Il Centro don Vecchi evolve ma ha bisogno della città

Quando, insieme a Rolando Candiani, attuale direttore generale dei Centri don Vecchi, abbiamo messo a punto la dottrina, ancora assolutamente innovativa, di una struttura protetta per anziani autosufficienti di infime condizioni economiche e ne abbiamo stilato una relativa carta dei servizi, ritenevamo di aver definito una situazione ed aperto una nuova strada da percorrere con coraggio e fiducia.

Non sono passati ancora vent’anni e ci accorgiamo che la soluzione si riferiva ad un momento della società, ma che questo momento non è per nulla fisso, ma anzi è in costante e rapida evoluzione.

Noi che abbiamo rifiutato la dottrina delle vecchie case di riposo, che si rifanno ad una impostazione ottocentesca e che le abbiamo ritenute superate anche quando si imbellettano, come vecchie signore, di ammodernamenti e di nuovi arredi, ci accorgiamo però che in meno di una ventina di anni anche l’ipotesi che avevamo fatto si dimostra superata e che perciò si deve costantemente tener conto di una evoluzione quanto mai veloce!

Se dovessimo applicare alla lettera la scelta, che chi non è totalmente autosufficiente, secondo un concetto statico di autosufficienza, dovremmo mettere alla porta almeno una metà dei residenti.

Ora stiamo impegnandoci per trovare contrappesi al deficit di autosufficienza fisica, trovando supporti che non facilitino il suo progredire, non siano onerosi per l’interessato e per la struttura in maniera tale per cui pur usando “stampelle” l’anziano possa continuare a gestire la propria vita. Fortunatamente ora è l’ente pubblico che, finalmente, pare essersi accorto che la soluzione casa di riposo e spesso “disumana” è sempre insopportabile per l’economia del cittadino anziano bisognoso di aiuto, della relativa famiglia e dello Stato. Mentre la struttura di alloggi protetti rappresenta una sponda sensibile e provvidenziale per soluzioni più avanzate e socialmente possibili.

Questa ricerca però non può essere lasciata sulle spalle fragili di un vecchio prete, ma deve trovare l’appoggio solidale della città.

Il diario come forma di dialogo con praticanti e non praticanti

Molti anni fa un caro amico che collaborava con una piccola casa editrice di Padova, avendo letto il mio diario, suggerì al giovane editore di pubblicarlo.

Io non ebbi evidentemente alcuna difficoltà a concedergli i diritti di autore, perché era ed è ancora il mio unico interesse passare il mio pensiero, nella speranza che esso contribuisca a diffondere il messaggio cristiano e a dare della religione un volto meno ritualistico possibile, bigotto e avulso dal quotidiano.

L’operazione andò in porto, se ne stamparono 2500 copie che andarono diffuse nel circuito delle librerie del nostro Paese.

La pubblicazione ebbe un certo successo tanto che ci fu un quotidiano a tiratura nazionale che ne fece una critica alquanto lusinghiera, mettendolo a confronto col diario di un altro sacerdote.

Nel passato ebbi modo di leggere, pure su un mensile, un diario di un prete, che però si muoveva ad un livello estremamente mistico, perciò adatto a conventi piuttosto che a gente normale, ma quel diario era tutt’altra cosa di quanto io sogno.

Il diario mi ha sempre offerto l’opportunità di intervenire in maniera veloce e non troppo impegnativa, aprendo un dialogo con praticanti e non praticanti, buttando ponti di intesa e di apertura, di ricerca con la gente di buona volontà che tutto sommato sogna una chiesa aperta e capace di dialogare con gli uomini veri e non con manichini cristiani.

Mi fa particolarmente felice che due giovani preti, intelligenti ed impegnati, quali sono don Gino Cicutto, parroco di S. Nicolò di Mira, e don Cristiano Bobbo di viale S. Marco, abbiano ritenuto valido questo strumento e l’abbiano adottato per i periodici delle loro comunità.

Su Eluana la Chiesa ha ragione

Il dramma di Eluana, la giovane donna da 17 anni in stato vegetativo, è passato per la coscienza degli italiani come un tornado e come un tornado ha devastato gli animi portando disordine e rovina immane.

Io, sia ben chiaro, a scanso di equivoci, sono convinto che la Chiesa abbia ragione e che abbia torto il padre, i magistrati, che non so perché si sono sostituiti ancora una volta al potere legislativo del Parlamento, i politici che hanno tentato di strumentalizzare questo dramma umano per sperati vantaggi elettorali, il Capo di Stato che ha negato la firma al decreto legge, i fanatici contro e i fanatici pro.

Io, ancora una volta, ben cosciente di tirarmi addosso la riprovazione di una parte consistente dei miei concittadini, sono più che convinto che ogni atto umano debba essere chiamato col suo nome, non tentando mai di ingannare o ingannarsi con circonlocuzioni ipocrite.  La fine di Eluana non fa eccezione, pur concedendo le attenuanti, come sono tali tutti quei gesti disperati che per pietà si sopprimono mogli  o mariti o figli perché soffrono o per altri presunti motivi umanitari.

Tutta la sceneggiata, tutti i protocolli, tutti gli avvocati e tutti i medici hanno recitato una farsa per ingannare o per ingannarsi, ma che non nasconde per nulla la tragica realtà.

Ripeto, credo che abbia ragione la Chiesa perché, una volta presa questa china, ci saranno un miliardo di altri casi, simili o dissimili per arrivare allo stesso risultato. Per me la vita, qualsiasi vita, è sacra e mai è lecito fare qualcosa per spegnerla. Aggiungo che ho preso buona nota dei politici laici o cattolici che in questa questione non hanno tenuto presente il pensiero della Chiesa perché, anche se dovessi vivere altri mille anni, mai avranno il mio voto, anzi farò l’impossibile perché non l’abbiano anche da chi mi dimostra una qualche fiducia, perché qui non si tratta di politica, ma di vita e di civiltà!

Difficili tempi supplementari

La vita di un prete penso di poterla dividere in quattro grandi stagioni, il clima delle quali non ho ancora ben capito se sia stato determinato dall’età piuttosto che da combinazioni sociali e pastorali più o meno fortunate.

C’è stato un tempo in cui mi sono sentito inserito in una bella avventura, vissuta con slancio e passione.

I due anni ai Gesuati vissuti accanto al mio vecchio parroco conosciuto nel mio paese natio, che mi volle bene come un padre e mi diede l’esempio di un prete zelantissimo ed appassionato delle anime.

La seconda stagione l’ho vissuta a San Lorenzo, prima con Monsignor Da Villa, una roccia di prete, forte, deciso che teneva il timone della comunità con mano ferma, pretendeva dai preti obbedienza e fedeltà ai compiti assegnati, ma che ci faceva sentire un affetto profondo e sincero. Poi con Monsignor Vecchi, a cui l’avventura, il sogno, le nuove frontiere piacevano veramente, ed affrontava i problemi parrocchiali con la scanzonatezza giovanile. Ci sentiva quasi una piccola “banda” che spostava continuamente in avanti i paletti dei confini dell’azione pastorale, metteva a fuoco costantemente nuovi e più avanzati progetti.

Furono bellissimi i tempi passati con don Giogo Buzzo, don Franco De Pieri, don Aldo Marangoni ed altri ancora.

La terza stagione la vissi come responsabile della comunità di Carpenedo, nei tempi difficili della contestazione però non solo non si è arretrato di un pollice, ma anzi si consolidavano le posizioni e si avanzava.

Porto nel cuore giovani bei preti quali don Adriano Celeghin, don Gino Cicutto, don Umberto Bertola, don Marino Gallina e tanti altri ancora. Ho la sensazione che assieme, di Carpenedo ne facemmo una bella comunità in crescita costante e con gli occhi e il cuore sempre rivolti al domani, senza spavalderie, ma anche senza complessi verso i tempi nuovi.

Ora che vivo nei tempi supplementari della partita e sto ai margini delle vicende pastorali, vivo questa stagione con molta malinconia, annoto purtroppo spesso dati negativi: una parrocchia con più di 6000 abitanti con due sole messe festive, un’altra di 4000 con una sola messa alla domenica, frazioni numerose abbandonate, chiese aperte solamente due o tre ore al giorno, associazioni cattoliche di categoria totalmente scomparse, parrocchie asfittiche, visite alle famiglie abbandonate, attività sovra parrocchiali ignorate o inesistenti.

Mi auguro che sia solo l’età a non farmi cogliere il bello e il nuovo di ciò che avviene nella nostra chiesa, perché altrimenti non ci sarebbe proprio molto per stare allegri!

Rimboccarsi le maniche per il benessere comune

I criteri con cui tentiamo di inserire nel generalmente ritenuto “Paradiso Terrestre” del don Vecchi, sono quelli tante volte dichiarati: pensioni minime, sfratto, situazioni di assoluto disagio con la nuora, case malsane, solitudine abitativa, salute malferma, mancanza di familiari.

La signora Graziella, moglie di Rolando Candiani, il proverbiale direttore di stile gentleman inglese, asciutto come un’acciuga, con baffetti corti, cerimonioso nella parola e nel movimento delle braccia, tanto da assomigliare ad un direttore d’orchestra, è fin troppo rigorosa nel pescare, dalla lista infinita, gli anziani da immettere.

La signora Graziella, di nome e di fatto, ha però il rigore di un gendarme prussiano nell’usare questi criteri, mentre io sono più garibaldino, sono portato a privilegiare l’ultimo arrivato e a dar fede a tutte le credenziali presentate e non ultimo di tener conto del possibile aiuto che il richiedente potrebbe offrire alla nostra struttura che ha bisogno di tutti per permettere a tutti, compreso chi è al di sotto del minimo vitale, di dimorare al don Vecchi.

Sei, sette mesi fa si è presentata, in sagrestia del cimitero, una specie di amazzone a perorare la causa del padre, insistendo soprattutto che si sarebbe reso utile in tutti i modi. Tanto feci che gli ottenni un castello di 16-17 metri quadrati, compreso bagno ed entrata.

Giorgio si è presentato, lungo, dinoccolato come certi attori di Hollywood. Giorgio è un “giovane” anziano, con alle spalle tante peripezie che però non l’hanno ammansito ancora completamente; ogni tanto ha qualche guizzo selvaggio.

Nella sostanza è disponibile, pur assomigliando al secondo figlio della parabola evangelica che dice di no al Padre, ma che poi finisce per andare a lavorare nella vigna! Mi par che sia in cammino di “conversione”, ma procede lentamente e talora con battute di arresto.

Per ora lavora ai magazzini dei mobili, ma la sua occupazione principale è quella del frate questuante frutta e verdura ai magazzini generali di via Torino. Ma non disdegna i mercati di frutta e verdura di Padova e Treviso.

Ora viene a messa ed ha un rapporto caldo ed affettuoso con questo vecchio prete.

Spero proprio che diventi un cittadino modello del don Vecchi, così da invogliare anche tanti altri a rimboccarsi le maniche e a collaborare maggiormente per il benessere comune.

Siamo in primavera!

Questa mattina stavo uscendo dal cimitero dopo aver benedetto il loculo ove riposeranno le ceneri di una cara mamma in attesa della resurrezione, quando mi sono imbattuto in un signore, infreddolito come me per la mattinata nebbiosa ed umida quanto mai.

Questo signore, che certamente ritornava a casa dopo aver pregato sulla tomba di qualcuno dei suoi cari, mi salutò con calore e confidenza, evidentemente era convinto che io lo conoscessi quanto lui conosceva me. Le cose non stavano proprio così; io da mattina a sera sto sul palco, semino parole con la voce e con la penna, e tanta gente coglie i miei messaggi, mentre essa se ne sta muta nei miei riguardi. A questo poi si aggiunge che sono poco fisionomista, quindi saluto tutti pur non sapendo spessissimo chi saluto. Ebbene questo signore, aveva forse piacere di scambiare qualche parola con me, per dimostrarmi simpatia, mentre percorrevamo la stradicciola sconnessa e fangosa; o forse sentiva il bisogno di dirmi qualcosa di positivo, data la desolazione e il grigiore in cui ci muovevamo.

Mi disse, con certo entusiasmo, che aveva visto una margherita, una sola margherita in fiore, sul prato vicino a casa sua. Il mio compagno di tristezza, mi ha detto e ripetuto, una seconda volta, questa notizia con l’entusiasmo con cui lo speaker della televisione ha annunciato la vittoria di Obama!

Uscendo dal don Vecchi, suor Teresa mi aveva pure fatto osservare che l’arbusto di forcizie gialle, vicino al cancello, era in boccio “Freddo o non freddo quando è la stagione le forcizie fioriscono” concluse suor Teresa.

Credo che abbiamo tutti bisogno di primavera! Abbiamo bisogno di fiori, di sole, di azzurro in cielo, di buone notizie e di amore! Abbiamo bisogno di un mondo nuovo!

Ringrazio di cuore il concittadino della margherita e la suora delle forsizie in boccio!

E’ tempo che tutti scopriamo e parliamo di fiori e di cose belle se non vogliamo morire sepolti dalla malinconia e dalla tristezza!

Hanno ragione i miei amici che mi rimproverano spesso le cadute di pessimismo.

Stamattina mi è venuta la voglia di rivedere il film di Frank Capra “La vita è meravigliosa!” se non lo rivedrò, tenterò di essere il regista di una nuova copia!

Ancora sul volume di Magdi Cristiano Allam

Ho terminato finalmente la lettura del volume di Magdi Cristiano Allam “Grazie Gesù” testo in cui il vice direttore del “Corriere della Sera”, racconta la storia della sua conversione dall’Islam al cattolicesimo e documenta il mondo che ha lasciato e quello che ha intrapreso.

La lettura di questa testimonianza di fede così forte, decisa e documentata, mi ha fatto del bene, facendomi ancora una volta prendere coscienza del dono inestimabile che Dio ci ha fatto di incontrare fin da bambini il messaggio di Cristo e di quanto sia assurdo e deludente dare per scontato questo dono e il viverlo senza entusiasmo e determinazione, quasi esso fosse una delle tante fedi possibili e non ritenerlo come l’unico ad appagare la nostra sete di verità e a dare risposte esaustive alle nostre infinite domande sul senso della vita.

Già la copertina del testo mi sembra significativa: lo sfondo di un bianco immacolato da cui emerge in nero il nome dell’autore che proviene dall’Islam ed approda a quel “Grazie Gesù” in un rosso vivo e luminoso, che rappresenta la salvezza offerta dal cristianesimo.

L’insegnamento della storia di questo convertito non si ferma a tutto questo, perché l’autore, che conosce bene la storia pregressa e le vicende attuali dell’Islam, denuncia in maniera chiara e documentata i limiti di questa proposta religiosa e civile di natura sua intollerante, violenta, settaria e spietata specie nelle sue componenti fondamentaliste.

Magdi Cristiano Allam, non ha peli sulla lingua nell’indicare anche le incongruenze del mondo occidentale e di molti cristiani, i pericoli che la nostra società corre, permettendo che questa gente che viene dal mondo musulmano non rispetti le leggi del nostro Paese, rifiuti la nostra civiltà, pretende di introdurre anche in Italia, comportamenti, stili di vita e mentalità che sono radicalmente opposte alla civiltà occidentale e alla religione cristiana. Credo che l’apprendere l’ebbrezza di questo intellettuale, che ha incontrato il cristianesimo abbandonando e rifiutando l’islamismo, possa veramente giovare sia a livello civile che religioso.

Nell’ambito civile aiuta a rendersi conto che non si può lasciar perdere ciò che non è accettabile, ma il rapporto con gli islamici deve svilupparsi a livello di forza e chiarezza e a livello religioso ci indica sempre il dialogo, ma mai tolleranza e tanto meno connivenza.

Il nostro rapporto con chi è salito in cielo

Mi sono sempre piaciute le canzoni del cantautore genovese Fabrizio De Andrè. La sua voce calda e profonda, le sue storie da menestrello medioevale, le sue trame tutte soffuse di ironia e cariche di denuncia dei luoghi comuni e della retorica scontata. La sua libertà irridente di una sacralità civile e religiosa solamente formale e soprattutto il suo estro musicale che utilizza tutto l’armamentario di quest’arte, dal violino alla chitarra, dalla tromba al flauto dolce, mi hanno sempre affascinato.

Qualche sera fa, la Rai assieme alla moglie di questo cantautore, hanno organizzato, in occasione dell’anniversario della sua morte, una serata rievocativa in cui sono state presentate le canzoni più significative del vasto repertorio di questo artista.

Mi ha colpito e mi ha fatto particolarmente pensare la presentazione di una canzone che gli fu ispirata da una poesia di E. L. Masters “La collina” (Antologia di Spoon River).

Questa poesia, del celebre autore americano, che dialoga con i morti sepolti nel piccolo cimitero della collinetta in riva al fiume, e porta avanti le loro storie particolari che la morte aveva interrotte, dando loro una conclusione positiva.

Nella serata dedicata a De Andrè, il cantante ripresentò la canzone proprio nel luogo in cui è sepolto il personaggio che la ispirò.

Il cimitero mi è parso un po’ più desolato di come l’avevo sempre sognato, più vivo e più ricco di poesia, quasi simile ai cimiteri attorno alle chiese del nostro Alto Adige.

Ma a parte tutte queste divagazioni, l’evento mi ha portato a pensare che non è giusto che il nostro dialogo con le persone care, che il buon Dio ha chiamato nel suo bel cielo, si interrompa nel momento della loro partenza, quasi come l’istantanea che fissa per sempre un volto amato ed una situazione. Il rapporto d’amore deve continuare, svilupparsi, crescere e mutare col tempo come avviene con chi ci vive accanto.

Ho cominciato a vivere per primo questa splendida verità conversando con la mamma, mio padre e le tantissime creature che sono andate ad abitare nella casa del Padre.

Le mie giornate sono diventate subito più piene ed ho goduto della compagnia e del dialogo con persone care, buone e sagge. Dare sviluppo alla fede su tutte le direzioni rende veramente più serena e bella la vita!

Una prigione fatta di norme

Ogni volta che mi imbatto in quella famosa frase del Vangelo: “Non l’uomo è fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l’uomo” ho quasi un sussulto di gioia e di ebbrezza spirituale. Non è infrequente che questa sentenza solenne di Cristo appaia nella liturgia eucaristica. Tutto quello che sa di costrizione è sempre qualcosa che istintivamente rifiuto, mentre nella società, nella chiesa e nella comunità c’è sempre gente propensa a metter norme, a sancire leggi e a farlo come se fossero precetti assoluti, irrevocabili, definitivi, la cui trasgressione costituisce colpa, dolo, peccato! Adoro questo Cristo che afferma che tutte le norme, non solo teoricamente devono tendere al bene della società, ma pure concretamente debbono essere a servizio dell’uomo e quando non lo sono possono essere evase, superate senza angosce e turbamento interiore perchè praticamente finiscono per venire meno alla loro funzione sostanziale per cui sono state poste. Questa verità l’avevano pure recepita perfino i romani quando nel loro ordinamento giuridico avevano sentenziato che l’impero assoluto della legge diventava un’ingiuria certa contro l’uomo.

Qualche giorno fa leggevo una riflessione di Gandhi il quale affermava che la società idealmente migliore è la più vicina all’anarchia, ossia all’abolizione di ogni legge perché l’uomo onesto, saggio e buono dovrebbe comprendere da solo che non può fare quello che danneggia l’altro, senza bisogno di leggi sanzionatorie di pena a questo riguardo!

Capisco che questa è una splendida utopia, alla quale bisogna tendere, pur riconoscendo la fragilità, la debolezza e l’egoismo umano. Però una società in cui l’uomo è avviluppato da una ragnatela asfissiante di norme è invece una condanna certa a vivere in una prigione minacciosa e disumana pur senza sbarre alle finestre e chiavi alle porte!

La massificazione degli individui

Da qualche tempo, per motivi occasionali, sto riflettendo sul perché del declino generalizzato di certe congregazioni religiose e dello stesso clero.

Io non ho nessuna competenza nell’esaminare questi fenomeni e le risposte che ne do sono elementari e scontate. Però una risposta che non può che essere vera è quella che le soluzioni proposte dall’ascetica e dalla morale di un tempo è che certe soluzioni di vita religiosa non corrispondono più agli schemi mentali e al tipo di spiritualità che l’uomo di oggi sente come vera e corrispondente alla sua sensibilità.

Partendo da questo problema, come per i giochi di incastro, me n’è nato uno di più grave e che investe tutto il mondo di coloro che tentano di perseguire i consigli evangelici e dei metodi o regole che dovrebbero aiutarli per recepirli nella vita.

Un tempo quando facevo l’assistente dei maestri cattolici ho sentito pedagoghi illustri affermare che educare significa aiutare a far emergere dal fondo dell’«io» tutte le risorse e qualità specifiche della propria personalità, Dio infatti ci ha fatti tutti diversi.

Ora mi chiedo, tutto quel martellamento fatto dai “maestri dello spirito” e dai “padri spirituali” o dai maestri …….., non ha appiattito, standardizzato, ridotto a denominatore comune e perciò storpiato personalità tanto diverse impoverendo la società della ricchezza che le singole persone erano nella possibilità di offrire? Tutto questo può esser detto anche per molti genitori, per lo Stato etico.

Mi vien talora il dubbio e il sospetto che questa operazione di massificazione degli individui, portata avanti in tutti i settori della vita familiare, civile e religiosa, sia un’autentica profanazione della persona un insulto al buon Dio che ci ha creato diversi, un impoverimento della vita civile e religiosa, altro che educazione, che perfezionamento o educazione civile!

L’infinita odissea della chiesa del cimitero di Mestre

Non passa quasi giorno che qualcuno non mi chieda: “Don Armando, la facciamo sì o no questa chiesa?”. Non so più che cosa rispondere.

Un paio di anni fa pareva che fosse questione di mesi. L’architetto Caprioglio, a cui ho chiesto aiuto, mi dava costanti assicurazioni sia che il progetto andava avanti e sia che i preposti all’operazione sembravano estremamente propensi a proseguire.

Poi da un colloquio col dottor Razzini ho compreso che se il Comune non avesse sborsato i soldi o io non gli avessi procurato almeno i due terzi di loculi prenotati, ossia non avessi convinto almeno un migliaio di cittadini di prenotarsi il loculo, la cosa era piuttosto problematica.

Infatti l’amministratore delegato della Vesta mi diceva che avrebbe dovuto accantonare la somma occorrente prima di dare il via.

Non so quando la Vesta avrà questa somma?

Per farci un’idea della serietà finanziaria di questa società, apparentemente privata, ma che ha un consiglio di amministrazione scelto dal Comune, un operaio dell’Arti, che è un’altra società della stessa taglia, dipendente dalla Vesta, mi disse: “la mia ditta è una società “in rosso” che dipende da un’altra società pure “in rosso”, la Vesta!

Poi l’assessore dei lavori pubblici, dottoressa Fincato, mi disse che il Comune aveva intenzione di fare la chiesa, ma è lo stesso assessore che mi ha anche detto che il Comune avrebbe fatto “Il Samaritano”! Ora poi che la Vesta ha pagato il progetto temo che venga a mancarmi anche il pungolo del progettista.

Alcune settimane fa ho scritto alla Vesta che piove dentro, che c’è un’umidità impossibile perché le finestre della chiesa non sono apribili, che i muri sono indecenti. La Vesta non si è neppure degnata di una qualsiasi risposta!

Presto ci saranno le elezioni; tanti mi dicono che l’amministrazione cambierà colore e così pure se ne andranno tutti gli amministratori degli enti che dipendono dal Comune.

Questa è per ora l’unica speranza, ma è una debole speranza!

Comunque se verrà eletto Brunetta, speriamo che si ricordi che una decina di anni fa voleva farmi assessore.

Ora mi basterebbe che ordinasse alla Vesta, o chi per essa, di costruire la chiesa del cimitero, così come l’hanno anche i cimiteri più sgangherati di questo mondo! Per ora la gente parteciperà alla messa standosene sotto l’ombrello come questa mattina!

Parrocchie ammalate di “parrocchite”

Monsignor Vecchi abbastanza di frequente si lasciava andare a qualche sentenza. Con me lo faceva senza tante preoccupazioni perché avvertiva tutta la mia ingenuità d’allora. Non è che oggi mi sia fatto furbo, perché continuo a pigliar cantonate accettando facilmente per vere certe affermazioni di persone che, alla maniera dei diplomatici, fanno finta di credere a certe cose di cui sono convinti della loro falsità.

Ho sempre detestato la diplomazia e continuo a farlo perché mi piacciono le persone che escono allo scoperto, che si compromettono, che pagano di persona i loro convincimenti.

Ebbene, tornando a bomba, Monsignore era solito affermare che quando nella società, in cui vivi, vengono continuamente ribaditi certi concetti e ripetute certe parole, che dovrebbero rappresentarli, è segno che quelle realtà sono scomparse e che si spera di richiamarle in vita o ci si illude risuscitarle al concetto di “comunità”.

La comunità esisteva davvero quando non se ne parlava mai; è scomparsa allorquando se n’è cominciato a parlare ad ogni piè sospinto.

Credo che a Mestre ci si trovi in questo preciso stadio nei riguardi dello spirito comunitario, degli organi mediante cui dovrebbe esprimersi e della vita sociale in cui dovrebbe essere presente.

Quando scrissi che le nostre parrocchie sono ammalate di parrocchite, per cui si è steso un cordone sanitario insuperabile ai confini delle stesse, successe un putiferio di reazioni sdegnate.

In realtà le parrocchie tutte, grandi e piccole, pensano ai fatti propri, ai loro interessi; ciò che supera l’ombra del campanile è terra di nessuno o dei pochi patiti che per convinzione o per incarico ufficiale se ne occupano tra l’indifferenza più o meno manifesta di tutti, comunque sono convinti che passerà anche questa stagione.

Tutto passa!

Quando gli ideali vengono profanati e delusi

Un tempo era abbastanza di moda illustrare certi avvenimenti presentando le due facce opposte della notizia o del fatto “visti da destra e visti da sinistra”. Si era in quel tempo in cui prosperavano la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista; il bianco e il nero, o forse sarebbe meglio di dire: il bianco e il rosso”. E’ vero che anche oggi tra PD e PdL le cose non sono tanto diverse. Però un tempo c’erano due filosofie, due utopie, due modi opposti di leggere la storia, due progetti radicalmente diversi, mentre oggi c’è solo confusione, sete di potere, questione di soldi e di poltrone, ambizioni ed interessi!

La seconda repubblica non pare tanto diversa e tanto migliore della prima, comunque rimane il fatto che però ha mandato in frantumi prima la “balena bianca” e poi “il partito dei lavoratori”.

La storia procede sempre inesorabile!

Molti anni fa, quando i tribunali hanno fatto cocci della D.C. mi è capitato di vedere i volti smarriti dei protagonisti di quel partito, messi alla gogna dai giudici. Penso che sia capitato così anche per i gregari e per gli elettori democristiani. Io ringrazio Dio che mio padre sia morto di morte naturale prima della disgregazione D.C. altrimenti sarebbe morto di delusione e disfatta politica.

Circa i “Comunisti di fede” non mi era mai capitato di sentire gli esiti della polverizzazione del partito. Sennonché l’altra sera, in una telefonata occasionale con una signora che stimo, mi sono reso conto di quanto massacro ideale abbia determinato la disgregazione del partito comunista.

Quella signora aveva la stessa fede, lo stesso entusiasmo, lo stesso sogno di mio padre anche se di colore opposto. La confessione di questa donna intelligente e generosa mi ha letteralmente commosso, l’avrei abbracciata se mi fosse stata accanto.

Ora sono più che mai convinto che chi profana e delude gli ideali dei puri e dei semplici, commette un sacrilegio pari a quei peccati che il catechismo una volta affermava che non potevano essere perdonati da Dio stesso!

Farsi sentire

Molti anni fa lessi un articolo in cui si affermava che in Italia politici ed amministratori di enti statali o comunali fanno di testa loro e combinano tanti guai, perché una volta eletti, sono lasciati soli e non giungono loro le reazioni della popolazione la quale brontola ma difficilmente partecipa attivamente, manifestando il proprio pensiero.

Lo stesso articolo continuava affermando che in altri Paesi le cose non andavano così. Infatti in America, in occasione di una presa di posizione della Casa Bianca, ben 25.000 americani avevano manifestato disappunto scrivendo al presidente degli Stati Uniti. Da noi il comportamento della gente è ben diverso, il popolo mugugna ma raramente i cittadini prendono posizione, uscendo allo scoperto e firmando il proprio parere.

La lezione mi parve buona e da quella volta spesso prendo posizione manifestando il mio parere nei vari organi di stampa o scrivendo direttamente ai preposti ai vari settori della Civica Amministrazione.

A dire il vero i risultati sono stati alquanto modesti! E’ ben vero che l’apparire di una “rondine non fa primavera!”

Scrissi al Sindaco, in occasione di due articoli apparsi su “Il Gazzettino” in cui si affermava che il progetto de “Il Samaritano” giaceva negletto nei cassetti del Comune. Scrissi ancora al prosindaco Mognato e a Venturini presidente della municipalità per lo scandalo del piazzale del cimitero, il cantiere che tira a campare da mesi e mesi ed un progetto che riduce drasticamente i posti macchina, mentre a parer mio, avrebbe dovuto aumentarli.

In ambedue i casi, silenzio assoluto!

Molto probabilmente Sindaco e Prosindaco e Municipalità non possono avvalersi della collaborazione dei tremilaseicento dipendenti comunali (la più numerosa impresa cittadina).

“Amiens Peato, sed magis amica verità!”

Ci sono detti popolari che spesso hanno fatto fortuna quasi solamente perché formulati con una rima che facilita la memoria, ma che di sapienza ne contengono ben poca.

Mio padre spesso faceva il meteorologo usando qualche proverbio probabilmente imparato dal calendario “Bepogallo da Casier”: “Nuvole a pecorelle, pioggia a catinelle!”

Altri detti, condensati in frasi ormai diventate universalmente note, che hanno una maggior consistenza culturale, e c’è sempre qualcuno, dalla felice memoria, che le cita a proposito consolidando una certa sapienza popolare che costituisce un aspetto della cultura propria della civiltà dei veneti.

Qualche tempo fa mi è capitato sotto mano una pubblicazione di questo genere in cui ho trovato tanto del buon senso e del criterio della nostra gente.

Vi sono poi delle sentenze, che ci giungono dai secoli, che costituiscono, non solo una chiave interpretativa degli eventi, ma contengono una utopia, seppur modesta e parziale, ma valida e stimolante, tanto da essere sempre là pronta ad orientarti e stimolarti.

Qualche giorno fa pensavo a quanto bene mi ha fatto una sentenza, imparata sui banchi del liceo, durante le lezioni di storia della filosofia: “Amiens Peato, sed magis amica verità!” Stimo ed amo Peatune per il suo intuito e la sua saggezza, però scelgo e preferisco in ogni caso la verità.

Possedere un certo patrimonio di questi contenitori di sapienza aiuta a valutare a fare scelte più nobili, più alte e più libere.

Questa “sentenza” mi ha sempre aiutato a fare scelte di libertà, per cui trovo ancora il coraggio di guardarmi allo specchio, anche se mi ha costretto a pagare, talvolta prezzi consistenti per essere fedele, comunque le sono riconoscente!