“I promessi sposi” io li ho letti una cinquantina di anni fa e forse più. Avrei desiderato rileggerli ancora, ma penso che ormai me ne manchi in assoluto il tempo. Una delle figure che sono rimaste nella mia memoria, pur un po’ sfuocata ma presente, è quella di don Abbondio. Credo che la cosa sia comprensibile perché, tutto sommato, don Abbondio è un mio “collega” a motivo del “mestiere” che ambedue abbiamo scelto di fare.
Per me, onestamente, egli rappresenta però un protagonista del mondo religioso in negativo, perché se c’è una figura di prete che rifiuto decisamente è quella del prete pavido, asservito ai ricchi e ai prepotenti, del prete rassegnato che fa il suo “mestiere” senza voler noie o correre pericoli di sorta.
Quando mi capita di pensare al capolavoro di Manzoni mi viene in mente don Abbondio sgomento e piagnucolante che incontra per strada i due bravi mentre sta recitando in maniera tranquilla il suo breviario. Sono convinto che fino a qualche anno fa l’immaginario collettivo pensava il prete come un uomo un po’ rubicondo e in tonaca nera col breviario tra le mani. Forse pochi sapevano che cosa sia il libro, legato in maniera indissolubile alla figura del prete, comunque credo che i più lo pensassero come un libro di preghiere.
Difatti la recita del breviario, che la Chiesa prescrive a tutti i sacerdoti, è la preghiera ufficiale per l’intera comunità cristiana. Probabilmente questo rito deriva dalla tradizione della vita monacale che è tutta imperniata sul lodare Dio negli snodi principali del giorno: dal primo mattino, con la recita del “mattutino”, fino alla tarda sera, con la recita della “compieta”.
Io, pur non essendo un patito o un entusiasta di questo modo di rivolgersi a Dio, fatto attraverso i salmi dell’Antico Testamento e di molte letture scritte dai padri antichi della Chiesa perché questo modo di pregare mi pare uno strumento assai lontano dalla cultura e dalla sensibilità del mondo d’oggi, vi sono rimasto sempre fedele, sia perché ritenevo giusto obbedire a questa prescrizione, sia perché ritenevo pure opportuno ricordare a Dio l’intera collettività.
Anche al tempo in cui ero estremamente impegnato ho mantenuto fede alla recita del breviario più per dovere che per un bisogno interiore. Spesso recitavo il diario nei momenti possibili, tanto da ritrovarmi a tarda sera a pregare perché Dio mi assistesse durante la giornata già vissuta o al mattino a ringraziare del giorno che non avevo ancora trascorso. Ora recito tutto il breviario di primo mattino lasciando al Signore di sistemare la mia preghiera nelle ore che crede più opportune.
Sennonché, qualche giorno fa, ho letto in una rivista dedicata ai sacerdoti, che appena il sedici per cento dei preti recita ancora il breviario. Ci sono rimasto male, non tanto per la fatica e il sacrificio che ho fatto, quanto nel constatare che il mio “piccolo mondo” è cambiato anche da questa parte e che sono rimasto un povero superstite del passato.
12.01.2014