La moda

Forse dipenderà dal fatto che sono un vecchio scapolo, o forse perché a motivo della modestia di risorse economiche sono abituato a non sprecare, so di essere molto critico con la moda, specie quella femminile. Mia madre, non so se per educazione o per necessità, mi ha educato alla parsimonia e alla sobrietà. A casa mia non andava buttato via nulla. Ricordo che per la mia prima comunione i miei genitori mi hanno comperato un vestito da tenente di marina. Penso che dopo di me mezzo paese abbia adoperato questo vestito.

Anche quest’anno, col comparire della moda degli stivali e dei fuseaux, che come per incanto ha vestito alla stessa maniera l’universo femminile, non ho resistito a trattenermi dal dare qualche stilettata in proposito. Però, volendo essere onesto con gli altri, ma soprattutto con me stesso, ho pensato che se le donne vestissero soltanto come cinquant’anni fa, sarebbero ben monotone. A casa mia c’era in cornice una foto di mia mamma, poco più che ventenne, che da giovane era molto bella, con un vestitino con la cintura a livello dei fianchi ed un cappellino alla Maria Josè. Ogni tanto mi veniva da dirle: «Ma mamma, come ti vestivi?» Lei sorridendo affermava che quando le avevano comperato quel vestito in paese tutte glielo invidiavano perché era alla moda!

Ho concluso che, nonostante la crisi economica, sarà opportuno che permettiamo alle nostre donne la piccola debolezza di tentare ad ogni stagione di “farsi nuove”.

Qualche giorno fa, partendo da questi pensieri abbastanza leggeri e frivoli, m’è capitato di imbarcarmi in una riflessione molto più seria ed importante, arrivando ad una conclusione quanto mai scontata, ma disattesa dalla maggioranza dei cristiani, ossia che pure la fede e la religiosità che la alimenta e la esprime sono un fatto dinamico, in continua evoluzione, tanto da vestirsi sempre in maniera diversa, e pur mantenendo la stessa identità, molto velocemente cambiano volto e respiro. Una fede “ingessata” soltanto da dieci anni assomiglia a quelle vecchie nobildonne veneziane che ho conosciuto quando ero cappellano ai Gesuati, signore che andavano a spasso col collarino. Chi mai accetterebbe oggi anche la donna più bella vestita a quel modo?

Io ho preso coscienza formale di questo fatto una decina di anni fa, quando ho fatto trasloco dalla canonica di Carpenedo al “don Vecchi”. Quando mi capitò di decidere quello che dovevo portare con me rimasi un po’ perplesso di fronte ad un cassone di appunti delle mie prediche. Dopo un attimo di esitazione le buttai. Quelle rare volte infatti che m’era venuta la tentazione di riesumarne qualcuna, ho capito che era ridotta ormai ad un reperto storico morto e superato e non più presentabile, anche se datava di un solo anno.

Per questo motivo sento il bisogno e il dovere di avvertire i fedeli che la fede è un fatto vivo, dinamico che, crescendo, si sviluppa, si esprime sempre con accenti nuovi e diversi; quindi c’è assoluto bisogno di lettura, aggiornamento, riflessione, per poter avere nel cuore un fiore vivo e profumato, non un fiore di plastica sbiadito, sempre uguale ed inerte. Questo vale per i preti, ma pure per i fedeli.

05.02.2014

Almeno Papa Francesco!

Da alcuni mesi vado seguendo le vicende di un nuovo dormitorio per senzatetto che il nostro Patriarca ha annunciato ormai da molto tempo.
Da quanto ho avuto modo di apprendere da “Gente Veneta” e pure dal “Gazzettino”, il nostro vescovo, prendendo coscienza che a Mestre vi sono decine e decine di senzatetto che dormono alla stazione, sotto il cavalcavia o sotto i portici di certi palazzi della città, quale segno di solidarietà e di conversione, in occasione dell’anno della fede appena conclusosi, ha deciso di dar vita ad un altro dormitorio.

La Caritas, che ha realizzato l’iniziativa, ha ottenuto, pur con una certa fatica a causa della contrarietà della municipalità di Marghera, un piano di una scuola dismessa, l’ha restaurato ed a giorni sarà inaugurato.

Io non posso che plaudire a questa iniziativa e quindi sono quanto mai felice che si siano superati gli ostacoli e si possa dare il via a questa struttura. Sono contento anche perché in questi ultimi trent’anni innumerevoli volte si era parlato di una mensa dei poveri nel vicariato di Marghera; io stesso, almeno tre volte, sono stato invitato, come “esperto” del settore, a tavole rotonde o a commissioni di studio in merito, l’ultima volta nella parrocchia di Catene per preparare volontari che dovevano gestire la mensa. Non se ne fece nulla.

Finalmente però “la montagna ha partorito il topolino!”. In spirito di fraterna collaborazione mi permetto di osservare che forse sarebbe stato opportuno un incontro tra gli “addetti ai lavori” per un coordinamento e per inserire la nuova struttura in un progetto globale (io sono per la realizzazione di un piano organico che si occupi della carità a Mestre). Pazienza, “cosa fatta capo ha!”.

Ma l’apertura di questo dormitorio con colazione mi pone almeno due “spinosi e tormentosi problemi”. Primo: la dedica di questo dormitorio per senzatetto a Papa Francesco mi sa un po’ di culto della personalità, che mai profuma di nobiltà e di disinteresse (ma questo, anche se fosse, è un “peccatuccio veniale”). Secondo: i giornali hanno annunciato con una certa enfasi che per l’inaugurazione è stato invitato il Segretario di Stato del Vaticano, il cardinal Parolin; praticamente il vicepapa!

Ma allora, quando il prossimo maggio, la Fondazione inaugurerà in quel degli Arzeroni una struttura tutta nuova, come stabile e come soluzione per gli anziani poveri in perdita di autonomia, con sessanta appartamentini, ambulatorio, palestra, parrucchiera, lavanderia e tantissimi spazi comuni, senza domandare un centesimo alla curia, chi mai dovremmo invitare? Fosse anche Papa Francesco è ancora poco!

Mi consolo perché penso che verrà lo stesso nostro Signore!

31.01.2014

La prima confessione

Me ne stavo tornando a casa dopo aver celebrato un funerale, quando squillò il telefonino. Era mio fratello don Roberto che mi chiese: «Verresti domenica a Chirignago a darmi una mano per la prima confessione dei miei bambini?». Non ci pensai un momento e gli dissi di si. Roberto mi chiede molto raramente un piacere, forse teme di turbare il riposo della mia vecchiaia.

Purtroppo, appena tornato a casa, scoprii che la richiesta coincideva con il concerto che il coro Marmolada avrebbe tenuto alla stessa ora per i residenti del “don Vecchi”. Comunque ritenni che la richiesta di mio fratello prevalesse sull’opportunità di esprimere riconoscenza ai cari amici del coro. Andai a Chirignago, nonostante la preoccupazione di suor Teresa che non ha per nulla fiducia della mia capacità di guida, nonostante le abbia detto cento volte che io ho una “guida sportiva”, quindi anche un po’ spericolata, è vero, nonostante la mia tarda età.

Arrivai puntualmente a Chirignago nonostante qualche perplessità, che mi è consueta, nel prendere gli svincoli giusti. Entrai in chiesa e, con sorpresa, scoprii che era piena come un uovo: c’erano i bambini, i genitori e forse anche i nonni e gli amici di famiglia. Nei miei sessant’anni di sacerdozio non ho mai visto una chiesa così gremita per una prima confessione. Mio fratello è un regista meglio di Fellini in queste cose, per cui la confessione risultò un evento che quei bambini di terza elementare ricorderanno anche se vivessero come Matusalemme.

Seguii con curiosità lo svolgersi di questa paraliturgia che s’è snodata agile, interessante e soprattutto capace di coinvolgimento.

I bambini si confessavano di “peccati” non da angeli ma da arcangeli, andavano poi all’altare a ringraziare il Signore, indossavano la tunichetta bianca, poi si avvicinavano ad un albero secco posto al centro della chiesa che avevo notato senza scoprirne la funzione e appendevano un fiore di carta, ciascuno di un colore diverso, tanto che alla fine delle confessioni l’albero risultava più vivace di un magnifico pesco in fiore.

Alla conclusione don Roberto chiamò ad uno ad uno i “penitenti”, redenti dalla misericordia di Dio, consegnò loro un crocifisso da mettere a capo del loro letto ed infine diede loro un sacchetto con dei grani di frumento ed un secondo sacchetto vuoto, dicendo loro che ogni volta che avessero fatto una buona azione, potevano trasferire un chicco nel sacchetto vuoto.

A Pasqua, disse loro di riportare il sacchetto delle buone azioni i cui grani sarebbero stati portati al mulino per fare la farina con la quale confezionare le ostie per la loro prima comunione.

Mentre assistevo a questo rito immediatamente intelligibile, pensai alla saggezza di Pio X che volle che l’Eucaristia fosse data ai piccoli innocenti, e soprattutto alla stupidità dei teologi soloni che si credono all’avanguardia, che vorrebbero dare la comunione quando i ragazzi sono già in crisi adolescenziale. Così conclusi che mio fratello potrebbe tranquillamente andare in Vaticano per fare il prefetto della congregazione dei sacramenti.

Infine mi presi anche un fragoroso applauso quando don Roberto mi presentò come il fratello che ha vent’anni più di lui, però ho capito che non c’era assolutamente bisogno di quella presentazione perché ogni settimana almeno un migliaio dei suoi parrocchiani leggono le mie vicende su “L’Incontro”.

31.01.2014

Un dono per oggi

Ormai da molti mesi vado rimuginando un discorso che mi sta aprendo ad una visione nuova e più positiva sul modo di vivere il messaggio cristiano. I testi della Sacra Scrittura che qualche settimana fa la Chiesa ha offerto alla meditazione dei fedeli me ne hanno dato una valida conferma.

Nella terza domenica dell’anno liturgico, come prima lettura c’è un brano di Isaia che preannuncia i doni che il Messia avrebbe portato in questo nostro mondo: “Il popolo che camminava nelle tenebre vedrà una grande luce. Il Messia moltiplicherà la gioia e la letizia, spezzerà il giogo che opprime la gente”. In pratica il grande profeta afferma che il Cristo porterà luce, gioia e libertà, realtà che sono per l’uomo come l’aria per gli uccelli e l’acqua per i pesci, ossia le realtà alle quali l’uomo aspira con tutto il suo essere: felicità, verità e libertà.

Tutto questo è esattamente l’opposto di una certa lettura della proposta cristiana che pare tutta tesa a mortificare le aspirazioni più profonde e reali dell’uomo. Io penso che certo ascetismo coltivato nei secoli scorsi è sicuramente proveniente dal giansenismo cupo e chiuso in se “stesso”, proprio dei paesi nordici ed ancora presente in certi ordini religiosi e in una certa pietà popolare coltivata da preti misogini e rinunciatari che predicano un Avvento del Regno di Dio che si realizzerà soltanto nell’aldilà e non nel presente.

Eppure Gesù ha detto: «Vi porto la mia gioia e voglio che essa sia grande». Credo che sia ora e tempo di affermare che Cristo è venuto a portare luce, gioia e libertà, perché la nostra vita quaggiù sia bella e felice, senza nulla togliere poi alla felicità futura. Il Regno predicato da Cristo è il nuovo modo di vivere, di pensare, di agire, che deve essere la prerogativa e la nota qualificante del cristiano di oggi.

Nel Vangelo di questa stessa domenica mi pare poi di trovare la riconferma: convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino!”. Traduco: “Cambiate modo di pensare e di vivere perché solo così potrete vivere il tipo di vita che sono venuto ad annunciarvi!”. Quando Gesù aggiunge: «Il Regno è vicino», io lo traduco: “Questo nuovo modo di vivere è possibile, è a portata di mano, quindi cambiate registro e godete anche ora, subito, del dono che il Padre vi ha fatto.

Mi pare impossibile che Dio Padre ci abbia fatto un dono che ha il gusto dell’olio di ricino e l’odore dell’acido fenico; questo non sarebbe certo un dono, ma un castigo!

Ricordo che molti anni fa ho fatto un ritiro spirituale nel coro dei cappuccini a Mestre. Avevo di fronte a me un quadro del sei-settecento in cui era raffigurato un frate cappuccino dal volto emaciato, con due occhi quasi fuori dalle orbite che guardavano intensamente un teschio che teneva tra le mani. Allora pensai: “Signore, se il tuo Regno è questo, vi rinuncio fin da subito!”.

Credo quindi che sia tempo di smantellare in maniera radicale una certa ascetica che poggia solamente sulla rinuncia, sulla mortificazione di ogni sogno e di ogni entusiasmo, su un grigiore cupo ed anonimo. I nuovi cristiani della negritudine l’hanno capito pure loro trasformando letteralmente “il pianto in danza”; infatti lodano il Signore danzando e cantando, nonostante la loro povertà.

28.01.2014

L’avallo di Papa Francesco

Un paio di mesi fa ho dedicato una pagina del mio diario al pensiero religioso di padre Ernesto Balducci. Questo sacerdote, appartenente all’ordine dei Padri Scolopi, fiorentino di nascita e morto in un incidente automobilistico una ventina di anni fa, fu quanto mai noto al tempo della ricostruzione perché nel dopoguerra fondò una bellissima rivista di ispirazione cristiana; “Testimonianze”, mensile che ho seguito con tanta ammirazione per moltissimi anni e che poi ho lasciato perché mi è parso che la linea editoriale si fosse spostata eccessivamente a sinistra a livello politico e fosse un po’ troppo di fronda a livello ecclesiale.

Ritrovai padre Balducci un paio di anni fa leggendo un ottimo volume di don Piazza sulla vita e sul pensiero del sacerdote friulano, parroco, se non per punizione, ma di certo confinato, in una minuscola parrocchia dal suo vescovo perché “non facesse troppi danni” a livello di pensiero. Don Piazza è un grande ammiratore di padre Balducci, tanto da dedicargli una sua struttura di accoglienza per i profughi del mondo.

Infine, tre o quattro mesi fa, qualcuno mi regalò un volume quanto mai arduo da capire, dello stesso padre scolopio, “L’uomo planetario” nel quale, tra l’altro, questo intellettuale sosteneva la tesi che il meticciato dei popoli avrebbe finito di essere tale anche a livello religioso. Questo avrebbe portato ad un ecumenismo reale che avrebbe dato vita ad un denominatore comune tra le religioni spingendole ad operare per la pace e il benessere dell’uomo.

La tesi mi affascinava, ma l’ho presentata con le pinze, temendo che avesse qualcosa di ereticale, perché ammetteva un pluralismo religioso impegnato soprattutto a cercare il Regno dei Cieli quaggiù, pur non escludendo quello dell’aldilà. Dentro di me ho sempre pensato che il buon Dio gradisse di più che noi, suoi figli, ci aiutassimo ad andar d’accordo e a vivere una vita possibilmente più felice, piuttosto che fossimo troppo impegnati in riti misteriosi che abbondano di acqua santa e di nuvole di incenso, ma soprattutto che noi perdessimo troppo tempo in contese dottrinali, peggio ancora in “guerre sante”.

Confermo che ero molto preoccupato di non andar troppo fuori dal seminato. Però il volume che sto leggendo “Papa Francesco ed Eugenio Scalfari, dialogo tra credenti”, va molto oltre, tanto da farmi sentire un vetero cattolico, conservatore, quanto mai retrogrado e superato dalle posizioni del Santo Padre.

Man mano che procedo a leggere i discorsi del Papa, tanto più mi sento innamorato di questa dottrina fresca, limpida ed innovativa. Cosicché, alla proposta timida di Enrico, mio amico e collaboratore, di dar vita a qualcosa che faccia cassa di risonanza alla rivoluzione di Papa Francesco, ho aderito immediatamente e con entusiasmo. Così è nato il piccolo nuovo settimanale “Il messaggio di Papa Francesco”

13.01.2014

Il breviario

“I promessi sposi” io li ho letti una cinquantina di anni fa e forse più. Avrei desiderato rileggerli ancora, ma penso che ormai me ne manchi in assoluto il tempo. Una delle figure che sono rimaste nella mia memoria, pur un po’ sfuocata ma presente, è quella di don Abbondio. Credo che la cosa sia comprensibile perché, tutto sommato, don Abbondio è un mio “collega” a motivo del “mestiere” che ambedue abbiamo scelto di fare.

Per me, onestamente, egli rappresenta però un protagonista del mondo religioso in negativo, perché se c’è una figura di prete che rifiuto decisamente è quella del prete pavido, asservito ai ricchi e ai prepotenti, del prete rassegnato che fa il suo “mestiere” senza voler noie o correre pericoli di sorta.

Quando mi capita di pensare al capolavoro di Manzoni mi viene in mente don Abbondio sgomento e piagnucolante che incontra per strada i due bravi mentre sta recitando in maniera tranquilla il suo breviario. Sono convinto che fino a qualche anno fa l’immaginario collettivo pensava il prete come un uomo un po’ rubicondo e in tonaca nera col breviario tra le mani. Forse pochi sapevano che cosa sia il libro, legato in maniera indissolubile alla figura del prete, comunque credo che i più lo pensassero come un libro di preghiere.

Difatti la recita del breviario, che la Chiesa prescrive a tutti i sacerdoti, è la preghiera ufficiale per l’intera comunità cristiana. Probabilmente questo rito deriva dalla tradizione della vita monacale che è tutta imperniata sul lodare Dio negli snodi principali del giorno: dal primo mattino, con la recita del “mattutino”, fino alla tarda sera, con la recita della “compieta”.

Io, pur non essendo un patito o un entusiasta di questo modo di rivolgersi a Dio, fatto attraverso i salmi dell’Antico Testamento e di molte letture scritte dai padri antichi della Chiesa perché questo modo di pregare mi pare uno strumento assai lontano dalla cultura e dalla sensibilità del mondo d’oggi, vi sono rimasto sempre fedele, sia perché ritenevo giusto obbedire a questa prescrizione, sia perché ritenevo pure opportuno ricordare a Dio l’intera collettività.

Anche al tempo in cui ero estremamente impegnato ho mantenuto fede alla recita del breviario più per dovere che per un bisogno interiore. Spesso recitavo il diario nei momenti possibili, tanto da ritrovarmi a tarda sera a pregare perché Dio mi assistesse durante la giornata già vissuta o al mattino a ringraziare del giorno che non avevo ancora trascorso. Ora recito tutto il breviario di primo mattino lasciando al Signore di sistemare la mia preghiera nelle ore che crede più opportune.

Sennonché, qualche giorno fa, ho letto in una rivista dedicata ai sacerdoti, che appena il sedici per cento dei preti recita ancora il breviario. Ci sono rimasto male, non tanto per la fatica e il sacrificio che ho fatto, quanto nel constatare che il mio “piccolo mondo” è cambiato anche da questa parte e che sono rimasto un povero superstite del passato.

12.01.2014

Il parroco del domani

Ieri ho incontrato mia sorella Lucia che vive in stretto contatto con mio fratello don Roberto, parroco a Chirignago e che perciò partecipa più da vicino alle difficoltà di sempre di ogni parroco, alle quale se ne aggiunge qualcuna in più per i parroci dei nostri giorni. Lucia mi ha riferito una “frase storica” del nostro Patriarca: “Un prete per campanile!”

Quello del Patriarca non è un nuovo slogan a livello pastorale, ma una dura decisione data dalla carenza di preti.

Credo che don Roberto senta certamente più di me questo annuncio, perché ha attualmente un cappellano a mezzo servizio, ma presto teme di non avere più neanche quello.

La notizia, che mi giunge nuova solamente nella sua formulazione da slogan, “un prete per campanile”, mi ha fatto riflettere su questa questione che non mi è per nulla nuova. Presto non saranno più possibili neppure le soluzioni tampone delle “unità pastorali”, ossia l’aggregazione di più comunità parrocchiali con, alla guida, un solo prete quando esse sono piccole, o con una équipe di sacerdoti quando ci si riferisce a parrocchie più consistenti.

Queste soluzioni tampone, sono pur opportune ma non risolutive. Si pensa quindi con più frequenza e più determinazione a dare più responsabilità ai laici, al sacerdozio di preti sposati (il primo passettino a questo proposito lo si è fatto con l’introduzione dei diaconi che però, attualmente, svolgono compiti ancora marginali) e soprattutto al sacerdozio esteso alle donne.

In questa prospettiva in veloce evoluzione mi pare di scorgere anche qualcosa di provvidenziale. E di questo credo di avvertire già l’inizio, ossia il liberare il sacerdote sempre più velocemente e radicalmente da ogni compito organizzativo, per offrirgli la possibilità di assumere sempre più il ruolo di profeta, da un lato facendogli celebrare i divini misteri e dall’altro riservandogli il compito di chi annuncia la proposta a livello evangelico, lasciando invece ai rappresentanti della comunità le altre incombenze di ordine organizzativo e di gestione. Se al prete si tolgono gli infiniti incarichi che oggi gravano sulle sue spalle, “un prete per campanile” sarebbe già quasi di troppo!

Questi orientamenti, che qualcuno potrebbe pensare innovativi e forse rivoluzionari, non sono più tali perché non si tratta che di ritornare alle origini quando nelle prime comunità cristiane c’era chi provvedeva alla gestione della carità, che è il più importante impegno della parrocchia. Ma anche, ritornando indietro soltanto di cent’anni, c’erano le fabbricerie che avevano in mano la gestione della parrocchia.

Ho l’impressione che più si libera il sacerdote dalle pastoie burocratiche, più lo si aiuta ad assumere il ruolo dell’annunciatore, di chi propone i valori più alti, lasciando ad altri il compito della gestione pratica, che spesso rende odiosa la figura del sacerdote.

18.01.2014

Che tempo!

Sono ormai due o tre giorni che il cielo è chiuso e cupo ed una pioggia leggera mi mette tanta malinconia.

Ho appena dato uno sguardo al Gazzettino. M’è parso in linea col brutto tempo. Ogni giorno non faccio altro che trovare titoli tristi e deludenti, tanto che non mi viene voglia di leggerne il testo per paura di essere intristito ulteriormente.

La vita, il mondo e la società attualmente non fanno che colmarmi ogni giorno di tristezza. A parte i dissapori tra Letta e Renzi, Alfano e relative tifoserie, c’è ancora di peggio. In un momento in cui i mali del Paese non fanno che aggravarsi perché ogni giorno aumenta la disoccupazione e si chiudono fabbriche, questi mediocri rappresentanti della politica non fanno altro che litigare e dividersi ulteriormente.

Oggi poi, allo squallido scenario che ci viene offerto dalla politica e dalla cronaca nera, il quotidiano ci informa con grandi titoli e dovizia di particolari, che una suora ha partorito un bimbo “non sapendo” di essere incinta e che il Vaticano ha informato una commissione che si occupa di queste cose, che negli ultimi tre anni Papa Ratzinger e Papa Francesco hanno allontanato due, trecento preti perché accusati di pederastria.

Queste notizie che mi riguardano ancora più da vicino, sono per me ferite aperte e sanguinanti. Quello della suora passi – tra tante magnifiche e belle creature che rappresentano un qualcosa di splendido nella Chiesa, un piccolo neo non mi turba più di tanto – ma che un numero così consistente di sacerdoti abbiano rubato innocenza a dei bambini, proprio non mi va giù; solo a pensarci provo una vergogna infinita.

Questa mattina, in questo stato d’animo, mi sono ricordato di un’affermazione di un grande pensatore cattolico francese, se non ricordo male mi pare che sia Mauriach: “Ti ringrazio Signore per i preti che non sono degli angeli, perché se fossero tali non potrebbero mai capire ed aiutare noi poveri uomini!”.

Questo pensiero non mi ha rasserenato più di tanto, ma mi ha aiutato almeno un po’ a comprendere e a compatire tutto il resto. All’alba di questo nuovo giorno ho tentato di superare questa amara delusione e tristezza, rivolgendo al Signore una calda preghiera ed allargando le braccia per stringere al cuore questo mio e nostro povero mondo.

16.01.2014

Un vecchio problema irrisolto

Qualche giorno fa, come avviene di frequente, un’impresa di pompe funebri mi ha fatto prelevare da parte di alcuni dipendenti per andare nelle sale mortuarie dell’Ospedale dell’Angelo, a dare la benedizione ad un concittadino defunto, prima che il legno coprisse per sempre il suo volto. E’ questo un servizio ormai poco gradito da parte dei miei colleghi perché dicono di non avere tempo, mentre io – un po’ perché sono ancora un prete vecchio stampo ed un po’ perché so che molti concittadini lo gradiscono – lo faccio volentieri.

In macchina con me c’erano tre necrefori, mentre uno aspettava all'”Angelo”. Attualmente le norme entrate in vigore il novembre scorso, prevedono che ad ogni funerale siano presenti quattro addetti con una preparazione specifica. Quasi tutte le imprese si sono adeguate a questa norma.

Mentre eravamo in macchina, uno di questi, che aveva in famiglia una qualche difficoltà, mi chiese se i sacerdoti usano ancora visitare e benedire le famiglie. Come sempre, da cosa nasce cosa, risultò che nessuno dei tre, abitanti in parrocchie diverse, aveva mai visto un prete a casa loro, pur abitandovi da molti anni.

Ora i preti son pochi ed ogni parrocchia quasi sempre ha soltanto il parroco, quindi una visita programmata a tutte le famiglie risulta obiettivamente difficile, a parte che con qualche sacrificio io sono riuscito, per ben 35 anni di seguito, a visitare tutte le mie 2400 famiglie. So che qualche parroco lo fa ancora, ma credo che in ogni caso sia assolutamente necessario che almeno nell’arco di due o tre anni il parroco incontri tutte “le sue pecore”. Questo da un lato perché non rimanga in parrocchia un “illustre sconosciuto” e dall’altro perché, lasciandosi assorbire totalmente dal piccolo gruppetto dei “soliti devoti”, non arrischi di immaginare che tutti la pensino come loro, mentre le cose stanno ben diversamente. Se poi ogni parrocchia mandasse in ogni casa un pur modesto mensile informativo e formativo – anche questa una cosa possibile – vi sarebbe almeno un dialogo in qualche modo aperto ed una qualche presenza nel territorio.

Io non sono più aggiornato sulle strategie degli uffici di curia e dei vari consigli vicariali, presbiteriali o pastorali, e dei progetti relativi, però ritengo che questa presenza e questo minimo di dialogo sia assolutamente indispensabile, altrimenti lo “Stato d’anime”, se qualche parrocchia ce l’ha ancora, invece delle quattro, cinquemila “anime”, lo si può ridurre a tre, quattrocento “parrocchiani”.

Perché dico queste cose? Si domanderà qualcuno. Perché i vecchi devono almeno essere la coscienza critica della comunità; anche questo è un servizio ed un atto d’amore per i colleghi e per le comunità relative.

04.01.2014

La gratuità sacerdotale

Come mi lasciano assolutamente indifferenti le disquisizioni spirituali, i voli mistici e le esegesi meticolose delle pagine dei testi della Sacra Scrittura, per quanto esse mi possano apparire alte e sublimi, così invece mi mettono radicalmente in crisi le scelte esistenziali di preti e di laici che tentano di tradurre nella vita concreta il messaggio cristiano.

Alcuni mesi fa, in una delle infinite pagine dei miei diari, confessai la mia sorpresa di fronte ad una precisa presa di posizione di un mio collega che avevo tentato in qualche modo di ricompensare per essersi reso disponibile a celebrare i divini misteri nel Centro don Vecchi di Campalto. E’ arcinoto che i settanta, ottanta anziani residenti nel Centro di Campalto sono particolarmente segregati a motivo di via Orlanda, una strada supertrafficata e della assoluta impossibilità di raggiungere perfino la vicina parrocchia di Campalto, sia a piedi che in bicicletta.

In verità non è che ci sia stata una richiesta corale per avere la messa festiva in casa, però un certo numero di residenti ne avrebbe gradito la celebrazione ed io più di loro. Dopo notevoli peripezie piuttosto negative, un parroco di una parrocchietta vicina, si offrì spontaneamente di farlo. Ne fui edificato e, com’è d’uso, cercai di fargli avere una ricompensa adeguata. Non ci fu verso! Rifiutò cortesemente, ma altrettanto decisamente, ogni compenso diretto o indiretto. Avendo io insistito ulteriormente, riferendomi ad una prassi consolidata in proposito, mi disse che aveva scelto di rifiutare sempre ogni compenso in occasione di qualsiasi servizio religioso da lui prestato.

Ripeto: fui assai edificato e su questa sua scelta feci un serio esame di coscienza sul mio modo di comportarmi in proposito. Io non ho mai chiesto nulla e di certo non chiederò nulla in futuro per le mie prestazioni religiose, però, avendo deciso di devolvere ai poveri fino all’ultimo centesimo di quanto mi si offriva, ho sempre accettato le offerte, spesso anche molto generose.

Conclusi che le due scelte, pur essendo diverse, fossero soluzioni accettabili e condivisibili entrambe. Senonché qualche settimana fa, un mio amico mi regalò un volume: “Lettera all’amico vescovo”. Capii subito che il titolo è un pretesto letterario per proporre in maniera decisa la tesi ideale perseguita dal sacerdote milanese, don Luisito Bianchi che, riferendosi all’affermazione del Vangelo “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, non solo rifiutava le offerte in occasione di celebrazioni delle messe e dei sacramenti, ma scelse di mantenersi lavorando: con prestazioni di lavoro intellettuale quale traduttore di testi, e manuale quale manovale in fabbrica, o inserviente in ospedale, rifiutando la “paga” che col concordato di Craxi il prete riceve dallo Stato e dalla Chiesa.

Questa testimonianza, che ritengo bella, luminosa e profetica, non penso che sia realisticamente e positivamente praticabile da tutti i preti perché farebbe mancare una disponibilità di cui oggi il popolo cristiano ha assoluto bisogno, però rimane essa un monito e costringe ad una verifica della quale c’è anche oggi assoluta necessità.

Il tempo della vendita delle indulgenze è fortunatamente finito da un pezzo, ma la necessità di una vita sobria, povera, disinteressata e generosa da parte dei preti, purtroppo è ancora terribilmente attuale.

29.12.2013

Papa Francesco, l’uomo dell’anno

Penso che siano gli americani ad essere amanti, in maniera particolare, dei sondaggi a livello mondiale sui personaggi che maggiormente si impongono sull’opinione pubblica, arrivando poi a nominare colui che è emerso maggiormente come la “persona dell’anno”. Per quanto ne so io normalmente si tratta di qualche attrice che s’è imposta per la sua avvenenza fisica, di uno sportivo particolarmente dotato a livello atletico, o talvolta qualche politico che esce dal mazzo, ammirato per aver vinto qualche impresa difficile a livello sociale.

Può darsi che a livello religioso si siano imposte figure come Madre Teresa di Calcutta, ma mai ho sentito dire che un membro della gerarchia ecclesiastica, e soprattutto un Papa, in questo mondo così secolarizzato e così critico nei riguardi della Chiesa istituzionale, abbia ricevuto la “corona” di persona dell’anno. Cosa ha fatto Papa Francesco per imporsi all’attenzione o all’ammirazione dell’opinione pubblica mondiale? Mi pare che finora non abbia ancora fatto nulla di straordinario, anche per quanto riguarda le riforme; ha mosso, si, i primi passi per dei cambiamenti significativi, però non è ancora emerso niente che abbia mostrato un volto nuovo nell’organizzazione della Chiesa.

Il nostro Papa penso invece abbia incantato le folle non usando strategie particolari e facendo leva su un impianto pastorale veramente innovativo, ma ritornando semplicemente allo stile del Vangelo: occupandosi degli ultimi, parlando una lingua comprensiva a tutti, allontanandosi dalle sofisticazioni teologiche, adottando lo stile della gente del popolo, parlando della bontà e della misericordia del Padre e aprendosi con semplicità al dialogo con tutti, non facendosi fagocitare dal protocollo, dallo stile curiale ed abbandonando gli orpelli di una sacralità fatta di parole magiche, di indumenti strabilianti e lontani dall’essenzialità del vestire della gente comune.

Papa Francesco sta portando avanti una rivoluzione pari, per radicalità, a quella del suo omonimo che l’ha fatta, otto secoli fa, partendo dalla sua Assisi, senza gesti eclatanti, senza paroloni altisonanti, senza strumenti sofisticati, ma fidandosi solamente della sua umanità, dei suoi doni naturali e soprattutto dello stile di Gesù.

Quando in passato leggevo nel Vangelo che folle di migliaia uomini, senza contare le donne e i bambini, andavano ad ascoltare Gesù perfino dimenticandosi di mangiare, mi pareva qualcosa di miracoloso ed esagerato. Ora, fatte le debite proporzioni, è la stessa cosa: la folla di fedeli che oggi, con qualsiasi tempo va ad ascoltare ed acclamare il Papa, ha come unità di misura le diecimila persone, toccando spesso le centomila e, arrivando in Brasile, a quattro milioni!

Nella pastorale pare che non ci sia nulla da inventare, basta semplicemente seguire fedelmente il Maestro Gesù!

28.12.2013

L’apprendistato

Quella dell’apprendistato è una scoperta che si ripete con una certa frequenza. Un tempo “l’andare a bottega” era una assoluta necessità perché non c’erano scuole, statali e non, che potessero insegnare un qualsiasi mestiere ad alunni seduti sui banchi della scuola ad apprendere un’arte da un insegnante che, pure lui, aveva mai esercitato praticamente.

I più grandi artisti erano dotati di genio, però per esprimerlo completamente, andavano per anni nella bottega di maestri che, a loro volta, si erano esercitati da altri maestri.

Fino a qualche decina di anni fa, avveniva la stessa cosa per ogni tipo di lavoro artigianale. Di queste cose ho un’esperienza personale perché sono cresciuto tra i trucioli e la segatura della piccola falegnameria di mio padre e mi sono reso conto direttamente delle infinite cose che si devono imparare attraverso la pratica, per poi poter risolvere i mille problemi che l’artigiano deve affrontare.

Con l’esplosione del mondo industriale è invalsa l’idea che il primo Pincopallino, senza arte né parte, potesse diventare un operaio provetto meritevole, fin dal primo giorno, di una paga regolare. In certe fabbriche, dove l’operaio non è più che uno dei tanti ingranaggi, le cose vanno così e l’apporto dell’uomo è di una assoluta monotonia e ripetitività perché, per imparare la manovra, che dovrà ripetere per tutta la vita, basta mezz’ora. Tutti hanno presente la mimica di Charlie Chaplin alla catena di montaggio!

Qualche tempo fa ho ascoltato uno, o una, dei tanti ministri della pubblica istruzione che si sono avvicendati, che era intenzionato a stabilire che nelle scuole tecniche gli studenti dovessero trascorrere un grosso numero di ore in fabbrica o in bottega, per poter uscire come tecnici provetti.

La stessa cosa penso dovrebbe avvenire anche per gli aspiranti al sacerdozio. Ricordo il progetto, se ben ricordo del Patriarca Luciani, il quale era intenzionato a far trascorrere ai novelli preti almeno un paio di anni in una parrocchia con un bravo parroco, perché imparassero il difficile “mestiere” di fare il prete in una società sofisticata e difficile come la nostra. Di certo non si impara a fare il prete sui tavoli della scuola del seminario seguendo poche ore alla settimana il docente di pastorale.

Oggi non ci sono quasi più falegnami, meccanici, idraulici, perché i nostri ragazzi non vanno più a bottega e non imparano più il mestiere. Ho timore che la stessa cosa stia capitando anche per i preti, perché sono ben poche le parrocchie nelle quali un giovane prete possa “imparare il mestiere”.

La scuola degli esperti serve, ma solo se “si aggiunge la pratica alla grammatica”. Tra i tanti lati deboli della pastorale moderna, c’è anche quello che di “botteghe” in cui ci siano validi “capomastri”, capaci di far fare esperienze valide ed innovative, ce ne sono poche o, forse peggio, quasi nessuna.

24.12.2013

Il messaggio di Papa Francesco

Ho detto e scritto più volte che i discorsi di Papa Francesco mi fanno tanto felice perché sono brevi, comprensibili, incidenti e soprattutto liberatori, perché danno una lettura della vita tanto positiva e sono pregni di una fiducia totale nella paternità e nella comprensione del Signore nei nostri riguardi.

Per carità! Anche gli altri Papi che hanno preceduto Papa Francesco han detto cose belle e sagge, ma per trovare la “perla preziosa” bisognava passare al crivello una montagna di parole e di concetti, mentre il Papa attuale pare che abbia in mano un cesto di fiori di ogni specie, uno più bello dell’altro, ed ogni volta che si affaccia al balcone della basilica di San Pietro te ne offra uno con dolcezza e accompagnato dal sorriso e dal suo affetto paterno.

“L’Osservatore Romano”, il giornale della Santa sede, questi messaggi li riporta integralmente, “L’Avvenire” li riassume, i settimanali e i mensili cattolici ne danno notizia e la televisione riporta spesso le battute più felici, però penso che la gran massa dei nostri concittadini li ignorino e non riescano a coglierne la verità profumata di calda umanità. E’ anche vero che la mimica, la voce, lo sguardo e gli ammiccamenti del Pontefice li arricchiscono e li rendono ancor più gradevoli, comunque sono belli ed incoraggianti anche leggendone solamente il testo. E’ un vero peccato che i nostri concittadini non ne possano trarre profitto.

L’idea di offrirli ad un pubblico più vasto è venuta ad Enrico Carnio, mio caro amico e collaboratore liturgico, che normalmente legge tutto, o quasi, quello che il Papa dice. Un giorno, parlando di questo argomento, mi fece la proposta: “Perché non li riassumiamo e li offriamo ai fedeli della nostra città?”. L’idea mi parve brillante e quanto mai opportuna.

Tradurre però questa intuizione in realtà si è dimostrato molto più difficile di quanto pensassimo. Il lavoro di riassumerli, inserirli in computer, impaginarli, come distribuirli e soprattutto il costo, si dimostrarono ostacoli assai consistenti.

Trovammo disponibile un collega di lavoro del mio amico, che è stato uno dei ragazzini di quando ero a San Lorenzo, ed un grafico de “L’Incontro” – però impegnato fin sopra i capelli – che si è entusiasmato all’idea.

Finora abbiamo approntato bozze, progetti sperimentali, però non abbiamo ancora scoperto la strada giusta; speriamo tuttavia che prima o poi riusciremo ad imboccarla

Confesso però che provo un po’ di tristezza che il mondo cattolico della nostra città sia così inerte, apatico, mentre con un pizzico di buona volontà potremmo portare in ogni casa il volto e la parola di questo Papa che, ogni giorno di più, si dimostra un dono tanto prezioso da farci dire che il buon Dio non poteva donarci di meglio.

Comunque spero che ce la faremo!

17.12.2013

Se non è vero è di certo verosimile

Soprattutto in passato, ma purtroppo anche recentemente, mi è capitato di tentare di leggere certi “pistolotti” di lettere pastorali, o comunicazioni di ordine religioso di commissioni varie, quanto mai astrusi e, almeno per me, soporiferi.

Sono sempre stato assai allergico a certe elucubrazioni teologiche, difficili da capirsi, tanto che spesso, nonostante i miei quattro anni di studi teologici, non sempre ho compreso dove volevano andare a parare. Mentre i discorsetti candidi ed elementari di Papa Francesco non solamente li comprendo, ma spesso da un lato mi mettono in crisi e dall’altro mi fanno felice, perché ho finalmente uno scudo autorevole che protegge la mia pochezza.

Ho raccontato ancora che all’inizio del mio sacerdozio il direttore del settimanale del patriarcato mi ha chiesto di fare il commento del Vangelo della domenica. Da uomo libero quale ho sempre tentato di essere, ho certamente scontentato qualcuno con le mie prese di posizione quanto mai schiette. Tanto che qualcuno deve averlo fatto presente al Patriarca – che a quel tempo era Roncalli – il quale un giorno mi chiamò e mi riferì la cosa. Poi soggiunse: «Continui, e sappia che alle sue spalle c’è il suo Patriarca!».

Morto Papa Roncalli, molto spesso mi sono sentito con le spalle scoperte, spesso indifeso e vulnerabile. Ora finalmente alle mie spalle c’è nientepopodimeno che Papa Francesco!

Qualche giorno fa ho letto, prima sul Gazzettino e poi sul Corriere della Sera, che il Papa, secondo certe voci, uscirebbe di notte in incognito per fare la carità nei quartieri poveri di Roma. Non so se la notizia sia vera, né mi interessa più di tanto saperlo, perché sono sicuro che la cosa è certamente verosimile, e questo mi basta.

Qualche anno fa ho visto un film che mi pare fosse intitolato “Il Papa che viene dal freddo”, un Papa russo che mette a soqquadro la curia del Vaticano con le sue scelte da cristiano da Vangelo. Quella è stata una pellicola che mi ha fatto sognare, ma non avrei mai e poi mai pensato di poter avere a Roma un Papa del genere!

Adesso mi verrebbe da dire, col vecchio Simone: «Signore, ora posso chiudere i miei occhi in pace perché han visto la salvezza della Chiesa». Forse aspetterò ancora un po’ per rivolgere al buon Dio questa preghiera, perché so che se avrò ancora qualche giorno da vivere, di certo vedrò cose ancora più belle; comunque perlomeno ora son certo di non essere stato un eretico o un infelice.

04.12.2013

Il libro della vita

Prima la ritenni una necessità, poi forse è diventata un’abitudine abbonarmi ad un sacco di riviste. L’editoria cattolica, anche se oggi non è all’avanguardia nel settore della carta stampata, sforna ogni settimana ed ogni mese una serie di periodici che mi interessano quanto mai, per non parlare poi dei volumi che le case editrici di orientamento religioso, ma pure quelle di impronta laica, sfornano a getto continuo su argomenti che riguardano la Chiesa e il mondo religioso.

Questa sovrabbondanza di informazioni e di approfondimenti su argomenti che mi interessano come sacerdote, finisce per mettermi a disagio e di frequente perfino mi fa sentire in colpa perché non riesco a leggere che una piccola parte di questa valanga di discorsi, analisi, informazioni, progetti e proposte.

Nonostante il serio impegno di non perdere tempo, faccio fatica a seguire anche quegli argomenti che di primo acchito mi sembrano importanti, tanto che sperando sempre di leggere certi articoli che mi interessano, finisco per produrre pile di giornali e riviste che poi non fanno che aumentare il mio disagio per tanto bene sprecato. La cosa mi tocca particolarmente conoscendo di persona la fatica e il costo della “produzione giornalistica”, perciò il suo spreco mi turba quanto mai. Nonostante abbia pensato e ripensato non riesco a risolvere questo problema. Forse questo discorso riguarda soprattutto le persone anziane, e io lo sono fin troppo.

A questo proposito porto nell’animo un ricordo che forse mi offre un varco per uscire da questo stato d’animo. Tanti anni fa, giovane prete, sembrandomi che il mio vecchio parroco, don Valentino Vecchi, leggesse poco, da impertinente e criticone come sono sempre stato, glielo feci osservare. Lui mi diede una risposta su cui sto meditando, e forse mi offre una via d’uscita per le mie difficoltà di aggiornamento. Monsignore, sornione e veramente intelligente qual’era, mi rispose: «Armando, se alla mia età (e forse a quel tempo era più giovane di me adesso) non avessi ancora imparato a leggere il libro della vita, vorrebbe dire che non avrei proprio imparato nulla!».

Forse dovrò anch’io dedicarmi un po’ di più a leggere questo “quotidiano” fatto di incontri, riflessioni, sensazioni, confidenze, piuttosto che cimentarmi su elucubrazioni spesso artificiose, interessate o scritte per sbarcare il lunario.

02.12.2013