mi convince una volta di più che la proposta cristiana passa soprattutto mediante una testimonianza globale del Vangelo di Gesù.

Chiese ben chiuse, porte, serrature e custodi

La fede dei preti pare che talvolta sia inferiore al granello di senape perché Gesù ha affermato che se un credente avesse una fede almeno pari ad un granello di senape potrebbe ordinare ad un albero di togliersi da dove è stato piantato per andare a piantare le proprie radici tra le onde del mare, mentre sembra che i sacerdoti non si fidino per nulla nè di Gesù e tanto meno degli angeli custodi. Pare anzi che la fede dei sacerdoti poggi sulla chiave, sui cardini delle porte, sulle serrature e soprattutto sui custodi a pagamento.

A Venezia, a questo proposito, c’è una cultura giuridica ed una giurisprudenza quanto mai consistenti tra due organizzazioni para-ecclesiastiche che si contendono gli ingressi a pagamento delle varie chiese della città.

Un custode, per quanto vecchio, sordo ed orbo sembra offrire maggior fiducia che il mistero della presenza reale di Gesù nell’Eucarestia, della protezione dei santi e degli angeli!

Io non ho la mansione dell’ispettore che controlla gli orari di apertura e di chiusura delle singole chiese, ma volendo offrire ai fedeli il periodico di formazione religiosa “L’incontro”, vengo a conoscenza, dai miei inviati, di quanta difficoltà incontrino, nel portare il periodico, perché le chiese sono ben chiuse di primo mattino, da mezzogiorno fino alle 16-17 e perfino alle 18. Alcune poi pare aprano solamente per la celebrazione della messa!

Spero che non sia così, però si è tentati di pensare che i nostri preti siano più preoccupati dei pochi centesimi custoditi nelle cassette delle elemosine che dei fedeli che potrebbero ritirarsi qualche momento nella casa della preghiera e del buon Dio!

Il Primario delle anime

Ora mi reco con minor frequenza, di quando collaboravo a livello pastorale, con lo staff di addetti alla pastorale presso il nostro ospedale, ma anche ora almeno un paio di volte la settimana, vado all’Angelo per portare “L’incontro”.

Qualche giorno fa mi hanno salutato con calore due coniugi mentre stavo armeggiando per parcheggiare la mia Fiat Uno.

Il marito, un omone di eloquio cordiale e vivace, mi disse: “Don Armando non hanno dato neppure a lei una tessera per parcheggiare gratis?”

Io, che ero e sono convinto di non aver motivi particolari per un privilegio del genere e pensando che il mio interlocutore non sapesse che non ero più in servizio attivo in ospedale, risposi che non avevo titolo alcuno per la gratuità.

Al che egli ribatté, suppongo non avendo compreso il senso della mia risposta: “Ma lei è un primario”, poi per spiegarsi soggiunse: “Primario a livello delle anime!”

Ci lasciammo con un sorriso ed un saluto molto cordiale.

Ci pensai a questa promozione sul campo datami, non dai miei superiori, ma da un uomo della strada.

Con 55 anni di servizio attivo come prete dovrei veramente aver raggiunto da un pezzo il “primariato”, a meno che non sia veramente una zucca!

Il problema mi ha interessato almeno per qualche giorno. Le fabbriche quando mandano in pensione un dipendente anziano, spesso lo adoperano come “consulente”, mentre da noi preti pare che la pensione sia veramente la fine!

Già da tempo sto riflettendo allo spreco di esperienze che la chiesa si concede con troppa disinvoltura!

San Paolo ha molto da insegnare ai cristiani d’oggi

Il 2009 è stato dedicato all’apostolo delle genti: San Paolo.

Credo che la chiesa in genere e quella veneziana in particolare abbia veramente bisogno di confrontarsi con  l’apostolo San Paolo, il grande convertito, che rimane anche per i cristiani e le comunità del nostro tempo il campione insuperabile della fede e soprattutto dell’apostolato.

Paolo è per antonomasia il testimone del coraggio, dell’intraprendenza, dello spirito di sacrificio e della convinzione assoluta che il messaggio di Gesù offre agli uomini, di tutti i tempi, la soluzione più valida umanamente e spiritualmente per dare significato e valore alla vita. Per raggiungere questo obiettivo San Paolo si spende tutto, senza risparmiarsi e conclude la sua testimonianza con il martirio.

Mi commuove e mi fa sempre arrossire quel brano di una lettera di questo apostolo in cui elenca tutto quello che ha affrontato e subito per essere fedele al suo Vangelo: quella confessione sembra una lunga litania di pericoli, di sacrifici e di generosità illimitata!

Mi auguro tanto che noi preti, ma anche i laici cristiani, rileggano quest’anno San Paolo quasi per accendere un faro che metta in luce le pigrizie, le incongruenze, le storture, le meschinità di una vita cristiana piena di compromessi, vissuta senza entusiasmo, ridotta a qualche rito celebrato senza convinzione, preoccupati di garantirci una vita borghese più che di apostoli di Gesù.

Quella piccola libreria in via Verdi…

Fino ad una trentina di anni fa operava anche a Mestre una giovane congregazione religiosa, fondata da don Alberione, che si occupava prevalentemente della stampa e dei mass-media.

Queste suorette paoline gestivano in via Verdi una piccola libreria sempre  affollata di sacerdoti e di cristiani che cercavano pubblicazioni di carattere religioso e films per i loro patronati. Suddette suore allestivano frequentemente mostre di libri nei sagrati delle chiese della città e spesso passavano per le case per la diffusione della “buona stampa”. Erano quei tempi in cui il periodico “Famiglia cristiana” aveva in ogni parrocchia decine e decine, talvolta perfino centinaia, di lettori.

Poi suddette suore tutte giovani, motivate ed intraprendenti, che davano l’impressione di essere l’ultima e più bella edizione di giovani donne consacrate a Dio e ai fratelli, passarono in via Poerio in una libreria più vasta, più in centro e più moderna. Ma la freschezza e l’entusiasmo pareva spegnersi a poco a poco e s’avvertiva più aria di bottega che di apostolato.

L’attività esterna scomparve completamente, finché un brutto giorno, si ritirarono in una loro casa di Treviso e subentrò la libreria S. Michele, gestita dalla parrocchia.

Meglio poco che niente, però il personale dipendente pare non abbia lo slancio, la motivazione e l’intraprendenza di chi si rifaceva allo spirito di S. Paolo, l’apostolo delle genti.

Nella chiesa della mia città, salvo qualche lodevole eccezione, pare che si respiri aria di rassegnazione e di resa. Tutto questo alla mia età fa male, molto male. Il mio ideale di chiesa rimane quello d’assalto non quella di ripiegamento come ora sembra di moda.

La presenza cristiana nel mondo della cultura costa!

A motivo di un funerale ho “scoperto” la figlia e il marito di una mia “antica” collaboratrice di Radiocarpini, l’interessante avventura radiofonica che mi coinvolse, in maniera forte e talvolta drammatica, per una ventina d’anni del mio recente passato. Col mio abbandono dell’emittente, prima il piccolo esercito di quasi duecento collaboratori si sciolse rapidamente sostituito da un piccolo staff di professionisti pagati, poi è scomparso il marchio ed infine si è annacquata l’identità, tanto che dell’avventura radiofonica non è rimasto quasi più neanche traccia.

Comunque la mia collaboratrice recentemente si è rifatta viva, in occasione di una intervista, poi, in occasione del funerale di un suo congiunto, ho finito per conoscere il marito e la figlia che vive a Milano e lavora all’Università Cattolica.

La mamma, come sempre fanno le mamme, mi ha presentato il suo “gioiello”, in verità credo che sia veramente tale, una ragazza giovane, piacente, sciolta e laureata che lavora nel settore dell’attività bibliotecaria alla Cattolica di Milano

La conversazione si accese subito con naturalezza, soprattutto per il fatto che mi confidò d’appartenere al movimento di Don Giussani.

Comunione e Liberazione e l’Università Cattolica sono stati due temi su cui ho riflettuto recentemente per motivi diversi, per primo, avendo incontrato una “Memores Domini” e per secondo, ho intenzione di dedicare un editoriale su Padre Gemelli, fondatore di tale Università.

Alle mie richieste sull’identità culturale ed ideologica della Cattolica, ella mi disse che purtroppo sta annacquandosi l’identità cristiana di suddetta università, essendo venute meno le offerte dei fedeli e subentrati gli aiuti dello Stato. Peccato!

S’arrischia ancora una volta che la presenza cristiana nel mondo della cultura sbiadisca perché i cattolici non sembrano disposti a pagarne il prezzo necessario!

Il matrimonio oggi

Una quarantina di anni fa una signora di una buona famiglia di Mestre, notoriamente cattolica, mi confidò un suo profondo turbamento perché un suo congiunto aveva invitato ad una festa di famiglia una signora che era sposata solo civilmente con chi la presentava come sua moglie.

Non ricordo bene ma mi pare che per questo motivo suddetta signora si sentì in dovere di abbandonare la festa di famiglia per non avallare un rapporto che la chiesa non poteva ritenere valido non essendoci stato il sacramento.

Sono passati neanche cinquant’anni e il costume civile e religioso è mutato in maniera radicale. Ora per le convivenze c’è perlomeno il pudore o forse una forma di presunta professione di fede laica nel chiamare compagno o compagna il partner, ma per il matrimonio civile ormai non si avverte alcuna differenza dal matrimonio religioso, mentre i rapporti sentimentali non dichiarati sono coperti dalla foglia di fico chiamata amicizia.

Questo vale negli ambienti estranei alla chiesa, ma sono pure pratiche e comportamenti usati anche negli ambienti di carattere religioso.

Un tempo le deroghe al matrimonio religioso erano eccezioni, ora sono diventate prassi consolidate ed accettate sia dalla gente lontana dalla chiesa, ma anche dai praticanti.

Questa mentalità è stata certamente determinata da un secolarismo diffuso, ma anche favorita da una esasperata pretesa del clero di corsi di preparazione spesso inconcludenti ed artificiosi, che si rifanno ad un clericalismo che la gente normale non sopporta più.

C’è da augurarsi che pian piano si arrivi ad un equilibrio di rispetto, e a pretese sacerdotali meno rigide e più duttili e comprensive della sensibilità personale di ogni individuo.

I musulmani, testimonianza vivente di una fede che interpella la nostra coscienza

Io sono sinceramente edificato quando vedo nei giornali o alla televisione folle di fedeli musulmani che nelle moschee, o in qualche sala di fortuna o anche all’aperto, in questo rigido inverno, si chinano fino a terra in un gesto di adorazione verso Dio.

Quando poi osservo che non sono bimbetti o vecchierelle, ma solamente giovani ed uomini nel pieno vigore della loro età, l’ammirazione diventa ancora più consistente.

Sono felice di questa testimonianza di fedeli che non hanno rispetto umano, sono edificato da queste manifestazioni di fede fatte in pubblico sotto gli occhi di tutti.

Mi fa inoltre molto piacere che i nostri Vescovi dicano al governo che non sono per nulla contrari che si offra, ai discepoli di Maometto, di avere luoghi di culto idonei per la dignità umana e per questa loro manifestazione di fede.

Di una nostra certa religiosità formale che si identifica con la tradizione o con la cultura, che non incide nelle scelte della vita e che si riduce a qualche gesto formale, compiuto ogni tanto, ne ho piene le tasche!

Ringrazio veramente il Signore per averci mandato tanta gente in Italia, non solamente si fa carico dei mestieri più pesanti e meno retribuiti, ma ci offre pure questa testimonianza di fede che interpella la nostra coscienza, che ci mette in crisi e ci spinge ad una verifica interiore!

Gli arabi e i musulmani si stanno macchiando di gravi crimini di terrorismo, però pagano con la vita, sono mossi da nobili ideali e si muovono con i mezzi che hanno, mentre noi pensiamo di non sporcarci le mani, colpendo i paesi poveri con aerei e carri armati sofisticati, soldati rambo e usando con assoluta disinvoltura strumenti finanziari per continuare a schiacciarli e sfruttarli!

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

C’è un mio coinquilino del don Vecchi, che sente la chiamata all’apostolato e pensa di doverla esprimere mediante la stampa e quindi di tanto in tanto mi passa degli articoli.

Più di una volta gli ho fatto presente che “L’incontro” persegue una certa linea editoriale, della quale i suoi articoli non ne tengono per nulla conto. Tanta è però l’insistenza di questo maturo aspirante giornalista, che non pare per nulla convinto delle mie osservazioni, tanto che mi presenta con insistenza i suoi scritti per cui ogni tanto finisco per cedere e pubblicare i suoi pezzi sulla Sindone, sull’esistenza di Dio, sulla validità del cristianesimo ed altri argomenti che io do per scontati per i lettori de “L’incontro”

L’ultimo articolo che mi ha messo sotto la porta riguarda lo Stato Pontificio, fornendo alcune informazioni sulla sua superficie, sul numero delle guardie svizzere, la loro carriera e su quanto riguarda la popolazione di questo piccolo stato, rimasuglio dello Stato Pontificio terminato nel 1870 con la presa di Porta Pia da parte dei bersaglieri.

Riflettendo su questo fatto d’armi, che sa più da operetta che da battaglia, anche se ci sono stati morti veri, mi domandavo qualche mese fa, in occasione dell’11 settembre, se era giusto come cristiano, deprecare la caduta dello Stato in cui il Papa era monarca assoluto o festeggiare quella data come liberazione del Vicario di Cristo, da una posizione impropria, mortificante o fuorviante dal compito del rappresentante di Colui che disse: “Il mio Regno non è di questo mondo!”

La questione romana non mi ha mai appassionato, nè lo Stato Pontificio, con tutto il suo vecchio apparato, non mi ha esaltato più di tanto.

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

Il mio Gesù e il mio Papa rimangono tali anche senza vecchie cornici che finiscono per essere sempre tarlate!

Il linguaggio dei preti

Il problema del linguaggio è sempre stato un grosso problema per gli intellettuali e la gente affine. Da sempre ho sognato e desiderato di parlare dei problemi religiosi con la lingua con la quale si parla al bar, al supermercato o in filovia, confesso che non ci riesco ancora.

Mi pare siano ben pochi i preti e meno ancora i vescovi che sappiano parlare la lingua parlata e non una lingua morta che ormai quasi nessuno capisce.

Fino al 1200, ai tempi di San Francesco, gli intellettuali parlavano latino, mentre già, non da decenni ma da qualche secolo, il popolo parlava un dialetto adottato pure dal poverello d’Assisi, che pian piano sarebbe diventato la nostra lingua, l’italiano.

Ci vollero secoli e secoli perché i preti mollassero la lingua nobile per adottare il linguaggio del popolo. Ancor oggi c’è qualche ecclesiastico nostalgico, che sarebbe tentato di suggerire al Papa o agli esperti dei dicasteri ecclesiastici di usare il latino, a parer loro, la lingua della chiesa. Io però non so di quale chiesa!

Quando cinquant’anni fa studiavo teologia ancora allora molti testi erano scritti in un “latinorum” che avrebbe fatto sdegnare Cicerone o lo stesso Cesare tanto era imbastardito. Però credo che il pericolo grosso per noi preti, che predichiamo da mane a sera, non è il latino, ma il linguaggio astruso, fuori commercio, di cui la gente fatica al massimo di capirne il significato vero, ma lo accetta supinamente, perché ormai ci ha fatto l’orecchio, senza coglierne i contenuti.

Qualche settimana fa mi è capitato di sentire, da un’emittente televisiva, una conversazione di un importante prelato. Non ci ho capito nulla! Un linguaggio formale e dai concetti astrusi e fuori corso!

Qualche giorno dopo, due tre persone, cattolici praticanti di diversa estrazione sociale e culturale, mi chiesero: “Ha sentito don Armando la conferenza del tal dei tali?” – “Perchè?” – ed ognuno confessava di non aver capito assolutamente niente!

Su “Famiglia Cristiana” scrivono grosse personalità dell’intellighentia cattolica, ma credo che l’unico che si fa intendere è don Mazzi, anche se talora non va proprio per il sottile con le parole.

S. Girolamo tradusse la Bibbia nella vulgatia, il latino del popolo, ora credo che dobbiamo fare un altro passo avanti scoprendo la “vulgatia” d’oggi!

Il consumismo e il lassimo, grandi nemici della fede

Un mio amico d’infanzia, tanti anni fa, tentava di convincermi che la religione aveva meno presa sulla coscienza dei fedeli, da quando si era abolito il latino e da quando il prete era uscito dal suo isolamento e aveva socializzato con la gente.

Mi pare di capire che volesse dirmi che quando la religione aveva abbandonato la sfera del mistero e la disciplina dell’arcano, andava a perdere la sua presa sul cuore del popolo.

Evidentemente, pur constatando che la partecipazione religiosa stava progressivamente diminuendo col passare degli anni, non potevo e non riuscivo a condividere questa lettura del fenomeno della secolarizzazione, anzi ritenevo e ritengo che il fenomeno religioso deve innervare, illuminare e dare ricchezza interiore all’attività dell’uomo e quindi sacerdoti e cristiani devono impegnarsi più a fondo per passare la fede attraverso modalità più compatibili e più affini alla cultura e alla mentalità del mondo moderno.

Detto questo però mi rimane nell’animo ancora qualche perplessità e qualche dubbio notando come gruppi religiosi minoritari o più conservatori riescono ancora a mantenere più viva e pregnante la sensibilità e il sentire religioso di quanto non riusciamo noi cattolici.

Qualche giorno fa ho invitato due giovani ortodossi, che lavoravano al don Vecchi, a pranzare con noi dato che era mezzogiorno. Il più giovane, un trentenne, mi ringraziò dicendomi, anche con candore, che gli ortodossi osservano quattro tempi di digiuno, uno dei quali cadeva proprio in quei giorni e loro si astenevano dalla carne, dai latticini e praticamente facevano “quaresima” come noi cattolici facevamo cinquant’anni fa.

Il consumismo, più nemico della fede che il marxismo, e il lassismo mi pare stiano pian piano svuotando la fede di contenuti forti per ridurla a qualcosa di formale, credo che dovrò riflettere a fondo su queste problematiche!

I preti di una volta

Io ho un’età in cui abbastanza di frequente, di fronte a comportamenti, modi di pensare, scelte che non condivido, mi verrebbe da dire la famosissima e deprecata frase: “Ai miei tempi le cose non stavano così!”

Tento di dire il meno possibile questa frase, però, anche se non la dico, la penso decisamente e molto convinto.

Noi tutti vecchi siamo frutto di un certo mondo e di una certa educazione; non potremo mai cambiare!

Credo che siano pochi gli uomini e i preti che riescono ad accettare serenamente modi di pensare, comportamenti, mentalità e scelte che oggi sono pacifici!

Pur convinto che il mondo si evolve, ed oggi molto più rapidamente del passato, mi è molto diffide accettare certi comportamenti che mi sembrano assurdi e non condivisibili specie in certe categorie di persone.

Qualche giorno fa una persona religiosa, parlando del “lavoro” in cui è coinvolta, mi diceva, come fosse la cosa più limpida e più normale, che un altro religioso aveva in un certo giorno la sua giornata di libertà, un altro ancora in un giorno diverso.

Ai miei tempi (ed ecco che mi scappa la frase da vecchi) il padre spirituale del seminario diceva che dovevamo da preti lasciarci “mangiare” dai fedeli, tanto dovevamo essere disponibili alle loro attese. Come volete che mi sia possibile condividere il nuovo modo di pensare?

Da giovane prete le mie vacanze erano costituite da un campo estivo con un centinaio e forse più di scout, dormendo dentro una piccola tenda e per terra, mangiando i menù che i ragazzini cucinavano tra mille lazzi!

Come volete che con questo passato possa accettare che i miei colleghi passino le vacanze un anno in Thailandia ed un altro in India?

A San Lorenzo confessavamo dalle 14 alle 20 di continuo e alle 21 tornavamo in chiesa per i ritardatari. Come volete allora che possa comprendere che il tal parroco riceva il mercoledì dalle 10 alle 11 e il venerdì dalle 16 alle 17?

Se fosse giusto questa nuova prassi di vita dovrei dire a Gesù in croce “Guarda che hai sbagliato tutto!”

La desacralizzazione della morte

Ho letto con interesse i pareri di alcuni prelati della chiesa veneziana sugli effetti della secolarizzazione per quanto riguarda il discorso sulla morte e sugli elementi inerenti ad essa.

Che ci sia una cultura che progressivamente desacralizza ogni comportamento umano è fuori di dubbio.

Prima l’illuminismo, poi il comunismo, quindi il radicalismo con la relativa rivoluzione francese, rivoluzione russa, hanno creato un clima per cui l’uomo ha perduto non solamente il senso di Dio, ma anche valori quali il sentimento, la poesia, la sacralità della famiglia, via via fino a ridurre l’uomo come lo definisce il filosofo francese Sartre: “un nervo nudo che si contorce o per il piacere o per il dolore” e nulla più.

Quei prelati, forse per non conoscenza, o forse per quieto vivere, non detto nulla delle responsabilità dei preti a questo riguardo.

I sacerdoti in pochissimi anni, penso abbiano contribuito in maniera consistente e forse determinante, per desacralizzare tutti gli aspetti che riguardano la morte.

Un tempo il clero ha costruito un’impalcatura eccessiva di riti, accompagnamenti, benedizioni preghiere e quant’altro, ora con estrema disinvoltura, forse perché anche loro vittime di questa cultura pragmatica, o forse per comodo, hanno pian piano smontato questo meccanismo complesso e si trovano in mano solamente i rimasugli di una realtà impalpabile e misteriosa che costituiva l’aureola della morte nella concezione cristiana.

Temo che siamo solamente all’inizio di un processo a cui manca veramente molto per toccare il fondo. Il funerale è più indietro del matrimonio, ma però e sulla stessa strada!

Ammiro il Cardinale Martini

Un mio amico, mi ha passato un ritaglio di giornale in cui appare il volto smunto e sofferente del Cardinale Martini, già vescovo di Milano, in occasione della presentazione di un suo libro circa il problema della morte.

Tutti sanno che dopo il tempo del raggiungimento della pensione, il cardinale, biblista provetto, si è ritirato in Palestina, in un ambiente in cui si respira il profumo della Bibbia ed in un paesaggio che offre una cornice adeguata alle Sacre Scritture, per continuare i suoi amati studi biblici.

Colpito dal male, è ritornato in un convento milanese dei Gesuiti per prepararsi alla morte. In quest’ultimo tempo della vita, questo grande vescovo, della più grande diocesi d’Italia, ha rivolto la sua ricerca e la sua riflessione su un tema che lo tocca molto da vicino e che non lascia alcuno indifferente, anzi che coinvolge in maniera drammatica tutti coloro che si trovano coscientemente nella sua stessa condizione.

Io ho sempre seguito con attenzione l’azione pastorale di questo vescovo, le sue prese di posizione, non sempre allineate al pensiero teologico corrente e anzi spesso, seppur in maniera garbata e prudente, anticipatrici degli orizzonti nuovi che si affacciano all’orizzonte della chiesa.

Ho sempre ammirato la sua pacatezza, il senso di responsabilità e prudenza e nello stesso tempo la sua intelligenza di precursore e il suo coraggio dall’uscire dalle file.

Ora mi trovo di fronte ad un uomo, ad un credente che però si fa domande, ha timore e forse paura del mistero della fine. E’ vero che Quattrocchi disse ai suoi uccisori “Vi farò vedere io come un italiano sa morire!”, però ogni uomo reagisce a modo suo di fronte al mistero, l’intellettuale sopraffine accetta la prova con più consapevolezza e meno ribalderia!

Io? Credo di non saper fare ne questo ne quello, per questo domando aiuto al Signore.

Una soluzione che non mi convince per l’ospedale dell’Angelo

Credo che la mia esperienza e la mia marginale collaborazione al servizio pastorale nei riguardi degli ammalati del nuovo ospedale siano definitivamente terminate.

In verità, da come erano impostate le cose, pensavo che la fase di transazione e di provvisorietà sarebbe durata molto più a lungo. Invece la soluzione è arrivata improvvisa, dall’oggi al domani, anche se del definitivo mi sembra non ne abbia neanche l’ombra.

Un sacerdote polacco, in Italia per motivi di studio e con una destinazione ben precisa è stato pregato di coprire per un anno la funzione di sacerdote assistente religioso nel nuovo ospedale.

La soluzione a me non convince per nulla, tutto mi fa pensare che essa sia una toppa, forse nuova, forte, intelligente e generosa, però sempre una toppa in un vestito talmente lindo e leggero, da ricordarmi il monito evangelico che mette in guardia da soluzioni del genere e che invita a metter il vino nuovo su otri nuovi.

Non voglio però minimamente imbarcarmi su discorsi del genere che riguardano il governo della chiesa e dei “generali” che predispongono le strategie pastorali; io sono vecchio, io non centro e se ho un ruolo è quello di pregare, soffrire e semmai riflettere a voce alta o con la penna.

Mentre mi fa riflettere e soffrire il fatto che il clero mestrino non si sia fatto carico di questo problema, così delicato ed importante e rimanga alla finestra a guardare, come capita per la cultura, l’arte, lo sport, la politica, il mondo del lavoro, la scuola e i mass-media, rinchiudendosi nel fortino della sacrestia, del catechismo e della liturgia.

So che lo Spirito Santo arriva improvviso e forte, solamente mi piacerebbe avere tempo per vederlo arrivare e squarciare le mura del cenacolo!