La prima confessione

Me ne stavo tornando a casa dopo aver celebrato un funerale, quando squillò il telefonino. Era mio fratello don Roberto che mi chiese: «Verresti domenica a Chirignago a darmi una mano per la prima confessione dei miei bambini?». Non ci pensai un momento e gli dissi di si. Roberto mi chiede molto raramente un piacere, forse teme di turbare il riposo della mia vecchiaia.

Purtroppo, appena tornato a casa, scoprii che la richiesta coincideva con il concerto che il coro Marmolada avrebbe tenuto alla stessa ora per i residenti del “don Vecchi”. Comunque ritenni che la richiesta di mio fratello prevalesse sull’opportunità di esprimere riconoscenza ai cari amici del coro. Andai a Chirignago, nonostante la preoccupazione di suor Teresa che non ha per nulla fiducia della mia capacità di guida, nonostante le abbia detto cento volte che io ho una “guida sportiva”, quindi anche un po’ spericolata, è vero, nonostante la mia tarda età.

Arrivai puntualmente a Chirignago nonostante qualche perplessità, che mi è consueta, nel prendere gli svincoli giusti. Entrai in chiesa e, con sorpresa, scoprii che era piena come un uovo: c’erano i bambini, i genitori e forse anche i nonni e gli amici di famiglia. Nei miei sessant’anni di sacerdozio non ho mai visto una chiesa così gremita per una prima confessione. Mio fratello è un regista meglio di Fellini in queste cose, per cui la confessione risultò un evento che quei bambini di terza elementare ricorderanno anche se vivessero come Matusalemme.

Seguii con curiosità lo svolgersi di questa paraliturgia che s’è snodata agile, interessante e soprattutto capace di coinvolgimento.

I bambini si confessavano di “peccati” non da angeli ma da arcangeli, andavano poi all’altare a ringraziare il Signore, indossavano la tunichetta bianca, poi si avvicinavano ad un albero secco posto al centro della chiesa che avevo notato senza scoprirne la funzione e appendevano un fiore di carta, ciascuno di un colore diverso, tanto che alla fine delle confessioni l’albero risultava più vivace di un magnifico pesco in fiore.

Alla conclusione don Roberto chiamò ad uno ad uno i “penitenti”, redenti dalla misericordia di Dio, consegnò loro un crocifisso da mettere a capo del loro letto ed infine diede loro un sacchetto con dei grani di frumento ed un secondo sacchetto vuoto, dicendo loro che ogni volta che avessero fatto una buona azione, potevano trasferire un chicco nel sacchetto vuoto.

A Pasqua, disse loro di riportare il sacchetto delle buone azioni i cui grani sarebbero stati portati al mulino per fare la farina con la quale confezionare le ostie per la loro prima comunione.

Mentre assistevo a questo rito immediatamente intelligibile, pensai alla saggezza di Pio X che volle che l’Eucaristia fosse data ai piccoli innocenti, e soprattutto alla stupidità dei teologi soloni che si credono all’avanguardia, che vorrebbero dare la comunione quando i ragazzi sono già in crisi adolescenziale. Così conclusi che mio fratello potrebbe tranquillamente andare in Vaticano per fare il prefetto della congregazione dei sacramenti.

Infine mi presi anche un fragoroso applauso quando don Roberto mi presentò come il fratello che ha vent’anni più di lui, però ho capito che non c’era assolutamente bisogno di quella presentazione perché ogni settimana almeno un migliaio dei suoi parrocchiani leggono le mie vicende su “L’Incontro”.

31.01.2014

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