Le chiese potrebbero riempirsi di ragnatele…

Al don Vecchi opera un gruppetto di signore, che io definisco, adoperando una terminologia impropria e certamente roboante: “circolo ricreativo culturale” ma che comunque organizza assai di frequente concerti, commedie e gite turistiche.

Qualche domenica fa il gruppo “il circolo ricreativo culturale”, mi si passi una volta ancora questa definizione pomposa, ha invitato il coro “Voci d’argento” del quartiere di Favaro Veneto. Il coro era formato da una trentina di coristi tra uomini e donne, tutti con una divisa appropriata ed elegante, forniti di una strumentazione tecnica adeguata e diretta da una giovane ed avvenente “maestro”

In verità il coro che ha eseguito un repertorio di canti popolari e di canzoni veneziane, aveva un timbro ed uno stile lirico piuttosto che un andamento da canti folk. Comunque i toni robusti e vigorosi, impressionarono favorevolmente il nostro pubblico di anziani che non ama le lagne o i preziosismi canori.

Ascoltai tutto il concerto sia per dovere che per piacere, ma soprattutto mi interessò il discorso del presidente del coro e del gruppo anziani di Favaro: 700 iscritti, un gruppo numeroso di volontari che si rendono utili per ogni incombenza sociale.

Accanto a me si sedette un vecchio camionista in pensione, presidente invece, del gruppo bocce del nostro quartiere: 180 soci ed un gruppo consistente di volontari disponibili per ogni incombenza sociale.

D’istinto confrontai il gruppo anziani della mia ex parrocchia 400-450 anziani ed attività di ogni genere, ed ora ridotto al lumicino, il gruppo della sagra mediante cui finalmente si riconcilia la piazza con la parrocchia.

Pare che i preti di oggi non abbiano capito che la comunità si costruisce con gli uomini veri, non con i manichini vestiti da chierichetti. Ho l’impressione che molto velocemente non sarà più il campanile il baricentro della comunità ma la casa comunale. Se andiamo avanti di questo passo le nostre chiese saranno abitate dalle ragnatele!

Usare con i fratelli una lingua comprensibile

Oggi ho celebrato il commiato di un concittadino che ho incontrato per la prima volta senza poterlo vedere perché la bara era già chiusa, ma che ho conosciuto comunque attraverso le parole scarne ed oneste di sua moglie.

Già me ne aveva parlato quando era ricoverato in ospedale; lei forse sperava che una mia visita l’avrebbe riconciliato con Dio e con i preti, non sapendo, questa cara donna, che per queste cose ci vuole una frequentazione tale da acquisire stima personale, cosa che solamente il cappellano dell’ospedale, se ci fosse, potrebbe fare!

La moglie, credente e praticante, desiderava che il marito se ne andasse da questo mondo accompagnato dalla preghiera della comunità, ed io pure più di lei, desideravo che la chiesa si accomiatasse da lui con un atto di riconciliazione e di amore.

Nel salutarlo ho parlato con il cuore e il più onestamente possibile.

Cominciai col dire come Sant’Agostino che “ci sono uomini che Dio possiede anche se la chiesa non possiede, e purtroppo ci sono uomini che la chiesa possiede ma che Dio non possiede” e sono quest’ultimi che combinano i più grossi guai a livello religioso e provocano rotture insanabili per il loro fariseismo e per la loro religiosità bigotta e formale, nei riguardi degli uomini più veri e più onesti.

Continuai col dire che se i preti avessero fatto conoscere a questo fratello il Padre del prodigo e non un Dio carabiniere e di corte vedute, certamente egli non l’avrebbe rifiutato.

Terminai ringraziandolo per la sua critica a noi preti, forse solamente la critica, talora aspra ed amara, di questa gente può aiutarci a non diventare funzionari gretti, interessati e poco umani dell’azienda chiesa e dal predicare una religione stantia, per nulla interessante e disincarnata.

Sono certo che ci siamo lasciati in pace, io porterò un buon ricordo di lui e spero che anche lui ricorderà con affetto questo vecchio prete che gli ha parlato con una lingua comprensibile e condivisibile.

Una strada buona per aiutare i più deboli

La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.

La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.

In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!

Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.

Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.

A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.

Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!

Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.

L’idolatria al giorno d’oggi

I miei studi biblici sono stati assai approssimativi. L’insegnante non era granché preparato, per cui approfittava di ogni pretesto che noi studenti gli offrivamo senza tanti scrupoli per parlarci di cinema o di sessuologia, materia in cui sembrava molto più preparato.

E’ umano che in qualsiasi scuola ci siano docenti più o meno portati per l’insegnamento e più o meno preparati nella materia che sono costretti ad insegnare.

Le mie lacune generali e specifiche sono anche per questo motivo abbastanza consistenti.

Lo studio della Bibbia è poi particolarmente difficile perché si tratta di recepire un messaggio che passa attraverso una cultura lontanissima dalla nostra mentalità.

Nonostante queste deficienze spesso sono quasi costretto alla riflessione perché i testi proposti dalla liturgia esigono un’interpretazione non solo religiosa ma anche convincente.

Qualche giorno fa sono incappato nella questione del vitello d’oro. Mentre Mosè in solitudine sul monte medita sulla legge civile e religiosa da dare alla sua gente, il popolo ebreo guarda un vitello d’oro e comincia ad adorarlo.

Sembra veramente un’assurdità, una scelta così banale che si è quasi costretti a tirare in ballo il fatto che si trattava di un popolo primitivo per arrivare a venerare una statua costruita con le loro mani.

A pensarci la cosa non è proprio così assurda se anche la gente d’oggi, nonostante i millenni di storia, si comporta allo stesso modo.

La moda, la macchina, l’igiene, la linea, i gioielli, le vacanze, il look, i divi, i calciatori, valgono ancora meno del vitello d’oro, eppure gli uomini d’oggi per essi si sacrificano molto di più, si compromettono e spendono la vita per idoli insignificanti, banali, fatui e deludenti!

Pare che decine e forse centinaia di secoli non ci hanno ancora liberato dall’idolatria, mentre i sacerdoti se ne stanno sul monte a studiare le soluzioni da proporre al Popolo di Dio!

Don Roberto e la sua Comunità

Per il mio compleanno è venuto a trovarmi perfino mio fratello più piccolo, don Roberto.

Non ci vedevamo da mesi perché sia lui che io, ci lasciamo travolgere dagli impegni forse perchè non sappiamo dosare bene il nostro tempo e le nostre energie.

Don Roberto ha vent’anni meno di me, è più intelligente, parla e scrive molto meglio di me. Questo non solo non mi mortifica, ma invece mi riempie di orgoglio.

Don Roberto ha una bella parrocchia, che ama perfino troppo, ed ha un vivaio di ragazzi, che a parer mio, è il più numeroso e valido, non solo della nostra diocesi, ma penso che possa tranquillamente misurarsi con qualsiasi parrocchia del Veneto.

E’ venuto dopo la visita pastorale, attesa da anni, e presentata dalla stampa diocesana come un evento messianico, tanto che l’opinione pubblica locale ne è talmente satura, per cui se non finisce presto arrischia di diventare controproducente.

La visita vera e propria si è esaurita in poche ore nonostante, a parere di mio fratello, il Patriarca sia stato felice nei suoi interventi e penso non gli abbia fatto mancare i complimenti, perché la comunità di Chirignago è veramente bella.

Ho incontrato in don Roberto un prete un po’ stanco, un po’ sgonfiato e perfino un po’ deluso dei suoi giovani, che pur sono veramente il fiore all’occhiello della sua comunità.

Mio fratello forse non ha ancora capito che per certi preti la loro comunità è per loro, padre, madre, moglie, amante, tutto, mentre per i parrocchiani anche nel migliore dei casi, è soltanto un po’ di tutto questo, perchè hanno molte altre cose per la testa, soprattutto quando sono giovani!

L’ecccessiva sontuosità ecclesiastica

Ho sempre sperato che col passare degli anni si sarebbe affievolito il mio innato senso critico, avessi potuto accettare con più tranquillità il mondo com’è fatto, mi fossi rassegnato al tran tran della vita.

Invece no! C’è qualcosa che si ribella istintivamente quando m’accorgo dell’inerzia dei grossi enti, della pigrizia mentale dei funzionari, della ottusità e pesantezza della burocrazia, della macchinosità di certi apparati statali o religiosi che siano!

Non è però che sia benevolo con il Comune, la Regione o lo Stato, che non mi ribelli agli sprechi, le lungaggini assurde, della protervia di certi comparti della vita pubblica che dovrebbero essere un esempio di onestà, di esempio nel servizio, di attenzione per i bisogni della cittadinanza, specie della fascia più debole.

Ma quello che mi infastidisce ancora di più sono queste magagne nell’apparato ecclesiastico.

Hanno un bel dire che la chiesa è fatta di uomini e che gli uomini sono di natura loro fragili e peccatori. Ma quando confronto la semplicità di Cristo con l’immenso, pomposo apparato ecclesiastico, mi cadono le braccia, perché temo che esso favorisca una religiosità ritualistica e formale avulsa dalla vita e dalla storia.

E’ vero conosco una infinita schiera di uomini e donne credenti, umili, generosi, coraggiosi, liberi, disposti a tutto pur di servire Dio e i fratelli, di santi, preti, vescovi e papi, ma talvolta li vedo nelle vesti del poverello d’Assisi, che supplica il Papa e i cardinali di permetterci di poter seguire l’insegnamento di Gesù alla lettera, senza chiose, senza sontuosità e senza apparati.

Quando leggo sui giornali critiche aspre nei riguardi della chiesa soffro, mi ribello, mi indigno, vorrei che non fosse vero ma non sempre riesco ad esserne certo. Vorrei vedere la mia chiesa bella, libera, povera, con addosso la povertà di Cristo piuttosto che della sontuosità ecclesiastica.

Dio mi perdonerà se mi rifugio nel sogno e nel desiderio dei tantissimi “don Antonino Bello” vescovo di Barletta, che amava custodire nel suo cuore una foto dell’amata Madre chiesa vestita col grembiule di servizio.

Interventi inopportuni

Per fortuna è intervenuto il portavoce del Pontefice altrimenti, senza domandare tanti permessi ed avere patenti di sorta o incarichi ufficiali, sarei intervenuto anch’io dalla tribuna del periodico “L’incontro” .

A parte gli scherzi, da tempo ero un po’ seccato per certi interventi indebiti e per un certo coro di voci ecclesiastiche o paraecclesiastiche che, ad ogni piè sospinto, bacchettavano il governo, il parlamento e l’intero Paese!

Io da sempre credo, penso assieme alla grande maggioranza dei cittadini italiani benpensanti, criteriati e normali, rivendico al Papa, ai vescovi, alla chiesa di poter intervenire sulle questioni che riguardano la vita, la legge naturale, i grandi principi e le questioni di morale.

Reputo che non solo sia un diritto, ma anche un dovere e perfino un dono che la chiesa intervenga talora quando si dibatte di questa materia.

La chiesa ha, non solamente l’assistenza dello Spirito Santo, ma la saggezza che gli deriva da due millenni di storia, ma ancora prima dalla tradizione del popolo ebraico di cui, tutto sommato, è figlia.

Credo che questi interventi si siano mostrati storicamente saggi e convenienti checché ne dicano i radicali, i liberali, i repubblicani e la gamma di tutte le sfumature della sinistra.

Ma da questo al fatto che voci provenienti dalla Caritas di Roma, da “Famiglia Cristiana” o da qualche prelato intervengano ogni qual volta il governo starnutisce o vuol promuovere le “ronde” notturne, mi stavo chiedendo “Ma che gliene fregava a questa gente?”

Non so se valga ancora il motto “Libera chiesa in libero Stato”, ma che valga o non valga, un po’ di discrezione, un po’ di rispetto non guasta!

Ammesso e non concesso che il buon Dio dica a questi interventisti che cosa è giusto fare, ma non è vero perchè a me, che pure sono un ministro del Signore, Egli non dice proprio nulla, perfino la pedagogia insegna che bisogna permettere talvolta anche ai bambini di sbagliare perché la scottatura fa fare esperienza!

Lasciamo pure che il parlamento faccia gli sbaglietti, per poter intervenire quando arrischiano di fare i grossi sbagli.

La solidarietà ed il giudizio di Cristo

Sono moltissimi anni che nutro il sospetto che Iddio, creatore del cielo e della terra, sia molto interessato e gradisca quanto mai il fumo d’incenso, anche se è incenso vero e non artificiale, i paludamenti suntuosi dei pontificali, la nenia infinita di un rosario dopo l’altro, novene ed ottavari, l’organizzazione turistica verso determinati santuari o l’esasperata pubblicizzazione di certi santi da miracoli.

Sono dubbi che tengo quasi sempre per me, perché sono invece convinto che sia sacrilegio e deprecabile turbare la fede dei semplici.

Detto questo però mi pare che sia dovere di un pastore d’anime mettere in luce determinate pagine del Vangelo che manifestano, senza ombra di dubbio, il pensiero di Cristo, ricordando a tutti che il primo a dettare indirizzi nella pietà dei cristiani sia appunto Cristo che è il fondatore e la pietra d’angolo della chiesa.

Qualche giorno fa mi ritrovavo col gruppetto dei fedeli che durante la celebrazione dell’Eucarestia, ascoltavano il brano del Vangelo che illustrava in maniera semplice, comprensibile e ribadita i paradigmi del Giudizio finale del Signore ai fedeli che sono chiamati a sottoporsi a questo esame: “Avevo fame, sete, ero ignudo, forestiero, in carcere e tu mi hai aiutato, oppure tu non mi hai aiutato” terminando col ribadire che ogni volta “che abbiamo aiutato o non aiutato il povero, abbiamo porto aiuto o rifiutato aiuto a Cristo stesso, Figlio di Dio”

Concludendo con la sentenza di accoglienza nel Regno o la condanna alla Geenna.

Mi pare quindi indubbio che il giudizio di Cristo ha come materia principale e forse unica: la solidarietà.

Mentre riflettevo ancora una volta non sulle chiose dei mistici o dei moralisti, ma sulla parola di Gesù, mi chiedevo: “Ma com’è possibile, che le nostre catechesi e le nostre prediche non si rifacciano con maggior precisione e determinazione, su queste verità certe piuttosto che su fumosi ed incerti obiettivi di gente di chiesa che non so con quale autorità propongono indirizzi macchinosi, talvolta razionalmente fragili e poco comprensibili da un punto di vista esistenziale?”

Con prudenza e pazienza, ma con decisione tenterò allora di sparare le ultime cartucce su bersagli validi piuttosto che su bolle, seppur iridate, di sapone!

Su Eluana la Chiesa ha ragione

Il dramma di Eluana, la giovane donna da 17 anni in stato vegetativo, è passato per la coscienza degli italiani come un tornado e come un tornado ha devastato gli animi portando disordine e rovina immane.

Io, sia ben chiaro, a scanso di equivoci, sono convinto che la Chiesa abbia ragione e che abbia torto il padre, i magistrati, che non so perché si sono sostituiti ancora una volta al potere legislativo del Parlamento, i politici che hanno tentato di strumentalizzare questo dramma umano per sperati vantaggi elettorali, il Capo di Stato che ha negato la firma al decreto legge, i fanatici contro e i fanatici pro.

Io, ancora una volta, ben cosciente di tirarmi addosso la riprovazione di una parte consistente dei miei concittadini, sono più che convinto che ogni atto umano debba essere chiamato col suo nome, non tentando mai di ingannare o ingannarsi con circonlocuzioni ipocrite.  La fine di Eluana non fa eccezione, pur concedendo le attenuanti, come sono tali tutti quei gesti disperati che per pietà si sopprimono mogli  o mariti o figli perché soffrono o per altri presunti motivi umanitari.

Tutta la sceneggiata, tutti i protocolli, tutti gli avvocati e tutti i medici hanno recitato una farsa per ingannare o per ingannarsi, ma che non nasconde per nulla la tragica realtà.

Ripeto, credo che abbia ragione la Chiesa perché, una volta presa questa china, ci saranno un miliardo di altri casi, simili o dissimili per arrivare allo stesso risultato. Per me la vita, qualsiasi vita, è sacra e mai è lecito fare qualcosa per spegnerla. Aggiungo che ho preso buona nota dei politici laici o cattolici che in questa questione non hanno tenuto presente il pensiero della Chiesa perché, anche se dovessi vivere altri mille anni, mai avranno il mio voto, anzi farò l’impossibile perché non l’abbiano anche da chi mi dimostra una qualche fiducia, perché qui non si tratta di politica, ma di vita e di civiltà!

Difficili tempi supplementari

La vita di un prete penso di poterla dividere in quattro grandi stagioni, il clima delle quali non ho ancora ben capito se sia stato determinato dall’età piuttosto che da combinazioni sociali e pastorali più o meno fortunate.

C’è stato un tempo in cui mi sono sentito inserito in una bella avventura, vissuta con slancio e passione.

I due anni ai Gesuati vissuti accanto al mio vecchio parroco conosciuto nel mio paese natio, che mi volle bene come un padre e mi diede l’esempio di un prete zelantissimo ed appassionato delle anime.

La seconda stagione l’ho vissuta a San Lorenzo, prima con Monsignor Da Villa, una roccia di prete, forte, deciso che teneva il timone della comunità con mano ferma, pretendeva dai preti obbedienza e fedeltà ai compiti assegnati, ma che ci faceva sentire un affetto profondo e sincero. Poi con Monsignor Vecchi, a cui l’avventura, il sogno, le nuove frontiere piacevano veramente, ed affrontava i problemi parrocchiali con la scanzonatezza giovanile. Ci sentiva quasi una piccola “banda” che spostava continuamente in avanti i paletti dei confini dell’azione pastorale, metteva a fuoco costantemente nuovi e più avanzati progetti.

Furono bellissimi i tempi passati con don Giogo Buzzo, don Franco De Pieri, don Aldo Marangoni ed altri ancora.

La terza stagione la vissi come responsabile della comunità di Carpenedo, nei tempi difficili della contestazione però non solo non si è arretrato di un pollice, ma anzi si consolidavano le posizioni e si avanzava.

Porto nel cuore giovani bei preti quali don Adriano Celeghin, don Gino Cicutto, don Umberto Bertola, don Marino Gallina e tanti altri ancora. Ho la sensazione che assieme, di Carpenedo ne facemmo una bella comunità in crescita costante e con gli occhi e il cuore sempre rivolti al domani, senza spavalderie, ma anche senza complessi verso i tempi nuovi.

Ora che vivo nei tempi supplementari della partita e sto ai margini delle vicende pastorali, vivo questa stagione con molta malinconia, annoto purtroppo spesso dati negativi: una parrocchia con più di 6000 abitanti con due sole messe festive, un’altra di 4000 con una sola messa alla domenica, frazioni numerose abbandonate, chiese aperte solamente due o tre ore al giorno, associazioni cattoliche di categoria totalmente scomparse, parrocchie asfittiche, visite alle famiglie abbandonate, attività sovra parrocchiali ignorate o inesistenti.

Mi auguro che sia solo l’età a non farmi cogliere il bello e il nuovo di ciò che avviene nella nostra chiesa, perché altrimenti non ci sarebbe proprio molto per stare allegri!

La massificazione degli individui

Da qualche tempo, per motivi occasionali, sto riflettendo sul perché del declino generalizzato di certe congregazioni religiose e dello stesso clero.

Io non ho nessuna competenza nell’esaminare questi fenomeni e le risposte che ne do sono elementari e scontate. Però una risposta che non può che essere vera è quella che le soluzioni proposte dall’ascetica e dalla morale di un tempo è che certe soluzioni di vita religiosa non corrispondono più agli schemi mentali e al tipo di spiritualità che l’uomo di oggi sente come vera e corrispondente alla sua sensibilità.

Partendo da questo problema, come per i giochi di incastro, me n’è nato uno di più grave e che investe tutto il mondo di coloro che tentano di perseguire i consigli evangelici e dei metodi o regole che dovrebbero aiutarli per recepirli nella vita.

Un tempo quando facevo l’assistente dei maestri cattolici ho sentito pedagoghi illustri affermare che educare significa aiutare a far emergere dal fondo dell’«io» tutte le risorse e qualità specifiche della propria personalità, Dio infatti ci ha fatti tutti diversi.

Ora mi chiedo, tutto quel martellamento fatto dai “maestri dello spirito” e dai “padri spirituali” o dai maestri …….., non ha appiattito, standardizzato, ridotto a denominatore comune e perciò storpiato personalità tanto diverse impoverendo la società della ricchezza che le singole persone erano nella possibilità di offrire? Tutto questo può esser detto anche per molti genitori, per lo Stato etico.

Mi vien talora il dubbio e il sospetto che questa operazione di massificazione degli individui, portata avanti in tutti i settori della vita familiare, civile e religiosa, sia un’autentica profanazione della persona un insulto al buon Dio che ci ha creato diversi, un impoverimento della vita civile e religiosa, altro che educazione, che perfezionamento o educazione civile!

Parrocchie ammalate di “parrocchite”

Monsignor Vecchi abbastanza di frequente si lasciava andare a qualche sentenza. Con me lo faceva senza tante preoccupazioni perché avvertiva tutta la mia ingenuità d’allora. Non è che oggi mi sia fatto furbo, perché continuo a pigliar cantonate accettando facilmente per vere certe affermazioni di persone che, alla maniera dei diplomatici, fanno finta di credere a certe cose di cui sono convinti della loro falsità.

Ho sempre detestato la diplomazia e continuo a farlo perché mi piacciono le persone che escono allo scoperto, che si compromettono, che pagano di persona i loro convincimenti.

Ebbene, tornando a bomba, Monsignore era solito affermare che quando nella società, in cui vivi, vengono continuamente ribaditi certi concetti e ripetute certe parole, che dovrebbero rappresentarli, è segno che quelle realtà sono scomparse e che si spera di richiamarle in vita o ci si illude risuscitarle al concetto di “comunità”.

La comunità esisteva davvero quando non se ne parlava mai; è scomparsa allorquando se n’è cominciato a parlare ad ogni piè sospinto.

Credo che a Mestre ci si trovi in questo preciso stadio nei riguardi dello spirito comunitario, degli organi mediante cui dovrebbe esprimersi e della vita sociale in cui dovrebbe essere presente.

Quando scrissi che le nostre parrocchie sono ammalate di parrocchite, per cui si è steso un cordone sanitario insuperabile ai confini delle stesse, successe un putiferio di reazioni sdegnate.

In realtà le parrocchie tutte, grandi e piccole, pensano ai fatti propri, ai loro interessi; ciò che supera l’ombra del campanile è terra di nessuno o dei pochi patiti che per convinzione o per incarico ufficiale se ne occupano tra l’indifferenza più o meno manifesta di tutti, comunque sono convinti che passerà anche questa stagione.

Tutto passa!

Originali variazioni liturgiche

Ho partecipato recentemente come concelebrante, ad un funerale che si è tenuto in una delle trentadue parrocchie della nostra città.

Il celebrante, da quanto ho potuto constatare durante la funzione, fa parte a quell’ormai numeroso gruppo di sacerdoti che avvertono un bisogno irrefrenabile di operare dei piccoli o grandi cambiamenti nella liturgia ufficiale adottata dalla chiesa per la celebrazione della Santa Messa. Ci sono anche dei preti che si permettono delle variazioni che riguardanono la sostanza. Ho sentito di un prete olandese che buttava alle galline i frammenti delle Ostie che aveva consacrato durante la messa, ritenendo che fosse importante il segno della ripetizione della formula detta da Gesù durante l’ultima cena, ma probabilmente non accettava per nulla la dottrina della chiesa sulla presenza eucaristica di Cristo. Altri preti invece si permettono della trovate più di forma che di sostanza. Mi è stato riferito di un collega che prima della messa mandava un chierichetto dal fornaio a comperare mezzo chilo di pane che poi lui consacrava durante la messa.

A questo mondo purtroppo o per fortuna, siamo di tante teste!

Io sono per una applicazione abbastanza rigida delle forme liturgiche, perchè penso che la convinzione interiore del sacerdote dia pregnanza da sola al segno sacro.

Per venire all’ultima esperienza, il celebrante si permise delle varianti di poco conto, che mi sembravano più un vezzo che una scelta ideologica.

Quello che mi sorprese però non più di tanto fu il fatto che durante il funerale, in cui la norma non impone la recita del credo, disse all’assemblea fatta di tutti vecchi come me, “Ora, recitiamo il credo che è il segno della nostra fede, mettendo la mano sul cuore come quando si canta l’inno nazionale: “Fratelli d’Italia” la cosa nè mi turbò nè mi scandalizzò, pur portandomi la fantasia sul prato verde della Casa Bianca, ed accomunandomi a Bush o ad Obama, piuttosto che a Tommaso che si prostra dicendo “Dio mio e Signore mio!”

Canti lagnosi

In questi giorni, per una certa associazione di idee, mi è tornata in mente una storiella, che mi è stata raccontata tanti anni fa.

In una caserma il comandante aveva fatto ridipingere una sedia, le aveva messo accanto un piantone perché le reclute non si sedessero rovinando la pittura della sedia e dei loro pantaloni.

Il capitano poi si dimenticò  di ritirare l’ordine, quando il colore si fu asciugato, motivo per cui nessuno riusciva più a comprendere perché la sedia avesse la sentinella accanto, pensando che si trattasse di un segreto militare si continuò nel tempo a presidiare inutilmente la sedia!

La storiella, critica nei riguardi della burocrazia militare e la scarsa duttilità, mi venne in mente in questi giorni per un motivo di ben altro genere.

Uno dei fedeli della piccola chiesa del cimitero, sapendo il mio amore per la musica, mi ha regalato un compact disc di canti gregoriani, così che da mane a sera ho modo di ascoltare questi frati che a “buon mercato” cantano da quando alle 7,30 apro la chiesa fino alle 16,30 quando la chiudo.

Io passo spesso lunghe ore, nella mia cattedrale. E mi assorbo questa “lagna gregoriana” che dal Pontefice all’ultimo pretino di Curia, dicono essere il canto della chiesa per antonomasia!

Mi sto domandando sempre più di frequente: “Perché quel canto è più religioso del canto del gen rosso o verde?” Se mi dicessero che era il canto del 1200 o 1300 non farei verbo, ma se si tratta del canto con cui gli uomini del terzo millennio possono esprimere meglio la lode del Signore, mi pare sia una sciocchezza madornale.

Molto probabilmente si continua a dire così perché “ab immemorabile” si è detto così, come per la sentinella della sedia.

Poco tempo fa si è celebrato l’anniversario della scomparsa di Fabrizio D’Andrè e milioni di italiani, io compreso, abbiamo ascoltato con interesse le canzoni di questo novelliere! Credo che se qualcuno di Chiesa avesse commissionato al cantautore genovese qualche canto di lode al Signore, i fedeli pregherebbero con più gusto e partecipazione con buona pace dei frati e di chi si ostina a dire che quel loro canto è gradito a Dio e ai suoi figli di adozione!

La Provvidenza terrà viva la vigna del Signore!

Ho sempre supposto che le mie preoccupazioni di non avere successori nel mio ministero pastorale e le lagne perpetue di cristiani comuni, di superiori religiosi e di vescovi per la carenza di vocazioni alla vita consacrata, sono solo espressione di poca fede in quel Dio dalle risorse infinite in cui pur diciamo di credere!

Le previsioni preoccupanti sul calo del numero di preti e religiosi in genere, gli inviti pressanti alla preghiera perché Dio mandi operai nella sua vigna sono, credo, espressioni di questa poca fede, per cui si teme che non ci sia più gente che difenda la causa di Dio e si faccia carico del messaggio evangelico. La mia cultura storica è meno che mediocre, però è pur sufficiente per affermare che il buon Dio se l’è sempre cavata bene e quando una istituzione religiosa ha cominciato a declinare ne ha fatto spuntare un’altra che era certamente migliore. E’ indubbio che preti, frati e suore sono in declino sia come numero che come qualità e di ciò dovremmo rammaricarci quanto mai anche perchè non riusciamo a trovare soluzioni a questa carenza. Però mi viene da dire che la Provvidenza ci ha già pensato alla grande come Essa è solita fare.

Qualche tempo fa, faceva parte ad un incontro in cui partecipavo anch’io, una signora quarantenne di bell’aspetto, sobriamente elegante, funzionario d’alto grado in un ente importante. Ad un certo momento, quasi a rassicurarmi per il suo sostegno alla causa che mi stava a cuore come prete, mi confidò di soppiatto: “Sono anch’io religiosa” e mi fece il nome della congregazione.

Qualche giorno dopo mi invitò a cena per sviluppare e concludere il problema che ci interessava e chiacchierando venni a sapere che appartengono a questa congregazione 1800 tra uomini e donne tutti inseriti nel cuore del nostro mondo.

Ora anche se chiude la “congregazione dei sacri cuori di Gesù e Maria”, ormai ridotta ad una ventina di vecchierelle, già fuori corso, non cade certamente il mondo!